Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Stella d'Oriente (eLit): eLit
Stella d'Oriente (eLit): eLit
Stella d'Oriente (eLit): eLit
E-book142 pagine2 ore

Stella d'Oriente (eLit): eLit

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Sons of the Desert: The Princesses 3

Gli ordini sono chiari: l'affascinante sceicco Sharif Azad al Dauleh su incarico del sultano deve ritrovare la principessa Shakira, da lungo dispersa, per riportarla a casa ora che la sua famiglia è ritornata a regnare. Anche se sotto copertura, lui la riconosce, subito ammaliato dal suo sorriso e da un fascino innato che lo legano a lei come una rete dorata. Sharif deve riportarla in patria per il bene della famiglia, del paese, ma soprattutto per il suo!
A Shakira sembra un sogno: finalmente può tornare a casa e incontrare di nuovo la sua famiglia. La sua unica paura è la travolgente attrazione che prova per il dolce e protettivo Sharif, l'unico uomo a cui non riesce a dire no.
LinguaItaliano
Data di uscita1 set 2020
ISBN9788830515369
Stella d'Oriente (eLit): eLit
Autore

Alexandra Sellers

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

Leggi altro di Alexandra Sellers

Correlato a Stella d'Oriente (eLit)

Titoli di questa serie (3)

Visualizza altri

Ebook correlati

Narrativa romantica per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Stella d'Oriente (eLit)

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Stella d'Oriente (eLit) - Alexandra Sellers

    Immagine di copertina:

    Zoonar RF / Zoonar / Getty Images Plus

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    The Fierce and Tender Sheikh

    Silhouette Desire

    © 2005 Alexandra Sellers

    Traduzione di Laura Cinque

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    © 2005 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3051-536-9

    Prologo

    Nel sogno lei aveva un nome. Il suo vero nome. Nel sogno sapeva chi era.

    Non era sola. Aveva una casa e una famiglia, la sua vera famiglia. I volti amati che aveva perso tanto tempo prima le erano stati restituiti, nel sogno. I volti che le erano appartenuti.

    Non aveva fame, nel sogno, e loro le avevano detto che non l’avrebbe provata mai più. E c’era dell’acqua, acqua pulita, con la quale poteva bere e anche lavarsi. E non dormiva nel fango sotto una tenda sporca, e nemmeno in una piccola stanza soffocante con le sbarre alle finestre. Aveva un letto grande, comodo, fresco e meraviglioso, e una stanza così grande e bella che la faceva piangere di gioia.

    Nel sogno loro dicevano - la sua famiglia - che quella camera le apparteneva di diritto e che lei non li avrebbe più perduti. La gente la chiamava principessa, come se fosse una persona di cui avere molta cura. Una persona molto importante, una persona che meritava di essere amata.

    Nel sogno era una donna.

    1

    Il deserto si stendeva sotto il sole rovente, scabro e inospitale fino alle montagne in lontananza. L’autostrada lo attraversava dritta e grigia, tra due argini, un nastro monotono che divideva il manto di sabbia con la sua traccia. Un grosso camion, con il carico ricoperto da un’incerata blu legata con delle corde, percorreva quella strada solitaria sollevando una nuvola di polvere al suo passaggio, come se dovesse correre il più in fretta possibile perché il calore dell’asfalto avrebbe potuto incendiarne le ruote.

    Dietro il camion, in una scintillante macchina color argento sul punto di raggiungerlo, lo sceicco Sharif Azad al Dauleh sollevò gli occhi dalla cartina appoggiata al volante per guardare oltre il parabrezza. Ancora non c’era segno della sua destinazione. Si vedeva solo la distesa arida della sabbia color ruggine, un’alternanza di dune e canaloni come se un gigante vi avesse camminato sopra, e punteggiata di arbusti secchi. Sterile come i deserti del Bagestan, quel paesaggio gli era tuttavia totalmente estraneo. Non riusciva a sentirsi a casa, lì...

    Sulla cartina, il posto che stava cercando era segnato a penna. Burry Hill Detention Centre era stato scarabocchiato sopra una X accanto alla linea della strada, a parecchi chilometri dalla città più vicina. Aguzzò la vista in cerca di una deviazione. Secondo le sue informazioni non era segnalato da nessun cartello, ma del resto la gente non veniva certo incoraggiata a far visita ai campi dei rifugiati.

    Sharif ripiegò la cartina e sospirò. Una missione difficile, aveva detto il sultano, ma né Ashraf, né lui stesso avevano avuto idea delle difficoltà che avrebbe dovuto affrontare. L’incarico di rintracciare un membro disperso della famiglia reale, da qualche parte, nei campi dei rifugiati sparsi nel mondo, non era solo un incubo a livello logistico, ma un buco nero emotivo. Le sofferenze che aveva visto erano qualcosa a cui nessuno poteva essere preparato.

    Il camion stava sputando un denso fumo grigio. Lo sceicco pigiò l’acceleratore e si spostò sulla corsia di sorpasso. Sul retro del veicolo, fra il velo di fumo e smog, un’esile figura avvolta in stracci grigi lo salutò vigorosamente: un ragazzino attaccato a una delle corde. Il camion aveva un clandestino.

    Un clandestino magro, affamato, agile come una scimmia, che si stava calando dalla sommità del carico con un’audacia che gli serrò lo stomaco.

    Quando si accorse che si stava preparando a saltare a terra, Sharif imprecò. Ma era matto? Voleva suicidarsi?

    Suonò ripetutamente il clacson. Il ragazzino allungò un braccio, gettò qualcosa sotto le ruote del camion, e un attimo dopo ci fu un’esplosione. Il camion sbandò un paio di volte e si fermò.

    Frenando di colpo per evitare una collisione, Sharif vide il ragazzino saltare come una gazzella impazzita sulla strada davanti alla sua macchina.

    L’espressione spaventata, lo guardò negli occhi per un attimo, terrorizzato dal muso della macchina che, pur frenando, gli veniva incontro, e si spostò di lato.

    Le gomme stridettero sull’asfalto bollente, mentre Sharif tirava il freno a mano con la sinistra girando con forza il volante con la destra. La sabbia turbinò tutta intorno e si sentì un forte odore di gomma bruciata.

    La macchina si bloccò sul bordo oltre il quale iniziava l’argine scosceso della strada. Più avanti, il camion si era fermato di traverso e, fra quello e la macchina, il ragazzino, immobile e tremante, si era circondato la testa con le braccia. Intorno a lui era sparsa a terra una serie di oggetti: barrette di cioccolato, un giocattolo, qualcosa che scintillava tristemente al sole. Un’arancia rotolava ancora senza meta sull’asfalto.

    Sharif aprì la portiera e scese a terra. Alto almeno quanto il sultano, aveva un fisico da guerriero e un’aria, come avrebbe detto qualcuno, arrogante. Aveva la mascella quadrata e il naso dritto ereditato dalla madre e una bocca che suggeriva una natura appassionata, che però solo in pochi avevano sperimentato. Gli occhi neri evidenziati dalle sopracciglia basse e ben definite denotavano un’intelligenza viva, come gli zigomi alti e la pelle liscia. Portava i capelli neri e ricci tagliati corti e pettinati all’indietro.

    Il ragazzino si mise a sedere cercando di riprendere fiato. Non sembrava ferito.

    «Piccolo pazzo!» lo apostrofò Sharif.

    «Da dove... vieni?» ansimò lui.

    I suoi capelli, schiariti dal sole e tagliati disordinatamente, gli ricadevano sul viso magro, da affamato, che aveva lineamenti delicati e regolari. La bocca piena era troppo grande per il suo viso, come del resto gli occhi. Appariva troppo giovane per l’età che dimostrava il suo sguardo, ma era una caratteristica dei bambini e dei ragazzini dei campi dei rifugiati, e Sharif immaginò che avesse quattordici anni.

    Scoppiò a ridere, «Da dove vengo io? Cosa diavolo stavi facendo? Sei fortunato a essere ancora vivo!»

    Per un attimo, il ragazzino si limitò a guardarlo, osservando il suo atteggiamento fiero, il suo bell’aspetto, la sua djellaba bianca e la sua kefia così insolite per quella zona. «È vero. Grazie» gli rispose alla fine.

    Fu una risposta così inaspettata che Sharif rise di nuovo, e questa volta di gusto. Prese dalla tasca della djellaba una scatoletta d’oro, ne tolse un piccolo sigaro nero e se lo mise tra i denti. Il ragazzino, intanto, con il respiro ancora affannato, si mise sulle ginocchia, allungò una mano per prendere una barretta di cioccolato, ma fece una smorfia improvvisa e si massaggiò un fianco.

    Sharif prese dalla tasca un accendino e, mentre lo faceva scattare, gli chiese: «Ti sei fatto male?».

    «No» mentì quello, come se ammettere una qualsiasi debolezza potesse essere pericoloso. Stringendo i denti per il dolore, si mise a raccogliere le cose sparse intorno.

    Sharif posò il piede su un anello di plastica blu proprio mentre il ragazzino stava per prenderlo. «Quanto male ti sei fatto?»

    Lui si strinse nelle spalle.

    «Quanto?» insistette Sharif.

    «Cosa te ne importa? Fingere che la cosa ti preoccupi ti fa sentire meglio? Quando te ne andrai per la tua strada con la tua bella macchina, proverai un senso di calore sapendo che mi hai chiesto come mi sentivo?»

    Il suo cinismo brutale nasceva da anni di sofferenza, ed era poco più che un bambino. Che in un essere umano potesse albergare una simile assenza di fiducia sembrò a Sharif una cosa tragica. All’improvviso, desiderò che quel ragazzino maltrattato sapesse che nel mondo esisteva anche qualcosa di buono e, contemporaneamente, derise se stesso per quel sentimento. Nelle ultime settimane non aveva visto altro che scene infernali, e aveva cercato di tenere la testa fuori dall’acqua. Perché di fronte a quella creatura che non credeva a nessuno cambiava atteggiamento? No, non voleva lasciarsi coinvolgere. Aveva un incarico da portare a termine. Fatti coinvolgere personalmente da un essere umano che soffre e non ci sarà una fine. Come un chirurgo, doveva mantenere una distanza fredda e professionale.

    «Non fare lo stupido. Sali in macchina. Ti porto da un medico.»

    Il ragazzino fece un passo indietro. «No, grazie. Ti spiace sollevare il piede? Ho bisogno di quell’affare.» Cercò di tirare l’anello di plastica da sotto la scarpa di Sharif senza riuscirci.

    Avevano dimenticato entrambi il camionista. Dopo aver tolto il mezzo dalla strada, si era messo a correre furibondo verso di loro.

    «Piccola feccia disgustosa!» gridò in inglese al ragazzino. «A cosa credi di giocare? Sei uno di quei maledetti rifugiati, vero?» Lo afferrò per un polso, lo tirò in piedi facendo cadere di nuovo per terra tutte le sue cose, e quello gridò.

    «Rifugiato?» ripeté Sharif Azad al Dauleh.

    Ci fu un momento di silenzio, mentre il camionista inquadrava la figura prestante del suo interlocutore, la sua postura fiera e il suo abbigliamento, tipico di un deserto molto lontano.

    «C’è Burry Hill laggiù» gli disse poi, indicando una recinzione di filo spinato appena visibile in lontananza, mentre il ragazzino cercava di liberarsi dalla sua stretta. «Non è sicuro come gli altri. La gente da lì riesce a uscire, ma siccome non ha nessun posto dove andare, poi deve tornare indietro. Ho sentito di questa loro abitudine. Gettano un fuoco artificiale tra le tue ruote e, quando scoppia e tu rallenti, saltano a terra e scappano nel deserto prima che tu possa acchiapparli. Però questa volta non ce l’hai fatta, eh?» disse al ragazzino stringendogli ancora di più il polso. «Questa volta ti è andata male!»

    «Lasciami andare, brutto imbalsamatore di cammelli!» gridò lui passando a una lingua che sembrava un misto di linguaggi, del quale il bagestano e il parvani formavano la struttura principale, e poi passò a una serie di insulti molto coloriti.

    Sharif, accendendo il sigaro, sorrise per la ricchezza delle invettive del ragazzo, che informava il camionista di essere un uomo incapace di riconoscere il sedere di una capra da quello di una gallina e, quando sollevò lo sguardo, vide che aveva il viso contorto dall’odio.

    L’uomo cercò di prenderlo a calci, ma, nonostante si fosse fatto male a una gamba in maniera evidente, il ragazzino si dimostrò davvero molto agile.

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1