Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Eccitante riscatto: Harmony Privé
Eccitante riscatto: Harmony Privé
Eccitante riscatto: Harmony Privé
E-book223 pagine3 ore

Eccitante riscatto: Harmony Privé

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Sono qui per rapirti!

Era l'invito che lei stava aspettando da tutta la vita
Ajax King è disposto a tutto pur di distruggere la criminalità organizzata di Sydney, anche a rapire la deliziosa e innocente figlia del suo acerrimo nemico. Ma Imogen White non è il tipo di donna impaurita e remissiva che si era aspettato; anzi, sembra avere intenzione di sfruttare al meglio quei giorni di prigionia per godere delle attenzioni del cattivo ragazzo più sexy della città. Per Ajax il fine giustifica sempre i mezzi, così l'iniziazione sessuale della dolce Imogen può avere inizio. Ma, quando quel gioco sarà finito, sarà lei ad avere rapito il suo cuore per sempre...
LinguaItaliano
Data di uscita20 dic 2019
ISBN9788830508743
Eccitante riscatto: Harmony Privé

Leggi altro di Rachael Thomas

Autori correlati

Correlato a Eccitante riscatto

Ebook correlati

Narrativa romantica per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Eccitante riscatto

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Eccitante riscatto - Rachael Thomas

    successivo.

    1

    Ajax

    Avevo dieci anni quando sospettai per la prima volta che mio padre fosse un criminale.

    Quando ne avevo tredici fu lui a darmene la conferma.

    E fu allora che decisi di distruggerlo. Ma se volevo distruggere un uomo come Augustus King dovevo farlo con criterio. Non potevo lasciare niente al caso. Un impero criminale era come Idra, il mostro le cui teste, se tagliate, ricrescevano.

    Impiegai circa vent'anni per eliminare ogni singola testa. Ma ce la feci. E mandai quel bastardo in prigione una volta per tutte.

    Sopravvivere a decenni trascorsi nei panni del figlio maggiore del più grande signore del crimine di Sydney però non mi lasciò indenne, e le mie cicatrici erano estese e profonde.

    Ma andava bene così. Le cicatrici mi ricordavano il mio ambizioso disegno, che prevedeva di proteggere i miei fratelli e la mia città. Di restare vigile e tenere gli occhi aperti per individuare il pericolo. Di stare sempre all'erta per affrontare eventuali minacce.

    Minacce come quella rappresentata da quel bastardo di William White, nemico di mio padre e ultima testa di Idra.

    Mio padre era ormai in prigione da cinque anni e io me la cavavo alla grande a capo di una delle società di promozione immobiliare in più rapida crescita di Sydney ma, per quanto lo volessi, non potevo semplicemente tagliare quella testa come mi sarebbe piaciuto. Non se volevo evitare io stesso la prigione.

    No, dovevo usare altri metodi.

    Mi lasciai andare contro la parete della sala da ballo di uno dei migliori alberghi di Sydney, osservando la scintillante folla di invitati riunitasi per festeggiare la nascita di una nuova fondazione benefica.

    Non ero stato invitato – nessuno avrebbe invitato un King a un elegante ballo di beneficenza come quello – ma mi ero presentato comunque e nessuno aveva avuto il coraggio di mandarmi via.

    Per quanto io e i miei fratelli cercassimo di far dimenticare il passato dei King, quel passato a volte tornava utile. E non temevo di usarlo, soprattutto quando volevo far sapere al fior fiore della società di Sydney che i fratelli King erano promettenti uomini di successo e che nessuno poteva più ignorarci.

    Ma quello non era l'unico motivo per cui mi trovavo là.

    Il secondo motivo era seduto dall'altra parte della sala, a un tavolo circondato da scagnozzi in abito da sera, che cercavano di fare di tutto per non sembrare ciò che in realtà erano.

    La signorina Imogen White, figlia di William White, era l'ereditiera più protetta della città.

    La pollastra era come Raperonzolo nella torre – nessuno poteva entrare. Sia in senso figurato sia letterale. Era il fiore all'occhiello del padre, che si assicurava che la sua principessa restasse pura e casta.

    Sfortunatamente per White, stavo per assaltare il grazioso castello della figlia e infangare quella sua cazzo di immagine.

    Dopo il crollo dell'impero di mio padre, White era riuscito a tenersi lontano dalle grinfie della legge e da allora aspettava nell'ombra. Senza attirare l'attenzione, cercava di ridare silenziosamente vita alla disgustosa eredità di Augustus King.

    Un'eredità che intendevo distruggere una volta per tutte.

    Quel figlio di puttana stava per affondare e per dargli il colpo di grazia avrei usato sua figlia.

    Inclinai la testa, osservandola; era seduta al tavolo da sola, fatta eccezione per i suoi scagnozzi.

    Poco più di un metro e mezzo, lunghi capelli biondi color del grano. Grandi occhi verdi che guardavano il resto della sala e la gente che l'affollava come se si fosse trovata in una gabbia piena di tigri e lei fosse una capretta legata a un palo.

    M'incuriosiva il fatto che il padre le avesse trovato un invito e non fosse lì con lei. Forse lei stava davvero interpretando la parte di una capretta legata a un palo.

    Un'esca. Per attirare qualcuno.

    Forse me? No, improbabile. Per quanto ne sapeva White, io ero troppo impegnato a gestire la King Enterprises, il mio impero immobiliare, per preoccuparmi di lui – un'illusione che avevo lavorato duramente per creare, e nascondere così il mio vero scopo.

    Chiunque fosse l'esca, Imogen era molto graziosa in un tubino bianco. Una bambolina perfetta. Pallida, virginale e pura. Anche se non totalmente innocente, con quelle labbra piene che sarebbero state perfette chiuse intorno all'uccello di un uomo.

    Sì, era deliziosa, ma non era altro che una merce di scambio.

    L'arma del padre che stavo per rivoltare contro di lui, usandola per assicurarmi che qualunque cosa lui stesse macchinando nell'ombra, qualsiasi piano stesse elaborando, si fermasse immediatamente, e lui portasse il suo culo lontano da Sydney.

    Solo allora avrei liberato sua figlia.

    E se White non si fosse comportato come mi aspettavo? Mi sarei preso quella verginità così ben protetta e l'avrei fatta mia. Perché se c'era una cosa che sapevo di William White, era che si sarebbe tagliato la gola piuttosto che permettere a un King di toccare la figlia.

    Soprattutto a me. Per quanto lo riguardava, io ero ancora rozzo e brutale, non molto diverso dall'uomo violento che mi aveva procreato.

    Non avrebbe voluto che sua figlia si avvicinasse mai a me.

    Il piano non era così semplice, ma avevo cercato un modo legale per distruggere quel bastardo senza tuttavia trovarne uno che potessi usare.

    Non mi restava che la figlia. Era lei il piano per proteggere tutto quello che avevo costruito.

    Dieci anni fa avrei potuto dirigermi verso di lei e portarmela via su una spalla senza che nessuno osasse fermarmi. Persino la polizia sarebbe rimasta alla larga – nessuno voleva avere a che fare con un King.

    Ma non era più quel tempo. E sebbene non avessi mai preso in considerazione di usare il genere di strategie utilizzate da mio padre – dopotutto, io ero un uomo diverso – la posta in gioco era troppo alta per rischiare un fallimento, e ciò significava che il fine giustificava i mezzi.

    Ovvero, rapire la figlia di William White da una sala da ballo stipata di gente.

    Oh, e naturalmente non venire preso.

    Distolsi lo sguardo dalla Principessa dagli occhioni spaventati e guardai verso il bar all'interno della sala. Ero certo ci fossero Leon, il più giovane dei miei fratelli, e sua moglie Vita. Sapevano attirare molta attenzione, motivo per cui avevo chiesto loro di venire al ballo con me.

    Leon si sarebbe incazzato se avesse saputo dei miei piani, soprattutto in considerazione del suo passato, ma ciò che non sapeva non avrebbe potuto ferirlo. Quella del rapimento era una mia idea e se tutto fosse andato storto, la colpa sarebbe ricaduta solo su di me.

    L'unica persona che avrebbe sofferto era quel bastardo di William White.

    Cambiai posizione contro il muro, lo sguardo di nuovo su Imogen.

    Era seduta dritta e immobile, le mani allacciate in grembo, la postura rigida, se non per un piede calzato di raso bianco che si muoveva a ritmo della musica. Un piede che a un tratto si fermò di colpo, mentre lei abbassava lo sguardo e un improvviso rossore le coloriva le guance pallide. Come se si fosse improvvisamente accorta di quello che stava facendo e si fosse bloccata. Come se tamburellare il piede al ritmo della musica fosse un gesto sconveniente.

    Un altro uomo si sarebbe dispiaciuto per lei, seduta là da sola senza nemmeno potersi godere la musica. Ma io no. Non potevo permettermelo. Lei era solo uno strumento da usare. Nient'altro.

    Sul tavolo davanti a lei era posato un bicchiere d'acqua ghiacciata che un cameriere premuroso, pagato da me, teneva sempre pieno. Ben presto, considerate le volte che aveva svuotato il bicchiere, lei avrebbe dovuto andare in bagno e a quel punto...

    Con un tempismo perfetto, lei guardò le guardie del corpo e si alzò, indicando l'uscita verso i bagni. Uno degli uomini annuì e con un cenno del capo richiamò l'attenzione del compagno e infine entrambi si mossero dietro di lei mentre si recava verso l'uscita.

    Bene.

    Affrontare cinque di loro sarebbe stato complicato, ma due? Un gioco da ragazzi.

    Mi allontanai dal muro e scivolai fuori dalla sala attraverso un'uscita laterale che conduceva nello stesso corridoio dove erano situati i bagni, raggiungendo la toilette delle signore in tempo per vederla svanire al suo interno. Le due guardie si posizionarono all'esterno.

    Estrassi il cappellino che tenevo nella tasca posteriore dei pantaloni e lo indossai, tirandolo giù per nascondere il viso, quindi avanzai per atterrare i due scagnozzi.

    Li misi fuori combattimento il più rapidamente e silenziosamente possibile e trascinai i corpi svenuti nel bagno vuoto degli uomini, chiudendo la porta dietro di me e rompendo la maniglia così che non potessero uscire.

    Poi raggiunsi il bagno delle donne ed entrai.

    Fortunatamente era vuoto, se non per la principessina di White, in piedi davanti al lavandino di fronte alla porta. Si stava lavando le mani, e teneva la testa abbassata.

    Chiusi la porta dietro di me senza far rumore e per prudenza girai la chiave, quindi mi lasciai andare contro di essa e la guardai, aspettando che si accorgesse di me.

    Trascorse più di un minuto.

    Stava canticchiando una melodia, un allegro motivetto, ed era completamente assente. E fu solo dopo essersi asciugata le mani che, avvicinatasi allo specchio per guardarsi, incontrò il mio sguardo riflesso.

    Smise di cantare, gli occhi verdi che si spalancavano, scioccati.

    «Non urlare» ordinai in tono pacato. «Non intendo farti del male. Ma potrei cambiare idea se provassi a chiamare aiuto. Sono stato chiaro?»

    Gli occhi si sgranarono ancora di più, la morbida bocca si aprì in una rosea O. Ma lei si affrettò ad annuire, fissandomi nello specchio come se fossi stato il diavolo in persona.

    Ricambiai lo sguardo.

    Aveva l'incarnato pallido, le ciglia dalle punte dorate. Possedeva una bellezza convenzionale che non risultava insulsa grazie a quella bocca carnosa e al piccolo neo subito sopra il labbro superiore.

    C'era un'energia in lei, un'elettricità che mi fece pensare a un filo scoperto pronto a sprizzare scintille.

    Da qualche parte dentro di me, si accese un inatteso interesse.

    Come sarebbe stato posare le mani su di lei? Sarei stato colpito da una scarica elettrica che avrebbe riportato in vita le parti di me ormai morte?

    Merda, toccarla non rientrava nel piano, indipendentemente dalla minaccia che volevo avvertisse il padre. Inoltre, le principessine pure e innocenti – che sprizzassero elettricità o meno – non erano mai state il mio tipo. A me piacevano le donne che sapevano che cosa fare con il cazzo di un uomo e non si tiravano mai indietro, e non m'interessava certo una verginella dagli occhioni verdi come quella.

    Scacciai quel pensiero. In quel momento la mia priorità era portarla fuori da quel posto senza troppo trambusto.

    «Dove sono le mie guardie del corpo?» Aveva una voce limpida, seppur venata da una tonalità roca e inaspettatamente sexy.

    «Me ne sono occupato io.» Mi allontanai dalla porta ergendomi in tutta la mia altezza, i suoi occhi che seguivano ogni mia mossa .

    Lo shock era scomparso dal viso pallido, lasciando al suo posto un'espressione che non riconobbi. «Entrambe?» Sembrava incredula, come se avessi fatto qualcosa di assurdamente difficile.

    «Sì. Sono nel bagno degli uomini con la porta chiusa.» Avanzai di un passo verso di lei. «Non verranno a salvarti, piccola.»

    Lei non si mosse. «Tu sei Ajax King.»

    «Mi conosci...» Un altro passo.

    «Ma certo. Mio padre ti odia.»

    «Il sentimento è reciproco.» Ora ero vicino, subito dietro di lei, e la guardavo nello specchio.

    Abbassò le palpebre. Poi si voltò, e mi fissò dritto negli occhi. Era molto bassa, mi arrivava appena alla spalla, e il pallore delle guance era stato sostituito da un improvviso rossore che faceva risaltare il verde brillante degli occhi. Erano splendenti. Quasi incandescenti.

    Forse fu allora che riconobbi la sua espressione, che non era né di paura, né di shock o rabbia, e nemmeno di nessuna delle altre emozioni che mi ero aspettato entrando.

    No. Quello che vedevo sul suo viso era evidente ammirazione.

    E non era certo la reazione che suscitavo solitamente. La gente o aveva paura di me o mi disprezzava. Ma non era il caso di quella virginale Principessa dagli occhi verdi. Lei mi guardava come se fossi un nuovo Messia tornato sulla terra.

    Per qualche oscuro motivo, il mio uccello apprezzò molto quella reazione.

    Cazzo. Ci mancava anche quella. Il desiderio non rientrava nel piano e nemmeno lo volevo. L'obiettivo era proteggere la città e i miei fratelli, non scopare un'innocentina dagli occhioni verdi.

    Ignorai il mio disdicevole uccello e le lanciai quell'occhiata che solitamente riservavo a chi credeva di poter mettere in discussione le mie decisioni. «Allora, ecco come stanno le cose» iniziai. «Tu dovrai...»

    «Perché sei qua?»

    Sbattei le palpebre, sorpreso per quell'interruzione. «Che cosa?»

    «Sì, che cosa ci fai qua? Nel bagno delle donne.»

    «Be', io...»

    «Lo sai che questo è il bagno delle donne, vero?»

    «Certo che so che è il...»

    «Sei qua per me?»

    Strinsi i denti. «Devi smetterla di interrompermi.»

    Una ruga apparve tra le sue sopracciglia chiare, e l'energia che lei emanava divenne a un tratto più intensa. «Scusa, non volevo. È solo che ho bisogno di saperlo.»

    Cazzo, ma che cosa stavo facendo, in piedi là dentro a farmi tormentare da quelle sue domande assurde? Porca puttana, ero là per rapirla.

    «Già» grugnii, avvicinandomi di un altro passo, sovrastandola e sperando che capisse che avrebbe dovuto essere spaventata e avrebbe dovuto smetterla di guardarmi come se fossi stato quel coglione di Capitan America. «Sono qua per te.»

    I suoi occhi si accesero di una nuova luce e il rossore delle guance divenne ancora più evidente, come se fossi stato l'uomo dei suoi sogni e le avessi chiesto di sposarmi.

    «Non esserne così contenta» affermai in tono brusco. «Non ti sto invitando a ballare. Sono qua per rapirti.»

    Quella splendida bocca si spalancò. «Rapirmi?» ripeté, attonita. Poi, prima che potessi parlare, sorrise. «Oh, mio Dio, è fantastico!»

    2

    Imogen

    «Come sarebbe a dire fantastico?» Gli azzurri occhi ipnotici di Ajax King divennero due fessure di ghiaccio e il tono della sua voce, roca e profonda, era chiaramente offeso.

    Strano. Avrei detto che sarebbe stato contento di scoprire che sarei andata con lui senza fare tante storie.

    Ma era chiaro che non era così.

    Tuttavia, non avevo certo il tempo di preoccuparmi del suo amor proprio. Non riuscivo a pensare ad altro se non al fatto che, finalmente, era giunta l'occasione che aspettavo da più di due anni.

    L'occasione per allontanarmi da quel sanguinario di mio padre.

    Il cuore mi batteva all'impazzata, l'adrenalina a mille.

    «Non c'è tempo da perdere» affermai in tono concitato, inclinando la testa per vedere oltre la sua figura massiccia e verso la porta. «Gli altri gorilla di mio padre si accorgeranno che non sono tornata e verranno a cercarmi. Perciò se vogliamo andarcene dobbiamo farlo adesso.»

    «No, cazzo, aspetta un momento...»

    Ma io non avevo nemmeno un cazzutissimo momento da perdere.

    Gli afferrai la mano e lo tirai verso la porta. O perlomeno ci provai. Ma era un'impresa impossibile se lui opponeva resistenza.

    Dannazione.

    Mi girai, la paura che cominciava a prendere il posto dell'eccitazione. «Ti prego. Se vuoi rapirmi devi farlo adesso. Forza!» Lo tirai di nuovo per la mano.

    Lui non si mosse, limitandosi a inchiodarmi con quei suoi occhi gelidi come il ghiaccio. «Vuoi davvero che ti rapisca?»

    Cosa? Ma gli sembrava quello il momento di mettersi a fare domande stupide?

    «Sarei qua a chiederti di farlo se non lo volessi?» Lo tirai per l'ennesima volta. «Forza.»

    Ma era

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1