Cuore ribelle (eLit): eLit
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Info su questo ebook
Ma il sex appeal malizioso e ribelle di Connor è sempre più difficile da ignorare, da quando lavorano fianco a fianco, e Kate sa che il suo cuore sarà l’unico a rimetterci.
Alison Roberts
Tra le autrici amate e lette dal pubblico italiano.
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Anteprima del libro
Cuore ribelle (eLit) - Alison Roberts
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
The Legendary Playboy Surgeon
Harlequin Mills & Boon Medical Romance
© 2012 Alison Roberts
Traduzione di Silvia Calandra
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
© 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5898-873-2
1
Cosa diavolo stava succedendo?
Non appena la dottoressa Kate Graham scese dall’ascensore e si avviò lungo il corridoio del reparto, vide che il pavimento in linoleum beige punteggiato era solcato da... tracce di pneumatici?
Molto strano.
Era possibile che qualche macchinario, come per esempio l’RX portatile, avesse quel tipo di ruote, ma era più probabile che quei segni li avesse lasciati qualcosa che normalmente viaggiava su strada.
Portavano dritto al reparto di pediatria, e cioè dove Kate era diretta, ma probabilmente avrebbe seguito quelle tracce comunque. Qualsiasi distrazione da ciò che l’aspettava nelle viscere del St Patrick Hospital era benvenuta. Se poi era qualcosa di insolito e che richiedeva un intervento immediato, ancora meglio. Kate sarebbe riuscita a stemperare la tensione deviandola su qualcos’altro.
Chi poteva essere così idiota da entrare in moto in un reparto pieno di bambini malati? Appena svoltò l’angolo del corridoio, Kate la scorse. Una mostruosità lucida e di colore rosso brillante si stagliava fuori dalle doppie porte della sala giochi frequentata dai bambini le cui condizioni lo permettevano.
La sala giochi si trovava poco oltre il banco delle infermiere dove Kate era diretta per ritirare alcuni campioni urgenti per il reparto di patologia, ma non si fermò e tirò dritto per raggiungere il gruppo di membri del personale e pazienti radunati per ammirare l’incredibile moto e la figura vestita di pelle che le stava accanto e che in quel momento si stava sfilando il casco.
Connor Matthews.
Non c’era da meravigliarsi. Il chirurgo ortopedico specializzato in oncologia pediatrica era una leggenda vivente al St Patrick, ma con Kate non attaccava. Era un tipo... poco raccomandabile, ecco cos’era. Andava benissimo finché era in sala operatoria, ma quando si toglieva maschera e cuffia, era decisamente poco professionale. I suoi capelli avrebbero avuto bisogno urgente di un taglio e di certo non si radeva da diversi giorni. Quando non indossava gli indumenti da sala operatoria, il suo aspetto era ancora peggiore. Jeans scoloriti e sfilacciati, T-shirt nere, giubbotti di pelle. E stivali da cowboy! Ma, al di là dell’aspetto esteriore, Connor Matthews era allergico alle regole. Non rispettava i protocolli e sembrava divertirsi a farsi trovare dove non avrebbe dovuto essere. La settimana prima non solo era venuto personalmente in laboratorio per portare un campione da analizzare ma, per saltare la fila, aveva iniziato ad aggirarsi tra i microscopi finché non gli era stata consegnata la diagnosi.
Se fosse stata in laboratorio quando lui era arrivato, non gli avrebbe certo permesso di cavarsela con uno dei suoi incantevoli sorrisi.
Era così che era riuscito a organizzare quella dimostrazione di palese trasgressione delle regole? Il personale infermieristico probabilmente si era lasciato conquistare dal suo fascino, così com’era accaduto ai tecnici di laboratorio la settimana prima.
Nessuno si accorse dell’arrivo di Kate e perciò non le fecero spazio per avvicinarsi al centro dell’attenzione. Tutti fissavano affascinati la scena che si stava svolgendo sotto i loro occhi.
Connor Matthews non era un uomo piccolo. Stava accovacciato davanti al bambino in pigiama e i pantaloni di pelle gli si tendevano sulle cosce muscolose, così come le borchie della giacca sulle spalle larghe e forti erano sottoposte a una forte tensione. A Kate pareva quasi di sentire le esclamazioni di apprezzamento delle donne presenti.
Connor ovviamente non si accorse di lei. Teneva il casco tra le mani che sembravano perfino troppo grandi per eseguire quelle magie che, lei sapeva, era in grado di fare in sala operatoria. Aveva sentito dire che ci sapeva fare con i bambini e, considerato il modo in cui in quel momento stava parlando con il piccolo paziente, non stentava a crederci. Poi infilò il grosso casco sulla testa del bambino e, dopo essersi alzato, lo fece sedere sul sedile della moto, con delicatezza, per non tirare i tubi della flebo. La madre del bambino con una mano teneva l’asta e con l’altra si copriva il viso per nascondere la commozione mentre Connor mostrava al piccolo come tenere le mani sulle manopole.
Poi fece l’impensabile. Girò una chiave e il motore rombò. Dalla lucida marmitta argentata uscì uno sbuffo di fumo nero. Santo cielo, il reparto era pieno di bambini ricoverati per gravi malattie respiratorie. Asma, fibrosi cistica, sistema immunitario compromesso...
Invece tutti sorrisero e batterono le mani.
Un’infermiera scattò delle foto. Kate rimase immobile, rigida e indispettita, fino a quando, pochi istanti dopo, lo spettacolo finì. Il motore della moto si spense. Il bambino si sfilò il casco. La madre lo riprese in braccio. Il personale si disperse per tornare alle proprie faccende e gli altri piccoli pazienti vennero riaccompagnati nelle loro stanze.
Solo Connor rimase. Appese il casco al manubrio dal cinturino sottogola e sollevò il cavalletto. Con un movimento che fece sembrare la moto leggerissima, la girò e cominciò a spingerla lungo il corridoio, lasciando altre tracce sul pavimento.
La giovane addetta alle pulizie gli sorrise timidamente e reclinò il capo quando lui si scusò per il disturbo. Poi sollevò lo sguardo e fu allora che vide Kate. Un’espressione circospetta gli attraversò il volto mentre chiudeva la distanza tra loro.
Colto in flagrante!
E nientemeno che da Miss Perfettina della patologia. Il nomignolo gli fece venire voglia di sorridere, ma si concesse solo una lieve increspatura delle labbra. In parte, perché sapeva di rischiare una bella reprimenda se le alte sfere avessero saputo dell’incursione di quella mattina, ma soprattutto perché aveva davanti qualcuno che, a differenza di tutti gli altri, non si era lasciato commuovere dalla scena.
Anche lui era appena riuscito a deglutire il groppo alla gola, ma ora un altro genere di costrizione lo turbava. Un’angoscia che aveva radici in emozioni molto più cupe. Come quelle con cui era cresciuto. Tristezza, frustrazione e... fallimento.
L’attacco era la miglior forma di difesa.
Connor sorrise. Era sempre un’ottima tattica diversiva. E inarcò le sopracciglia, come se fosse sorpreso.
«Kate, vero? Strano vederti qui.»
Il sottotesto non era poi così invisibile. Quello era il suo territorio. Con i bambini che meritavano tutto l’aiuto possibile e le loro famiglie che ne avevano bisogno altrettanto disperatamente. Quella donna, con la sua aria di disapprovazione, apparteneva al seminterrato del St Pat, dove lavorava tra provette e microscopi, dove arrivavano i corpi dei poveri sventurati che non riuscivano a uscire vivi dall’ospedale.
Lei non ricambiò il sorriso. E lui non se ne meravigliò.
«Non tutti i chirurghi vengono personalmente in patologia a portare i campioni urgenti» osservò lei.
Neanche il suo sottotesto rimase molto nascosto. Connor incrociò il suo sguardo severo.
«Qualche volta» replicò lui, scegliendo accuratamente le parole, «capita di dover fare qualche eccezione alla regola. Hai fatto trenta, fai anche trentuno.»
Il suo sguardo sorvolò lentamente Kate. Aveva tutto il potenziale per essere attraente, ma teneva i lunghi capelli lucidi e neri stretti in una coda. Le ciglia che si scorgevano anche dietro la spessa montatura degli occhiali erano folte e lunghe. Naturali, sicuramente, perché Connor non notò ombra di trucco.
Portava scarpe basse e una semplice gonna dritta. Indossava perfino il camice bianco abbottonato. Non lo faceva più nessuno, ormai. Neanche chi credeva di dover affermare a tutti i costi il proprio status.
Quando sollevò di nuovo gli occhi su di lei, vide che Kate lo fissava come se avesse parlato in un’altra lingua. Lui trattenne un sospiro.
«Mi pare di capire che a te non è mai successo di fare un’eccezione. Giusto?»
«In effetti, non sono mai entrata in moto in un reparto di pediatria, sgasando e affumicando i bambini malati. Non capisco come hai potuto...»
Il suo adirato rimprovero venne improvvisamente interrotto dalla madre del bambino che poco prima era salito sulla moto. La donna, che fino a pochi istanti prima era riuscita a trattenere le lacrime, ora piangeva copiosamente.
«Grazie» mormorò, con voce rotta, rivolgendosi a Connor.
«Ehi...» Connor sorresse il peso della moto con una mano e con l’altra accolse la donna che gli gettò le braccia al collo. «Non mi deve ringraziare, Jeanine.»
Lei tirò su con il naso. «Adesso devo tornare da lui. Non gli resta più molto.»
«Lo so.» Connor avvertì di nuovo un groppo alla gola. Aveva bisogno di restare solo.
Magari anche a grande velocità. Avrebbe fatto una corsa in moto in autostrada.
Jeanine rimase immobile un istante e trasse un respiro profondo per darsi forza. «Volevo assolutamente ringraziarla» sussurrò. «Liam si è addormentato con un meraviglioso sorriso sulle labbra.»
«Sono contento.»
«Credo che mentre era in sella alla sua moto non sentisse neanche dolore. Le foto sono... sono...»
«Qualcosa che le resterà per sempre.» Connor deglutì con forza. «Vada da Liam, adesso. Ha bisogno della sua mamma.»
Connor dovette inspirare profondamente e lentamente perché tutt’a un tratto si rese conto che Kate era ancora lì e aveva ascoltato ogni parola di quella breve e accorata conversazione. Di certo si era resa conto del motivo per cui aveva deciso di infrangere così tante regole.
Sì, se n’era resa conto. Glielo leggeva sul viso leggermente più pallido. E lo capiva da come i suoi occhi sembravano diventati più grandi. Fino a quel momento non aveva mai notato quanto fossero azzurri.
«Non... non so che dire» balbettò lei imbarazzata.
«Allora non dire nulla» la mise in guardia Connor.
Doveva andarsene. Se gli fosse venuto da piangere, avrebbe preferito essere in sella alla sua moto, in autostrada, dove avrebbe potuto attribuire le lacrime all’alta velocità.
Con un movimento brusco spostò la moto.
Kate se ne stava immobile, con aria di disapprovazione, e apriva e chiudeva la bocca come se volesse dire qualcosa, ma non sapesse cosa. Forse voleva fare qualcosa.
Connor si sentiva lacerato. Da una parte i vincoli dell’istituzione, che lei