Seduzione brasiliana: Harmony Bianca
Di Tina Beckett
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Anteprima del libro
Seduzione brasiliana - Tina Beckett
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
To Play with Fire
Harlequin Mills & Boon Medical Romance
© 2014 Tina Beckett
Traduzione di Silvia Calandra
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2015 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3051-861-2
Prologo
Marcos non avrebbe voluto che suo padre se ne andasse. Ma se n’era andato lo stesso... proprio come ogni giorno.
Seduto nella polvere fuori dalla loro casa, controllò attentamente il carico che suo padre aveva portato il giorno prima. La plastica qui, il ferro lì, attento a non tagliarti... Un armadietto arrugginito che lui e suo fratello dovevano trascinare sulla pila. Marcos aveva già preso il cacciavite dallo zaino di suo padre per poterlo smontare.
Doveva cercare di fare più lavoro possibile prima che Papai tornasse a casa, perché Marcos avvertiva un forte dolore al petto quando vedeva le mani tremanti di suo padre e il suo sguardo spaventato quando si rendeva conto di non riuscire a tenere in mano gli attrezzi.
«Sta’ attento a tuo fratello.» Anche quella mattina aveva sentito quelle parole, come ogni giorno da quando aveva visto sua madre in quella strana cassa. Anche suo padre quel giorno gli era parso davvero spaventato. Marcos aveva provato solo tristezza e fame.
Così teneva sempre d’occhio Lucas mentre spostava i rottami da una parte all’altra. Lo vide che trascinava un bastone nella polvere, i piedi completamente neri. Aggrottò la fronte. Che fine avevano fatto le sue infradito? Lì era pieno di chiodi e di oggetti appuntiti. Ma Lucas non ascoltava mai. Avrebbe anche potuto ripeterglielo mille volte. Così gli si avvicinò, si tolse le scarpe e gliele indicò.
Lucas strinse le labbra, ma le infilò.
Si era arrabbiato, ma a Marcos non importava. Doveva solo controllare che non si facesse male.
E adesso doveva badare che anche suo padre non si facesse male.
«Dobbiamo muoverci.» Guardò il sole, che non era più tanto alto nel cielo. «Papai tra poco sarà qui.»
«Non m’importa.»
«Non è vero che non t’importa. Ti ho sentito stamattina. Hai detto quello che ho detto io.»
«Non è vero!» Lucas prese una bottiglia di plastica e la lanciò con forza.
Marcos non replicò. Ma prima che suo padre uscisse quella mattina aveva sentito dire a suo fratello che anche lui voleva fare il medico da grande per poterlo guarire.
«Voglio diventare il migliore medico del mondo» aveva sussurrato Lucas.
Papai aveva battuto le palpebre e poi se n’era andato come se non avesse creduto ai suoi figli. Ma Marcos ce l’avrebbe messa tutta. Suo padre avrebbe smesso di tremare e il suo sguardo spaventato sarebbe sparito.
Tutt’a un tratto udirono battere le mani tre volte e si sentirono gelare. Papai non batteva mai le mani per entrare. Solo gli estranei lo facevano.
Marcos si avvicinò all’alta staccionata e sbirciò tra le assi. Non era Papai. Era un uomo con l’uniforme grigia. «Polícia» mormorò.
Iniziò a tremare. Proprio come suo padre.
Poi l’agente di polizia si accovacciò e, sbirciando tra le assi, lo guardò dritto negli occhi.
1
Avrebbe potuto sentire cadere uno spillo.
Il dottor Marcos Pinheiro cominciò nella mente il lento e ritmico conto alla rovescia mentre aspettava che la paziente dall’altra parte della scrivania reagisse.
Le sue mani lentamente si strinsero sui braccioli della poltrona di pelle bianca.
Uno... due... tre... quattro... ci...
«Il tu... tumore non c’è più? È sicuro?»
Lui annuì. «L’ultima TAC non ha evidenziato altre formazioni tumorali. Graças a Deus, l’ipofisi è a posto. E anche il livello di ormoni è normale.»
«Graças a Deus» ripeté lei, facendosi un veloce segno della croce sul petto.
Cinquantanove anni, due figli e tre nipoti, Graciela Abrigo avrebbe potuto essere una qualsiasi dei numerosi pazienti che aveva visto nelle ultime settimane. Ma non lo era. E lui quella piccola preghiera di ringraziamento a Dio non la faceva spesso, soprattutto non quando parlava con i pazienti.
Ma Graciela era speciale. Aveva lavorato nell’orfanotrofio dove lui era cresciuto, aveva sopportato le scenate e le stupidaggini che aveva fatto dopo che gli avevano portato via suo fratello per darlo a una famiglia adottiva. Riusciva ancora a vedere il lampo di paura nei giovani occhi di Lucas quando erano andati a prenderlo.
«Tieni d’occhio tuo fratello.»
Sentì in bocca il sapore amaro della bile e deglutì con forza per mandarlo indietro. Non aveva più avuto notizie di Lucas. Nessuno con questo nome compariva sui registri delle adozioni in Brasile. Probabilmente gli avevano cambiato nome. Graciela gli aveva assicurato che era stato adottato da una brava coppia. Persone gentili. «Graças a Deus» lo aveva rassicurato lei con voce molto simile a quella che aveva appena usato.
Tuttavia, questa misteriosa famiglia non aveva voluto anche Marcos e avevano separato due fratelli che piangevano ancora la morte del padre avvenuta sei mesi prima.
Cercò di scrollarsi di dosso quella collera che riusciva ancora a turbarlo e a riportarlo indietro di ventinove anni.
Era tutto passato. Quegli anni erano lontani.
Sorrise, si alzò e girò intorno alla scrivania. Graciela c’era stata per lui come nessun altro. Ed era contento di essere riuscito in qualche modo a fare qualcosa per lei.
Perché Marcos Pinheiro pagava sempre i suoi debiti.
E manteneva le promesse.
Anche Graciela si alzò e lo abbracciò, gli mise le mani sulle guance e gli baciò quella destra, com’era consuetudine a San Paolo.
«Grazie, Markinho, di tutto» gli sussurrò, mentre qualcuno apriva la porta dello studio.
«Era un secolo che nessuno mi chiamava più così.»
«Per me sarai sempre il mio piccolo Markinho.»
Si girò per accompagnarla alla porta e il sorriso gli morì sul viso quando vide chi era entrato.
Al diavolo!
La sua mente cancellò il pensiero di Lucas e del passato. Sperava solo che lei non avesse sentito l’ultima frase di Graciela.
Perché Markinho non era l’immagine di sé che voleva proiettare ai suoi sottoposti. Soprattutto non a una certa americana esplosiva che era stata sotto di lui in molti sensi. Anche se, a dire il vero, lei era stata sopra di lui.
Ma si era trattato di un episodio che avrebbe preferito dimenticare.
Salutò la paziente, chiuse lentamente la porta e ci si appoggiò contro.
La dottoressa Maggie Pfeiffer. Gambe lunghe, curve appetitose... e un’efficienza algida e composta.
«Posso te ajudar?» Marcos parlava un inglese perfetto perché mentre studiava medicina si era reso conto che gli sarebbe stato utile nella vita e nella professione. Ma si rivolse a Maggie in portoghese, anche se lei, nonostante lavorasse in quell’ospedale da sei mesi, faceva ancora un po’ fatica con la lingua locale.
«Um...» Dopo un istante di esitazione, trovò la risposta. «Ho una domanda su uno dei nostri pazienti.»
Nostri.
Lui le aveva affidato lentamente maggiori responsabilità, soprattutto con i pazienti internazionali. Ed era stata una fortuna, perché così era riuscito a ritrovare un po’ di respiro... di tempo in cui non fosse costantemente consapevole del suo profumo, del suo accento morbido e sensuale. Il ricordo di lei a cavalcioni sopra di lui nei ristretti confini della sua auto gli provocò una stretta allo stomaco. Strinse i denti e sul labbro superiore gli si formarono piccole gocce di sudore al solo ricordo di quel giorno.
Dimentica, Marcos.
Per una frazione di secondo abbassò lo sguardo sulle dita di Maggie che inconsapevolmente giocherellavano con un bottone della camicetta di seta verde, proprio sotto il seno. Quel seno che aveva colmato le sue mani alla perfezione.
Accidenti.
Tornò a guardarla in faccia. «A quale paziente ti stai riferendo?»
«Ana Leandro.»
«Qual è il problema?» Lui si allontanò dalla porta e fece un passo verso di lei. Strizzò gli occhi quando vide Maggie arretrare e appoggiare il sedere al bordo della scrivania. Lei abbassò lo sguardo sulla superficie di legno e vi posò entrambe le mani, quasi sorpresa, facendogli rimbalzare nella mente ogni tipo di immagine.
Immagini sconce. Di lui. Di lei...
E della scrivania.
«Hai prescritto la fisioterapia una sola volta alla settimana. Non sarebbe il caso di intensificarla e renderla più aggressiva?»
Marcos chiuse gli occhi per cercare di ricordare la paziente e la sua diagnosi. Aveva sempre avuto una notevole memoria visiva, con un’incredibile capacità di memorizzare le informazioni. In casa loro non c’erano mai stati libri, perciò lui e suo fratello avevano sempre dovuto memorizzare le immagini.
Si chiedeva se Lucas ricordasse ancora...
Non importava. Importava solo che lui tenesse in allenamento la mente per la sua attività.
«Dov’è la cartella medica?» Era venuta a mani vuote ed era insolito da parte sua. Maggie era sempre efficiente. Non faceva mai un movimento inutile. Un rumore inutile. Solo le palpebre che si abbassavano piano mentre si piegava su di lui per l’ultima volta, la stretta delle sue mani sulle spalle e l’improvviso fremere del suo corpo lo avevano indotto a capire che aveva raggiunto il piacere. E la sua frieza, quella freddezza che sembrava così fuori posto in lei che aveva i capelli del colore delle braci ardenti, aveva reso l’esperienza ancora più eccitante.
Il suo corpo reagì ancora e tirò un respiro profondo in attesa che lei rispondesse.
«Adesso Ana è in fisioterapia. Potremmo andare insieme a trovarla.»
«Insieme...» Lui inarcò le sopracciglia. «Adesso?» Perché sentisse il bisogno di pungolarla era un mistero. Forse lo indispettiva la reazione che sembrava scatenare in lui ogni volta che gli era vicina.
Maggie socchiuse la bocca e si morse il labbro inferiore.
Allora, forse, lui non era l’unico a indirizzare i pensieri verso un pericoloso precipizio. E non andava bene, perché così la tentazione di tuffarsi da quel precipizio, portandola con sé, diventava irresistibile.
«Vorrei che andassimo a trovarla. Insieme.» Era chiaro. Voleva andarci con lui.
Peccato.
«Graciela era la mia ultima paziente di stamattina, perciò...» Posò la mano sulla maniglia della porta e l’aprì e i normali rumori caotici del reparto filtrarono all’interno e si riversarono su di lui.
Come sempre.
Il silenzio non gli era amico. Marcos era abituato ai rumori. Tanti. I suoi primi ricordi erano della casa nella favela, dove le pareti di lamiera non attutivano i rumori della vita... e della morte. E anche all’orfanotrofio, dove l’attività non cessava mai, il livello del rumore era sempre così elevato che gli rimbombava nelle orecchie.
Per questo, il suo essere taciturna e il suo modo ancora più taciturno di fare l’amore sembravano irreali... come se incarnasse una statua di marmo intagliata da uno scultore di talento. Cos’avrebbe detto del suo mondo? Del suo passato?
Non voleva pensarci.
«Dopo di te» le accennò, indicandole la porta.
«Allora vieni da lei?»
«Non sei qui per questo?» Marcos accennò un lieve sorriso.
Maggie arrossì. E il sorriso di lui si allargò. Se non altro aveva visto in lei una reazione. C’erano cose che neanche Maggie Pfeiffer riusciva a nascondere. L’increspatura dei capezzoli quando le aveva slacciato la camicetta e fatto scivolare le dita sulla pelle. Il calore umido che aveva scoperto tra le sue cosce snelle quando era entrato dentro di lei.
«Sì, certo.» Staccò i palmi dalla scrivania e se li passò sul tessuto della stretta gonna grigia, attirando di nuovo la sua attenzione su aree