Seduzione di una notte: Harmony Collezione
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Sono passati tre anni dalla notte di quel brusco e mortificante rifiuto. Natalie Ross, allora ventiduenne, aveva tentato di sedurre Christopher Savas, giovane e affascinante avvocato, infilandosi nel suo letto, ma la reazione di Chris non era stata esattamente quella che lei si era aspettata. Ora Natalie si ritrova a vivere accanto a lui, e i mai sopiti sentimenti che prova nei suoi confronti tornano in superficie.
Quando Chris rivede Natalie, non impiega più di un secondo a decidere: prenderà ciò che lei gli aveva già offerto, ma ben presto scoprirà che una sola notte non gli basta.
Anne McAllister
Autrice di grande versatilità, ha vinto il premio RITA per la letteratura romantica ed è acclamata dai fan di tutto il mondo.
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Anteprima del libro
Seduzione di una notte - Anne McAllister
1
In preda a un panico che, per intensità, superava ogni altra emozione provata negli ultimi tre anni, Natalie parcheggiò l’auto nel garage dell’appartamento di sua madre e spense il motore.
«Una reazione del tutto ingiustificata» si disse ad alta voce quasi come se, ascoltando quelle parole, potesse convincersi della verità a esse sottesa.
E in realtà, ne era persuasa... dal punto di vista logico.
Ma ciò che razionalmente credeva e quello che invece il suo istinto le suggeriva non erano concetti neanche lontanamente paragonabili.
«Non comportarti da stupida» proseguì, sempre parlando a se stessa. «È una faccenda da poco.»
E lo era. Doveva badare a un gatto, tutto qui. Annaffiare qualche pianta e abitare a casa di sua madre per due o tre settimane, perché la donna era in partenza per l’Iowa, dove avrebbe assistito sua nonna, reduce da un intervento chirurgico di protesi all’anca. E se il micio avrebbe anche potuto accompagnarla in quella trasferta, l’enorme albero della gomma proprio no.
Harry aveva promesso di aiutarmi, le aveva spiegato Laura Ross al telefono quella mattina, ricordi? Il ragazzo che abita qui di fronte. Ma si è rotto una gamba cadendo dallo skateboard giusto ieri sera. Una frattura scomposta, così ha detto sua madre. Non potrà camminare per un po’, nemmeno con l’ingessatura. Mi dispiace essere costretta a chiedertelo, ma...
No, no, è tutto a posto, Natalie si era affrettata a replicare. Lo farò con piacere, aveva concluso mentendo.
Così adesso era lì.
E tutto quello che doveva fare era scendere dall’auto, uscire dal garage, salire le scale che conducevano all’appartamento di Laura, aprire la porta ed entrare.
Un’impresa che aveva già compiuto quella mattina. Era andata a prendere sua madre per accompagnarla all’aeroporto. Tutto a posto. Nessun problema.
Perché non c’era il rischio di imbattersi in Christopher Savas. E le possibilità che le accadesse ora erano davvero molto remote, rassicurò se stessa.
Perché quante possibilità esistevano di uscire dal garage e avviarsi su per le scale nello stesso momento in cui il padrone di casa di sua madre - e suo datore di lavoro - usciva dalla sua villa, magari soffermandosi nel giardino posto sul retro? Poche, davvero poche in realtà. Nessuna sarebbe stata un’ipotesi preferibile. Ma con un po’ di fortuna, non lo avrebbe incontrato durante le seguenti tre settimane.
Anche in caso contrario, però, ormai era una donna adulta, rammentò a se stessa. Si sarebbe limitata a sorridere e a continuare per la propria strada, senza curarsi di ciò che lui avrebbe pensato.
«Giusto» affermò con quel tono pragmatico che sua madre usava per rimproverarla quando lei era una bambina. Non basta guardare la falciatrice per tagliare il prato, aveva avuto l’abitudine di ripetere Laura quando lei o suo fratello Dan cercavano di sottrarsi a quel compito. La frase era poi diventata una sorta di slogan di famiglia, da applicarsi ogni qualvolta uno dei componenti mostrava riluttanza nello svolgere i propri doveri. Se sua madre fosse stata lì, pensò Natalie, l’avrebbe ripetuta anche in quel momento.
Ovviamente Laura non sapeva che sua figlia aveva trascorso gli ultimi tre anni facendo del proprio meglio per evitare Chris Savas.
Respirò a fondo e scese dall’auto, prestando attenzione a non urtare con lo sportello la Jaguar di Chris parcheggiata lì accanto.
Una volta lei aveva fatto un giro in quella elegante decappottabile, il vento fra i capelli, aveva riso e guardato di soppiatto l’affascinante uomo al volante, permettendo a se stessa di indulgere a sogni tanto belli quanto irrealizzabili.
Ora distolse lo sguardo e richiuse lo sportello dell’auto con più forza del necessario. Recuperò dal bagagliaio il computer portatile e la valigia, e con il cuore in gola aprì la porta che conduceva al piccolo giardino.
Che era deserto, per fortuna.
Riprese a respirare, quindi girò a destra e alla svelta salì i gradini di legno che conducevano all’appartamento di Laura, costruito sopra al garage. Aveva volutamente ignorato la grande casa che si ergeva sul lato opposto del giardino, che sua madre aveva trasformato in modo da renderlo il più simile possibile a quelli tipicamente inglesi. Nell’intera California del sud non ne doveva esistere un altro così...
Giunta sul portico, lanciò un’occhiata alla stretta strada che si snodava al di sotto e che, oltrepassando The Strand - la sottile striscia di terra che univa la penisola del Coronado alla terraferma - arrivava fino alla spiaggia. Bene, pensò. Non c’era nessuno. Appoggiò i bagagli per terra e rovistò nella borsa alla ricerca delle chiavi.
Erano all’incirca le sei del pomeriggio, ora in cui generalmente Chris si rilassava facendo surf - così le aveva spiegato Laura - prima di rientrare per cenare con lei.
Voi... cenate insieme?, aveva domandato lei quando sua madre, con noncuranza, l’aveva messa al corrente dello sconcertante dettaglio.
Laura aveva continuato a preparare le valigie. Non mi piace cucinare per una persona sola.
Tu cucini per lui?
Io cucino per me, aveva precisato sua madre in replica alla sua evidente disapprovazione, ma preparo abbastanza per due.
Be’, io non ho alcuna intenzione di fargli da cuoca.
Nessuno te lo ha chiesto, e sicuramente lui non se lo aspetta. Non gli ho neanche detto che ti trasferirai qui, aveva aggiunto Laura, rasserenando notevolmente la sua giornata con quelle parole, ricordò Natalie. Sapeva che avevo chiesto a Harry di venire, e quando Carol, la madre di Harry, mi ha telefonato questa mattina, ho preferito non avvisare Chris. Sapevo che si sarebbe sentito in colpa. Sai, riteneva che spettasse a lui il compito di badare a Herbie e di curare le piante, ma con tutto quello che ha già da fare non me la sono sentita di dargli altre incombenze.
Trovò la chiave, la inserì nella serratura e aprì la porta. Poi, dopo essersi girata un’ultima volta verso il mare - e sì, sulla riva scorse la figura di un uomo muscoloso con una tavola da surf sotto il braccio - sollevò valigia e computer, entrò in casa e richiuse frettolosamente la porta alle proprie spalle.
Nella gradita, fresca penombra del piccola atrio, appoggiò per terra i bagagli, chiuse gli occhi e tirò un profondo sospiro di sollievo.
«Natalie?»
La voce apparteneva a un uomo, e suonava sorpresa almeno quanto lo era lei stessa nell’udirla. Natalie riaprì gli occhi di colpo. Sbatté le palpebre per adeguarsi alla semioscurità, riuscendo quindi a vedere il salottino deserto, come si era aspettata, e Herbie, il gatto, comodamente disteso sul divano, anche in questo caso secondo le sue aspettative.
Ciò che stonava in quel quadro era l’uomo, inginocchiato accanto al camino, che ora si stava alzando erigendosi in tutta la sua notevole altezza, e che la stava fissando con fare sospettoso.
«Chris?» riuscì a replicare in qualche modo lei, nonostante la manciata di sabbia che qualcuno doveva averle ficcato in bocca a sua insaputa. O, almeno, quella era la sensazione che provava.
I loro sguardi si incrociarono. «E tu cosa diavolo ci fai qui?» si domandarono a vicenda, all’unisono.
«Io abito qui. Cioè, lì...» si corresse Chris accennando con la testa verso la casa al di là del giardino. Guardò la valigia. «A cosa ti serve?»
Sollecitata dalla diffidenza del suo tono, Natalie raddrizzò la schiena. «Mi trasferisco qui» annunciò, fiera della fermezza che tradiva la propria voce. «In via temporanea» precisò poi.
Chris inarcò un sopracciglio. «Perché?»
«Mi prenderò cura di Herbie. E anche delle piante.»
«Tua madre ha detto che Harry...»
«Harry si è rotto una gamba.»
«Non sapevo niente» commentò lui. Appoggiò un braccio sulla mensola di marmo che sovrastava il camino e la squadrò con fare dubbioso.
«Sentiti libero di andare a casa di Harry per controllare l’esattezza di questa informazione» sbottò Natalie irritata, «e per assicurarti che mia madre non abbia complottato per farci incontrare.»
«Lei non farebbe mai una cosa simile.»
«No, infatti.» Laura forse era anche convinta che sua figlia, a venticinque anni, avrebbe dovuto iniziare a cercare marito, ma non si sarebbe mai intromessa nella sua vita in quel modo, Natalie ne era certa.
«Ci penserò io a dar da mangiare al gatto e ad annaffiare le piante» dichiarò Chris, con il tono di chi non stava esponendo una proposta bensì impartendo un ordine.
«Sono sicura che potresti» borbottò Natalie inalberandosi. D’altra parte, era già sopravvissuta alla parte che aveva desiderato evitare a ogni costo. «Ma mia madre non lo ha chiesto a te. Lo ha chiesto a me, dunque lo farò io.» Chris digrignò i denti, e Natalie immaginò di sentirli stridere. «Dunque, ora sappiamo perché sono qui io» riprese, «ma non perché ci sei anche tu. Non avrai l’abitudine di intrufolarti a casa di mia madre, spero...»
«No, non ho questa abitudine» sbuffò lui. «Stavo prendendo le misure per gli scaffali.» In mano, aveva un metro a nastro.
«Scaffali?» ripeté Natalie poco convinta.
«Scaffali» confermò lui. «Laura non fa che ripetere quanto le piaccia questa stanza, ma che le piacerebbe ancora di più se ai lati del camino ci fossero degli scaffali sui quali riporre i libri.» Scrollò le spalle e indicò con la testa lo spazio destinato alle mensole. «Un regalo di compleanno in ritardo» aggiunse.
Dunque sapeva che sua madre aveva compiuto gli anni la settimana precedente... «E avevi intenzione di farli montare durante la sua assenza?» si informò Natalie.
«No, avevo intenzione di montarli personalmente durante la sua assenza» puntualizzò Chris.
Si fissarono a lungo. Una consapevolezza che Natalie avrebbe preferito ignorare si materializzò fra loro. E c’era stata sin da quando lei aveva aperto la porta e aveva sentito la sua voce. Era una sensazione particolare, che non provava alla presenza di nessun altro. Un tempo aveva creduto di comprenderne il significato. L’aveva coltivata. Apprezzata.
Ora non voleva neanche considerarla.
«Purtroppo non ti sarà possibile» affermò incrociando le braccia sul petto.
Lui non replicò. Strinse le labbra e continuò a guardarla negli occhi. Natalie, questa volta, rifiutò di distogliere lo sguardo per prima: era lei nel giusto.
«Bene» concluse infine Chris. «Finisco di prendere le misure. Ordinerò il legno e monterò gli scaffali quando Laura sarà di ritorno» le comunicò. Poi le voltò le spalle e riprese a dedicarsi a quello che stava facendo prima del suo ingresso nella casa.
Natalie fissò la sua schiena. Come aveva potuto anche solo prendere in considerazione la possibilità di trascorrere il resto della sua vita con quell’uomo? Come aveva fatto a innamorarsi di lui?
No, non era stato amore, si corresse alla svelta. Si era trattato di una banale infatuazione: da giovane studentessa di giurisprudenza aveva ceduto al fascino del brillante avvocato in carriera. Era stata sedotta dal suo talento, dalla sua straordinaria bellezza e da quella inspiegabile reazione chimica che non aveva mai mancato di innescarsi ogni qual volta si erano ritrovati nella stessa stanza.
E il bacio... inopportunamente le rammentò la sua coscienza. Non dimenticare il bacio.
No, anche facendo appello a tutta la sua buona volontà, non avrebbe potuto dimenticare quel bacio. Mai sarebbe riuscita a cancellare dalla memoria l’esatto istante in cui le sue labbra avevano sfiorato quelle di Christopher Savas. Era stata l’esperienza più elettrizzante dei suoi ventidue anni di vita, e il primato non era stato battuto, almeno non fino a quel momento.
Quel bacio aveva innescato le sue folli azioni in quella folle notte di tre anni prima.
Azioni che non avrebbe ripetuto nonostante quello che pensava Chris. E, Natalie lo capì guardandolo, non era poi così difficile indovinare i suoi pensieri.
«D’accordo» borbottò. «Procedi pure e sistema gli scaffali.» Chris era inginocchiato sul pavimento. A quelle parole si voltò per scoccarle una rapida occhiata, ma non abbastanza rapida affinché lei non scorgesse la diffidenza nei suoi occhi. Così, gli offrì un sorriso melenso. «Non preoccuparti, resterò alla larga. Non ti darò alcun fastidio. Non ti inviterò nel mio letto, e non mi farò trovare nel tuo. Sei assolutamente al sicuro» commentò con tono volutamente derisorio.
Entrambi però sapevano che l’oggetto della sua ironia non era lui, bensì se stessa. O meglio, l’ingenua ragazzina che era stata, che aveva interpretato erroneamente un lavoro estivo, una sensazione di affinità che invece non era reciproca, e un unico bacio per celebrare una vittoria in tribunale come indicazione di qualcosa di molto più profondo. Una ragazzina che si era illusa che lui l’avesse amata almeno quanto lei aveva creduto di amarlo, e che si era presentata nel suo letto per dargli una dimostrazione pratica dei sentimenti che provava.
Lo guardò dritto negli occhi verdi e sostenne il suo sguardo senza vacillare, esortandolo silenziosamente a credere alle sue affermazioni perché, in fin dei conti, quelle affermazioni corrispondevano a verità. Per nessun motivo al mondo si sarebbe coperta di ridicolo una seconda volta.
«Se sei sicura...» cominciò Chris.
«Certo che lo sono!» esclamò Natalie. Sollevò la valigia e il computer e mosse qualche passo. «Semplicemente, non mi aspettavo di vederti» spiegò. «Di vederti qui» sottolineò, perché non voleva fargli credere che avesse cercato di evitarlo, esattamente ciò che invece aveva fatto. Appoggiò il portatile sul tavolo. «Vado a riporre questa...»