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Una notte col principe: Harmony Collezione
Una notte col principe: Harmony Collezione
Una notte col principe: Harmony Collezione
E-book163 pagine3 ore

Una notte col principe: Harmony Collezione

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Info su questo ebook

Quando un gesto vale più di mille parole...

Mina Hart è riuscita a diventare un'apprezzata attrice di teatro nonostante il destino abbia provato in ogni modo a metterle i bastoni fra le ruote, ma è una notte trascorsa con un affascinante sconosciuto a regalarle un'indesiderata notorietà internazionale. Finita sulle prime pagine della stampa scandalistica quando si viene a sapere che l'uomo è in realtà il principe dello Storvhal e accusata di aver congegnato tutto pur di farsi un po' di pubblicità gratuita, Mina decide di scagionarsi da quell'accusa di persona. Una volta giunta nel nordico principato, però, le cose non vanno come aveva immaginato, e si ritrova imprigionata nell'eremo del principe Aksel a causa di una tempesta di neve.

LinguaItaliano
Data di uscita21 dic 2015
ISBN9788858943267
Una notte col principe: Harmony Collezione
Autore

Chantelle Shaw

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Una notte col principe - Chantelle Shaw

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    A Night in the Prince’s Bed

    Harlequin Mills & Boon Modern Romance

    © 2014 Chantelle Shaw

    Traduzione di Carla Ferrario

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2015 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5894-326-7

    www.harlequinmondadori.it

    Questo ebook contiene materiale protetto da copyright e non può essere copiato, riprodotto, trasferito, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro modo ad eccezione di quanto è stato specificamente autorizzato dall’editore, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esplicitamente previsto dalla legge applicabile. Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata di questo testo così come l’alterazione delle informazioni elettroniche sul regime dei diritti costituisce una violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla Legge 633/1941 e successive modifiche.

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    1

    Mina si era ripromessa di non cercarlo, ma uscendo dalle quinte il suo sguardo corse subito al pubblico stipato nell’area adibita ai posti in piedi, di fronte al palcoscenico, e vedendolo il cuore le balzò in gola.

    Il design unico del Globe, teatro shakespeariano di Londra, permetteva agli attori di distinguere i singoli volti degli spettatori. Il teatro era una ricostruzione di quello di epoca elisabettiana, un anfiteatro scoperto al di sopra del quale si vedeva il cielo tingersi di indaco al crepuscolo. Per cercare di ricreare l’atmosfera del teatro originale si utilizzava un’illuminazione minimale e così Mina poteva distinguere alla perfezione i lineamenti cesellati dell’uomo, gli zigomi spigolosi e la mascella velata dalla barba di un giorno.

    Non sorrideva, quasi severo, ma le sue labbra emanavano una sensualità intrigante. Mina non poteva distinguere il colore dei suoi occhi, ma le sfumature più chiare dei capelli biondi erano evidenti. Indossava lo stesso giubbotto di pelle usato le sere precedenti, ed era così sexy da non poter distogliere lo sguardo da lui.

    La incuriosiva la ragione che lo portava di nuovo a teatro. Il debutto di Joshua Hart alla regia di Romeo e Giulietta aveva raccolto recensioni entusiaste, ma perché restarsene in piedi per due ore e mezzo tre sere di fila? Forse non può permettersi un biglietto in platea.

    Tentò di non guardarlo, ma la sua testa pareva muoversi autonomamente, voltandosi sempre verso di lui. L’uomo la fissava, e l’intensità di quello sguardo le toglieva il fiato. Pubblico e attori sul palco scomparivano, facendola sentire sola di fronte a lui.

    In un angolo della sua coscienza, Mina cominciò a percepire il protrarsi del silenzio. Sentiva crescere la tensione degli attori intorno a lei, e capì che aspettavano la sua battuta. Aveva la mente vuota e restò a fissare il pubblico, assalita da un senso di nausea di fronte a tutti quegli occhi puntati su di lei.

    Il panico da palcoscenico era da sempre l’incubo di ogni attore. Sentiva la lingua incollata al palato e la fronte sudata e si portò le mani alle orecchie, per controllare che le protesi auricolari fossero al loro posto.

    «Sveglia, Mina...» sussurrò deciso uno degli attori, liberandola dal panico. Il cervello riprese a funzionare e lei pronunciò la prima battuta.

    «Che succede? Chi mi chiama?»

    Kat Nichols, che recitava la parte della nutrice, sospirò sollevata.

    «Vostra madre.»

    «Madre, eccomi. Che cosa desiderate?»

    L’attrice che interpretava la madre di Giulietta entrò in scena per pronunciare le sue battute, e la conversazione tra lei e la nutrice le concesse il tempo per ricomporsi. Aveva esitato solo un attimo, e si augurò che il pubblico non se ne fosse accorto.

    A Joshua però non può essere sfuggito. Il regista stava tra le quinte e anche senza guardarlo Mina sentiva la sua irritazione. Joshua Hart chiedeva la perfezione a tutti i membri della compagnia, ma dalla figlia la pretendeva.

    Mina aveva ignorato una delle regole d’oro di un attore, rompendo il muro immaginario che lo separava dal pubblico.

    Per un istante era uscita dal ruolo di Giulietta e aveva esposto agli occhi del pubblico Mina Hart, attrice venticinquenne parzialmente sorda.

    Difficilmente qualcuno tra il pubblico se ne sarebbe accorto. Poche persone, al di fuori della sua famiglia e degli amici stretti, sapevano che gli esiti della meningite contratta a otto anni avevano comportato un’importante perdita dell’udito.

    Le protesi auricolari, piccole e nascoste dai capelli, le permettevano di parlare al telefono e di ascoltare la musica, al punto che a volte quasi dimenticava di essersi sentita esclusa da bambina, lottando per cavarsela in un mondo diventato silenzioso da un giorno all’altro.

    Ma per quanto le protesi funzionassero bene, le abitudini erano dure a morire e lei spesso leggeva ancora le labbra. Così, più per istinto che per necessità osservò i movimenti delle labbra della madre di Giulietta.

    «Su, Giulietta, figliola mia, te la sentiresti di andare sposa?»

    La poesia di Shakespeare era musica per le orecchie di Mina, le toccava l’anima. La realtà si dissolse: lei non era più un’attrice, era Giulietta, una ragazza di quasi quattordici anni che avrebbe dovuto sposare un uomo scelto dai suoi genitori, una ragazza alla soglia della maturità femminilità che non era libera di innamorarsi.

    Ignorava che prima che la notte finisse avrebbe perso il cuore per Romeo...

    Con voce chiara, Giulietta replicò alla madre: «È un onore che non sogno».

    La rappresentazione proseguì sino alla fine senza problemi, anche se in un angolo della mente Mina continuava a sentire la presenza di quell’uomo che non le toglieva gli occhi di dosso.

    Il racconto degli amanti sfortunati narrato da Shakespeare si stava avvicinando alla sua tragica conclusione. Dopo essere rimasto in piedi per più di due ore, il principe Aksel Thoresen aveva le gambe indolenzite, ma quasi non se ne accorgeva. Teneva gli occhi inchiodati al palcoscenico. Giulietta, inginocchiata accanto al cadavere di Romeo, raccolse un pugnale e se lo conficcò nel petto.

    Un sospiro collettivo si levò dal pubblico e si diffuse come una brezza luttuosa. Tutti conoscevano già la fine di quella storia, ma quando il corpo senza vita di Giulietta si rovesciò su quello del suo amato, Aksel sentì un nodo alla gola. Tutti gli attori erano grandi professionisti, ma Mina Hart nel ruolo di Giulietta era superlativa. Il ritratto vivido che faceva di una giovane donna innamorata era a dir poco eccezionale.

    Tre giorni prima, la decisione di entrare al Globe era sopraggiunta al termine di una giornata di discussioni frustranti fra i ministri dello Storvhal e quelli britannici. Lo Storvhal, principato compreso tra Russia e Norvegia nel Circolo Polare Artico, era governato dalla dinastia reale dei Thoresen da centinaia di anni e Aksel, come monarca e capo di Stato, era la suprema autorità di governo. La sua era una posizione di privilegio e responsabilità, assunta alla morte del padre, principe Geir. Aksel non aveva mai confessato a nessuno che il ruolo che il destino gli aveva riservato gli pesava.

    Era arrivato a Londra per discutere le proposte di nuovi accordi commerciali tra Gran Bretagna e Storvhal, ma i negoziati erano stati intralciati da un’infinità di complicazioni burocratiche. Andare a teatro gli era parso un modo per rilassarsi, ma non si aspettava di restare affascinato dalla protagonista.

    Terminata la rappresentazione, mentre gli attori si inchinavano al pubblico che applaudiva, lui non riusciva ancora a staccare gli occhi da Mina. Era l’ultima sera di rappresentazione al Globe e per lui l’ultima sera a Londra. Avendo concluso l’accordo, il giorno dopo sarebbe rientrato nello Storvhal e ai suoi doveri.

    «Devi assicurare la continuazione della dinastia dei Thoresen» insisteva spesso sua nonna, la principessa Eldrun, con un tono sorprendentemente energico per una donna di novant’anni che aveva da poco superato una brutta polmonite. «Il mio più grande desiderio è vederti sposato prima di morire.»

    Fin da bambino Aksel aveva imparato che dovere e responsabilità avevano la precedenza sui sentimenti. Una volta sola aveva permesso al suo cuore di prevalere sulla mente quando, a poco più di vent’anni, si era innamorato di una bellissima modella russa. La scoperta del tradimento di Karena era solo una delle ragioni per cui rifiutava emozioni e sentimenti.

    Sua nonna costituiva l’unico punto debole nella sua armatura. La principessa Eldrun aveva aiutato il marito, principe Fredrik, a governare lo Storvhal per cinquant’anni e Aksel nutriva nei suoi confronti un profondo rispetto. Quando si era ammalata e i medici gli avevano detto di prepararsi al peggio, si era reso conto di quanto i suoi consigli fossero preziosi. Ma neppure per sua nonna era disposto a sposarsi senza sentirsi pronto, anche se sapeva già che non sarebbe stato un matrimonio d’amore. Essere principe consentiva molti privilegi, ma innamorarsi non era tra quelli, come non lo era stato peraltro per i suoi antenati vichinghi.

    Forse la consapevolezza del declino della salute di sua nonna era all’origine dell’insolita reazione emotiva alla visione di Romeo e Giulietta. In quel giorno ricorreva il dodicesimo anniversario della morte di suo padre, perito in un incidente d’elicottero a Monaco, rifugio di ricchi e famosi, dove il principe Geir trascorreva la maggior parte del suo tempo, con grande sgomento del popolo dello Storvhal. In contrapposizione a suo padre, Aksel si era dedicato agli affari di Stato e lentamente aveva riconquistato le simpatie del popolo. Ma la sua popolarità aveva un prezzo.

    Nel suo paese gli era praticamente impossibile passare inosservato. I media lo tenevano sotto controllo, pronti a documentare ogni debolezza che ricordasse la vita da playboy condotta da suo padre.

    Non avrò più la possibilità di uscire senza guardie del corpo come qui a Londra. Se andassi a teatro dovrei sedere nel palco reale... Non potrei girare tra la folla senza essere riconosciuto o lasciarmi salire le lacrime agli occhi di fronte alla storia di Romeo e Giulietta.

    Scrutò Mina Hart. Tutti gli attori indossavano costumi rinascimentali e lei portava un abito bianco che esaltava la sua figura sottile. I lunghi capelli ramati le incorniciavano l’ovale perfetto del viso, e il suo aspetto innocente eppure sensuale era incredibilmente eccitante. Per un attimo Aksel immaginò quello che sarebbe potuto capitare se fosse stato libero di corteggiarla.

    La mia vita però è governata dal dovere, adesso devo tornare alla realtà.

    Era l’ultima volta che vedeva Mina. Studiò il suo viso come per imprimersi i suoi lineamenti nella memoria e provò uno strano dolore al petto mormorando: «Addio, dolce Giulietta...».

    «Vieni a bere qualcosa?» domandò Kat Nichols seguendo Mina fuori dal teatro. «Ci troviamo tutti al Riverside Arms per festeggiare.»

    Aveva deciso di andarsene dritta a casa, ma il sorriso di Kat le fece cambiare idea. «D’accordo, ci sto, ma non voglio fare tardi. È strano pensare che non reciteremo più al Globe

    «Ma forse tra non molto saremo a Broadway!» Kat le lanciò un’occhiata di sottecchi mentre percorrevano la breve distanza tra teatro e pub. «Sanno tutti che tuo padre sta trattando per portare lo spettacolo a New York. Ti ha detto niente?»

    Mina scosse la testa. «So che credete che Joshua si confidi con me perché sono sua figlia, ma con la sottoscritta si comporta esattamente come con tutti gli altri. Ho dovuto fare la mia audizione per avere la parte di Giulietta, mio padre non mi dà nessun vantaggio.»

    Potrei anzi dire che è più esigente con me che con tutti gli altri, rifletté accorata. Joshua Hart era un ottimo attore, e tanto perfezionista quanto esigente. Non l’uomo più semplice con cui avere a che fare, specie dopo quanto successo in America quando ci sono stata per girare il mio primo film...

    Joshua l’aveva accusata di avere disonorato il nome degli Hart.

    Kat non si lasciò scoraggiare.

    «Immagina

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