Premio d'amore: Harmony Collezione
Di Jane Porter
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Jane Porter
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Anteprima del libro
Premio d'amore - Jane Porter
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Taken By the Highest Bidder
Harlequin Mills & Boon Modern Romance
© 2005 Jane Porter-Gaskins
Traduzione di Cecilia Bianchetti
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2006 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3052-071-4
1
Tanto per cambiare il marito di Samantha van Bergen non dava notizie di sé, ma purtroppo Sam sapeva benissimo dove trovarlo quando non tornava a casa per giorni e giorni. E sapeva anche che doveva aspettarsi la catastrofe.
Era una battaglia perduta, pensò, stringendosi nella cappa di velluto grigio mentre saliva di corsa le scale del Casinò di Montecarlo.
Johann era sempre stato un giocatore d’azzardo compulsivo, ma almeno una volta vinceva. Adesso passava le notti al tavolo da gioco e non faceva che perdere.
Aveva già perso tutto: i soldi, l’attico, la Ferrari... Che cosa rimaneva?, si chiese Samantha, avanzando sulla scalinata di marmo.
Nella saletta Vip Cristiano Bartolo si voltò sentendo aprire la porta. Seccato dall’interruzione, alzò la testa, ma l’irritazione svanì quando riconobbe la bellissima baronessa Samantha van Bergen.
Il titolo nobiliare sembrava sproporzionato per una timida sposina inglese.
Continuando a giocare, Cristiano osservò Samantha togliersi il mantello rivelando un abito da sera grigio.
Non sapeva perché, ma quella donna l’affascinava. L’aveva vista solo una volta, sei mesi prima, e ne era rimasto così colpito che non l’aveva mai dimenticata. Anche allora erano nella saletta privata del Casinò, e anche allora tutti gli uomini presenti si erano girati a guardarla.
Non c’era da stupirsi: la baronessa era minuta, snella e bellissima. Aveva un viso delicato incorniciato da riccioli biondi che le davano un’aria angelica, anche se i suoi occhi, leggermente a mandorla, non erano del tutto innocenti.
Montecarlo brulicava di belle donne, ma Samantha aveva qualcosa di commovente, con l’espressione seria, le sopracciglia aggrottate, una ruga di preoccupazione sulla fronte.
Mentre si avvicinava a Johann van Bergen, Cristiano pensò che Giovanna D’Arco doveva avere la stessa espressione prima della battaglia.
Johann non gli era mai piaciuto, e si era seduto al suo tavolo proprio per giocare contro di lui. Mesi addietro aveva scoperto che il barone era un pessimo giocatore, che per giunta non sapeva alzarsi e andarsene quando lo stavano dissanguando, proprio come quella sera.
Cristiano prese una manciata di fiches e le mise sul tavolo verde, aumentando la posta di duecentocinquanta sterline. Non era una cifra enorme, considerando che quella sera aveva già vinto a Johann cinque milioni di sterline.
Con gli occhi socchiusi guardò Samantha avvicinarsi al tavolo, con un lungo ricciolo biondo che le sfiorava il seno, e di colpo fu sopraffatto dall’invidia. Avrebbe voluto essere al posto del ricciolo.
Prese il bicchiere e bevve un sorso di whisky, sperando di liberarsi da quel desiderio improvviso.
Samantha si chinò di fianco al marito, con la cappa di velluto che le lasciava scoperte le spalle nude, e gli posò una mano sulla coscia.
Avrebbe dovuto toccare la sua coscia, non quella di Johann, pensò Cristiano indispettito.
I suoi occhi passarono dalle spalle di Samantha alla profonda scollatura del vestito, indugiando sul collo, sul mento deciso, sugli zigomi delicati, e infine la fissò negli occhi azzurri colmi di preoccupazione. Le labbra delicate erano strette in una linea decisa, come per scacciare via il dolore.
Non era giusto che un angelo fosse così tormentato, pensò Cristiano eccitato, e immaginò di baciarla sulla bocca per cancellarne la preoccupazione, tenendola fra le braccia, vestita solo dell’elegante collana d’oro.
Ma quella versione bionda di Giovanna D’Arco era in missione, ed era concentrata solo sul marito. Gli mormorò qualcosa all’orecchio, mentre Johann non si curò di abbassare la voce. «Vai via» borbottò brusco, «vai a casa, il tuo posto è là.» Ma lei continuò a parlargli, con il risultato di aumentare la sua collera. «Non mi serve una madre» aggiunse lui, sbattendo le carte sul tavolo. «Ne ho già avuta una, e non ho bisogno di te, non hai fatto niente per me.»
Samantha arrossì, ma non perse la dignità. Senza una parola porse la cappa di velluto all’inserviente e si sedette vicino al marito.
Cristiano continuò a studiarla per l’ora e mezza successiva. Sei mesi prima era bella, ma ora era spettacolare, e lui la voleva e l’avrebbe avuta, anche se era la moglie di un altro uomo.
Smise di giocare, accontentandosi di guardare quella donna, che era già sua. Samantha era tutto ciò che voleva: giovane, bella, sexy e non disponibile. Quella era la caratteristica che lo attirava di più.
Era bello sentirsi tentati, affascinati, era bello desiderare di nuovo una donna. Cristiano si sentiva vivo, ed era da tanto tempo che non gli accadeva più.
Johann continuava a ignorare la moglie. Stupido, pensò Cristiano con disprezzo. Come poteva sposare una donna così e ignorarla? Il mondo era pieno di belle donne, ma Samantha apparteneva a una categoria superiore.
Alla fine Johann dovette mostrare le carte.
Come previsto, aveva bluffato senza averne la capacità. Non essendo un vero giocatore, non era in grado di valutare i rischi.
Cristiano, invece, sapeva che cosa significasse vincere e perdere, e odiava perdere. Quindi non perdeva più da tanto di quel tempo che non ricordava quasi il sapore amaro della sconfitta.
Quasi, ma non del tutto, e quel lieve ma amaro retrogusto lo avvelenava ancora. Per questo rischiava e vinceva, e voleva vincere ancora. E voleva vendetta.
Seduta dietro a Johann, Sam sbirciava le sue mosse e si chiedeva se suo marito fosse nervoso quanto lei. Aveva delle carte orribili, eppure stava giocando come se avesse avuto una mano di assi.
Perché lo fai?
Con lo stomaco stretto e le braccia conserte, Sam fece un sospiro profondo, pensando alla villa che se n’era andata e al conto in banca che era vuoto.
Ormai non avevano più nulla.
Con un grido di disgusto Johann gettò sul tavolo tre sette, e Sam avvampò per la vergogna. Aveva giocato e perso definitivamente la loro casa con quei tre sette. Possibile che fosse così stupido?
«Chiudo» dichiarò Johann, passandosi una mano sul viso abbronzato. Austriaco di nascita, playboy residente a Montecarlo, curava l’abbronzatura con sedute quotidiane in piscina, in genere con un cocktail al fianco. «Non ho altro, Bartolo.»
Grazie al cielo, pensò Sam, scossa da un brivido. Adesso potevano andare a casa e parlare del futuro.
«Johann...»
«Taci!» scattò lui.
Sam arrossì di nuovo, sapendo che Bartolo non perdeva una battuta. Si era sentita i suoi occhi addosso per tutta la sera; il suo sguardo era sempre più audace, facendola sentire vulnerabile, cosa che non le piaceva per niente.
Ma in quel momento Bartolo guardò Johann con un sorriso pigro. «Per un po’ ti è andata bene.»
«Stavo per vincere» confermò Johann, indicando al cameriere di portargli da bere.
Sam strinse le mani a pugno. Basta con l’alcol, pregò in silenzio, andiamo a casa e basta.
«Ci sei andato vicino» ammise Bartolo, e Sam lo odiò quando capì che stava provocando Johann, incitandolo a continuare. Gli aveva già tolto tutto, che altro voleva?
Johann abboccò. «Un’altra mano?» propose.
Sam trattenne il respiro, tesissima. Al diavolo Bartolo e al diavolo suo marito Non poteva pensare di vincere, tanto più che era ubriaco.
«Johann!»
«Zitta!» ordinò lui senza neanche guardarla.
Sam arrossì di nuovo, ma non era disposta a permettere che il massacro continuasse. Se Bartolo era privo di morale, lei sapeva distinguere il bene dal male. «Johann, ti prego, vieni a casa con me.»
«Ti ho detto di tacere!» gridò lui.
Sam era pallida per la vergogna. Era umiliante dovere rincorrere il proprio marito, pregarlo di smetterla di giocare, ma non c’era scelta. Avrebbe fatto qualunque cosa per la piccola Gabriela.
Johann continuò a ignorarla, ma Bartolo le lanciò lo sguardo gelido dell’uomo duro, senza scrupoli e assetato di sangue.
Sam sfiorò la spalla del marito. «Ti prego...»
Lui le allontanò la mano bruscamente.
«Vattene o chiedo al servizio di sicurezza di buttarti fuori.»
«Non puoi continuare» sussurrò Sam, mortificata e terrorizzata da un futuro sempre più nero.
Johann chiamò la guardia di sicurezza della saletta VIP. «Può accompagnare fuori la baronessa?» chiese, bevendo di nuovo.
Gli occhi di tutti i presenti erano fissi su Sam, ma lei non si mosse.
«Non è giusto» proclamò a voce alta.
Nessuno rispose, e gli occhi di Bartolo continuarono a fissarla implacabili.
«Prego, signora» mormorò la guardia.
Se ne vada senza fare scenate, vada a casa mentre suo marito perde tutto.
Sam si alzò, furiosa, ma con la dignità di una regina. «Se non pensi a me, pensa almeno a Gabby!»
Johann non la degnò di una risposta e continuò a bere, mentre lei attraversava in silenzio le sale da gioco. Odiava il Casinò, il rumore della roulette, le luci troppo forti, il tavolo verde che rovinava tanta gente.
Per fortuna la guardia non la toccò. Non c’era fretta: nessun dipendente del Casinò fermava mai un giocatore, anche se si stava rovinando.
Montecarlo aveva fatto la sua fortuna grazie a giocatori con tanti soldi e poco buonsenso.
Sam andò a prendere Gabby dai vicini, la portò a letto già addormentata e si rannicchiò su una poltrona del soggiorno con una coperta sulle spalle. Faceva freddo, ma non avevano più soldi per il riscaldamento. Anzi, non avevano soldi, punto e basta.
Suo malgrado non riuscì a trattenere le lacrime. La situazione era disperata e crudele. Lei aveva sposato Johann, sopportando la sua brutalità, per dare a Gabriela una vita migliore. Le aveva tentate tutte, ma Johann era interessato solo al gioco d’azzardo.
Infine si addormentò. Si svegliò sentendo Gabby scendere per le scale.
«Dov’è papà?» chiese la bimba. Aveva quasi cinque anni ed era piena di vita.
Indossava già la divisa scolastica ed era bella anche così. Quand’erano per strada i passanti facevano sempre commenti sulla sua bellezza.
Sua madre era una modella di Madrid, che aveva girato un paio di film mediocri, sperando di arrivare a Hollywood, ma era morta tragicamente quando Gabby aveva un anno. La bimba aveva ereditato la sua bellezza: lineamenti classici, capelli scuri e occhi verdi con ciglia nere, folte e lunghissime.
«Brava, sei già pronta» sorrise Sam alzandosi. «Papà torna più tardi.» Cercò di parlare in tono disinvolto, come se non avesse passato la notte al freddo pensando disperata al futuro.
«Non torna da giorni» si lamentò la bambina. «E tu hai ancora il vestito da sera.»
Era l’unico abito elegante che le era rimasto. «Mi sono addormentata mentre leggevo» mentì Sam con un sorriso tirato. «Su, vieni, facciamo colazione.»
Riuscì a controllarsi finché Gabby sparì oltre la porta della scuola, ma a quel punto crollò.
Che fine avrebbero fatto? Non avevano soldi per pagare la scuola di Gabby, e neanche per mangiare.
Lei non possedeva nulla, neanche un conto in banca. Quando Johann l’aveva sposata aveva smesso di pagarle lo stipendio e i pochi risparmi che Sam aveva da parte, guadagnati facendo la bambinaia di Gabby, erano spariti presto.
Nei quattro anni in cui era vissuta con i van Bergen, le cose erano andate di male in peggio. Se Sam avesse avuto una famiglia, sarebbe tornata a casa con Gabby, invece era cresciuta nell’orfanotrofio di Chester.
Dopo il diploma, a diciassette anni, era