Il destino della principessa: Harmony Collezione
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Cresciuta in un orfanotrofio, Maggy non ha idea di chi fossero i suoi veri genitori, e adesso quello sconosciuto e sedicente sovrano viene a dirle che lei sarebbe una regina? Maggy non è certo una sprovveduta e non ha intenzione di bersi quella storiella. Così, se non riesce a tentarla con ricchezza e onori, Reza dovrà puntare sulla propria sensualità, a cui lei sembra non riuscire a resistere.
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Anteprima del libro
Il destino della principessa - Caitlin Crews
successivo.
1
Erano poche le cose che Maggy Strafford odiava di più del lavare il pavimento della caffetteria: gli studi dentistici, la gastroenterite o qualunque ricordo della sua sfortunata infanzia trascorsa prevalentemente in orfanotrofio. Eppure si trovava lì, china sulle mani e sulle ginocchia, intenta a strofinare una macchia appiccicosa sul pavimento di legno massiccio del Coffee Queen, che si trovava nel piccolo villaggio turistico di Deanville, Vermont. In qualità di barista assunta da poco era quello il suo lavoro, e fin dalla prima notte i proprietari si erano fidati di lei a tal punto da lasciarle chiudere il negozio.
E per la prima volta da quando da bambina, priva di memoria, era stata ritrovata al margine di una strada, Maggy era determinata a tenersi il suo lavoro. Persino se questo la obbligava a sfregare macchie non ben identificate sul pavimento di una caffetteria nel bel mezzo del nulla nel Vermont.
Si accigliò quando sentì il campanello suonare, annunciando l'arrivo di un altro turista che, apparentemente, non era in grado di comprendere il cartello sulla porta.
«Siamo chiusi» disse ad alta voce, trattenendosi dall'aggiungere: Cosa che potresti vedere da te, sempre che tu sia in grado di leggere, perché una risposta d'impulso sarebbe stata tipica della vecchia Maggy, mentre quella nuova era più gentile e amichevole, ragion per cui era riuscita a tenersi il lavoro.
Si stampò quindi un sorriso falso sulla faccia, mentre lanciava la spugna nel secchio pieno di acqua sporca che sciabordò pericolosamente.
Detestava dover sorridere a comando. Non era la persona adatta per il servizio clienti né lo era mai stata, ma la nuova Maggy si guardava bene dal condividere i suoi veri sentimenti con qualcuno, soprattutto con i clienti, a prescindere da quanto ricchi e annoiati potessero essere. Così si diresse alla porta strisciando sulle ginocchia, ma quando sollevò lo sguardo il suo sciocco sorriso svanì in un istante.
Due uomini vestiti di nero, muscolosi e dall'espressione severa, fecero irruzione all'interno mormorando qualcosa ai loro auricolari in una lingua che non era decisamente inglese.
Ignorandola, la superarono con un'efficienza che le fece annodare lo stomaco. Sapeva che si doveva alzare e affrontarli in qualche modo, anche se il suo istinto le suggeriva di darsela a gambe.
Ma poi entrò un uomo affiancato da altri due scagnozzi armati di pistole, dei soliti auricolari e con freddi occhi feroci. Una volta sbrigati i dettagli relativi alla sicurezza, ciascuno di quegli intrusi prese posizione di fronte a una finestra.
L'uomo al centro fece un paio di passi all'interno della caffetteria, poi si fermò, osservando Maggy con fare altezzoso, quasi credesse di essere il nuovo messia.
Lei non era una fan degli uomini arroganti. Né degli uomini in generale, visti gli esemplari deludenti che aveva incontrato nel corso degli anni. Ma trovò che il suo solito meccanismo di autodifesa doveva averla abbandonata del tutto, perché lui sembrava... diverso.
Se ne stava lì con l'atteggiamento di chi era abituato a trovarsi di fronte a persone inginocchiate come se fosse stata la cosa più normale del mondo.
Avrebbe dovuto detestarlo al primo sguardo, e invece il cuore di Maggy prese a battere forte.
Si disse che non era nulla di speciale.
Solo un altro uomo, e presuntuoso per giunta. Ovviamente ricco in modo ridicolo, proprio come tutti quegli idioti che venivano spesso da quelle parti con i loro lussuosi fuoristrada e accecavano la gente con i loro sorrisi smaglianti. Di solito sedevano ai tavoli dei migliori ristoranti della città, acquistavano magliette per centinaia di dollari e riempivano alla rinfusa le caffetterie con i loro lunghi ordini di finti drink.
Quest'uomo non ha nulla di speciale, si disse Maggy.
Ma era solo una bugia.
Era straordinario.
Sembrava che qualcosa gli ronzasse tutt'intorno, una sorta di potere intenso, o forse quell'assoluta sicurezza che avrebbe anche potuto essere impressa nelle sue stesse ossa. Era ben più che semplice arroganza. Più di un viso abbronzato, bei denti e automobili di lusso. Era difficile distogliere lo sguardo da lui, come se stesse calamitando su di sé tutta la luce del locale.
Indossava un paio di pantaloni neri e degli stivali che dovevano costare più di un SUV, abbinati a uno di quei costosi piumini che trasudava l'eleganza tipica dell'alta società e virilità al tempo stesso. Era alto, e non solo perché lei era in ginocchio. Aveva spalle ampie e il fisico slanciato e atletico che suggeriva molte ore trascorse ad allenarsi in palestra, pensiero che le fece annodare lo stomaco ancora di più.
Ma era il suo viso il problema più grande.
Non era banalmente bello, così come i tipi ordinari che si vedevano a Deanville in quel periodo dell'anno nelle loro tute da sci. Non quell'uomo. Il suo volto era estremamente virile. Troppo mascolino. Aveva una bocca severa, dura e priva di sorriso che, travolgendola, le provocò un'ondata di calore lenta e insistente. Il suo sguardo era del colore della pioggia battente e astuto, anche. Prepotente e spietato, stava provocando una tempesta elettrica tutt'intorno a lei.
Eppure continuava a restarsene lì scrutandola con quei suoi occhi grigi, aspettandosi forse che chiunque lo stesse osservando ricambiasse il suo sguardo con l'adorazione.
«Chi diavolo siete?» domandò lei al gruppo senza preoccuparsi delle possibili conseguenze, dell'eventualità di ritrovarsi senza lavoro e indietro con le rate dell'affitto della sua piccola stanza logora. Non si sarebbe angosciata per ciò che sarebbe potuto accadere finché quel fuoco che aveva dentro di sé avesse continuato ad ardere.
«Perfetta, direi» affermò secco l'intruso. «Rude e sgarbata al tempo stesso. I miei antenati si staranno rivoltando nella tomba in questo momento.» La voce di lui era ricca e profondamente colta, il suo inglese vivacizzato da una punta di qualcos'altro. Maggy detestò la parte di sé che desiderava sapere che cosa quel qualcos'altro potesse essere. Che aveva bisogno di saperlo, addirittura. Ma l'uomo si limitava a osservarla, un vago cipiglio sposava la perfezione delle sue sopracciglia scure e arroganti. «Perché sei bionda?»
Lei sbatté le palpebre, stupita. Poi, cosa ben peggiore, si portò una mano ai capelli che aveva tinto di biondo tre giorni prima, poiché si era convinta che quel colore l'avrebbe fatta sembrare molto più amichevole del suo ramato naturale.
E si irrigidì nel momento in cui quell'allusione si insidiò dentro di lei.
«Perché mi stai fissando?» gli chiese. «Sei per caso uno stalker?»
Vi fu una sorta di leggero brusio proveniente dagli scagnozzi alle spalle di Maggy, ma l'uomo che le stava davanti mosse a malapena l'indice.
«Non sai chi sono.»
Non era una domanda. Più che altro, sembrava una accusa.
«Ti rendi conto» cominciò Maggy, mentre si sedeva sui talloni e si domandava in che modo avrebbe potuto usare spugna e secchio come armi improvvisate qualora la situazione fosse peggiorata, «che quando una persona fa una simile domanda sta automaticamente dichiarando di essere un completo imbecille?»
Lui aggrottò un sopracciglio come se non avesse mai sentito quella parola. Ma non vi era dubbio alcuno, dal modo in cui il suo sguardo luccicava, che avesse colto l'offesa.
Maggy ebbe la strana impressione che non dovesse essere abituato agli insulti e questo le fece pensare che forse doveva essere ben più intoccabile di quanto avesse immaginato. Ma non riusciva a rendersi conto del perché averlo notato le avesse fatto mancare il respiro.
«Chiedo scusa.» La voce dello sconosciuto era cupa e la scosse peggiorando quella sensazione. «Un imbecille? È così che mi hai chiamato?»
Lei sollevò il mento, assumendo quello che un battaglione di consulenti ed ex datori di lavoro avevano definito un atteggiamento aggressivo, e fingendo di non notare l'enfasi che lui aveva messo sull'ultima parola.
«Il locale è chiuso» affermò con tono piatto. «Raduna la tua banda di teppisti e vattene. Magari prendendo in considerazione che non è necessario andarsene in giro con un gruppo di uomini armati e con potenziali problemi di steroidi quando si è alla ricerca di una tazza di caffè.»
L'uomo non fece nulla per un momento, ma abbassò lo sguardo su di lei, osservandola in un modo che la travolse e la fece rabbrividire.
«Dimmi un po'» cominciò lui con la stessa voce autoritaria, «hai una piccola voglia dietro l'orecchio sinistro? A forma di cuore irregolare?»
Maggy provò una sensazione di freddo tanto intensa quanto il fiotto di aria invernale che aveva fatto irruzione nella caffetteria quando lui era entrato.
«No» rispose. Anche se in realtà ce l'aveva. E dovette ricorrere a tutto il proprio autocontrollo per trattenersi dal posarvi le dita.
L'uomo si limitava a studiarla, la linea della bocca sempre rigida. «Stai mentendo.»
«E tu mi stai facendo accapponare la pelle» lo rimbeccò alzandosi in piedi, consapevole della reazione degli sciocchi che la circondavano e ancora una volta dell'uomo che, al centro, li bloccò con un semplice cenno del dito. «Che vuol dire tutto questo? Che cosa vuoi? Di certo non un latte di soia.»
«Il tuo nome è Magdalena, per caso?»
A quel punto Maggy si rese conto che il suo interlocutore conosceva già la risposta, e la cosa la colpì provocandole una strana sensazione che dalla pancia si irradiò in tutto il suo corpo fino alla punta dei piedi.
«No» mentì di nuovo. Non riusciva a comprendere il motivo di quel senso di panico. «Mi chiamo Maggy. E non è il diminutivo di nulla.» A quel punto si sfilò il cellulare dalla tasca posteriore dei jeans e lo tenne stretto nel palmo della mano. «E se non te ne vai subito, chiamerò la polizia.»
L'uomo non sorrise. Pareva che quella bocca non lo avesse mai fatto. Eppure, vi era un luccichio d'argento in quegli occhi duri che le tolse il respiro.
«Mi spiace, ma temo che sarebbe piuttosto frustrante per te» affermò lui come se quell'eventualità non lo preoccupasse affatto. «Se desideri chiamare le autorità locali, non ti fermerò. Ma sarebbe un atto di negligenza da parte mia se non ti avvisassi che, così facendo, non raggiungeresti il risultato che ti aspetti.»
Maggy non riusciva a capire perché, ma gli credeva. Aveva qualcosa a che fare con il modo singolare in cui quell'uomo se ne stava lì, quasi fosse abituato a essere scambiato per una statua di granito ben vestita.
«E allora che ne diresti di andartene e basta?» gli chiese, consapevole del fatto che le si erano intorpidite le labbra. Al tempo stesso quella macchiolina che aveva dietro l'orecchio sin dalla nascita era diventata bollente. Però non osò toccarla. Non davanti a lui. «Voglio che tutti voi ve ne andiate.»
Ma quell'uomo non la stava ascoltando. Maggy si era alzata in piedi e lui appariva piuttosto intrigato dalla cosa. Lasciò che quegli scaltri occhi grigi vagassero sul suo corpo, e la parte peggiore fu che lei provò il bisogno infantile di coprirsi con le mani. Ma che le importava se quello strano tizio la fissava? In quel momento lei non indossava i jeans e la maglietta attillati che la vestivano quasi come una seconda pelle.
Malgrado ciò, in qualche modo ebbe l'impressione che non stesse guardando il suo fondoschiena come avevano fatto tutti gli altri.
«È sbalorditivo» affermò l'uomo, la voce più bassa adesso e, in qualche modo, roca. «Potresti essere la sua gemella, tranne che per quei capelli spudorati.»
«Io non ho una gemella» sbottò Maggy, e si rese conto che nella sua stessa voce c'era troppo, proprio come tutte le altre volte in cui le era stato detto che somigliava a qualcuno, e quando era stata una bambina si era illusa ogni volta. Ma ormai era troppo cresciuta e capace di riconoscere quei momenti per quello che erano. «Io non ho nessuno.