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Due chirurghi alla ribalta: Harmony Bianca
Due chirurghi alla ribalta: Harmony Bianca
Due chirurghi alla ribalta: Harmony Bianca
E-book144 pagine1 ora

Due chirurghi alla ribalta: Harmony Bianca

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Info su questo ebook

Nell'ambiente glamour di una clinica di lusso si intrecciano le vite, le passioni e gli amori del più eccitante team di chirurghi di Londra.

I chirurghi Rafael e Abbie de Luca un tempo formavano la squadra migliore della Clinica Hunter e una coppia perfetta nella vita. Ma con la malattia della figlia tutto è cambiato e loro hanno smesso di essere la coppia più invidiata di Londra, trovandosi a dover prendere una decisione difficile. Dopo essere stata lontana per qualche tempo, Abbie torna alla Hunter e si ritrova a lavorare insieme a Rafael come ai vecchi tempi. Questo non fa che alimentare l'alchimia che è sempre esistita tra loro, inducendoli a credere che forse la felicità adesso è lì, a portata di mano.
LinguaItaliano
Data di uscita10 apr 2020
ISBN9788830513594
Due chirurghi alla ribalta: Harmony Bianca
Autore

Alison Roberts

Tra le autrici amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Due chirurghi alla ribalta - Alison Roberts

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    200 Harley Street: The Proud Italian

    Harlequin Mills & Boon Medical Romance

    © 2014 Harlequin Books S.A.

    Traduzione di Giacomo Boraschi

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2015 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3051-359-4

    1

    Si diceva che contasse soprattutto vincere.

    Ed era la verità. Il fine giustifica i mezzi, no?

    Certo che li giustificava. In quel caso non c’era il minimo dubbio. Il fagottino fra le braccia di Abbie de Luca ne era la prova. La battaglia era stata durissima... ma la bimba aveva vinto.

    No, Ella aveva vinto. La sua preziosa bambina di un anno aveva sconfitto la terribile leucemia linfoblastica a un’età in cui la sfida più difficile avrebbe dovuto essere quella di stare in piedi e fare i primi passi. Per la convalescenza l’avevano mandata all’Ospedale Pediatrico Lighthouse di Londra dall’unico posto al mondo dove si curasse quella malattia in modo nuovo e radicale. Significava un grande passo sulla strada del ritorno a casa. Ma si poteva chiamare casa quella che avevano lasciato a Londra?

    Il fatto di essere scortate come altezze reali alla discesa dall’aereo da New York e avere passato la dogana senza controlli avrebbe dovuto rendere il trionfo ancora più dolce.

    Perché, allora, Abbie si sentiva come se dovesse affrontare una nuova battaglia? Una battaglia quasi altrettanto insidiosa della lotta per la vita contro la morte che aveva occupato gran parte di quei tre mesi negli Stati Uniti con sua figlia.

    «C’è un’ambulanza in attesa, signora de Luca.» Il funzionario della dogana guardò la sedia a rotelle che lo steward dell’aereo stava spingendo. «La sedia va con lei?»

    «No, torna sull’aereo.» Abbie scostò un poco la coperta per togliere gli elettrodi del sistema di monitoraggio. «È soltanto una precauzione. Non ci occorre nemmeno l’ossigeno.»

    Non era occorsa neppure una scorta medica. Uno dei rari aspetti positivi di essere una chirurga pediatrica oltre che madre, anche se a volte era prevalso l’aspetto negativo, quello di sapere troppe cose.

    Ella si mosse fra le sue braccia ma non si svegliò. Abbie indugiò un momento a controllare il catetere inserito sotto lo sterno della bimba e ad assicurarsi che la siringa connessa al catetere non avesse esaurito i farmaci che costituivano una parte indispensabile della terapia. Poi tornò a riporlo fra le pieghe della coperta e baciò i radi riccioli che la bimba era miracolosamente riuscita a conservare.

    Mentre scivolava nuovamente nel sonno, Ella sfiorò con la minuscola mano la guancia di sua madre come se volesse assicurarsi di essere protetta. Forse stava sorridendo, pensò Abbie, vedendo raggrinzirsi leggermente gli angoli degli occhi chiusi. Era un peccato che non potesse vederlo nessuno a causa della maschera necessaria per proteggere la bimba contro le infezioni.

    In ogni caso il gesto era bastato a commuovere tutti i presenti.

    «Ohhh...» Il corpulento doganiere stava sorridendo. «Che carina.»

    «Adorabile.» Lo steward stava sbattendo rapidamente le palpebre. «Sono felice che sia guarita, Abbie.»

    «Grazie, Damien.» Abbie inghiottì il nodo che le ostruiva la gola. Preferiva non parlare della propria apprensione riguardo alla nuova prognosi di sua figlia. «E grazie anche per la tua gentilezza durante il volo.»

    «È stato un piacere. C’è qualcuno ad accogliervi?»

    Abbie annuì. «L’ambulanza. Ci porterà all’ospedale Lighthouse. Lavoro là.»

    Ma lo steward stava scuotendo la testa. «No, volevo dire... insomma...»

    Abbie lo sapeva. Lo steward parlava di un membro della famiglia. Come il padre di Ella.

    «Può darsi. Abbiamo prenotato all’ultimo momento e non eravamo sicure di prendere questo volo.»

    Aveva cercato di avvisare Rafael ma le aveva risposto la segreteria telefonica. Il dottor de Luca passava la giornata in sala operatoria, l’aveva informata. Poteva lasciare un messaggio? No, aveva risposto Abbie. Lo avrebbe incontrato presto.

    Forse troppo? Aveva tralasciato il proprio matrimonio per combattere quella battaglia. Forse per quel motivo la vittoria le sembrava così dolce.

    «Abbie...»

    L’uomo che le aveva fatte entrare nell’area privata della dogana non era un funzionario.

    «Oh, ma c’è qualcuno.» Damien parve apprezzare l’aspetto del nuovo venuto, alto e inequivocabilmente sexy. «Chi è? È il papà di Ella?»

    «No.» Abbie scosse la testa divertita. «Sembra il mio capo.»

    Una presenza abbastanza autoritaria da stabilire le regole anche all’esterno dell’ospedale.

    Lo steward sorrise mentre cominciava a togliere di mezzo la sedia a rotelle. «Un lavoraccio» mormorò. «Ma qualcuno deve farlo.»

    Abbie si accorse di sorridere mentre alzava la voce. «Ethan... che cosa fai qui?»

    «Ho provato a telefonare a Rafael per informarlo del tuo arrivo e del trasferimento sull’ambulanza. È occupato in sala operatoria, così ho pensato di venire al suo posto per accoglierti.»

    E per una degna accoglienza nessuno poteva essere più appropriato di uno dei fratelli Hunter, i proprietari della prestigiosa clinica di chirurgia plastica londinese che impiegava i genitori di Ella come chirurghi pediatrici. Era stata la clinica che aveva offerto a Ella i mezzi per andare negli Stati Uniti e affrontare il rischio di una terapia sperimentale, l’ultima speranza.

    «Rafael... sa che siamo tornate?»

    «Non ancora.» Lo sguardo di Ethan rimase inespressivo. «Sta eseguendo un’operazione molto complessa. Non ho voluto distrarlo. » Accennò un sorriso comprensivo. «Lo informerò appena possibile, te lo prometto.»

    Abbie si limitò ad annuire ma si rivolse per l’ennesima volta una domanda che l’assillava da tempo. Rafael doveva essere avvisato prima di rivederla? Senza un intermediario forse il suo orgoglio latino lo avrebbe spinto a rifiutare l’incontro. Forse si sarebbero potuti incontrare soltanto alla presenza di un avvocato, con documenti che attestassero gli accordi per la custodia della loro figlia. Sarebbe stato molto triste.

    «Vada pure.» Il funzionario della dogana timbrò i passaporti e annuì verso l’uomo sulla soglia. «Il dottor Hunter non dovrebbe essere qui. Il team dell’ambulanza vi sta aspettando. Appena scaricati, i suoi bagagli saranno inviati al suo indirizzo con un taxi.»

    Ethan prese la borsa ai piedi di Abbie ma indugiò a guardare il fagottino che lei teneva in braccio. «Non sei troppo stanca? Vuoi darmi la bambina?»

    Lei scosse la testa. «No, grazie. Posso portarla.»

    Non intendeva affidare Ella a nessun altro, benché le sembrasse sempre più pesante. Gli ultimi mesi le avevano assorbito ogni energia fisica e mentale, tuttavia non poteva permettersi nemmeno un attimo di debolezza.

    Soprattutto mentre s’inoltrava in un nuovo campo di battaglia.

    Se non altro aveva un alleato. Non soltanto Ethan si era comportato da eroe in Afghanistan, ma si diceva che non andasse d’accordo con il suo fratello maggiore. Se lei e Rafael avevano bisogno di un intermediario, una persona pratica delle difficoltà di una relazione familiare sarebbe stata l’ideale.

    Quando furono a bordo dell’ambulanza, la bambina continuò a dormire sul seggiolino assicurato alla barella. A bordo del veicolo Abbie ed Ethan stavano seduti di fronte a lei mentre il team occupava la parte anteriore.

    Quando giunsero a Great West Road il traffico rallentò. L’occasione ideale per sondare le acque, pensò Abbie, ma... santo cielo, si sentiva assurdamente nervosa. Sapeva di non poter affrontare direttamente l’argomento che le premeva, ma quando parlò, si accorse costernata che le tremava la voce.

    «C... come vanno le cose alla clinica?»

    «Bene. Siamo molto occupati. Hai visto la pubblicità del nostro caso umanitario?»

    «Ah... no, purtroppo. Mi dispiace, ho perso un poco i contatti. Sono secoli che non seguo l’attualità. È un caso pediatrico?»

    «Sì, una bambina afgana di dieci anni... Anoosheh. Qualcuno l’ha notata durante l’evacuazione di un orfanotrofio. È stata abbandonata sulla soglia da piccola quando la sua malattia è peggiorata. Adesso ha una neurofibromatosi grossa come un melone che le sfigura metà del viso, tanto che un domestico usava nasconderla alla vista dei potenziali genitori adottivi che venivano a visitare l’orfanotrofio. I media si sono interessati del caso e ci sono già offerte di famiglie adottive in Inghilterra. Credo che, appena uscito dalla sala operatoria, Rafael verrà assalito dai fotografi. Tenterò di tenerli alla larga ma è una fortuna che sappia sopportare questo tipo di pressione mentre opera.»

    «Sì, è molto bravo.»

    Perché riusciva a escludere ogni partecipazione emotiva in vista del risultato finale? Come quando si era trovato ad affrontare il trauma della prognosi di sua figlia?

    Abbie aveva un pazzo batticuore. Respirò profondamente per calmarsi. «Allora sta... ehm... bene?»

    «Pare di sì.» Vi fu un breve silenzio, come se Ethan stesse cercando di decidere se poteva rivelare qualcos’altro. Infine la sbirciò. «Non ho mai visto nessuno tuffarsi così totalmente nel lavoro. Ha inserito nella sua lista tutti i casi più difficili. È così occupato che l’ho visto di rado.»

    Oh... nessuna confessione durante un colloquio privato, allora. Non aveva ammesso che forse aveva commesso un terribile errore dichiarando che, se Abbie insisteva a portare Ella negli Stati Uniti, il loro matrimonio era finito.

    Aveva sostenuto che la qualità della vita di sua figlia contava più della quantità. Che non avevano il diritto d’imporle altre sofferenze, visto che le speranze di successo erano minime.

    Ma il successo non bastava a giustificare la decisione di partire? Rafael non sarebbe stato felice di avere sua figlia con la prospettiva di una lunga vita? Abbastanza felice da scordare il suo ultimatum?

    Forse. Ma non bastava, no? Rafael era molto orgoglioso. Fino a che punto lei aveva danneggiato la loro relazione, non rispettando il suo giudizio e sfidandolo apertamente?

    Oltretutto aveva sottratto una bambina malata al padre. Aveva scorto il dolore negli occhi di suo marito mentre si allontanava con la bimba in braccio. Certo, Rafael aveva temuto di non rivederla viva. Se fosse accaduto il peggio? Aveva ogni diritto di odiarla per avere corso quel

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