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La via per la felicità: Harmony Bianca
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La via per la felicità: Harmony Bianca
E-book160 pagine2 ore

La via per la felicità: Harmony Bianca

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Info su questo ebook

Madeleine: Mi sono trasferita a Seattle per la-sciarmi alle spalle il passato e un marito violento. Lui però mi ha trovato anche qui e solo l'intervento del dottor McBride ha evitato che accadesse il peggio a me e alla mia bambina. Kaleb mi ha salvato la vita due volte. E forse il suo amore potrebbe salvare anche la mia famiglia.



Kaleb: Da anni ormai ho imparato a convivere con il senso di colpa e la solitudine e non ho mai rimpianto le scelte che ho fatto. Tuttavia l'arrivo di Maddy ha portato una ventata d'aria fresca nella mia vita, una gioia con cui non sono ancora pronto a fare i conti. Ma in questi giorni ho imparato che la strada per sconfiggere le mie più grandi paure non è rinunciare alla felicità ma abbandonarmi a essa senza riserve.
LinguaItaliano
Data di uscita20 ott 2017
ISBN9788858971369
La via per la felicità: Harmony Bianca

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    Anteprima del libro

    La via per la felicità - Tina Beckett

    1

    Kaleb McBride odiava lo smoking.

    Lo indossava soltanto quand'era strettamente necessario, come quella sera.

    Scendendo di corsa i gradini del Seattle Consortium Hotel si sforzò di non guardare negli occhi quelli che incontrava. Da qualunque parte si girasse, vedeva soltanto gente in maschera. Ma non era Halloween e tutte quelle persone in costume lo confondevano. Riuscì a malapena a evitare un vampiro, che emise un sibilo mentre gli passava accanto.

    Se l'ospedale non avesse accettato di fornire assistenza medica agli ospiti dell'albergo, probabilmente quella sera non sarebbe stato lì.

    Una festa in maschera con costumi disegnati da stilisti. Chi poteva aver ideato una cosa del genere?

    L'addetto alla porta lo salutò con un cenno del capo, facendolo entrare nell'atrio. «È nel salone accanto alla reception.»

    Doveva riferirsi alla paziente. La ragione per cui Kaleb aveva abbandonato il ricevimento al quindicesimo piano, organizzato dall'ospedale per raccogliere fondi e dove ancora si svolgevano le danze. Per fortuna c'erano le emergenze mediche.

    Si precipitò nel salone che gli era stato indicato. Distesa sul pavimento, accanto a un gruppo di vasi con delle piante, c'era una donna vestita completamente di nero.

    Quel giorno nell'hotel si svolgeva un altro evento in maschera. Uno dei due era una faccenda seria, mentre l'altro aveva un'aria alquanto surreale, anche se forse era più divertente.

    Jacques, il direttore dell'hotel, se ne stava in ginocchiato di fianco alla donna, riversa a faccia in giù. Lei indossava una sorta di body nero, abbinato a un paio di stivali a tacco alto. Era caduta dai tacchi? Dietro aveva attaccata una specie di coda.

    Jacques guardò Kaleb che si avvicinava, mostrandosi decisamente sollevato. «Penso sia andata in iperventilazione.»

    La paziente emise un suono soffocato.

    «Dobbiamo girarla.»

    Aveva il capo ricoperto da una maschera nera di lattice, che lasciava vedere soltanto gli occhi e un paio di labbra rosse. In cima alla testa spuntavano due orecchie da gatto.

    Si tratta di un gatto molto sexy.

    Il respiro si stava facendo sempre più ansimante, ma Kaleb non riuscì a individuare la cerniera per aprire la maschera. Un paio di occhi verdi spaventati lo stavano fissando, mentre il petto della donna si alzava e si abbassava a intermittenza.

    «Sarà necessario tagliare la maschera.»

    L'affanno si placò per un momento, riprendendo subito dopo. «No!» gridò lei con un colpo di tosse. «... mia sorella... mi ucciderà.»

    Sorella? Al diavolo la sorella. A Kaleb venne spontanea una domanda. «Soffre di asma?»

    «Sì.» Il respiro si fece più affannoso. «Ho... il broncodilatatore... Nella borsa... Alla reception.»

    Alla reception?

    «Alcuni degli ospiti hanno preferito lasciare le borse alla reception, per non tenerle con loro tutta la serata» spiegò Jaques. Poi abbassò lo sguardo. «Ha il numero del talloncino?»

    La donna scosse la testa, sforzandosi di respirare. Poi armeggiò con le dita nella cintura del costume. Kaleb notò un'apertura. Le spostò le mani e vide se riusciva a trovare qualcosa. Estrasse un pezzetto di carta. «Ecco.»

    Jacques lo afferrò e raggiunse velocemente la reception. In meno di un minuto ritornò con in mano una borsetta nera.

    Senza aspettare, Kaleb rovistò all'interno e ne estrasse un oggetto dalla forma familiare. «Trovato.» Aprì la bomboletta e l'agitò un paio di volte.

    Di nuovo un colpo di tosse.

    Leggermente a disagio, avvicinò la bomboletta alla bocca della donna, che subito la prese con le labbra.

    Mentre lui ne spruzzava il contenuto, si rese conto di quanto facesse caldo lì dentro. Sentiva il sudore scendergli lungo il viso e sul collo. La stanza era sovraffollata e si meravigliò che nessun altro avesse avuto un malore.

    Il respiro della donna stava già riprendendo un ritmo normale. «Sta funzionando...» affermò la paziente in un sussurro. Lo fissò per un istante e distolse subito lo sguardo.

    Lui sentì un tuffo al cuore e si schiarì la gola. «Dobbiamo cercare di togliere la maschera, per permetterle di respirare meglio.»

    Lei sembrò fare un cenno di assenso.

    «Esiste una cerniera?»

    «Una chiusura a velcro. Sul retro...» Aveva ancora la bomboletta in mano. «Mi spiace. Non ce l'ho fatta ad arrivare alla reception, per prendere la borsa. Altrimenti me la sarei sicuramente cavata da sola.»

    Poteva immaginarlo. Farsi strada tra la folla con quei tacchi alti sarebbe già stata un'impresa in condizioni normali, figuriamoci con un attacco d'asma...

    Ora che la crisi era quasi passata, Kaleb notò che intorno a loro si erano radunate altre persone. Stanno aspettando di scoprire chi si nasconde sotto quel costume?

    Un brivido di anticipazione gli percorse il corpo.

    Non è il momento, Kaleb... Aiutò la donna a sedersi con la schiena dritta e cercò dietro la testa l'apertura della maschera. Con delicatezza la sfilò, liberando finalmente il viso della sconosciuta, ma si fermò di colpo, trattenendo il fiato.

    Non può essere lei. Eppure... A meno che non avesse una sosia. «Madeleine?»

    Dai riccioli rossi, appiattiti solo leggermente dalla maschera, allo sguardo di avvertimento negli occhi era chiaro di chi si trattasse. Una delle dottoresse dell'ospedale, collega di Kaleb.

    La Madeleine Grimes che lui conosceva, però, non avrebbe mai indossato un costume come quello.

    Prima che lui riuscisse a pronunciare una sola parola, lei fece un cenno di assenso. «È una storia lunga.»

    «Immagino.»

    «Esattamente.»

    Lui sbatté le palpebre confuso. «Scusa?»

    «Niente. Mia sorella pensava che avrei fatto bene a venire. In un certo senso mi ha sfidato a farlo... Ha organizzato un...» abbassò la voce e lo sguardo, «... appuntamento al buio.»

    Appuntamento al buio? Ma dallo sguardo che lei subito gli lanciò, capì che era meglio non fare commenti.

    Con la maschera non avrebbe nemmeno visto l'aspetto di quell'uomo... O forse era proprio quello il punto. Si sarebbe lasciata coinvolgere in qualche strano gioco...

    La Madeleine Grimes che conosceva era un tipo serio e distaccato, non certo... Non aveva idea di come la sorella l'avesse convinta a indossare quel costume così sexy e ad aggirarsi furtivamente per il salone in cerca del compagno. Né riusciva a immaginare come Madeleine avesse potuto accettare la sfida.

    Improvvisamente sentì il bisogno di saperne di più.

    «Conoscevi il nome della persona che avresti incontrato?»

    «Sì. Max Hayward» mormorò lei, distogliendo lo sguardo. «Ma alla reception mi hanno detto che non c'era. Probabilmente mi ha fatto un bidone. Non che io non abbia pensato di fare lo stesso...» Diede un'alzata di spalle. «Lo considererò come un segno del destino. Lascerò alla reception un biglietto, dicendo che sono dovuta andar via.»

    «Mi sembra una buona idea.»

    «Lo penso anch'io.» Madeleine fece un respiro e gettò indietro la testa. L'attacco d'asma era scomparso. «Accidenti, muoio dalla voglia di togliermi questo costume.» Cominciò a sfilarsi uno dei lunghi guanti neri, mettendo in mostra la carnagione chiara. Poi si sfilò l'altro guanto.

    Kaleb s'irrigidì di colpo. Piantala. Non si spoglierà di fronte a tutta questa gente... Il netto contrasto tra la Madeleine che conosceva in ospedale e quella che aveva davanti lo aveva messo sottosopra. Si sforzò di riflettere razionalmente. «Anche tua sorella lavora in ospedale?»

    «No» replicò lei divertita, riponendo l'inalatore nella borsa. «Disegna costumi. È una delle ragioni per cui ho accettato di venire. Avrei dovuto pubblicizzare il suo lavoro.»

    «C'è un mercato per...?» Kaleb indicò il vestito con un gesto della mano.

    «Guardati intorno. Dal teatro, al cinema, alle recite scolastiche, c'è sempre domanda di costumi ben fatti e innovativi.» Madeleine si passò una mano tra i capelli, scompigliandoli fino a farli apparire una massa ribelle, ma incredibilmente seducente. Poi sollevò uno dei guanti. «Ma questo è il regno di Roxy, non il mio.»

    Roxy. Un nome adatto per una persona capace di creare quel costume.

    «Quindi in un certo senso tua sorella ti ha costretta?»

    «Sostiene che dovrei lasciarmi andare. Secondo lei non avrei resistito due minuti in un posto come questo.»

    «Ed è andata così?»

    «Sì. Non sarei rimasta più di un'ora, se qualcosa nel costume non avesse scatenato quell'attacco d'asma.»

    Kaleb le sorrise e si alzò in piedi, offrendole la mano che lei accettò di buon grado. «Per quanto tempo avresti dovuto rimanere, invece?»

    «Fino alla fine della festa. Ma sicuramente Roxy non può accusarmi di averla tradita.»

    Di nuovo Kaleb s'irrigidì. Forse perché la moglie lo aveva tradito, facendolo sentire un vero idiota. Così aveva finito per nascondere il proprio dolore dietro una maschera, proprio come Madeleine aveva nascosto la propria identità.

    «Vuoi passare in ospedale per un controllo, prima di continuare la serata?» le domandò, lasciandole andare la mano e accingendosi a salutarla, cosa che avrebbe già dovuto fare.

    «Penso che vada bene così» replicò lei, accennando un sorriso, che mise in mostra il bianco dei denti. Di solito era sempre compassata... Quella sera era come un sogno senza senso.

    In quella sala piena di gente mascherata e con la testa di gatto afflosciata accanto a quella donna così bella, Kaleb si sentiva fuori posto.

    Lei afferrò la maschera. «In ogni caso ti ringrazio. Immagino che avrei fatto meglio ad andare alla raccolta fondi dell'ospedale, ma gli eventi affollati...» s'interruppe, mordendosi il labbro e arrossendo fino alla cima dei capelli.

    Di nuovo Kaleb le sorrise. «Non ti piacciono gli eventi affollati, eppure sei qui...»

    Lei scoppiò a ridere e quel suono gli penetrò fin nelle viscere. Era un suono ricco e melodioso, che riuscì a eccitarlo. Lei sollevò i palmi, come se stesse pesando le due alternative. «Camicie imbalsamate o completa finzione? Non saprei proprio cosa scegliere...»

    Lui avrebbe voluto sentire di nuovo quella risata e le si fece più vicino. «Vorrei portarti di sopra, per mostrarti quello che ti stai perdendo...» Ma quando lei spalancò gli occhi, si rese conto di come poteva esserle suonata quell'affermazione. «Intendo alla festa che si sta svolgendo al quindicesimo piano.»

    «Oh, capisco.»

    C'era del disappunto in quell'esclamazione?

    È la tua fantasia, amico... «Che cosa ne dici di una tazza di caffè invece? Vorrei essere sicuro che quell'attacco d'asma sia veramente superato.»

    «È un'idea magnifica, ma non posso andare in giro vestita così. Dovrei prima andare a casa a cambiarmi.» Esitò un momento. «In casa ho del caffè...»

    «Si tratta di un invito?» le domandò lui con un sorriso.

    «Be', io... voglio dire, se vuoi venire, per me va bene. In questo momento non c'è nessuno.» Scosse la testa. «Be', c'è il gatto... e mia sorella è...» La sua voce si affievolì.

    «Tua sorella è in casa? Con il gatto?»

    «No.» Di nuovo quei denti bianchi che mordevano il labbro inferiore.

    «Ma c'è il caffè. E anche il gatto, giusto?»

    «Sì. Perché non ti fermi per una tazza di caffè? È il minimo che posso fare per ringraziarti.»

    «Non devi ringraziarmi, ma accetto volentieri. Soprattutto se rifiuti di passare in ospedale a farti controllare.» Qualcosa gli diceva che avrebbe dovuto andarsene nella direzione opposta, verso la sicurezza rappresentata dal quindicesimo piano.

    Ma vedere Madeleine con quel costume aveva fatto sorgere in lui il desiderio di scoprire se c'erano altre cose di lei che non sapeva. Quindi una tazza di caffè andava bene. Poi sarebbe ritornato alla vita di sempre.

    Seduta sul sedile di pelle dell'auto elegante del dottor McBride, Maddy si sentiva agitata. Quello che era stato per lo più un invito formale, che non si

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