Il fascino dell'Oriente: Harmony Destiny
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Alexandra Sellers
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Il fascino dell'Oriente - Alexandra Sellers
successivo.
1
Sembrava ancora inverno inoltrato, sulle montagne. Si era alzato un gran vento subito dopo pranzo, e nel giro di un'ora la temperatura era precipitata. Con i jeans e il parka che aveva indossato quella mattina, Lana Holding tremava come una foglia.
«Macché!» sbuffò, gettando il microfono della ricetrasmittente sul sedile del passeggero attraverso il finestrino del fuoristrada. Si girò in direzione di Arash che, accovacciato a terra con la gamba destra allungata di lato, avvitava i bulloni della ruota.
Si era offerta di dargli una mano, ma quando lui le aveva detto freddamente di non disturbarsi non aveva insistito. Lana era partita con l'intenzione di godersi quella breve escursione sul Koh-i-Shir nonostante la presenza di Arash e la sfortuna che continuava a perseguitarli, perciò non aveva nessuna voglia di litigare.
Sospirò, reprimendo un moto d'ansia. «Saranno parecchio indietro, rispetto a noi.»
«Forse sono ancora a Seebi-Kuchek.»
Seebi-Kuchek era il villaggio in cui avevano passato la notte, assieme ai due uomini del seguito di Arash, che erano partiti con loro da palazzo il giorno prima e viaggiavano su un secondo fuoristrada. Non che ci fossero grossi pericoli, in realtà. La loro presenza serviva più che altro ad assicurarsi che lei e Arash non restassero soli.
Il che le andava più che bene.
Nemmeno lei, infatti, aveva voglia di restare sola con quell'uomo impossibile. Ma l'impazienza di inerpicarsi sulle montagne l'aveva indotta a insistere per rimettersi in viaggio anche senza la loro scorta, quando l'auto dei due gorilla aveva avuto qualche problema al motore.
«C'è un cielo così terso, e voglio godermi il panorama» aveva detto. «Andremo piano, ci raggiungeranno per strada.»
Arash aveva acconsentito, sebbene senza troppo entusiasmo. Avevano fatto una sosta più lunga del previsto all'ora di pranzo, sperando di veder arrivare i due uomini della scorta; ma poi erano ripartiti, visto che il cielo si era riempito di nuvole. Un'ora più tardi avevano forato, perdendo così altro tempo prezioso. Dovevano sbrigarsi se speravano di raggiungere il centro abitato che sorgeva all'uscita del valico prima che facesse buio.
«Che cosa facciamo, torniamo indietro?»
«Come preferisci» rispose Arash, mentre riponeva la cassetta degli attrezzi nel portabagagli del fuoristrada. «Siamo esattamente a metà strada e, per come si sono messe le cose, dubito che riusciremo a tornare a valle prima che faccia buio.»
«Il che significa?» domandò Lana allarmata.
«Che dovremo passare la notte quassù.»
Lana chiuse gli occhi e inspirò a fondo. «Ma perché deve andare tutto così storto?» sbuffò poi sconsolata.
«Non chiederlo a me» replicò Arash, con una calma che ebbe il potere di irritarla.
«Infatti non te lo stavo chiedendo. Dicevo così per dire.»
Lui le rivolse uno sguardo di compatimento. «Allora, che si fa? Proseguiamo o torniamo indietro?»
Continuava a parlarle con un'impazienza a stento tenuta a freno, ma che tutto sommato Lana comprendeva. La viscerale antipatia che provava per Arash Durrani ibn Zahir al Khosravi, cugino e Compagno di Calice del principe Kavian, era cordialmente ricambiata.
Dovevano averlo costretto ad accompagnarla nel Barakat Centrale, e lei stessa non si capacitava ancora di aver accettato di farsi scortare dal giovane sceicco.
La verità era che Lana voleva essere tra i primi a salire su quelle spettacolari montagne percorrendo la Emerald Highway, la cui costruzione era stata possibile grazie al denaro di suo padre.
Alinor, la sua più cara amica dell'università, ora principessa del Parvan, le aveva confessato che Kavian aveva i suoi motivi per volere che fosse proprio Arash ad accompagnarla, insinuando che in quel modo lei gli avrebbe offerto un'ottima copertura per un'importante missione diplomatica.
Lana non se l'era quindi sentita di dire all'amica che la presenza di quell'uomo le avrebbe rovinato tutto il divertimento!
E ora, per colmo della sventura, rischiava addirittura di dover passare la notte con lui, in cima a quella montagna.
Si accorse che Arash aspettava ancora una risposta. «Tu conosci la strada meglio di me. Che cosa suggerisci?»
Lui alzò le spalle. «Andiamo avanti.»
Arash scalò di marcia per affrontare l'ennesima salita della strada ancora in costruzione che, a lavori ultimati, avrebbe collegato il Parvan con gli Emirati del Barakat.
Ripensò al momento in cui Kavian gli aveva chiesto di accompagnare Lana Holding in quel giro di perlustrazione sulla strada, ancora priva di segnaletica e di guardrail.
Per la prima volta in vita sua, era stato tentato di opporre un secco rifiuto al suo principe. «Perché proprio io, Kavi? Ti prego, chiedilo a qualcun altro...»
«Sei il più fidato dei miei Compagni di Calice, Arash, l'unico a cui possa chiedere un simile favore» gli aveva risposto Kavian, un tantino a disagio. Come se gli nascondesse qualcosa. «Dobbiamo talmente tanto a quella ragazza. Come posso affidare la sua incolumità a qualcun altro?»
Un dubbio gli era affiorato nella mente. «Di chi è stata l'idea di contattare me?»
«Mia. Di nessun altro.»
Arash non gli aveva creduto, ma non aveva opposto altre obiezioni. Perché era vero che Kavi, e tutto il Parvan, avevano un grosso debito nei confronti di Lana. Kavi aveva ora due motivi per ringraziare la buona stella che gli aveva permesso di frequentare la stessa università di Alinor, poi diventata sua moglie, e di Lana.
Lana, che era figlia di Jonathan Holding, facoltoso magnate dell'industria americana, si era innamorata del Parvan e aveva convinto suo padre a sovvenzionare la ricostruzione del minuscolo regno all'indomani di una sanguinosa guerra con i Kaljuk che lo aveva messo in ginocchio.
Era comprensibile, quindi, che Kavian si rivolgesse all'amico più caro e più fidato, per affidargli una simile missione.
Nessuno aveva costretto Arash ad accettarla. Appartenendo lui stesso a una famiglia di nobile lignaggio, non aveva giurato obbedienza al principe, ma tra loro c'era una bella amicizia, basata sulla lealtà e sulla stima reciproca. Perciò la richiesta di Kavi era per lui anche più vincolante di un ordine.
Eppure mai come quella volta avrebbe voluto rifiutarsi di accontentarlo. Mai come in quella particolare missione.
«E se cominciasse a nevicare?» Lana cercava di mantenere la calma, ma sentiva la propria voce venata dall'ansia.
Arash le scoccò una breve occhiata, senza rispondere.
«Troveremo almeno un rifugio, da queste parti?» incalzò lei.
«Tu vedi qualcosa?»
Non molto, perché c'era foschia. Certo, se fosse scoppiata una bufera, avrebbero dovuto ripararsi da qualche parte. Ma quella regione, la più desolata del Parvan, era ancora tappezzata di grossi cartelli che invitavano i passanti a procedere con la massima cautela. Negli ultimi giorni di guerra, prima di battere in ritirata, i Kaljuk avevano disseminato centinaia di mine antiuomo sulle alture e nella vallata.
C'erano squadre di artificieri al lavoro in tutto il paese, per disinnescarle e rimuoverle. Lana lo sapeva bene, perché questo era il primo progetto che aveva finanziato nel Parvan, forse quello che più le stava a cuore.
Sapeva anche che quelle impervie zone di montagna, poco trafficate, sarebbero state le ultime a essere perlustrate e ripulite. Era logico che fossero risanate per prime le vallate, i centri abitati, le fattorie e le strade che collegavano i vari insediamenti delle tribù nomadi. Quindi anche ammesso che avessero visto una grotta o un anfratto roccioso in cui ripararsi dalla tormenta, non potevano uscire dall'auto e correre a rifugiarvisi senza rischiare di saltare per aria.
«Mi sa che se si mette a nevicare resteremo bloccati qui in macchina» rifletté ad alta voce.
Arash non disse nulla. Evidentemente aveva tratto anche lui la stessa conclusione.
Lana cominciò davvero a spaventarsi. La prospettiva di dover passare tutta una notte in macchina con un uomo che non si degnava di rivolgerle nemmeno la parola, se non era assolutamente indispensabile, le appariva terrificante.
Tornò a guardare le nuvole. E le parvero ancora più minacciose. «Nevicherà, secondo te, o scenderà solo qualche fiocco?»
Era una domanda idiota, e Lana lo sapeva; ma l'occhiata che le scoccò Arash la fece sentire un essere incapace di elaborare il più semplice dei ragionamenti.
Be', e che bisogno c'era di guardarla in quel modo? Lei non era mai stata da quelle parti, mentre Arash era nato lì, quindi perché non avrebbe dovuto chiedere all'esperto?
Ma tanto era inutile polemizzare. Non riuscivano ad aprire bocca senza stuzzicarsi a vicenda, loro due. Non si sopportavano, punto e basta. Sarebbero stati entrambi felici di salutarsi e di non rivedersi mai più.
Arash abitava nel Parvan e non intendeva trasferirsi altrove. Quanto a Lana, era in visita da Alinor e aveva già deciso di accettare l'ospitalità dell'amica finché questa non avesse dato alla luce il bambino che attendeva.
Inoltre, si era innamorata perdutamente di quel paese. Non aveva mai conosciuto gente così generosa, ospitale, coraggiosa e forte come i cittadini di quel microscopico e sfortunato staterello e laggiù, grazie anche al denaro di suo padre, lei aveva trovato lo scopo della sua vita.
«Sembra quasi che tu abbia deciso di adottarlo, questo Parvan» era sbottato suo padre, all'ennesima richiesta di Lana. In un momento di debolezza, Jonathan Holding si era lasciato convincere dalla figlia a versare di tasca propria una somma equivalente ai fondi che lei aveva racimolato, a favore di quella nobile causa. «Abbiamo già ricostruito una mezza dozzina di piccoli villaggi, rimesso in piedi due scuole, scavato pozzi e riparato strade. Per non parlare poi della Emerald Highway, o come diavolo si chiama, che mi sta costando un patrimonio...»
«E dai, papà, in quale altro modo vorresti spenderli tutti i soldi che hai? Per diventare più ricco e più potente? A quel punto non saresti così simpatico, diventeresti un mostro e ti odierebbero tutti» aveva ribattuto Lana, con un sorriso disarmante.
«Se volessi diventare più ricco e più potente non avrei speso una fortuna per aprire quel museo.»
Il museo era una sua creatura, e davvero Jonathan ci stava investendo una cifra ragguardevole. Ma quasi sempre finiva per dare la precedenza alle richieste della figlia, e spesso i loro interessi coincidevano, perché molte famiglie agiate del Parvan erano costrette a liquidare favolosi tesori per finanziare la ricostruzione delle loro case, andate distrutte durante la guerra.
Kavi, Alinor e tutti quanti avevano beneficiato della generosità degli Holding, erano sinceramente grati a padre e figlia.
Tutti tranne Arash.
Come sceicco e capotribù, responsabile di una intera vallata piena di fattorie e di nuclei abitati, Arash non aveva interferito quando il suo popolo aveva ricevuto una generosa fetta di sussidi dagli Holding. Ma per sé e per la sua famiglia,