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Consegna per il capo: Harmony Jolly
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E-book178 pagine2 ore

Consegna per il capo: Harmony Jolly

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Info su questo ebook

Amore e lavoro possono andare d'accordo? Certo. Provare per credere!

Liv Gilmour accetta di prendere il posto della sorella gemella per una settimana mentre il suo capo Sebastian Tyrell è via. Sulla carta non dovrebbe essere niente di difficile, se non si ritrovasse con una neonata sulla scrivania e la richiesta di occuparsene indirizzata a Sebastian. Il rientro precipitoso dell'uomo comporta l'incontro imprevisto tra loro, e la scoperta di un'irresistibile attrazione reciproca.
Il passato e i segreti di entrambi rischiano di essere un'ombra sul nascente sentimento: cosa succederà quando Sebastian scoprirà chi è veramente la donna di cui si è innamorato?
LinguaItaliano
Data di uscita20 feb 2019
ISBN9788858994405
Consegna per il capo: Harmony Jolly
Autore

Michelle Douglas

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Consegna per il capo - Michelle Douglas

    successivo.

    1

    «Quello che sto dicendo, Liz, è che qualcuno ha lasciato un neonato sulla tua... cioè sulla mia...» rettificò Olivia Grace Gilmour, consapevole che la sorella l'aveva già corretta due volte durante la telefonata, «... scrivania!»

    «Un bambino?» ripeté Liz per la terza volta e Olivia chiuse gli occhi, prendendo un profondo respiro. Un lungo, profondo respiro. Ispirare dal naso, espirare dalla bocca. La sua gemella era incredula e Olivia non la biasimava, perché stentava a crederci pure lei!

    Gettò un'altra occhiata alla bambina che dormiva nella culla.

    «Livvy, io...»

    Olivia attese, ma Liz non proseguì. E a quel punto il suo battito cardiaco accelerò di nuovo.

    «Dov'è Judith?» domandò Liz.

    Judith era l'assistente di Liz. «Ha chiamato per avvertire che non stava bene.»

    «Bene.»

    «Bene?» ripeté Olivia, tentando di nascondere la nota stridula nella sua voce. Una buona dose di confusione e preoccupazione non avrebbe stonato in quel momento, ma Liz aveva ragione. Era un bene che Judith non fosse presente per vedere quanto lei era impaurita. Ma Olivia non voleva arrendersi. Deglutì e cercò di modulare la sua voce. «Nella culla c'era una lettera indirizzata al tuo capo.»

    «Al tuo capo» la corresse Liz. Se una voce avesse potuto avere un colore, quella di Liz sarebbe stata verde.

    «Al mio capo» ammise Liv a denti stretti.

    La decisione di sostituire la gemella al lavoro non le era mai sembrata tanto folle come in quel momento. Si trattava solo di una settimana, e Sebastian Tyrell, il capo di Liz, non c'era. Non che lasciasse molto spesso la sua tenuta nel Lincolnshire, da dove supervisionava il lavoro della sua compagnia, ma con lui assente non ci sarebbe stato nemmeno bisogno di parlargli al telefono. Quella settimana avrebbe dovuto essere tranquilla come una passeggiata al parco. Liz le aveva promesso che sarebbe filato tutto liscio.

    Solo che ora lì c'era una bambina.

    In un angolo del cervello risuonò una risata isterica.

    Guardò il volto angelico della neonata che dormiva tranquilla nella culla. «Cavolo, Liz, è proprio piccola. Non può avere più di quattro o cinque mesi.»

    «Mio Dio!» La voce di Liz diventò ancora più stridula.

    Liv corrugò la fronte. La sua gemella non era mai stata brava con i bambini. E ora...

    «Hai letto la lettera?»

    Liv si allontanò dalla culla, prese la lettera e si diresse alla finestra che si affacciava su una trafficata strada londinese. Uno scorcio del Tamigi sullo sfondo scintillava alla luce del pomeriggio.

    «Certo che ho letto la lettera!» Era per quello che l'aveva chiamata. Oltre al nome, il messaggio non forniva altri indizi sull'identità della bambina, e lei non sapeva che cosa fare. «Dice: Sebastian, nessun caro Seb o cose del genere, ma "Sebastian, non posso più farlo. Non è giusto. Me lo devi. Non abbandonare la piccola Jemima!".» Osservò il foglio di carta apparentemente inoffensivo. «Il non è sottolineato tre volte e finisce con un punto esclamativo.» Prese un altro lungo respiro. «E non è firmato.»

    «Non è firmato?» ripeté Liz a voce alta. «Accidenti, Livvy. Sono bloccata in Turchia, nel bel mezzo di uno sciopero aereo. Ci metterò dei giorni a tornare e...»

    «Rilassati, Liz!» replicò Olivia con più sicurezza di quanta sperava fosse possibile, ma aveva colto il panico nella voce della gemella e doveva calmarla. Liz era incinta e aveva bisogno di stare tranquilla. «Non ti sto chiedendo di tornare.» Sua sorella non aveva bisogno di ulteriore stress, visto che aveva già abbastanza preoccupazioni in quel momento. Liv si sarebbe presa a calci per averle telefonato. «Ascoltami, posso occuparmi di tutto io. Volevo solo aggiornarti sugli sviluppi come ti avevo promesso di fare» disse, passandosi una mano tra i capelli. «E ho pensato che magari sapevi di chi è.»

    «Non ne ho la minima idea. Non sapevo neanche che il signor Tyrell avesse un bambino.»

    «A quanto pare è diventato padre di recente.»

    L'unica risposta di Liz dall'altro capo del filo fu un verso soffocato.

    Liv deglutì. Il capo di Liz sapeva di essere diventato padre?

    Che casino.

    «Livvy, non mi viene in mente niente. Non scherzavo quando ti dicevo che la cosa più personale che ho condiviso con il signor Tyrell è la preoccupazione per un contabile che ho assunto. Lo vedo a malapena, parliamo esclusivamente di lavoro... e la regola è di farlo il più velocemente possibile. Non è un uomo loquace.»

    «Davvero? Non c'è mai stato un momento di confidenza tra voi due?» Non riusciva a farsene una ragione.

    Liz restò in silenzio per un momento. «Quanto sono tornata dalle vacanze, mi ha chiesto se mi ero divertita. Non siamo andati oltre.» La vacanza in cui Liz era rimasta incinta del suo focoso uomo misterioso? «Lo sento una volta a settimana per telefono. La Tyrell Foundation è il suo fiore all'occhiello ed è evidente che ci tiene molto, ma e tutto qui. È sempre occupato a gestire i suoi affari, come qualsiasi Lord degno di questo titolo. Per questo ero convinta che l'avremmo passata liscia.»

    La possibilità che Liv lo incontrasse era talmente remota che essere scoperte era del tutto improbabile. Ma ora... Deglutì di nuovo, rassegnata. Poteva farcela. Dopotutto non aveva faticato poi molto a convincere Judith di essere Liz. Solo che ingannare un'archivista sessantaduenne che preferiva passare il tempo a fare il solitario al computer piuttosto che spettegolare con lei era una cosa. Ingannare uno scaltro uomo d'affari era tutt'altra faccenda.

    «Livvy, sei pronta a incontrarlo faccia a faccia?»

    «Sì» rispose Olivia con un lieve suono stridulo, poi sollevò il mento con determinazione. «Ma non ho alcuna intenzione di tingermi i capelli.»

    Finalmente Liz si mise a ridere. «Eravamo già d'accordo che avrei accorciato i miei prima di rientrare e, nella sfortunata ipotesi che ti veda e se ne accorga, gli dirò che ho deciso di tornare bionda.»

    Per un istante Liv poté quasi vedere la gemella passarsi una mano tra i capelli, trattando il problema come se non avesse la minima importanza. Sorrise brevemente. Lei adorava i suoi capelli. «Perfetto, allora chiamiamolo Piano A.»

    «E della bambina che ne facciamo?»

    La soluzione migliore era chiamare la polizia, ma...

    «Ti prego, non farmi perdere il lavoro, Livvy.»

    Era proprio per quello che la stava sostituendo. Tutto il resto nella vita di Liz stava crollando e si stava aggrappando all'unica sicurezza che le rimaneva: il suo lavoro. Liv non poteva rovinare tutto. E se il signor Tyrell era veramente il padre di quella bambina, non sarebbe stato corretto telefonare alla polizia prima di avergli parlato.

    «Chiamerò il tuo... il mio... capo e gli chiederò come vuole risolvere la situazione. Farò del mio meglio per sembrare cordiale ed efficiente come la mia gemella, anche se, date le circostanze, è comprensibile che io sia un po' agitata.»

    «Sei sicura che non vuoi che torni? Farò di tutto per essere lì il prima possibile, sciopero permettendo. Ma nel frattempo mi sa che dovrai occuparti della bambina da sola.»

    «Che sembra decisamente più divertente che curare la contabilità. D'altronde lo sai che amo i bambini. Per fortuna non fanno troppi danni a quest'età. A parte il fatto che devono mangiare ogni quattro ore e che non ti permettono di dormire.» Abbassò lo sguardo sulla piccola e sorrise. «Lei, però, sembra un angioletto. E poi il signor Tyrell saprà sicuramente chi è la piccola Jemima e mi dirà cosa fare con lei. Risolveremo certamente la situazione.»

    «Mi dispiace così tanto, Liv! Se avessi anche solo sospettato che potesse succedere una cosa del genere, non ti avrei mai chiesto di prendere il mio posto.»

    «Non preoccuparti, me la caverò. Tu pensa solo a sistemare le tue cose.»

    Liv chiuse la telefonata e rimise il cellulare in borsa. Osservò la bambina che dormiva e si morse un labbro. Era normale che dormisse così tanto, vero? Appoggiò le dita sulla fronte della neonata, ma non le sembrava calda.

    «Povera piccola bimba.»

    Si sedette alla sua scrivania e sollevò la cornetta, digitando il numero di Sebastian Tyrell riportato sulla rubrica accanto alla scritta Da usare solo in caso di emergenza.

    Il telefono squillò tre volte prima che qualcuno rispondesse. «Signorina Gilmour.»

    «Sì.»

    «Mi auguro che sia un'emergenza.»

    Il tono freddo e conciso le lasciò intendere con gelida chiarezza che avrebbe fatto meglio a esserlo o ci sarebbero state delle spiacevoli conseguenze. L'uomo le risultò subito antipatico. «Sì, mi dispiace ma è così.»

    «I miei genitori...?»

    Il suo timbro di voce non cambiò minimamente e Liv lo disprezzò ancora di più. «A quanto ne so, godono di ottima salute. No, non è per loro. Si tratta di...» La piccola Jemima scelse proprio quel momento per attaccare a piangere. Accidenti, come faceva una creatura tanto piccola a emettere un suono così acuto? Si alzò per guardare nella culla ancora appoggiata sulla scrivania, ma la sua apparizione nel campo visivo della bimba sembrò solo peggiorare la situazione.

    La voce di Sebastian Tyrell rimbombò dall'altro capo del filo. «C'è un bambino nel mio ufficio?»

    «Su su, piccolina, calmati» disse, accarezzando la neonata e massaggiandole il pancino per darle un po' di conforto. «Va tutto bene, principessina.» Trovò il ciuccio attaccato alla coperta e lo accostò alle labbra della bambina che smise di piangere e prese a succhiarlo con avidità. Doveva essere affamata.

    «Che ci fa un bambino nel mio ufficio?»

    Odiava quella voce, il suo tono glaciale. «Seb... signore...» si corresse appena in tempo. Liz le aveva spiegato che in ufficio non si chiamavano per nome. Mai.

    Chiuse gli occhi e prese un bel respiro. Non poteva commettere errori. Erano state la riservatezza e la freddezza di Sebastian Tyrell a convincere lei e la sorella di potercela fare.

    «Prosegua, signorina Gilmour. Interrompersi nel bel mezzo di una frase non solo è poco professionale, ma anche irritante.»

    Liv sollevò il mento, allargando le narici. «Speravo che lei potesse chiarire questa particolare situazione, signore. Vede, è il bambino l'emergenza. Lo hanno lasciato sulla mia scrivania mentre ero in pausa pranzo insieme a una lettera indirizzata a lei.»

    «Che cosa?»

    Scostò leggermente l'orecchio dal telefono ed evitò di fargli notare che assordare un impiegato non solo era poco professionale, ma anche irritante.

    «Mi scusi se ho letto la lettera che era indirizzata a lei, ma vista la situazione...»

    Lo sentì respirare profondamente attraverso il telefono. «Me la legga.»

    Lo fece. Parola per parola. Per quel poco che c'era da leggere. Poi gliela rilesse, dandogli il tempo di assimilarla, quindi attese la sua risposta. Quando continuò a tacere, gli domandò: «Cosa vuole che faccia?».

    «Sto pensando.»

    Avrebbe voluto dirgli di pensare più velocemente. «Lei conosce questa bambina?»

    «No.»

    «Sa chi potrebbe essere la madre?»

    «Signorina Gilmour, apprezzerei che la smettesse di annoiarmi con le sue domande.»

    Jemima sputò il ciuccio ed emise un vagito acuto e penetrante. «Signor Tyrell, c'è una bambina sulla mia scrivania. È chiaramente affamata e probabilmente deve essere cambiata... una bambina che evidentemente è stata abbandonata dalla madre. Perdoni la mia impazienza, mi dispiace.» Inspirò profondamente. «Se lei non sa di chi sia né chi l'abbia data alla luce, la cosa migliore da fare è chiamare la polizia e affidarla ai servizi sociali.»

    «No!»

    Liv rimase di sasso. Quindi... sapeva qualcosa?

    L'uomo continuò. «La madre evidentemente ritiene che ci sia un legame tra di noi... tra me e questa bambina.»

    «O qualcuno sta tentando di ingannarla» si sentì in dovere di puntualizzare. Sebastian era l'unico erede di Lord Tyrell. La famiglia Tyrell aveva enormi possedimenti nel Lincolnshire, per non parlare della villa a Londra e della casa al mare da qualche parte sul Mediterraneo.

    Accarezzò di nuovo il pancino di Jemima, cercando senza successo di convincerla a riprendere in bocca il ciuccio. Il volume delle proteste della piccola non fece che aumentare.

    «Rivolgersi alla polizia potrebbe sollevare uno scandalo. I giornali di gossip ci andrebbero a nozze.»

    Liv alzò gli occhi al cielo. Uno scandalo non era niente, se in gioco c'era il benessere di un bambino.

    «E uno scandalo colpirebbe la Tyrell Foundation» continuò Sebastian. «Siamo già in difficoltà, non voglio spaventare i nostri donatori. Negli ultimi mesi abbiamo portato avanti molte trattative, abbiamo lavorato troppo duramente.»

    L'organizzazione benefica di Sebastian non era una di quelle fondazioni di facciata. Forniva assistenza ai nuovi disoccupati ultracinquantenni affinché rientrassero nel mondo del lavoro. Da

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