Ho incontrato il vero amore (eLit): eLit
Di LUCY GORDON
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Info su questo ebook
Il viaggio in Italia di Ferne Edmunds si stava rivelando l'esperienza più entusiasmante della sua vita, almeno fino a quando non smarrisce portafogli e documenti! Sola e spaventata, Ferne non ha altra scelta che affidarsi al carismatico sconosciuto che si è subito offerto di aiutarla. A Dante Rinucci basta un attimo per stregarla con i suoi modi galanti e la personalità estroversa e irresistibile. Proteggersi dal suo fascino sarà un'impresa difficile per Ferne, anche perché quella che era iniziata come una vacanza in solitaria sta per trasformarsi in un romantico viaggio per due... che potrebbe durare tutta la vita!
LUCY GORDON
Lucy Gordon cut her writing teeth on magazine journalism, interviewing many of the world's most interesting men, including Warren Beatty and Roger Moore. Several years ago, while staying Venice, she met a Venetian who proposed in two days. They have been married ever since. Naturally this has affected her writing, where romantic Italian men tend to feature strongly. Two of her books have won a Romance Writers of America RITA® Award. You can visit her website at www.lucy-gordon.com.
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Ho incontrato il vero amore (eLit) - LUCY GORDON
successivo.
1
I clacson suonavano, i fari lampeggiavano nell'oscurità e Ferne serrò le mani a pugno mentre il taxi avanzava lento nel traffico di Milano.
«Oh, no! Perderò senz'altro il treno. La prego!»
«Sto facendo del mio meglio, signorina» le assicurò il tassista. «Ma il traffico di Milano è unico al mondo.»
«So che non è colpa sua» riprese lei. «Ma ho prenotato un posto sul treno che parte per Napoli fra un quarto d'ora.»
«Lasci fare a me» la tranquillizzò il tassista ridendo. «Faccio questo mestiere da vent'anni e nessuno dei miei clienti ha mai perso il treno.»
I dieci minuti successivi furono indescrivibili, ma alla fine la bella facciata della Stazione Centrale di Milano si parò loro davanti. Mentre Ferne balzava a terra e pagava il tassista, un facchino si materializzò come d'incanto dinanzi a lei.
«Il treno per Napoli» ansimò sfinita.
«Da questa parte, signorina.»
Quando arrivarono al binario erano entrambi così trafelati che tutti si voltarono a guardarli. Ferne stava per tirare un sospiro di sollievo quando, proprio davanti alla porta della carrozza in cui si trovava la sua cuccetta, inciampò e finì lunga distesa per terra, facendo cadere anche il facchino.
Perdere il treno proprio all'ultimo minuto era davvero il colmo, pensò tra sé.
E stava per urlare tutta la sua frustrazione quando, come per magia, due braccia forti sbucarono dal nulla, la sollevarono di peso e la issarono a bordo. Subito dopo le sue valigie la seguirono, proprio un secondo prima che la porta della carrozza si chiudesse.
«Sta bene?» le domandò una voce maschile.
«Mi dispiace, ma non parlo italiano» mormorò Ferne mentre il proprietario della voce l'aiutava a rimettersi in piedi.
«Le ho chiesto se sta bene» ripeté lui in inglese.
«Sì, ma... oh, mio Dio! Ci stiamo muovendo e io non ho dato nemmeno un centesimo a quel pover'uomo!»
«Ci penso io» ribatté il suo salvatore, abbassando di qualche centimetro il finestrino e porgendo alcune banconote al facchino, che le afferrò con prontezza.
Poi, mentre il treno acquistava velocità, si voltò a guardarla.
E Ferne ebbe la netta impressione di soffrire di allucinazioni. Perché l'uomo che le stava davanti era troppo bello per essere vero.
Era sulla trentina, alto e imponente, con due spalle possenti e i capelli corvini tipici degli italiani. Gli occhi, per contrasto, erano di uno scintillante blu. Insomma, aveva l'aspetto che a nessun uomo dovrebbe essere concesso di avere, a meno che non sia il protagonista di un romanzo rosa. E, come se non bastasse, era accorso in suo aiuto come l'eroe di un melodramma. Il che era francamente troppo. O forse no.
Che diamine!
In fin dei conti era in vacanza. La prima che si concedeva da secoli.
Lui ricambiò il suo sguardo, osservando in fretta ma con evidente approvazione, la sua figura snella e i capelli ramati.
Senza presunzione, ma anche senza falsa modestia, Ferne sapeva di essere attraente.
Aveva già visto parecchie volte l'espressione con cui il suo salvatore la stava fissando, anche se era passato molto tempo dall'ultima volta in cui aveva fatto qualcosa per attirare su di sé quel genere di sguardi.
«La rimborserò, naturalmente» gli assicurò lei.
Aveva appena pronunciato quelle parole che una donna comparve in corridoio. Era sulla sessantina, coi capelli bianchi, snella ed elegante.
«Si è fatta male, mia cara?» le chiese in tono preoccupato, in un perfetto inglese. «Ha fatto proprio una brutta caduta.»
«No, grazie. Sto bene. Sono solo un po' scossa.»
«Dante, portala nel nostro scompartimento.»
«Va bene, zia Hope. Tu prendi lei, io prendo le sue valigie.»
La donna prese Ferne a braccetto e la condusse in uno scompartimento sulla soglia del quale, in attesa, stava in piedi un uomo, anche lui sulla sessantina.
«Da come parla, immagino che lei sia inglese» osservò la donna sorridendole.
«Sì» ammise Ferne ricambiando il sorriso. «Mi chiamo Ferne Edmunds.»
«Anch'io sono inglese. O almeno lo ero, molto tempo fa. Questo è mio marito Toni. E questo giovanotto è nostro nipote, Dante Rinucci.»
Proprio in quel momento Dante stava entrando con le valigie di Ferne, che sistemò sotto i sedili prima di mettersi a sedere, massaggiandosi il braccio destro.
«Ti sei fatto male?» gli domandò Hope in tono ansioso.
«Temo di sì» sospirò lui. «Infilare il braccio in quel pertugio deve avermi inferto dei danni permanenti.» Poi, vedendo la zia impallidire, si affrettò ad aggiungere: «Ehi! Va tutto bene! Stavo solo scherzando. Smettila di preoccuparti per me. Piuttosto, è la nostra ospite che ha bisogno di cure.»
«È vero» ammise Ferne, strofinandosi le ginocchia attraverso i pantaloni.
«Vuole che dia un'occhiata?» le domandò in tono speranzoso Dante.
«Non se ne parla nemmeno» interloquì la zia. «Comportati da gentiluomo, invece, e vai al vagone ristorante a ordinare qualcosa per questa povera signorina. E tu vai con lui!» soggiunse, rivolgendosi al marito.
Come bambini obbedienti, i due uomini si alzarono di scatto e uscirono dallo scompartimento senza proferire parola.
Hope scoppiò a ridere, poi disse a Ferne: «E adesso, signorina... O dovrei chiamarla signora?».
«No, sono single, ma mi chiami Ferne e mi dia del tu, per piacere. Dopo tutto quello che lei e la sua famiglia avete fatto per me mi sembra il minimo.»
«Bene. In tal caso...»
L'improvviso arrivo dello steward impedì a Hope di finire la frase. «Oh!» esclamò nel vederlo. «Immagino che vorrà preparare le cuccette. Vieni, mia cara. Raggiungiamo gli uomini.»
Ferne la seguì e, mentre percorrevano il corridoio, Hope le chiese: «Qual è la sua cuccetta?».
«Non ce l'ho» confessò lei. «Ho prenotato all'ultimo minuto e non c'erano più cuccette libere.»
Intanto avevano raggiunto il vagone ristorante dove Toni e Dante avevano già occupato un tavolo. Entrambi si alzarono al loro arrivo e Dante si scostò per far sedere Ferne accanto a lui.
«Ecco il controllore!» annunciò Hope mentre si accomodava al fianco del marito. «Sbrighiamo le formalità prima di ordinare la cena. Può darsi che riesca a trovarti una cuccetta, Ferne.»
Lei annuì sorridendo, ma da quel momento in avanti tutto cominciò ad andare malissimo. Mentre tutti gli altri mostravano i biglietti al controllore, lei frugò freneticamente nella borsetta finché dovette arrendersi alla terribile verità.
«Non ho più il portafoglio!» gemette. «Dev'essermi scivolato dalla borsetta quando sono caduta. E dentro c'erano il mio passaporto, il biglietto, tutti i miei soldi e le carte di credito. Devo tornare indietro!»
«Non credo che ti sarà possibile, mia cara» le fece notare Hope. «Il treno ferma solo a Napoli.»
«Ma si fermerà per farmi scendere quando si accorgeranno che non ho né biglietto né soldi!» sbottò Ferne in preda al panico.
«Vediamo che cosa si può fare in proposito» replicò Hope in tono conciliante.
Subito Toni cominciò a parlare con il controllore e pochi istanti dopo gli porse la sua carta di credito.
«Ti stanno facendo un altro biglietto» spiegò Hope a Ferne.
«Oh, è davvero gentilissimo da parte vostra. Vi rimborserò tutto fino all'ultimo centesimo, ve lo prometto.»
«Non te ne preoccupare adesso. Piuttosto, dobbiamo riuscire a trovarti una cuccetta.»
«Per questo non ci sono problemi» intervenne Dante. «Io ho una cuccetta doppia e ne uso solo una, perciò...»
«Toni dormirà con te e Ferne con me» concluse Hope al suo posto, illuminandosi in volto. «Che splendida idea!»
«Veramente, zia, io stavo pensando che...»
«Lo so bene a cosa stavi pensando» lo interruppe lei. «E so anche che dovresti vergognarti!»
«Sì, zia. Come vuoi tu, zia.»
Dante Rinucci sembrava mortificato e del tutto sottomesso alla volontà di Hope, ma di nascosto a sua zia fece l'occhiolino a Ferne, che non riuscì a fare a meno di essere affascinata da lui. La sola idea che quell'uomo così bello e così sicuro di sé facesse quello che gli veniva detto di fare era talmente assurda e la sua aria mite era in modo così evidente una finzione che non poté trattenersi dal sorridere.
Il controllore scambiò qualche altra parola con Toni prima di annuire e andarsene.
«Va a chiamare la polizia ferroviaria della stazione di Milano per dir loro di cercare il suo portafoglio» spiegò Toni a Ferne. «Per fortuna si è accorta subito di averlo perso, così forse riusciranno a recuperarlo prima che lo trovi qualcun altro. Ma, nell'eventualità che non ci riescano, è meglio che blocchi le sue carte di credito.»
«Come posso farlo da qui?» gli domandò lei perplessa.
«Il consolato inglese l'aiuterà» dichiarò Dante, tirando fuori dalla tasca della giacca il suo cellulare.
Nel giro di pochi minuti riuscì ad avere il numero verde del consolato inglese di Milano, lo compose e porse il cellulare a Ferne.
Il giovanotto che le rispose si rivelò molto efficiente e in un attimo le comunicò i numeri a cui doveva telefonare per bloccare le sue carte di credito. Servendosi sempre del cellulare di Dante, Ferne li chiamò e ottenne la cancellazione delle carte e la promessa che presto gliene avrebbero inviate di nuove. Il che era il massimo a cui poteva aspirare, date le circostanze.
«Non so cos'avrei fatto senza di voi» disse con sincerità ai suoi nuovi amici, dopo avere restituito il cellulare a Dante. «Se penso a quello che sarebbe potuto succedermi se non vi avessi incontrato...»
«Non devi pensarci» la interruppe Hope sorridendo. «Andrà tutto bene, vedrai. Ma ecco che arriva il cameriere con uno spuntino. Mmh... Pasticcini e vino vanno benissimo, ma io vorrei anche una bella tazza di tè.»
«Tè inglese» precisò Toni, dando dettagliate istruzioni al cameriere, che si allontanò annuendo e tornò poco dopo con una teiera fumante e quattro tazze.
«Quand'è stata l'ultima volta che hai mangiato?» domandò Hope a Ferne, riempiendole il piatto di pasticcini.
«Non ricordo» le confessò lei. «Sono giorni che non mangio come si deve. Sono partita obbedendo a un impulso improvviso, prendendo il treno da Londra a Parigi e poi da Parigi a Milano. Non amo volare e volevo avere la possibilità di fermarmi dove e quanto mi pareva. A Milano sono rimasta alcuni giorni, facendo shopping e visitando i monumenti più belli. Avevo intenzione di rimanerci ancora una notte e partire domattina, ma all'ultimo momento ho cambiato idea, ho fatto la valigia e acquistato un biglietto per il primo treno in partenza per Napoli.»
«È così che si vive!» esclamò Dante in tono d'approvazione. «Oggi qui, domani là! Seguire l'impulso del momento.» Strinse una mano di Ferne fra le sue e soggiunse con fare melodrammatico: «Signorina, lei è la donna ideale per me. Anzi,