Un tesoro di (ex) marito: Harmony Jolly
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Info su questo ebook
Jack Pearce è pronto a presentare le carte del divorzio. Sua moglie Caroline, infatti, sembra più innamorata del suo lavoro di antiquaria che di lui. Sono ormai cinque anni che conducono vite separate, eppure quando si incontrano per mettere la parola fine alla loro relazione, Jack sente riaccendersi l'amore. Quando scopre che la carriera di Caroline è in pericolo a causa del furto di un oggetto che la casa d'aste le aveva affidato, il suo istinto di protezione lo spinge a offrirle il suo aiuto. E forse, lavorando così a stretto contatto, potrebbe riuscire a salvare non solo la carriera di Caroline, ma anche il loro matrimonio!
Michelle Douglas
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Anteprima del libro
Un tesoro di (ex) marito - Michelle Douglas
978-88-3052-396-8
1
Il primo accenno di disagio s'impadronì di Caro quando lo sguardo dell'avvocato scivolò da lei a Barbara, per poi tornare sulle carte che aveva davanti e che, presumibilmente, erano il testamento di suo padre. L'avvocato prese una penna e la fece roteare parecchie volte fra le dita prima di posarla di nuovo sulla scrivania. Poi si aggiustò la cravatta e si schiarì la voce.
Persino Barbara si rese conto che non aveva nessuna voglia di iniziare a leggere il testamento. Voltandosi a guardare Caro, le diede un colpetto affettuoso sulla mano e mormorò: «Caro, tesoro, se tuo padre ti ha diseredato...».
«Non è un'ipotesi, ma una certezza» la interruppe lei con una risatina forzata.
Sapevano entrambe quali fossero le ultime volontà di suo padre, e Caro voleva solo che tutto finisse in fretta.
«Signor Jenkins» disse perciò rivolgendosi all'avvocato. «Se fosse così gentile da iniziare, io e la mia matrigna l'apprezzeremmo moltissimo. A meno che non debba arrivare qualcun altro.»
«No, no, signorina Fielding» le assicurò l'uomo.
«Mi conosce da quando sono nata, ma se proprio non riesce a chiamarmi Caro, mi chiami almeno Caroline» lo rimproverò lei dolcemente. «E non sia imbarazzato. Sono preparata, stia tranquillo. So che mio padre mi ha diseredato.»
Non aggiunse che non le importava dei soldi. Né il signor Jenkins né Barbara ci avrebbero creduto. Tuttavia, rimaneva il fatto che non era mai stato il denaro ciò che aveva voluto da suo padre, ma la sua approvazione e la sua stima. Cominciavano a dolerle le tempie, ma con un immenso sforzo riuscì a curvare le labbra in un sorriso e soggiunse: «Le prometto che non sparerò al latore del messaggio».
«Ti sbagli, Caroline» mormorò lui, togliendosi gli occhiali e strofinandosi la base del naso.
«Lo sapevo che non ti avrebbe diseredato!» esclamò Barbara battendo le mani e illuminandosi in volto.
«Già» sospirò l'avvocato, rimettendosi gli occhiali. «In effetti, il signor Roland James Philip Fielding ha lasciato tutti i suoi averi a...» Fece una breve pausa, prima di concludere: «... sua figlia, Caroline Elizabeth Fielding».
Per un lungo momento Caro lo fissò allibita. Suo padre aveva lasciato ogni cosa a lei! Non riusciva a crederci. Forse, allora, le voleva bene, nonostante tutto.
Ma no. Non era possibile.
«Dev'esserci un errore» dichiarò scuotendo la testa.
«Nessun errore» le assicurò il legale.
«Allora, ci sarà senz'altro una clausola in base alla quale non potrò ereditare nulla se non accetterò di amministrare la fondazione.»
Suo padre aveva trascorso gli ultimi vent'anni a ripeterle fino alla nausea che era suo dovere occuparsi della fondazione che aveva istituito in ricordo di sua madre.
E lei gli aveva sempre opposto un fermo rifiuto.
Non aveva alcuna predisposizione per la contabilità e non desiderava partecipare a infinite riunioni per stabilire a chi destinare il denaro della fondazione. Non era una donna d'affari e non aveva intenzione di diventarlo solo per far contento suo padre.
«No, Caroline» le assicurò l'avvocato. «Non c'è nessuna clausola.»
«E Barbara?» chiese lei allibita balzando in piedi.
«Mi dispiace, ma nel testamento di tuo padre non si fa alcun cenno alla signora Barbara Fielding» le rispose l'avvocato, visibilmente imbarazzato.
Ma non aveva senso!
Si voltò a guardare la sua matrigna e anche Barbara si alzò in piedi. Era pallida come un cencio e aveva gli occhi umidi di pianto, ma non versò una sola lacrima.
«Non mi ha nemmeno menzionato?» si limitò a domandare in tono piatto.
L'avvocato deglutì a vuoto e scosse la testa.
«Ma... ma io ho fatto tutto quello che potevo per renderlo felice» balbettò Barbara. «Dunque, non mi ha mai amato?» Si rivolse a Caro e le chiese con un filo di voce: «Mi ha sempre mentito?».
«Troveremo una soluzione» le promise lei e le si avvicinò con l'intenzione di abbracciarla.
«Neanche per sogno!» sbottò Barbara arretrando. «Rispetteremo la volontà di tuo padre!»
Poi si voltò e corse fuori dalla stanza. Caro fece per seguirla, sconvolta al pensiero che suo padre avesse potuto trattare così male la sua giovane moglie, ma la voce dell'avvocato la fermò sulla soglia.
«Non abbiamo ancora finito» le disse con un sospiro. E quando lei si voltò a guardarlo, lui le porse una busta: «Tuo padre mi ha detto di darti questa».
«Ma mi aveva assicurato che non c'erano clausole!»
«Mi ha ordinato di consegnarti questa busta solo dopo la lettura del testamento, e in privato» continuò l'avvocato come se lei non avesse aperto bocca.
Caro lanciò un'occhiata in direzione della porta. Poi, sperando che Barbara non commettesse sciocchezze, si avvicinò alla scrivania, prese la busta, l'aprì e lesse la breve lettera che conteneva. Le si seccarono le labbra e le inumidì con la punta della lingua, prima di chiedere all'avvocato con un filo di voce: «Sa che cosa c'è scritto?».
Dopo una breve esitazione, lui annuì. «Tuo padre credeva che la signora Fielding lo stesso derubando. A quanto pare, dalla loro abitazione erano scomparsi degli oggetti di valore e...»
E suo padre era saltato alle conclusioni sbagliate.
«Può anche darsi che degli oggetti di valore siano spariti, ma non crederò mai che la colpa sia di Barbara!» sbottò Caro ripiegando la lettera e infilandola nella borsetta.
L'avvocato distolse lo sguardo dal suo, però Caro fece in tempo a leggere l'espressione dei suoi occhi e soggiunse con fermezza: «So che cos'ha sempre pensato la gente sul conto di mio padre e di sua moglie, signor Jenkins. Erano convinti che per lui lei fosse un trofeo e che lei lo avesse sposato solo per i suoi soldi».
E di soldi il padre di Caro ne aveva davvero tanti. Perciò, perché escludere completamente Barbara dal testamento? Anche se davvero gli aveva rubato qualche gioiello, cosa alla quale Caro non credeva assolutamente, perché prendersela così tanto con lei?
Anche da morto, continuava a essere il mostro di egoismo che era sempre stato!
«Era molto più giovane di tuo padre...»
Era vero: Barbara aveva trentun anni meno del marito, ma... «Questo non fa di lei una ladra, signor Jenkins!» esclamò Caro. «Mio padre era un uomo difficile ed è stato fortunato ad averla accanto. Ha fatto tutto quello che poteva – e non era poco! – per divertirlo e renderlo felice. Inoltre, sono convinta che nei dodici anni in cui è stata sua moglie gli sia sempre stata fedele e non credo che lo abbia derubato.»
«Naturalmente la conosci meglio di me ma, Caroline, fin da piccola tu hai avuto la tendenza a vedere solo il meglio delle persone che ti circondano.»
L'avvocato aveva ragione, pensò lei, anche se trovare qualcosa di buono in suo padre era stata un'impresa titanica. «D'accordo» convenne. «Ammettiamo pure che Barbara abbia sposato mio padre per il suo denaro. In tal caso, con tutto quello che ha fatto per lui, se lo è meritato fino all'ultimo centesimo.»
A quel punto, l'avvocato ritenne più prudente tacere e lei continuò: «Se mio padre ha lasciato tutto a me, posso disporre del suo patrimonio come voglio, vero?».
«Certo.»
Bene. Avrebbe venduto tutto e dato metà del ricavato a Barbara. La metà di un simile patrimonio sarebbe stata più che sufficiente per entrambe.
Mezz'ora dopo, Caro entrava nella cucina della casa di suo padre. Dennis Paul, il maggiordomo, scattò in piedi.
«Le preparo subito del tè, Miss Caroline.»
Lei lo baciò sulla guancia e lo costrinse dolcemente a rimettersi a sedere. «Me lo preparo da sola, Paul.» Nonostante la confidenza che c'era tra loro, il vecchio maggiordomo voleva che lo chiamasse per cognome. «Dimmi soltanto che c'è qualcosa di dolce, ti prego! Ne ho davvero bisogno.»
«C'è una crostata di mele nella dispensa.»
«Fantastico!»
Bevvero il tè e mangiarono la torta in silenzio. Paul era al servizio di suo padre da prima che Caro nascesse. Più che un domestico, per lei era uno zio onorario e la sua tranquilla presenza le aveva sempre dato conforto e sicurezza.
«Sta bene, Miss Caroline?»
«Puoi chiamarmi Caro, sai» gli ricordò lei, come aveva fatto centinaia di volte.
«No» sorrise Dennis Paul scuotendo la testa. «Per me lei sarà sempre Miss Caroline. Anche se ormai è una donna, dirige una delle più prestigiose case d'aste di Londra, è sposata e...» S'interruppe di colpo, mortificato. «Mi scusi. Questo non avrei dovuto dirlo. È stato davvero imperdonabile da parte mia.»
Caro scrollò le spalle cercando di fingere che la parola sposata non le procurasse la bruciante fitta di dolore che la coglieva ogni tanto all'improvviso. Visto che lei e Jack erano separati da cinque anni, sposati non era il termine più corretto per descrivere il loro rapporto. Anche se, tecnicamente, erano ancora marito e moglie.
«Non dirigo la casa d'aste in cui lavoro, Paul» lo corresse, sforzandosi di cambiare argomento. «Sono solo una delle dipendenti, anche se me la cavo piuttosto bene.»
«Farà una splendida carriera, Miss Caroline. Ne sono sicuro.»
«Grazie per la fiducia. Mi farebbe piacere, anche se economicamente non ne avrò più bisogno.» Caro fece una breve pausa, prima di soggiungere: «Mio padre ha lasciato tutto a me, Paul. Tutto».
Paul strabuzzò gli occhi. «Be', che io sia...» cominciò, ma lasciò la frase a metà.
Sembrava sbalordito e Caro ne fu sollevata. Almeno, non era la sola a essere sconvolta da quello che era accaduto. Descrivere il rapporto che c'era fra lei e suo padre come teso sarebbe stato un eufemismo.
«Comunque, Miss Caroline, è proprio una bella notizia» affermò il maggiordomo riprendendosi dallo shock. «Per più di un motivo. Io... ecco... ho una piccola confessione da farle. Negli ultimi tempi, ho... ehm... nascosto qualcosina. Gioielli o pezzi di argenteria, per lo più. Roba di valore, di cui però suo padre non avrebbe sentito la mancanza, capisce. Come tutti, ero convinto che suo padre non le avrebbe lasciato nulla e intendevo darli a lei.»
Santo cielo! Era Paul il colpevole dei furti!
Chissà come ci sarebbe rimasto male se avesse saputo che suo padre aveva cancellato Barbara dal testamento perché pensava che la ladra fosse lei! Per non parlare di come avrebbe reagito Barbara se avesse scoperto che cos'aveva fatto Paul!
«Avresti potuto finire in prigione se mio padre ti avesse sorpreso con le mani del sacco, Paul!» esclamò inorridita.
«Ma non è successo e adesso è tutto a posto, non è vero? Intendo dire che, adesso che ha ereditato tutto lei, non dovrò più escogitare un modo per darle quelle... ehm... cose di nascosto, non trova? Sono sue legalmente ora. È arrabbiata con me, Miss Caroline?»
Come avrebbe potuto? Nessuno aveva mai fatto tanto per lei, prima di allora! «No, è solo che tremo al pensiero di quello che ti sarebbe potuto accadere.»
«Non deve più preoccuparsene adesso.»
Forse no, ma doveva ancora trovare il modo per riparare al torto che suo padre – e Paul! – avevano fatto a Barbara.
«Ho intenzione di dare metà del patrimonio di mio padre alla mia matrigna» annunciò a Paul.
«Vuol dire che venderà questa casa?» le chiese lui con un filo di voce.
Certo! Del resto, che cosa se ne faceva di un'enorme villa a Mayfair? Ma non