Alchimia veneziana: Harmony Collezione
Di Jane Porter
5/5
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Info su questo ebook
Devastato dalla morte di suo fratello, Giovanni Trevisan non si fida più di nessuno e stenta a credere che la donna che si è appena presentata a casa sua non abbia un secondo fine. Un bacio dovrebbe essere sufficiente a svelare l'inganno, ma anche ad accendere una bruciante alchimia tra di loro. Non gli rimane così che alzare la posta in gioco e costringere Rachel a diventare sua moglie. Un prezzo che lei non sembra disposta a pagare.
Jane Porter
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Alchimia veneziana - Jane Porter
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1
Rachel Bern rimase immobile davanti all'imponente Palazzo Trevisan, il vento a scuoterle il cappotto nero e la coda di cavallo. Sopra di lei spesse nuvole grigie ricoprivano il cielo e onde sempre crescenti oltrepassavano le rive della laguna per inondare le calli di Venezia. E tuttavia quel tempo non era poi così diverso da quello di Seattle. Era cresciuta tra la pioggia e l'umidità, e i brividi di quella mattina non erano certo dovuti al freddo. Se tremava era solo per il nervosismo.
Sarebbe potuta andare molto male. Lei e Michael avrebbero potuto trovarsi in una situazione ancora peggiore.
E tuttavia non aveva altra scelta. Doveva ottenere l'attenzione di Giovanni Trevisan. Ogni precedente tentativo, ogni precedente forma di comunicazione era caduta nel silenzio. E il silenzio era distruttivo. Schiacciante.
Giovanni Trevisan, milionario italiano, era anche l'uomo più riservato della nazione. Appariva in pubblico molto raramente. Non aveva una mail né un numero di telefono diretto, e quando lei aveva finalmente raggiunto la reception del suo ufficio, nessuno aveva voluto trasmettere i suoi messaggi all'amministratore delegato della compagnia, la Trevisan S.p.A. Ragion per cui era lì, a Venezia, davanti a Palazzo Trevisan, quella che da due secoli era la dimora di famiglia.
Fino all'inizio del Ventesimo secolo i Trevisan erano stati costruttori di successo, ma negli ultimi quarant'anni l'azienda si era trasformata in un vero e proprio impero. La fortuna dei Trevisan era quadruplicata grazie alla gestione di Giovanni, tanto che la sua era diventata una delle famiglie più potenti e influenti d'Italia.
Il trentottenne Giovanni continuava a dirigere quella azienda che aveva la propria sede centrale a Roma, ma Rachel aveva appena scoperto, attraverso un investigatore privato, che raramente lui faceva la propria comparsa in ufficio, preferendo invece lavorare da casa.
Ecco perché si trovava proprio lì, sulla soglia, esausta per il viaggio e con un bambino di sei mesi in braccio. Giovanni non avrebbe più potuto ignorarla. E, soprattutto, non avrebbe più potuto ignorare Michael.
Con le lacrime agli occhi fissò il bambino addormentato e si scusò per ciò che di lì a poco avrebbe fatto. «È per il tuo bene...» sussurrò stringendolo dolcemente al petto. «E non andrò lontano. Te lo prometto.»
Persino nel sonno il piccolo si dimenò in segno di protesta.
Rachel sorrise mestamente, allentando la presa. Non dormiva da mesi, non da quando era diventata la sua tata a tempo pieno. A sei mesi il bambino avrebbe già dovuto dormire tutta la notte, ma forse era sconvolto quanto lei, o forse gli mancava la mamma...
Sentì il cuore stringersi in petto. Se solo avesse fatto di più per Juliet dopo la nascita di Michael, se solo avesse capito quanto la sorella stava male...
E tuttavia non poteva tornare indietro nel tempo. Tutto ciò che le restava da fare era rivolgersi alla famiglia del padre del bambino. Avevano entrambi bisogno di aiuto. Era al verde e sul punto di perdere il lavoro e non era giusto, non quando quella famiglia poteva, e doveva, aiutarli.
Deglutì il nodo alla gola e sollevò una mano per suonare il campanello.
Chissà se qualcuno l'aveva sentita? Tra il vento, lo sciabordio dell'acqua e le voci dei turisti sulla laguna, Rachel non era affatto sicura che ci fosse qualcuno all'interno del palazzo. Sapeva che la stavano guardando, non dall'edificio bensì da dietro gli obiettivi delle macchine fotografiche. Era stata lei a chiamare i giornalisti. Ce n'era uno dall'altra parte della laguna, uno sul balcone di un palazzo adiacente, un altro ancora su una gondola lì vicino. Aveva annunciato che quel giorno sarebbe accaduto qualcosa d'importante, qualcosa che aveva a che fare con un bambino della famiglia Trevisan.
Le loro fotografie avrebbero attirato l'attenzione e il conseguente giudizio pubblico, e a Giovanni tutto questo non sarebbe piaciuto. Quell'uomo teneva parecchio alla propria privacy e avrebbe preso subito dei provvedimenti per limitare l'attenzione. E tuttavia il rischio era enorme. Quel gesto avrebbe anche potuto sortire l'effetto opposto e allontanare i Trevisan ancora di più.
No, non doveva pensare a quel modo. Giovanni doveva accettare Michael e lo avrebbe fatto, una volta che avesse visto quanto il nipote somigliava al fratello.
Rachel sollevò la mano per suonare una seconda volta, ma prima che potesse farlo un uomo alto e smilzo spalancò la porta. Le ombre si allungavano oltre le sue spalle. Dalla soglia lo spazio appariva cavernoso, illuminato appena da un lampadario decorato.
Spostò nuovamente l'attenzione sull'uomo.
«Il signor Trevisan, per favore» affermò concisa, sperando che il proprio italiano venisse compreso.
«Il signor Trevisan non è disponibile.»
«Non è in casa?»
«No. Addio.»
Fece un passo in avanti prima che l'uomo le sbattesse la porta in faccia. «Lui è Michael Trevisan» affermò, affidando il bambino alle braccia del vecchio. «La prego, dica al signor Trevisan che Michael avrà bisogno di un biberon quando si sveglierà.» Sfilò dalla spalla la borsa dei pannolini e la lasciò ai piedi dell'uomo. «Avrà anche bisogno di essere cambiato, magari prima del biberon» aggiunse tentando di mantenere ferma la voce. «Tutto ciò che gli serve è nella borsa, incluso un programma per aiutarlo ad adattarsi. Se ci sono domande, ho lasciato il numero di cellulare e i contatti dell'hotel.»
E poi, con la gola strozzata si voltò, accelerando il passo prima di scoppiare in lacrime.
Lo stai facendo per Michael, ripeté a se stessa mentre correva verso il canale. Sii coraggiosa. Sii forte. Lo stai facendo solo per lui.
Non sarebbe rimasta lontana dal bambino per più di pochi minuti, perché era certa che Giovanni Trevisan l'avrebbe seguita, se non subito di certo in hotel, un hotel che si trovava a meno di cinque minuti di distanza e del quale aveva lasciato i recapiti nella borsa dei pannolini.
E tuttavia ogni singolo passo facesse la portava più lontano dal palazzo e più vicino al taxi d'acqua che la stava aspettando. Si sentiva vuota, senza Michael tra le braccia, e ogni istinto le urlava di tornare indietro per affrontare Giovanni a viso aperto.
Ma cosa sarebbe successo se si fosse rifiutato di riceverla? Come avrebbe potuto costringerlo a quella conversazione?
Sentì l'anziano uomo gridare qualcosa. Polizia.
Possibile la stesse minacciando di chiamare la polizia? Se lo avesse fatto, non ne sarebbe rimasta sorpresa. Era quello che avrebbe fatto lei se qualcuno avesse abbandonato alle sue cure un bambino di sei mesi.
Con il cuore spezzato si concentrò sul taxi che l'aspettava sul canale. Qualche secondo più tardi, però, una mano le afferrò il braccio con forza.
«Ahi, mi fai male.» Rachel abbozzò una smorfia di dolore. «Lasciami andare!»
«Smettila di correre.» La voce era crudele quanto la presa punitiva, l'inglese semplicemente perfetto.
Rachel si voltò, il vento che le scompigliava i capelli. «Non sto correndo» borbottò. Tentò di liberarsi ma lui rimase immobile, la presa inesorabile.
Sapeva bene chi era quell'uomo e un brivido le percorse la spina dorsale mentre ricacciava una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
Giovanni Trevisan non era soltanto alto. Aveva due spalle impressionanti, folti capelli scuri, occhi chiari e alti zigomi sopra una bocca ferma e severa. Aveva visto le sue foto su Internet. Non ce n'erano molte, ma in ognuna di queste appariva distinto, crudele.
Di persona sembrava ancora più spietato.
Fece un passo indietro, bisognosa di un minimo di spazio.
«Hai detto che non stavi correndo» ringhiò.
«Non stavo andando da nessuna parte, e non c'è bisogno che tu mi trattenga con tanta forza.»
«Non ti senti bene? Hai per caso una crisi di nervi?» le domandò.
«Perché mi chiedi una cosa del genere?»
«Perché hai appena abbandonato un bambino sulla soglia di casa mia.»
«Non è stato abbandonato. Tu sei suo zio.»
«Ti suggerisco caldamente di venire a riprendertelo prima dell'arrivo della polizia.»
«Lascia pure che arrivi. Almeno tutto il mondo saprà la verità.»
Giovanni corrugò la fronte.
«Sì, decisamente tu non stai bene.»
«Sto bene, invece. Anzi, non potrei stare meglio. Non hai idea di quanto sia stato difficile trovarti. Mesi di ricerche, per non parlare dei soldi che ho speso e che non potevo permettermi per un investigatore privato. Ma almeno adesso siamo qui, faccia a faccia, pronti a discutere delle tue nuove responsabilità.»
«L'unica cosa che ho da dire è di riprenderti il bambino.»
«Tuo nipote.»
«E torna a casa prima che questa situazione diventi spiacevole per tutti noi.»
«È già spiacevole per me. Ho bisogno del tuo aiuto, e subito.»
«Tu e il bambino non siete un mio problema.»
«Michael è un Trevisan. È figlio del tuo defunto fratello e dev'essere protetto e sostenuto dalla sua famiglia.»
«Questo non accadrà.»
«Io penso invece il contrario.»
«Stai deliberatamente cercando di provocarmi?»
«E perché non dovrei? Tu non hai fatto altro che irritarmi e provocarmi per mesi. Hai avuto moltissime opportunità per rispondere alle mail che ti ho mandato, per cui adesso ti sto solo restituendo ciò che è tuo.» Il che non era del tutto vero. Non avrebbe lasciato Michael per nessuna ragione al mondo, ma non glielo avrebbe mai confessato.
«Di certo non stai bene, se hai avuto il coraggio di abbandonare il figlio di tua sorella.»
«E di Antonio» lo interruppe. «Se ricordi ancora le lezioni di biologia, il concepimento richiede un ovulo e uno spermatozoo, nel caso specifico quelli di Juliet e Antonio.» Esitò, serrando le labbra per trattenere il resto delle parole che avrebbe invece voluto pronunciare, quelle parole che le avevano impedito di mangiare e di dormire per giorni. «Nella borsa dei pannolini troverai anche il test del DNA. C'è la cartella clinica e tutto ciò di cui hai bisogno per aiutarlo nella sua nuova vita qui. Io ho fatto la mia parte. Adesso tocca a te.» Abbozzò un cenno con il capo e si voltò, grata che il taxi la stessa ancora aspettando.
Giovanni tornò ad afferrarla, questa volta per la nuca, le calde dita sul collo.
«Non andrai da nessuna parte, cara, non senza quel bambino.» La voce si era abbassata, incupita, e lei rabbrividì alla sensazione che le bruciava dentro.
La presa di Giovanni non era dolorosa e tuttavia lei sfrigolava da capo a piedi. Era come se l'avesse improvvisamente infilata in una presa elettrica.
Si voltò a guardarlo, e un brivido di consapevolezza la percorse. Non aveva paura, eppure la sensazione era troppo acuta, troppo intensa per essere piacevole.
Tornò a incrociare il suo sguardo. Non c'era più nulla di gelido, adesso, in quegli occhi blu... solo intelligenza, calore e potere. C'era una tale fisicità, in quell'uomo, da toglierle il fiato. Osservò il suo naso diritto e le rughe su entrambi i lati della bocca. Affascinante. Terribilmente affascinante.
«Stai regalando ai paparazzi uno spettacolo piuttosto interessante, lo sai?» sussurrò. «E tutto questo maltrattarmi non farà un'ottima impressione sui giornali di domani. Temo proprio che ci saranno parecchie foto incriminanti.»
«Foto incriminanti?» Improvvisamente Giovanni comprese. Lasciò cadere la mano mentre faceva correre lo sguardo