L'ora del Pi Greco
Di Davide Nani
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L'ora del Pi Greco - Davide Nani
Davide Nani
L’ORA DEL PI GRECO
Prima Edizione Ebook 2022 © Damster Edizioni, Modena
ISBN: 9788868104719
Immagine di copertina su licenza
Adobestock.com
Damster Edizioni è un marchio editoriale
Edizioni del Loggione S.r.l.
Via Piave 60 - 41121 Modena
http://www.damster.it e-mail: damster@damster.it
catalogo su
www.librisumisura.com
img1.pngDavide Nani
L’ORA DEL PI GRECO
Romanzo
INDICE
I
II
III
IV
V
VI
VII
VIII
IX
X
XI
L’AUTORE
CATALOGO
A tutti quelli a cui è capitato di tirare le 3 e 14
per leggere e sognare.
I
Ventitré dicembre
Le quattro sedie inutili sono state allineate vicino al muro, in fila come i sedili di una corriera. Il cameriere, amico mio, che le ha messe da parte con l’intenzione di non farle notare, ha ottenuto l’effetto contrario.
Cenare da solo in un piccolo ristorante la sera per me sarebbe anche normale, ma è l’antivigilia di Natale e mi sento addosso gli sguardi indagatori degli altri clienti.
Qualcuno penserà che io sia un turista, forse straniero, per via della mia pelle scura. Quelli che mi hanno visto attendere e fumare per mezz’ora all’entrata invece si staranno ponendo altre domande.
Come mai la titolare del locale ha scomposto un tavolo da cinque al mio arrivo?
Chi aspettavo? Chi non si è presentato? E come mai?
Perché un cameriere con fare compassionevole si è seduto per qualche minuto accanto a me prima di prendere l’ordinazione?
Non ci vuole certo un esperto di pensiero deduttivo per comprendere che qualcosa mi è andato storto.
I più curiosi e intelligenti si chiederanno se sono una di quelle persone che si fidano di semplici forse verrò
o addirittura di quelle a cui si dice un falso sì
, pur di evitare l’insistenza di un invito.
In entrambe le ipotesi ne esco come un emarginato, un reietto. Uno con qualche problema nella testa. Qualcuno mi osserva e parlotta con i commensali, ma appena mi giro distoglie lo sguardo. Potrei essere anche un importuno, uno che reagisce e può creare situazioni imbarazzanti. Meglio non rischiare.
Masticando la prima portata penso che la conclusione che io abbia qualche rotella fuori posto non è poi così lontana dal vero.
Sono stato proprio velleitario nel pensare che tutto sia tornato alla normalità con i colleghi, tanto da celebrare i riti soliti, fatti di auguri ad alta voce, vuotando qualche bottiglia di troppo.
In fondo è passato meno di un anno dai drammatici eventi che hanno coinvolto la nostra azienda, non tutti forse si sentono dell’umore giusto per un’occasione conviviale.
Il vecchio Arcelli lo capisco, ma non sopporto che gli altri tre colleghi non abbiano avuto il coraggio di rifiutare l’invito in modo esplicito. Forse hanno pensato che certe cose non occorrerebbe nemmeno chiederle e mi hanno risposto a modo loro, con il metodo del pretesto all’ultimo momento, lasciandomi solo.
Lina, l’anziana titolare del locale, mi conosce bene e ha capito la mia situazione, di certo non avrebbe obiettato nemmeno se me ne fossi andato, vanificando del tutto la prenotazione del tavolo. Fuori però faceva un freddo cane e l’attesa me l’ha fatto penetrare addosso insieme all’umido della fitta nebbia che avvolge Ferrara d’inverno.
Non mi andava di tornarmene a casa e rovistare nel frigo semivuoto, né tanto meno cenare senza il vino che sapevo di aver finito.
La serata qui passerà più rapidamente e aspetterò che qualche bicchiere di bianco mi sciolga quel groppo in gola che mi viene sempre quando non posso sfogare l’ira o la frustrazione.
Ho la tentazione di scrivere messaggi di sarcastico risentimento, ma spengo il cellulare. I miei colleghi sapranno tutto domani e qualcuno si sentirà in colpa, ma non mi importa; in questo momento ci sono io davanti a questo maledetto camino che accentua il freddo che ho dentro, mandandomi avare e irregolari folate di calore.
Ordino un po’ di zuppa inglese per perdere ancora tempo. Il mio piano per addolcire la serata è scambiare quattro chiacchiere con la titolare del locale, quando tutti i clienti saranno satolli e cercheranno solo i superstiti sorsi d’acqua rimasti nel fondo delle bottiglie semivuote.
È rimasto solo un tavolo con una dozzina di persone che festeggiano ed è anche spuntata una chitarra. È totalmente scordata e l’imperizia di chi la suona è imbarazzante. Darei tutto quello che ho nel portafogli per sistemare lo strumento e strimpellare due accordi come facevo da ragazzo, ma resisto all’istinto di intromettermi, aiutato dalla signora Lina che si lascia andare sulla sedia sfinita, versando per me e per lei il solito dito di nocino fatto in casa.
Parliamo un po’, ora sono salvo, ho un ruolo decente nella sala agli occhi di tutti. Mi chiede del lavoro, si lamenta dell’andamento del ristorante, delle tasse e di quel figlio che non l’aiuta nel locale e le costa per vestiti, benzina e sigarette. Le vorrei dire che la invidio per questo, ma mi limito ad ascoltare a lungo fino a lasciarla stancare. Pago ed esco.
Le viuzze del centro di Ferrara invitano ad addentrarsi, alla ricerca di riparo. Specialmente nelle notti d’inverno, l’istinto porta a infilarsi dove i muri si stringono e si possono quasi toccare allargando le braccia. Il silenzio è interrotto a tratti da comitive di giovanotti brilli e festanti o dal rumore dei tacchi di qualche signora sul quel pavimento di ciottoli rotondi che rende la camminata incerta e pericolosa per le caviglie. Immagino il freddo rigido delle loro dita in quelle scarpe che costringono a pose innaturali.
Le mie gambe invece vanno da sole e lascio che mi portino; non ho una meta precisa da raggiungere. Percorro l’antico ghetto ebraico, attraverso quasi inconsciamente la piazza Trento Trieste e mi infilo nell’antica via Degli Adelardi di fianco al Duomo. Diverse persone, fuori dai locali, sorseggiano e roteano calici di vino rosso con l’aria di chi se ne intende.
Vorrei dir loro cosa ne pensava l’imperatore Adriano della Yourcenar sugli intenditori di vino, ma chi mi capirebbe?
Oggi va di moda congelarsi all’aperto in quel modo. Mi chiedo dove stia il piacere nel soffrire, ma passo oltre. In fondo io ho cenato da solo come un cane, non sono certo nella posizione di chi può dare un giudizio sull’altrui comodità; anzi mi ripropongo di ripassare per riscaldarmi con un bicchiere o due, prima di dormire.
Aspetto che la stanchezza mi prenda, ma tarda. Mi ritrovo nei luoghi senza ricordare i percorsi, immerso come sono in pensieri ripetitivi e circolari.
Mi sono allontanato troppo e un ragazzo nero su una bici modello Graziella mi chiede se ho bisogno di qualcosa. Non gli rispondo e accelero il passo. Mi segue e mi si para davanti mostrandomi una eloquente bustina bianca.
— Per lei trenta euro, fai festa con questa grande boss! — mi dice come se mi conoscesse da sempre.
Faccio un segno di diniego con la testa e cerco di schivarlo, ma il ragazzo tenta l’ultima carta per vendermi qualcosa. Estrae una scatola contrassegnata da una scritta grossolana in pennarello: Viagra
.
Sorrido. Ha visto i miei capelli bianchi e ha individuato da buon mercante il giusto target del cliente.
Cerco qualche moneta nel taschino e patteggio un pagamento di un caffè con l’essere lasciato in pace. Premio il ragazzo per la sua desistenza con una banconota da cinque, in fondo è festa per tutti. Il giovane ringrazia a modo suo: — Buon Natale, grande capo!
Gli spacciatori nigeriani non mi fanno paura. Somigliano tutti maledettamente a mio figlio, in ciascuno di loro trovo un suo tratto del viso o un’espressione familiare.
Non lo vedo se non una volta a settimana su Skype e tutti i ragazzi della sua età mi sembrano lui. Ero felice, quando nacque, di sapere che non gli sarebbe toccato il servizio militare. Non pensavo a quel tempo che si sarebbe allontanato da me un anno intero per studiare in Nuova Zelanda.
Ora mi trovo separato con un figlio agli antipodi, cioè solo,
...solo come un deficiente
cantava Lucio Dalla descrivendo una sua notte bolognese; la mia di stasera qui a Ferrara non è diversa.
Sfuggo all’autocommiserazione, ripenso a uno dei locali di fianco alla cattedrale, mi ci dirigo senza fretta.
Il gestore sta lavando il pavimento con uno straccio vissuto, il risultato è uno sporco uniforme dal vago odore di alcool; non si capisce se sia quello denaturato che si