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La rosa Al Javadi: Harmony Destiny
La rosa Al Javadi: Harmony Destiny
La rosa Al Javadi: Harmony Destiny
E-book142 pagine1 ora

La rosa Al Javadi: Harmony Destiny

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Info su questo ebook

Mariel e Haroun al Jawadi si incontrano per caso, a Parigi, nell'ufficio di un investigatore. Improvvisamente si trovano costretti a fuggire insieme nonostante i motivi che li hanno condotti lì siano diversi. Non si fidano uno dell'altro ma l'attrazione che li coglie è irrefrenabile. Decidono di tenersi d'occhio e di viaggiare insieme attraverso la Francia.

LinguaItaliano
Data di uscita10 mar 2015
ISBN9788858932704
La rosa Al Javadi: Harmony Destiny
Autore

Alexandra Sellers

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    La rosa Al Javadi - Alexandra Sellers

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Undercover Sultan

    Silhouette Desire

    © 2001 Alexandra Sellers

    Traduzione di Laura Cinque

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2002 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5893-270-4

    www.harlequinmondadori.it

    Questo ebook contiene materiale protetto da copyright e non può essere copiato, riprodotto, trasferito, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro modo ad eccezione di quanto è stato specificamente autorizzato dall’editore, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esplicitamente previsto dalla legge applicabile. Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata di questo testo così come l’alterazione delle informazioni elettroniche sul regime dei diritti costituisce una violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla Legge 633/1941 e successive modifiche.

    Questo ebook non potrà in alcun modo essere oggetto di scambio, commercio, prestito, rivendita, acquisto rateale o altrimenti diffuso senza il preventivo consenso scritto dell’editore. In caso di consenso, tale ebook non potrà avere alcuna forma diversa da quella in cui l’opera è stata pubblicata e le condizioni incluse alla presente dovranno essere imposte anche al fruitore successivo.

    Prologo

    «Hanno preso la Rosa.»

    La linea rimase silenziosa, mentre Ash digeriva la notizia. «Come hanno fatto?» chiese dopo qualche secondo.

    «Sono arrivati prima di me» rispose Haroun. «Due uomini. Uno dei due ha detto: Sono qui per prendere la Rosa. Poiché lei non aveva ragione di dubitarne, lo ha accompagnato nel soggiorno. Sembra che i due fossero perfettamente nel ruolo.»

    «Che cosa vuol dire?»

    «Che erano bruni e di carnagione scura. Quando lei ha indicato all’uomo il tavolino sul quale Rosalind le aveva detto di averla messa, lui non ha avuto la minima esitazione. Evidentemente sapeva che cosa doveva prendere.»

    Ash imprecò. «Te li ha descritti? Ha notato qualche particolare, a parte il fatto che sembravano in tutto e per tutto degli arabi?»

    «Uno dei due aveva una lunga cicatrice sulla guancia destra che gli alterava il sopracciglio. Ti dice qualcosa?»

    «La metà dei veterani della guerra del Kaljuk ha qualche cicatrice sulla faccia. E a te dice qualcosa?»

    «Vagamente, ma mi verrà in mente presto.»

    «Fammelo sapere, non appena succede.»

    «I tuoi hacker hanno trovato qualcosa nei computer di quel dannato Verdun?»

    Ash fece una specie di grugnito. «Non sono riusciti a entrare.»

    Haroun rifletté per qualche secondo. «Dobbiamo assolutamente scoprire come hanno fatto a sapere della Rosa. È meglio che vada immediatamente a Parigi per vedere che cosa riesco a fare con un intervento diretto.»

    «In Francia è in corso uno sciopero aereo.»

    «Avrei preso comunque il treno. È più veloce.»

    «L’irruenza è la cosa che più mi preoccupa in te, Harry. E comunque sei troppo testardo, per questa operazione. Non voglio assolutamente che ti introduca negli uffici di Verdun. Un tizio con quegli sbarramenti nei computer deve avere un servizio di protezione altrettanto pazzesco anche sul piano fisico. È meglio che ti lavori uno dei suoi dipendenti, semmai.»

    Haroun aveva incominciato a scuotere la testa prima ancora che Ash finisse. «Ci vorrebbe troppo tempo. Dobbiamo intervenire in modo più diretto.»

    «Sarebbe troppo rischioso. Verdun ha Ghasib che gli soffia sul collo. Metterlo alle corde potrebbe essere pericoloso.»

    «Mi hai tenuto fuori da questa storia troppo a lungo. Dobbiamo scoprire quanto quel Verdun ne sa e dove recupera tutte le informazioni.»

    «Non al punto di rischiare la tua vita, Harry.»

    «Perché no? Nel giro di un paio di settimane la tua sarà altrettanto in pericolo» ribatté Haroun.

    «Non è una buona ragione per compromettere la tua.»

    «Senti, siamo entrambi d’accordo che dobbiamo recuperare la Rosa. O impedire almeno che gli agenti di Verdun la consegnino a Ghasib. Dato che non possiamo fidarci di nessun altro, bisogna che ci pensi io.»

    Ash esitò, e Haroun riprese: «Dopotutto è colpa mia se abbiamo perduto la Rosa. Se fossi arrivato un’ora prima, adesso sarebbe nelle mie mani, non in quelle di quei due scagnozzi. Non puoi fermarmi, Ash, mi dispiace. È una questione di orgoglio. Mi avevi chiesto di portarti la Rosa e lo farò».

    Haroun riattaccò mentre Ash stava ancora imprecando.

    1

    La giovane donna, piccola ma ben fatta, le labbra tinte di un rosso carico, i folti capelli rossi trattenuti su un lato da un pettinino ornato di lustrini, una microgonna di pelle nera, salì in fretta i gradini dell’albergo ed entrò nella luce morbida del foyer.

    Gli stivali neri con il tacco a spillo che le arrivavano sotto il ginocchio, lo stomaco nudo tra la microgonna e il top bianco, aveva un cerchietto d’oro all’ombelico, una farfalla tatuata subito sopra e uno zainetto nero sulle spalle.

    Il portiere sorrise, nel vederla. Molte delle ragazze che si servivano dell’albergo erano bellissime, per lo più attricette e studentesse che integravano le loro entrate con la prostituzione, ma questa, pur non essendo la più bella, aveva qualcosa di così particolare che lui sceglieva sempre il turno del venerdì notte per vederla.

    «Bonsoir, ma petite. Ça va?» le disse.

    «Bonsoir, Henry» rispose lei con un sorriso, avvicinandosi per prendere la chiave.

    Era l’unica che lui non riuscisse a collocare. Se con le altre riusciva a immaginare quale potesse essere la loro occupazione durante il giorno, quella rimaneva un mistero. Sempre la stessa camera. Sempre lo stesso cliente. Sempre il venerdì notte. Ogni venerdì notte.

    Si presentava regolarmente all’albergo ogni venerdì, con qualunque tempo. Lui le riservava sempre la stessa stanza per due ore. Le rare volte in cui non si faceva viva, si affrettava a pagargli quella camera la settimana seguente. Si era accordata con lui in quel modo per proteggere la privacy del suo cliente, gli aveva detto. Quel cliente non arrivava mai con lei, e lui, personalmente, era convinto che dovesse essere uno straniero, perché un francese non si sarebbe di certo vergognato fino a quel punto di frequentare una mademoiselle. L’amante e la figlia naturale del loro presidente, tanto per fare un esempio, non avevano forse partecipato ai suoi funerali pubblici insieme alla legittima moglie?

    Ma le stranezze degli stranieri in materia sessuale erano invece innegabili, concluse tra sé.

    Aveva detto a Emma di non avere niente in contrario al fatto che il suo cliente entrasse dal retro, anche se era inusuale. Certo, gli sarebbe piaciuto dargli un’occhiata per potersi rendere utile con la polizia in caso fosse successo qualche guaio. Dirigeva un posto di tutto rispetto, lui. Era in ottimi rapporti con i flic, ed era orgoglioso di poter affermare che non prendeva un soldo dalle ragazze. La stanza la metteva in conto ai clienti, che poi se la vedevano con loro. Era un albergatore, non un ruffiano, ma con Emma aveva invece accettato che pagasse la camera personalmente.

    Lei prese la chiave, mise i soldi sul bancone e, quando gli fece uno di quei suoi meravigliosi sorrisi, lui si disse per l’ennesima volta che era un peccato che si truccasse la bocca in modo così pesante.

    Quando poco dopo, come al solito, lei ignorò l’ascensore e si servì del grande scalone di marmo, la osservò con un sorriso sognante e, non appena la sua deliziosa figuretta scomparve oltre la curva, sospirò.

    Mariel infilò la chiave nella toppa ed entrò nel silenzio della stanza 302. Rischiarata soltanto da una piccola luce notturna, nella penombra, l’aria di sbiadita eleganza che caratterizzava l’albergo era meno evidente, ed era facile tornare indietro nel tempo. Prima della guerra era stato un luogo affidabile e ben frequentato, ma, dopo che i tedeschi lo avevano usato come quartier generale, non era più tornato ai fasti di un tempo; e anche se col passare dei decenni era andato sempre più in declino, l’arredamento di buona qualità, per quanto ormai datato, ne attestava ancora l’antica rispettabilità.

    Con un gesto ormai familiare, richiuse in fretta la porta a chiave, andò alla finestra, scostò le tende e, come l’aprì, l’aria della notte riempì la stanza con l’indefinibile profumo di Parigi.

    Dopo respirato profondamente, scavalcò il davanzale, scivolò sulla traballante scala antincendio che correva parallelamente alla parete esterna e si fermò alcuni attimi per abituare gli occhi al buio della notte. Sopra di lei, solamente le stelle rischiaravano il cielo. Al di sotto della scala, soltanto un paio di finestre illuminava un cortile.

    Ancora qualche attimo e, tenendosi rasente al muro, prese a salire. Il cortile era chiuso dalle mura di una serie di edifici che sorgevano l’uno accanto all’altro. L’albergo aveva quattro piani e, al piano superiore, curvando a destra, la scala proseguiva per una decina di metri lungo la parete dell’edificio adiacente.

    Arrivata alla fine, si voltò verso la parete dell’altro edificio, la cui entrata dava su una via perpendicolare a quella dell’albergo, spinse verso l’alto una finestra a saliscendi sollevata solo di qualche centimetro, e la scavalcò per ritrovarsi in piedi nel buio sulla tavola della tazza del camerino di una toilette.

    Pochi attimi dopo superò una fila di lavandini, aprì con circospezione una porta e, dopo aver guardato a destra e a sinistra, si avviò lungo un corridoio deserto; il passo leggero, gli occhi e le orecchie all’erta.

    Anche se quella costruzione risaliva sicuramente allo stesso periodo dell’albergo, qui l’interno e l’atmosfera erano del tutto diversi. L’edificio, restaurato in modo lussuoso, e con le pareti dello stesso grigio della moquette, aveva una serie di porte con varie targhe di ottone che indicavano il nome delle società che occupavano i vari uffici, e tutto era lindo e nuovo fiammante.

    Silenziosamente, raggiunse la porta che dava sulle scale interne, scese due piani e percorse un corridoio identico al primo, dove soltanto le targhe di ottone erano diverse. Dopo essersi tolta dalle spalle

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