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Tacuinum De Coquina: Manuale di Cucina Italiana Medievale
Tacuinum De Coquina: Manuale di Cucina Italiana Medievale
Tacuinum De Coquina: Manuale di Cucina Italiana Medievale
E-book158 pagine1 ora

Tacuinum De Coquina: Manuale di Cucina Italiana Medievale

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L’elemento essenziale dell’arte culinaria medievale è rappresentato dall’inventiva del cuoco, il quale poteva considerarsi un artista e al contempo organizzatore e regista, forse anche un poco mago, nella preparazione di banchetti e feste il cui scopo principale era quello di stupire i convitati.

La prerogativa di questo libro è di accompagnare il lettore oltre alla gustosità dei cibi, in un viaggio gastronomico attraverso l’Italia medievale, in modo che la ricetta non sia un semplice insieme di ingredienti ma una comprensione storica di regole sociali ben definite.

Il banchetto medievale era la manifestazione esplicita, da parte della società dominante, della superiorità nel lusso e nella ricercatezza dei cibi, esposta in modo eccentrico e plateale. L’ostentazione di grandi quantità di cibo esprimeva il dominio sulle masse popolari, sulle quali regnava l’incubo della fame quotidiana, mentre il signore manifestava la propria potenza con banchetti-spettacolo, dove l’eccentrico, il divertente e il curioso animavano l’ambiente tra una portata e l’altra.

Con il tempo gli intermezzi diventarono sempre più curati e ricchi, con vere e proprie ricostruzioni teatrali di episodi dell’antico testamento o scene di guerra. L’abbondanza, la mescolanza di sapori, l’uso a volte esagerato di spezie costosissime, le coreografie spettacolari, i doni lussuosi per i convitati, erano trucchi per aumentare lo stupore e il rispetto nei confronti del potente.

Così la carne poteva essere rivestita con foglie d’oro e i pavoni, una volta cotti, erano nuovamente ricoperti delle loro piume, rizzati in piedi, aperta la coda a ventaglio, portati sulla tavola con il becco in fiamme. Finti rami di pasta di pane, a forma di gabbia, imprigionavano uccelli variopinti, vivi e svolazzanti, lasciati poi liberi per le stanze, colmando di sorpresa i commensali. Persino la quantità mangiata rappresentava una manifestazione di potere: l’uomo forte, il potente o il guerriero dovevano mangiare molto, in segno di virilità e prestanza.

Le scuole mediche dell’epoca elaborarono i Tacuinum Sanitatis (dai quali sono tratte le immagini di questo libro e molte descrizioni degli alimenti), trattati che contenevano le spiegazioni sugli alimenti e dettavano le regole per il buon uso, stabilendo per quali ceti sociali potessero considerarsi nocivi.

La gente comune non poteva permettersi banchetti sontuosi, la tavola del contadino era presto fatta, spesso su cavalletti e non sempre con la tovaglia. Questa tavola d’occasione era tolta dopo il pasto e i convitati sedevano su cassoni, dentro i quali erano conservati alcuni cibi, il sale e il pane. Zuppe e verdure, polente e farinate, talvolta cacciagione e pesce, il tutto era cotto senza pretese e senza spezie.
Si mangiava accanto al focolare, non in sale da pranzo, talvolta vicino anche agli animali domestici e da lavoro.

Questo libro non è solo il risultato di una selezione gastronomica, elaborata in modo professionale, delle ricette originali, le quali non possedevano né le quantità esatte né i dettagli delle temperature di cottura, ma rappresenta il desiderio di raccontare l’origine di molti piatti tradizionali divenuti nel tempo i cardini della cucina tipica regionale italiana, apprezzati in tutto il mondo.

LinguaItaliano
Data di uscita8 ott 2011
ISBN9781465887351
Tacuinum De Coquina: Manuale di Cucina Italiana Medievale
Autore

Simonetta Stefanini

Simonetta Stefanini - Live in Florence Italy. Work: Project Manager - Mind Trainer - Writer University: Architectural - Medieval History - Psicology (3 years). Specialization: Master P. in NLP R. Bandler - Imperial School of Feng Shui - Strategic Negotiation, Science of Trading (Harvard B.S.) - Business Strategies (London School of Economics) - Negotiation (Negotiation Study Center) - Mind Maps (T. Buzan)- Sales Engineering (J.La Valle)ecc. - Membership: A.E.R.E.C. European Academy for the Economic and Cultural relations - Forum for Business and Professional Women.

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    Anteprima del libro

    Tacuinum De Coquina - Simonetta Stefanini

    Prefazione

    L’intento di questo libro è di guidare il lettore in un viaggio gastronomico nell’Italia medievale, narrando le abitudini di quel periodo affascinante della storia, per fa sì che la ricetta non sia un semplice esperimento culinario capace di avvicinarci a un gusto di altri tempi, ma anche una comprensione storica di regole sociali ben definite.

    L’arte culinaria medievale è il risultato delle influenze etniche e commerciali di popoli arabi, europei e asiatici e la cultura dei piatti tradizionali locali o regionali, conosciuti e apprezzati in tutto il mondo che si consoliderà solo dopo il Seicento, anche se alcuni prodotti erano già considerati tipici, a causa della produzione in un’area geografica specifica.

    L’alimentazione del Medioevo era suddivisa come le tre categorie sociali dell’epoca: nobiltà, popolo e religiosi; le ricette esprimevano le caratteristiche dello status sociale di appartenenza; il cibo considerato povero, come le verdure, poteva essere gustato dal nobile solo se arricchito con spezie o altri elementi preziosi.

    Le scuole mediche dell’epoca elaborarono i Tacuinum Sanitatis (dai quali sono tratte le immagini di questo testo) trattati che contenevano le spiegazioni sugli alimenti e dettavano le regole per il buon uso, stabilendo per quali ceti sociali potessero considerarsi nocivi.

    Gli studi storici hanno collocato i ricettari manoscritti in un periodo temporale identificandoli dal tipo di scrittura, di cui il capostipite, dei manoscritti napoletani, può essere considerato il Liber de Coquina, redatto alla fine del Duecento e conservato presso la Biblioteca Nazionale di Parigi.

    Questo testo fu poi ricopiato e modificato in linguaggio toscano e chiamato Libro della cucina di Anonimo Toscano e riportato più tardi nel testo Arte della Cucina, a cura di Emilio Faccioli, e nell’edizione del 1863, a cura di Francesco Zambrini, con il titolo di Il libro della cucina del XIV secolo. Seguono vari frammenti definiti Toscani, conservati presso la Biblioteca Riccardiana di Firenze, la Biblioteca Universitaria Casanatense di Roma e presso il Wellcome Institute for the History of Medicine della British Library di Londra. Questo periodo storico termina con i ricettari del Maestro Martino definito il principe dei cuochi del suo tempo, elogiato nel suo modo di cucinar vivande dal noto cuoco rinascimentale Bartolomeo Sacchi, detto Platina, nel suo testo De honesta voluptate et valitudine, edito a Roma intorno al 1474.

    Del Maestro Martino rimangono alcuni manoscritti, ricopiati a mano e fra loro simili, il primo dei quali, fu redatto durante lo svolgimento della sua professione di cuoco presso il Cardinale di Aquileia e conservato presso la Biblioteca Apostolica Vaticana, il secondo presso l’Archivio Storico di Riva del Garda, il terzo presso la Pierpont Morgan Library di New York. Un ultimo manoscritto è proprietà di un collezionista privato.

    Le ricette descritte nel presente libro sono state selezionate dopo la lettura dei testi citati e molti altri frammenti, consultati in archivi privati e biblioteche, ma soprattutto dopo numerose prove, non sempre riuscite della loro preparazione. E’ impossibile restare fedeli agli appunti, poiché i metodi e gli strumenti sono totalmente cambiati e persino gli stessi alimenti non potrebbero mai rispecchiare quelli dell’epoca.

    Le ricette originarie non possiedono pesi, misure o tempi di cottura, ma si leggono sequenze di parole o appunti sparsi, annotati dal cuoco, per poi essere adattate alla situazione del momento.

    Troverete riportate anche alcune ricette in lingua originale dalle quali è possibile comprendere quanto arduo possa essere determinare le quantità e a volte anche la tipologia degli stessi alimenti.

    L’elemento essenziale dell’arte culinaria medievale è rappresentato dall’inventiva del cuoco, il quale poteva considerarsi un artista e al contempo organizzatore e regista, forse anche un poco mago, nella preparazione di banchetti e feste il cui scopo principale era quello di stupire i convitati.

    Possiamo solo citare gli alimenti derivati da specie animali protette o estinte, come l’uro, l’orso, la gru, la balena e altre ancora, in uso per i banchetti nobili e per rispettare il rito della caccia, più avanti illustrato.

    Per una questione di gusto, l’utilizzo delle spezie, elemento fondamentale nella gastronomia medievale, è stato ridotto, cercando così di non esagerare certi sapori non più graditi al gusto attuale.

    Questa selezione gastronomica aprirà nuovi orizzonti, consentendo un viaggio nel tempo e nei sapori storici italiani.

    Simonetta Stefanini

    CAPITOLO I

    SECUNDUM QUALITATEM PERSONAE

    Il cibo come manifestazione di potere

    Il banchetto del Trecento era la manifestazione esplicita, da parte della società dominante, della superiorità nel lusso e nella ricercatezza dei cibi, esposta in modo eccentrico e plateale. L’ostentazione di grandi quantità di cibo esprimeva il dominio sulle masse popolari, sulle quali regnava l’incubo della fame quotidiana. Le occasioni per un banchetto erano varie: ricevimenti di personaggi illustri, feste religiose, matrimoni, partenze per imprese di guerra e molti altri eventi della vita sociale. Il signore manifestava la propria potenza con banchetti-spettacolo, dove l’eccentrico, il divertente e il curioso animavano l’ambiente tra un servizio e l’altro. Con il tempo gli intermezzi diventarono sempre più curati e ricchi, con vere e proprie ricostruzioni teatrali di episodi dell’antico testamento o scene di guerra. L’abbondanza, la mescolanza di sapori, l’uso a volte esagerato di spezie costosissime, le coreografie spettacolari, i doni lussuosi per i convitati, erano trucchi per aumentare lo stupore e il rispetto nei confronti del potente.

    Nel ricettario toscano del XIV secolo si trova citato: In ciascuna salsa, savore o brodo, puoi ponere cose preziose, cioè oro, pietre o spezie elette a tuo volere. Così la carne poteva essere rivestita con foglie d’oro e i pavoni, una volta cotti, erano nuovamente ricoperti delle loro piume, rizzati in piedi, aperta la coda a ventaglio e portati sulla tavola con il becco in fiamme. Finti rami di pasta di pane, a forma di gabbia, imprigionavano uccelli variopinti, vivi e svolazzanti, lasciati poi liberi per le stanze, colmando di sorpresa i commensali. Persino la quantità mangiata rappresentava una manifestazione di potere: l’uomo forte, il potente o il guerriero dovevano mangiare molto, in segno di virilità e prestanza.

    L’etica aristocratica assumeva come segno distintivo la regola della quantità di cibo, soprattutto nel cibarsi di carne, identificandola per il suo contenuto di sangue con la violenza.

    La tavola signorile era un trionfo di selvaggina di grossa taglia come il cervo, il cinghiale, l’orso e il bue selvatico, uccisi dal signore nelle battute di caccia e quindi anche espressione di vittoria.

    Il posto a tavola esprimeva la gerarchia sociale e la vicinanza al signore rappresentava il grado di potere. Il sovrano sedeva più in alto e la sua mensa era separata dagli altri invitati. Il banchetto dei nobili poteva protrarsi tutta la giornata, durante la quale i cavalieri e le dame si alternavano nei posti e spesso mangiavano in coppia. Condividere il cibo e le bevande era segno di una simpatia speciale e durante i banchetti, denominati convivia, si sancivano nuovi legami amorosi o si rafforzavano rapporti politici e di amicizia, non di rado ordendo congiure. Il brindisi era un suggello di fratellanza, attestato anche nei monasteri benedettini del IX secolo, talvolta usando lo stesso bicchiere, passato di mano in mano e il rifiuto del pasto poteva essere interpretato come segno di ostilità.

    Dopo il banchetto, al suono dell’orchestra, gli invitati potevano ballare per ore, oppure passare il tempo giocando a dadi, a bocce o a scacchi, già conosciuti fin dal IX secolo, lasciando le dame ritirarsi nelle loro stanze per ricamare, filare o conversare, narrandosi storie.

    Il banchetto

    Il banchetto dei nobili si svolgeva in un’ampia sala da pranzo che consentiva degli intermezzi di recitazione e spettacolo, dove apparivano animali fantastici, mimi, musici, cantori, giocolieri, ammaestratori d’orsi e buffoni, incaricati di allietare l’umore degli invitati e intervallare con sapienza i servizi, gruppi di portate, posti allo stesso tempo sulla tavola seguendo un preciso schema scelto dal cuoco, determinato dal colore o dal gusto, dando sfogo alle sue capacità artistiche.

    L’apparecchiatura della tavola consisteva nel porre tovaglie profumate e sovrapposte, di colore diverso e intonate alle pietanze servite. Al termine di ogni servizio la tovaglia superiore era tolta e lo spettacolo continuava con colori e sapori diversi. I piatti di maiolica, peltro o argento non erano ancora diffusi, perciò gli invitati utilizzavano taglieri di legno o di stagno, rotondi o quadrati, sui quali posavano i cibi afferrandoli con le mani dai grandi piatti centrali. La forchetta farà il suo ingresso alla fine del Trecento e solo il cucchiaio di legno era presente sulla tavola, per sorbire le zuppe o gli umidi dalle scodelle. I commensali portavano con sé piccoli coltelli per tagliare la carne in bocconi. Brocche panciute di terracotta decorata ornavano la tavola, accanto a bicchieri dalla forma troncoconica oppure in coppe dall’interno decorato. L’uso dei tovaglioli per pulirsi le mani non era frequente e, dopo essersi lavati con acqua profumata alla fine di ogni servizio, si usava la tovaglia per asciugarsi.

    Il pranzo era un susseguirsi di numerose portate, dolci e salate, di carne e pesce, con prevalenza del gusto agrodolce. Le portate d’inizio erano delicate, con frutta o insalate, salse o torte farcite, seguivano crostini e creme, allo scopo di far riposare il palato. Per ultimi erano serviti gli stufati e i dessert, composti di formaggi, zenzero e spezie utili nel favorire la digestione e aromatizzare l’alito.

    Molti testi riportano di banchetti con più di venti o trenta servizi, ognuno dei quali con quattro o cinque portate, con una mole enorme di lavoro per renderli unici e stupire nella forma o nel gusto.

    La gente comune non poteva permettersi banchetti sontuosi, la tavola del contadino era presto fatta, spesso su cavalletti e non sempre con la tovaglia. Questa tavola d’occasione era tolta dopo il pasto e i convitati sedevano su cassoni, dentro i quali erano conservati alcuni cibi, il sale e il pane. Zuppe e verdure, polente e farinate, talvolta cacciagione e pesce, il tutto era cotto senza pretese e senza spezie.

    Si mangiava accanto al focolare, non in sale da pranzo, talvolta vicino anche agli animali domestici e da lavoro.

    Dall’inizio del XII secolo la differenza sociale era espressa negli ambienti aristocratici anche con la ricerca delle buone maniere. I primi testi europei di quel periodo erano poesie in latino, dirette ai giovani per istruirli a un corretto comportamento a un banchetto.

    Il Carmen, sopra riportato, illustra abbondantemente ciò che sarebbe potuto succedere se, per vostra sfortuna, il vostro vicino non fosse stato ben educato.

    Quali modi conviene

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