Il prezzo del successo: Harmony Collezione
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Dall'orfanatrofio al fulminante successo. Per questi quattro milionari la vera sfida adesso è trovare la loro regina.
Daniil Zverev è il più attraente e peccaminoso milionario del mondo. Nessuno conosce le origini della sua ascesa, o cosa si celi dietro quel repentino successo. Ma la bella e indipendente insegnante di danza Libby Tennent si sta pericolosamente avvicinando alla verità.
Dal momento in cui è entrata nel suo ufficio, l'esuberante Libby ha sfidato il cuore di tenebra del milionario russo: Daniil non elargisce favori, eppure l'ha aiutata con la sua scuola di ballo. Non si impegna con nessuna, eppure sente che una sola notte con lei non gli può bastare. I soldi per un uomo come lui non rappresentano un problema, ma il prezzo da pagare per essersi lasciato andare potrebbe essere troppo alto persino per lui.
Carol Marinelli
Nata e cresciuta in Inghilterra, ha conosciuto il marito durante una vacanza in Australia.
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Il prezzo del successo - Carol Marinelli
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Prologo
«Ciao, shishka.»
Daniil Zverev si irrigidì mentre entrava nel dormitorio e udì il suo amico Sev chiamarlo in quel modo. A quanto pareva shishka era il suo nuovo nome.
Lo slang russo poteva colpire giusto dove faceva male e quella sera svolse bene il suo compito.
Pezzo grosso.
Daniil osservò Sev posare il libro che stava leggendo.
«Stavamo giusto parlando di come te la spasserai a vivere in Inghilterra con quella ricca famiglia, shishka.»
«Non chiamarmi mai più così» lo ammonì lui prendendo il libro dell'amico. Avrebbe voluto strappargli le pagine, ma quando vide Sev deglutire lo gettò sul letto. Sev raramente aveva un libro da leggere, tuttavia si augurava che avesse colto il messaggio.
«Hai trovato qualche fiammifero?»
Nikolai sollevò lo sguardo dalla nave in legno che stava costruendo e Daniil ne estrasse alcuni dalla tasca dei pantaloni che aveva recuperato durante il suo turno delle pulizie.
«Ecco.»
«Grazie, shishka.»
Daniil avrebbe voluto rompere la barca di Nikolai. Lo fissò sentendo crescere la rabbia. I quattro ragazzi erano più che amici. Daniil e Roman potevano anche essere gemelli mentre Sev e Nikolai non avevano alcun legame di parentela, però erano cresciuti insieme.
Con i loro capelli neri e la pelle chiara erano i più poveri tra i poveri.
In orfanotrofio erano stati messi nello stesso dormitorio e adesso, ormai adolescenti, dividevano la medesima stanza.
«Tocca la mia nave e...» lo minacciò Nikolai.
«Allora non chiamarmi shishka. E comunque non ce n'è bisogno, perché ho deciso che non andrò a vivere in Inghilterra. Non mi possono obbligare» ribatté Daniil guardando il gemello, che era sdraiato a letto con le mani dietro la testa concentrato a fissare il soffitto.
«E perché?» gli chiese Roman, puntando i suoi freddi occhi grigi sul fratello.
«Perché non ho bisogno di una famiglia ricca che mi aiuti. Ce la caveremo benissimo da soli, Roman.»
«Certo, come no.»
«È vero» insistette lui. «Sergio ha detto...»
«È il responsabile della manutenzione.»
«Una volta era un pugile. Noi due» insistette Daniil, «possiamo farcela.»
«Vai da quella famiglia inglese» ribatté il fratello. «Non diventeremo ricchi e famosi qui. Non usciremo mai da questo buco.»
«Ma se ci alleniamo duramente diventeremo dei campioni» argomentò lui prendendo la foto accanto al letto di Roman. Un paio di anni prima Sergio aveva portato la macchina fotografica nella loro stanza e aveva scattato una foto ai gemelli, ma siccome gli altri avevano protestato ne aveva fatta un'altra a tutti e quattro. «Sei stato proprio tu a dirlo.»
«Be', ho mentito.»
«Ehi...» intervenne Sev. Anche se aveva preso in giro Daniil gli voleva bene e sapeva dove stava portando quella discussione. «Lascia perdere, Roman. Tocca a lui decidere.»
«No!» tuonò Roman mettendosi a sedere. La tensione stava crescendo tra loro da mesi, da quando gli era stato detto che una famiglia voleva dare una casa a un ragazzino. «Vuole rinunciare alla sua unica chance perché ha questo stupido sogno di diventare un campione sul ring. Be', non può.»
«Noi possiamo» dichiarò Daniil.
«Io posso» lo corresse il gemello. «O almeno potrei se non avessi te che mi rallenti.» Quindi si riprese la foto che li ritraeva e la gettò sul pavimento.
Daniil sentì che qualcosa si rompeva dentro di lui.
«Vieni, ti farò vedere chi può davvero combattere» lo sfidò Roman.
Subito, nel dormitorio, si diffuse la voce che i gemelli Zverev si sarebbero battuti.
Roman e Daniil si allenavano tutti i giorni sotto l'attenta guida di Sergio. La loro unica lamentela era che volevano combattere tra loro, cosa che Sergio non aveva mai permesso fino ad alcuni mesi prima... sempre, però, sotto la sua attenta sorveglianza.
I due fratelli erano ben strutturati. Erano alti, avevano le gambe lunghe ed erano veloci, oltre ad avere una carica esplosiva dentro.
Sergio sapeva che, con il giusto allenamento, i gemelli avrebbero fatto strada. L'unica cosa che doveva fare era cercare di contenerli. Purtroppo quella sera non c'era.
La stanza dei ragazzi cominciò a riempirsi di gente. I letti vennero spostati per fare spazio.
«Mostrami cosa sai fare» lo provocò Roman.
Daniil si era messo sulla difensiva. Niente caschi, niente guanti. Il gemello non gli diede tregua e lui combatté con tutte le sue forze.
Gli altri ragazzi cercavano di non gridare troppo per non allertare gli inservienti.
Roman era molto aggressivo, colpiva sempre per primo. A un certo punto Daniil lo strinse forte perché aveva bisogno di un momento di tregua per riprendere fiato, ma il gemello si liberò e riprese lo scontro.
Daniil era veloce e Roman raramente aveva bisogno di una pausa, tuttavia dopo un po' fu proprio lui a stringerlo per riposarsi.
Daniil poteva sentire il suo respiro rabbioso e quando si staccarono, invece di dargli il tempo necessario per mettersi in posizione, Roman gli mollò un montante mandandolo al tappeto.
Lui non seppe per quanti minuti rimase steso a terra, tuttavia dovevano esserne passati parecchi a giudicare dalle espressioni preoccupate degli altri. Tranne Roman.
«Vedi» borbottò il gemello, «io me la cavo meglio senza di te, shishka.»
Gli inservienti avevano notato che alcune stanze erano vuote e seguendo le grida erano corsi nella stanza dove adesso Daniil giaceva sul pavimento.
Katya, la cuoca, lo portò al caldo in cucina e disse a sua figlia Anya di recuperare la scatola del pronto soccorso. Anya si stava esercitando con alcuni passi di danza. Aveva dodici anni e frequentava una scuola di ballo, ma in quel momento era a casa per le vacanze.
A volte prendeva in giro i gemelli sostenendo che era più in forma di loro. Sognava di diventare un giorno una famosa ballerina. Daniil al momento non aveva ancora nessun sogno.
«Cosa diavolo stavate facendo?» lo sgridò Katya dandogli una tazza di tè forte. Poi si dedicò a medicargli la faccia. «Le famiglie ricche non vogliono ragazzini violenti.»
Alcuni giorni più tardi Daniil si ritrovò su un volo diretto in Inghilterra.
Seduto in auto guardò le case e i negozi lungo la strada poi, dietro a una curva, si ritrovò davanti un imponente edificio in mattoni rossi in fondo a un viale circondato da un enorme parco.
Scese silenziosamente dalla macchina, anche se non avrebbe voluto farlo.
La portiera era stata aperta da un uomo con un abito nero, però il suo sorriso era gentile.
Nell'ingresso rimase in piedi mentre alcuni adulti gli parlavano poi venne accompagnato su per le scale da una donna che aveva visto un paio di volte all'orfanotrofio e che adesso era diventata sua madre.
In cima allo scalone c'era un ritratto dei suoi nuovi genitori con la mano posata sulla spalla di un bambino sorridente dai capelli scuri.
Eppure gli avevano detto che non avevano figli.
La sua camera era molto grande e c'era soltanto un letto.
«Bagno.»
Daniil non aveva idea di cosa significasse quella parola finché la sua nuova mamma non gli aveva indicato un'altra stanza, poi se n'era andata.
Lui si fece un bagno e si avvolse in un asciugamano giusto in tempo perché qualcuno bussò alla porta e di nuovo sua madre si avvicinò con un sorriso ansioso, rovistando tra le sue cose e continuando a chiamarlo con il nome sbagliato.
Avrebbe voluto correggerla e dirle che si pronunciava Daniil e non Daniel, ma a quel punto si ricordò che il traduttore gli aveva spiegato che avrebbe avuto un nuovo nome: Daniel Thomas.
La donna, sua madre, aveva dei guanti in lattice e tutti i suoi vestiti vennero messi in un sacchetto dell'immondizia che l'uomo con l'abito nero teneva aperto.
Continuava a parlare in una lingua che non comprendeva e a indicare la sua guancia.
Alla fine, dopo parecchi tentativi, capì che l'avrebbero portato a medicarla meglio di quanto non avesse fatto Katya.
Guardò la sua valigia mentre la madre disponeva della sua vita e fu allora che notò due fotografie che sapeva di non avervi infilato. Doveva averle messe Roman.
«Nyet!»
Era la prima parola che pronunciava da quando aveva lasciato la Russia e la donna emise un piccolo grido preoccupata allorché lui scattò in avanti per prendere le foto e impedirle di buttarle. Nessuno le poteva toccare.
La madre lasciò la stanza e l'uomo con l'abito scuro si avvicinò e si sedette con lui sul letto per guardare le fotografie.
«Sei tu?» gli disse indicando uno dei ragazzi nell'immagine.
Daniil scosse la testa.
«Roman.»
L'uomo dagli occhi gentili puntò un dito al suo petto e disse: «Marcus».
Lui annuì e tornò a concentrarsi sulla fotografia.
E fu in quel preciso momento che realizzò che suo fratello non lo odiava e che invece aveva cercato di salvarlo.
Peccato che non voleva essere salvato.
Avrebbe preferito trovare la sua strada nel mondo con il fratello.
Non da solo. In quel modo.
1
Libby Tennent stava attraversando l'imponente ingresso di marmo per raggiungere l'ascensore quando una guardia della sicurezza la fermò chiedendole dove fosse diretta.
«Ho un appuntamento con il signor Zverev.»
«Sarà anche così, ma prima si deve registrare alla reception.»
«Naturalmente» rispose Libby dando l'impressione di essersi dimenticata della procedura.
Tutto in quel posto era lussuoso e maestoso. Era uno degli indirizzi migliori di Mayfair e ancor prima che il taxi si fermasse aveva capito che vedere Daniil Zverev non sarebbe stata una passeggiata come aveva lasciato intendere suo padre.
Libby si avvicinò al bancone della reception e ripeté la sua storia a una graziosa receptionist, ossia che aveva un appuntamento con il signor Zverev, sperando che la donna non si accorgesse che in realtà l'appuntamento era fissato con Lindsey Tennent, suo padre.
«Mi può dire il suo nome, per favore?»
«Signorina Tennent.»
La giovane digitò qualcosa al computer e lei la vide aggrottare la fronte.
«Un momento, prego...» mormorò la receptionist sollevando il telefono. «C'è qui la signorina Tennent. Afferma di avere un appuntamento con il signor Zverev.» Dopo alcuni istanti le chiese: «Il suo nome, prego?».
«Elizabeth» rispose lei sperando di apparire calma, evitando di attorcigliarsi una ciocca di capelli biondi attorno al dito o battere il piede. In realtà era nervosa e si sentiva a disagio per aver accettato di recarsi lì.
La receptionist scosse la testa e chiuse la telefonata. «Il signor Zverev non può riceverla.»
«Mi scusi?» Libby sbatté le palpebre, non solo per il rifiuto ma anche perché non