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L agenda del capo (eLit): eLit
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E-book173 pagine2 ore

L agenda del capo (eLit): eLit

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Info su questo ebook

Rinucci Brothers 2

Olympia Lincoln, manager di un'importante società e prossima alla promozione, non sa se ridere o disperarsi di fronte al nuovo assistente. Primo Rinucci, infatti, è molto attraente e sicuro di sé, ma non sembra a proprio agio nei panni del segretario. C'è qualcosa, nel suo sguardo magnetico, che la induce a chiedersi se non le stia nascondendo un segreto...

Primo Rinucci sta giocando sporco, e lo sa. Fingersi l'assistente della bella e dinamica Olympia, quando invece è il suo nuovo capo, non è il massimo della correttezza. Ma è l'unico modo per controllare da vicino il suo operato e conoscerla a fondo. Olympia è già stata tradita una volta, da chi le era molto vicino. Cosa succederà quando scoprirà la verità sull'uomo che sta conquistando il suo cuore?

ROMANZO INEDITO
LinguaItaliano
Data di uscita26 ott 2018
ISBN9788858993781
L agenda del capo (eLit): eLit
Autore

Lucy Gordon

Lucy Gordon cut her writing teeth on magazine journalism, interviewing many of the world's most interesting men, including Warren Beatty and Roger Moore. Several years ago, while staying Venice, she met a Venetian who proposed in two days. They have been married ever since. Naturally this has affected her writing, where romantic Italian men tend to feature strongly. Two of her books have won a Romance Writers of America RITA® Award. You can visit her website at www.lucy-gordon.com.

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    Anteprima del libro

    L agenda del capo (eLit) - Lucy Gordon

    successivo.

    Prologo

    «Febbraio» sospirò Carlo. «A che cosa serve? Il Natale è già passato da un pezzo e la parte migliore dell'anno non è ancora cominciata.»

    «Intendi dire che non ci sono ancora in circolazione le turiste» lo stuzzicò Ruggero. «Non riesci mai a pensare ad altro?»

    «No. E neanche tu, non negarlo.»

    «Non ne avevo l'intenzione.»

    Erano gemelli, non identici, ma chiaramente fratelli. Con lo splendore della loro giovane età, si trovavano nel giardino di Villa Rinucci ad ammirare il golfo di Napoli. Era tardo pomeriggio, e l'oscurità avanzava rapidamente.

    Alle loro spalle si udì la voce della madre.

    «Allora in febbraio dovreste andare nel mio paese. In Inghilterra San Valentino è molto più sentito che in Italia, e le ragazze fanno a gara per ricevere il maggior numero di bigliettini romantici. Sareste nel vostro elemento» fece notare loro.

    «Invece è Primo ad andare in Inghilterra» osservò mesto Carlo. «Uno spreco. Penserà solo agli affari.»

    «Vostro fratello lavora sodo» li rimproverò Hope Rinucci, cercando di apparire severa. «Dovreste provarci anche voi.»

    Era una calunnia bonaria, perché i due gemelli usavano per il lavoro lo stesso impegno che mettevano nel divertimento, che era davvero parecchio. Risposero comunque alla madre con un sorriso colpevole.

    «A ogni modo, perché Primo continua ad assorbire società?» chiese Ruggero. «Non la smetterà mai?»

    «Venite dentro a mangiare» ordinò loro la madre. «Questa è la cena per salutare Primo.»

    «Organizziamo una cena per salutarlo ogni volta che parte» obiettò Carlo.

    «E allora? È un'ottima opportunità per riunire tutta la famiglia» ribatté Hope.

    «Ci sarà anche Luke?» indagò Carlo.

    «Certo» rispose la madre, con più decisione del necessario. «So che lui e Primo ogni tanto hanno dei diverbi.»

    «Ogni tanto!» esclamarono all'unisono i gemelli.

    «D'accordo, quasi sempre. Ma sono comunque fratelli...» borbottò Hope.

    «Non esattamente» tenne a precisare Ruggero. «Non sono consanguinei.»

    «Primo è il mio figliastro e Luke è il mio figlio adottivo, quindi sono fratelli. Sono stata chiara?»

    «Sì, mamma» risposero entrambi in tono docile.

    Nella sala da pranzo il calore e l'affetto della famiglia erano tangibili. Hope però si guardò intorno, irrequieta.

    «Ci sono troppi uomini qui» dichiarò.

    Il marito e i figli si scambiarono occhiate allarmate, come a chiedersi quali mezzi drastici intendesse usare per ridurre il numero.

    «Dovrebbero esserci più donne» spiegò lei. «Dove sono le mie nuore? Dovrei averne già sei, e invece non ne ho nemmeno una. Desideravo tanto che Justin sposasse Evie, ma...» Si lasciò sfuggire un sospiro eloquente.

    Justin era il suo figlio maggiore, che le era stato portato via alla nascita, ma che aveva ritrovato pochi mesi prima. Era stato a Napoli con Evie, la donna che chiaramente amava. Ma poi Evie era sparita dalla sua vita, e quando era tornato per il Natale si era presentato da solo. Né aveva più voluto parlarne.

    Nonostante quei pensieri, Hope Rinucci si sentiva comunque soddisfatta. I suoi figli abitavano tutti da soli a Napoli, ed era sempre un'occasione felice quando riusciva a riunirli in quella grande casa.

    Gli occhi le si illuminarono alla vista di Primo, il figlio del suo primo marito, un inglese, anche se ora portava il cognome Rinucci in onore della madre italiana.

    «È passato troppo tempo dall'ultima volta che ti ho visto» commentò abbracciandolo. «E domani te ne vai di nuovo.»

    «Non per molto, mamma. Rimetterò presto in sesto la nuova filiale inglese.»

    «Perché l'hai acquistata? Facevi dei buoni affari con quella compagnia.»

    «La Curtis Electronics non era condotta bene, così ho deciso di assumerne il controllo. All'inizio Enrico non era dell'idea, ma poi mi ha dato ragione.»

    Un tempo Enrico Leonate era stato l'unico proprietario della Leonate Europa, un'azienda per cui Primo aveva cominciato a lavorare diversi anni prima. Aveva imparato in fretta, aveva fatto guadagnare parecchio al suo capo e alla fine era diventato socio. Primo era giovane, dinamico e pieno di idee, ed Enrico, in là con gli anni, era stato ben felice di lasciargli le redini.

    Primo continuò: «Promuoverò qualche dipendente e poi spiegherò loro quello che voglio».

    «Sempre che tu riesca a trovare qualcuno che ti soddisfi. Quand'è stata l'ultima volta che una persona si è dimostrata all'altezza delle tue aspettative?»

    «È vero. Ma Cedric Tandy, l'attuale direttore generale, ha raccomandato la sua vice, Olympia Lincoln. La terrò d'occhio» spiegò Primo ai suoi parenti.

    «Promuoveresti una donna?» domandò Hope in tono alquanto ironico. «Tu, un datore di lavoro che crede nelle pari opportunità?»

    Primo parve sorpreso. «Promuoverò chiunque esegua i miei ordini senza fiatare.»

    «Ah, quel genere di pari opportunità...» Hope scoppiò a ridere. «Figlio mio, lo fai sembrare davvero facile.»

    «La vita è perlopiù facile se sai quello che vuoi e sei determinato a ottenerlo.»

    Hope corrugò la fronte, quindi si scordò di ogni cosa per il piacere di averlo lì. Come sempre era arrivato al momento perfetto, non in ritardo ma neppure in anticipo, vestito con eleganza.

    Il suo aspetto tradiva le doppie origini. Dalla defunta madre italiana aveva ereditato gli occhi scuri ed espressivi. Il padre inglese gli aveva passato il mento prominente e la bocca decisa.

    «Luke non è ancora arrivato» mormorò la donna.

    «Forse non viene» replicò allegramente Primo. «Non figuro nell'elenco delle sue persone preferite da quando gli ho soffiato Tordini.»

    Riccardo Tordini era un brillante ingegnere elettronico, richiesto da entrambi i fratelli, i cui affari erano nello stesso settore. Primo era riuscito infine ad assumerlo per la propria azienda.

    «Luke afferma che l'hai accoltellato alle spalle» gli ricordò Hope.

    «Niente affatto. È vero che aveva adocchiato lui per primo Tordini, ma io gli ho prospettato un'offerta migliore» tenne a precisare lui.

    «Non è una bella cosa tra fratelli, Primo.»

    «Non ti preoccupare, mamma. Luke troverà il modo di vendicarsi, e non se lo lascerà sfuggire.»

    Primo parlò con un sorriso divertito. La guerra tra lui e il fratello durava da anni, e dava sapore alla loro vita.

    Luke arrivò quando la cena era quasi terminata.

    «Sono felice che tu sia venuto» lo accolse Hope.

    «Dovevo accertarmi che ci stessimo veramente sbarazzando di lui» ribatté, alzando un calice in direzione di Primo.

    Però fu lo stesso Luke ad accompagnarlo all'aeroporto il giorno seguente.

    «Vengo anch'io» si offrì Hope. «Qualcuno dovrà pure evitare che voi due vi uccidiate.»

    «Nessun rischio» rispose Luke con un sorriso. «È più divertente architettare una vendetta sottile.»

    Mentre Hope e Luke guardavano decollare l'aereo, la donna non poté trattenere un sospiro.

    «Tranquilla, mamma.» Luke le cinse le spalle con un braccio. «Tornerà presto.»

    «Non è quello che mi preoccupa. La gente mi ripete quanto sono fortunata perché Primo non mi dà mai pensieri. Io invece temo questa sua eccessiva affidabilità. È così razionale, non fa mai nulla di impulsivo e stupido.»

    «Te lo assicuro, se è un Rinucci, è stupido» replicò Luke, strizzandole l'occhio.

    «Davvero? E allora tu che cosa saresti, visto che non hai mai voluto assumere il nostro cognome?»

    Lui l'abbracciò. «Non mi serve. Devi sapere che io sono già abbastanza stupido.»

    1

    «Non si libereranno così facilmente di me» dichiarò con fermezza Olympia Lincoln. «Non dopo tutto il lavoro che ho svolto per questa azienda.»

    «È una bella sfortuna che capiti proprio ora» le fece eco Sara, la sua segretaria. «Il signor Tandy sta per andare in pensione, e tu avresti avuto il suo posto.»

    «Non farmici pensare.»

    «La cosa peggiore è non sapere quando arriverà quella gente» sospirò Sara.

    «Neanche il signor Tandy lo sa. Presto, continua a ripetere. Forse oggi, forse la prossima settimana.»

    «Di certo non oggi» obiettò Sara. «È venerdì. Che genere di persona sceglie il venerdì come primo giorno?»

    «Qualcuno che cerchi di coglierci con la guardia abbassata» rispose Olympia. «Ma che mi venga un colpo se permetterò che qualcuno mi prenda di sorpresa.»

    «Oggi però non è semplicemente venerdì. È venerdì tredici

    «La sfortuna si abbatterà solo su Primo Rinucci, se mi pesterà i piedi. Ora beviamoci una tazza di tè. Lo preparo io. Non sembri stare molto bene.»

    «No, è tutto a posto» dichiarò Sara, mentendo con disinvoltura. «Non dovresti pensarci tu. Sei il capo.»

    «Ma sei tu quella incinta» ribatté Olympia con un sorriso che le trasformò il viso normalmente severo. Coltivava la serietà, decisa a farne il suo biglietto da visita. Ma la sua naturale gentilezza aveva l'abitudine di fare capolino, anche se di solito lo notava solo Sara, che aveva giurato di non dirlo in giro.

    «Ora va meglio.» Sara sospirò di gratitudine dopo aver bevuto il primo sorso di tè. «Non hai mai desiderato dei figli?»

    «Un tempo. Quando ho sposato David ero follemente innamorata e tutto ciò che volevo era essere sua moglie e la madre dei suoi figli. Il che probabilmente fa di me un disonore per tutto il genere femminile moderno. Ma all'epoca avevo diciotto anni, quindi forse ho qualche scusa...» borbottò lei.

    «Lui almeno apprezzava la tua devozione servile?»

    «Col cavolo. Gli serviva una moglie che lavorasse, in modo che lui potesse seguire dei corsi e prendere dei diplomi che avrebbero aiutato la sua carriera. Appena riuscì a salire di livello, grazie a una promozione, mi piantò per una donna più giovane, e a me non rimase nulla. Così decisi di mettermi a lavorare come una matta per costruirmi anch'io una carriera.»

    «Sei stata sfortunata, ma non tutti gli uomini sono come lui.»

    «La maggior parte, sì. Ci usano, a meno che non li usiamo noi per prime.»

    «Sei felice?» le chiese Sara, con un sorriso carico di tenerezza e comprensione.

    «Che cos'è la felicità? Io non sono infelice. Ricordo come mi sentivo quando David mi lasciò, e non mi succederà mai più. Otterrò il posto di Tandy, aspetta e vedrai. Devo solo lavorarmi un po' il tizio che arriverà dall'Italia.»

    «Com'è il tuo italiano?»

    «Accettabile. Ho studiato parecchio, ma immagino che l'abbiano fatto tutti quanti da queste parti.»

    «Nessun altro sarà alla tua altezza, sia nel cervello sia...» Sara fece un gesto indicando l'aspetto di Olympia, e lei scoppiò a ridere.

    Era impeccabile dentro e fuori. La mente era sempre concentrata, risoluta. Il corpo era snello ed elegante, e si intravedeva appena sotto il completo di lino blu.

    Era alta per essere una donna, con gambe slanciate, un collo lungo e lineamenti quasi cesellati. I capelli biondi erano lunghi e folti, ma li portava sempre raccolti in un austero chignon.

    Gli occhi erano castani ed espressivi, e nel profondo c'era ancora una traccia di umorismo che tornava occasionalmente ad affiorare, sebbene facesse del suo meglio per nasconderlo. Ogni cosa era stata studiata a tavolino, forgiata secondo il suo stesso meticoloso disegno.

    Solo in un particolare non era riuscita a raggiungere gli standard che si era proposta. Nel suo cuore sapeva di essere, in parte, la stessa ragazza di un tempo, quella che cercava di nascondere. Quella ragazza era stata piena di fiducia ed entusiasmo, senza un pizzico di malizia calcolatrice. Possedeva anche un carattere ben spiccato e una lingua ribelle, che a volte esprimeva le proprie opinioni prima ancora che la mente si fosse messa in moto.

    Aveva cercato di controllare questi aspetti, e in gran parte ci era riuscita. A volte la rabbia la induceva ancora a parlare in maniera avventata, ma ci stava lavorando.

    Quel giorno lei avrebbe messo alla prova tutte le sue capacità.

    «Hai idea di chi verrà a ispezionarci?» chiese Sara.

    «Probabilmente Primo Rinucci. Ho cercato su Internet qualche notizia su

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