Innocenti distrazioni: Harmony Destiny
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Info su questo ebook
Adam King ha tutto: potere, ricchezza, carisma. E un obiettivo molto chiaro, riportare la sua attività agli antichi splendori. Gina Torino rappresenta la chiave per ottenere quello che vuole e lui, sposandola, potrebbe realizzare tutti i suoi sogni. Ma non aveva previsto che Gina si rivelasse una distrazione tanto eccitante e che le notti insieme a lei sarebbero state le più infuocate della sua vita. Adesso Adam deve scegliere: perdere tutto quello per cui ha lavorato duramente o rischiare di perdere l'unica donna a cui ha donato il cuore.
Maureen Child
Maureen Child ha al suo attivo più di novanta tra romanzi e racconti d'amore. È un'autrice molto amata non solo dal pubblico ma anche dalla critica, infatti è stata nominata per ben cinque volte come migliore autrice per il prestigioso premio Rita.
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Anteprima del libro
Innocenti distrazioni - Maureen Child
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Bargaining for King’s Baby
Silhouette Desire
© 2008 Maureen Child
Traduzione di Roberta Canovi
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2009 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5899-594-5
1
«La tua è un’ossessione.» Travis King squadrò il fratello e sorrise. «E non in senso buono.»
«Sono d’accordo» convenne Jackson scuotendo la testa. «Perché è tanto importante per te?»
Fissando prima l’uno, poi l’altro dei suoi fratelli, Adam King attese qualche istante prima di rispondere; quando lo fece, usò il tono che di solito riservava ai propri dipendenti - quello che precludeva qualsiasi tipo di replica. «Abbiamo stabilito che dopo aver ereditato gli affari di famiglia da papà, ognuno sarebbe stato a capo della propria area di competenza.»
Aspettò, perché sapeva che i fratelli avevano altro da aggiungere. Ogni mese i tre si riunivano, al ranch di famiglia, nella vigna mandata avanti da Travis o su uno degli esclusivi aerei che Jackson possedeva e noleggiava ai vari miliardari del mondo.
La famiglia King aveva quote e azioni in talmente tanti campi diversi che la riunione mensile serviva ai fratelli per aggiornarsi reciprocamente su quanto era successo, sia in ambito lavorativo, sia in ambito personale. Anche se, riteneva Adam, alle volte ciò significava dover fronteggiare delle interferenze - a prescindere da quanto fossero bene intenzionate.
Sollevò il bicchiere di cristallo e fece roteare il brandy, studiando i riflessi che il fuoco del camino creava nel liquido ambrato. Sapeva che non ci sarebbe voluto molto per avere un commento, ed era certo che il primo a parlare sarebbe stato Travis. Un attimo dopo la sua ipotesi fu confermata.
«Certo, Adam, ognuno prende le decisioni che riguardano il proprio campo» ribadì infatti Travis dopo aver sorseggiato un merlot dei vigneti King, che preferiva sempre al brandy prediletto invece dal fratello maggiore. Rivolse un’occhiata a Jackson, che annuì. «Ciò non significa che non abbiamo una o due domande.»
«Potete avere tutte le domande che volete» replicò Adam. Si alzò e si avvicinò al camino, fissando le fiamme che guizzavano. «Però non aspettatevi delle risposte.»
Jackson intervenne per evitare che la conversazione degenerasse in discussione. «Non stiamo dicendo che non puoi fare ciò che vuoi del ranch, Adam» iniziò fissando gli occhi sul whisky irlandese che aveva nel bicchiere. «Solo ci piacerebbe capire perché è così importante per te riavere indietro ogni metro quadrato di terra dei possedimenti originari.»
Adam diede le spalle al fuoco, studiò i fratelli e sentì più forte che mai il legame che li aveva sempre uniti. Erano separati solo di un anno l’uno dall’altro e l’amicizia che avevano creato da bambini era più solida che mai. Non per questo, però, intendeva spiegare loro ogni decisione che prendeva: dopotutto, era sempre il maggiore, e Adam King non dava spiegazioni.
«Il ranch è mio» osservò semplicemente. «Se voglio che sia di nuovo intero, a voi cosa importa?»
«Niente» si affrettò a rispondere Travis prima che Jackson lo anticipasse. Si rilassò sulla poltrona di pelle, distese le gambe e posò il bicchiere sullo stomaco, fissando il fratello con occhi socchiusi. «Vogliamo solo sapere perché importa a te. Diavolo, Adam, il bis-bisnonno cedette quel lotto di venti acri ai Torino quasi sessant’anni fa; possediamo già metà della contea, perché quell’appezzamento è tanto importante?»
Perché aveva stabilito di ottenerlo e Adam non aveva mai rinunciato a niente: una volta presa una decisione, la portava a termine, punto e basta.
Il ranch era sempre stato importante per lui, ma negli ultimi cinque anni era diventato tutto e che fosse dannato se avesse rinunciato prima di rimettere insieme tutti i lotti.
Al di là dalle ampie finestre, la serata era buia e pesante, ravvivata soltanto dai piccoli aloni proiettati dalle luci che fiancheggiavano il vialetto di ingresso. Quella era la sua casa. La loro casa. E intendeva fare in modo che fosse di nuovo tutta nelle mani della famiglia King.
«Perché è l’unico pezzo mancante» rispose infine, ripensando agli ultimi cinque anni. Anni che aveva trascorso rimettendo insieme ogni scampolo di terra che aveva costituito il primo possedimento dei King, più di centocinquant’anni prima.
La famiglia si era stabilita in California ancora prima dell’inizio della corsa all’oro. Erano stati minatori, allevatori, contadini e costruttori navali. Negli anni, la famiglia era cambiata, si era evoluta coi tempi, esplorando campi differenti ed espandendo così la propria dinastia. Per generazioni i King avevano lavorato per ingrandire i possedimenti di famiglia - con una sola eccezione: il bis-bisnonno, Simon King, era stato più dedito al gioco d’azzardo che agli affari, e per pagare i suoi debiti aveva venduto parte di quanto aveva ereditato. Fortunatamente, chi era venuto dopo di lui si era aggrappato alla storia di famiglia con entrambe le mani.
Adam non sapeva se sarebbe riuscito a far capire ai fratelli il proprio bisogno - né era sicuro di volerci provare. Tutto ciò che sapeva era che aveva dedicato gli ultimi cinque anni della propria vita a rimettere insieme i pezzi del ranch e che non si sarebbe fermato finché il lavoro non fosse stato portato a termine.
«D’accordo, allora» intervenne Jackson rivolgendo a Travis una limpida occhiata che lo invitava a tacere. «Se è tanto importante per te, fa’ pure.»
Adam sbuffò. «Non ho bisogno del vostro permesso, ma grazie lo stesso.»
Jackson sorrise. Come al solito, il più giovane dei fratelli King era quasi impossibile da stuzzicare. «Buona fortuna coi Torino, comunque» aggiunse bevendo un sorso di whisky ed emettendo un sospiro teatrale. «Quel vecchio è attaccato con le mani e coi denti a tutto ciò che possiede.» La sua bocca si piegò in un sorriso. «Proprio come te, fratellone. Sal non si lascerà convincere tanto facilmente.»
Fu la volta di Adam di sorridere, prima di alzare il bicchiere in gesto di brindisi. «Qual era il detto preferito di papà?»
«Ogni uomo ha il suo prezzo» citò Travis, sollevando il proprio bicchiere. «Il trucco sta nel trovarlo nel modo più veloce possibile.»
Jackson scosse il capo, ma brindò insieme ai fratelli. «Salvatore Torino potrebbe essere l’eccezione che conferma la regola.»
«Assolutamente no.» Adam riusciva già ad assaporare la vittoria; non avrebbe certo permesso che un vicino testardo gli rompesse le uova nel paniere. «Anche Sal ha un prezzo. Da qualche parte.»
Gina Torino incastrò il tacco dello stivale sulla sbarra più bassa della staccionata di legno; incrociò le braccia sull’asse superiore e perse lo sguardo sul campo di fronte a lei. Il sole brillava in un cielo terso e azzurro, l’erba verde era rigogliosa e un piccolo puledro stava trotterellando dietro la madre.
«Visto, Shadow?» sussurrò alla cavalla. «Te l’avevo detto che sarebbe andato tutto bene.»
Certo, la notte prima Gina non ne era stata tanto sicura. Fare da levatrice a un cavallo che aveva allevato fin dall’infanzia l’aveva letteralmente terrorizzata. Quel giorno, però, poteva sorridere e godersi quel momento di felicità.
Con lo sguardo seguì la cavalla bianca e nera mentre si spostava pigramente nel recinto, il piccolo alle calcagna. I Gypsy erano i cavalli più belli che Gina avesse mai visto: le ampie spalle, il collo orgoglioso e le tipiche piume, lunghi peli delicati che svolazzano intorno agli zoccoli, avevano un aspetto meraviglioso. La maggior parte della gente, naturalmente, dava loro un’occhiata e li giudicava... Clydesdale in miniatura - ma i Gypsy erano una razza del tutto diversa.
Relativamente piccoli, ma robusti, in principio erano stati allevati da gente nomade che aveva dato loro il proprio nome. Erano abbastanza forti da trainare un carro, ma socievoli da essere considerati parte della famiglia, e incredibilmente affettuosi con i bambini e leali verso chi li accudiva.
I cavalli, per Gina, erano più che animali da allevare e vendere... erano parenti.
«Gli fai da mamma.»
Era storia vecchia - la madre sosteneva che lei passasse troppo tempo coi cavalli e troppo poco a cercare un marito. «Non c’è niente di male» rispose Gina senza voltarsi.
«Hai bisogno di figli tuoi.»
Gina roteò gli occhi, grata che la madre non potesse vederla. A Teresa Torino non importava quanti anni avessero i figli: se sgarravano, rischiavano una sculacciata tanto quanto l’avevano rischiata da piccoli. Se avesse avuto un po’ di sale in zucca, si disse Gina, se ne sarebbe andata come avevano fatto due dei suoi tre fratelli.
«Lo so che stai roteando gli occhi...»
Con un sorriso, Gina guardò alle proprie spalle. La madre era piccola, formosa e ostinata. I capelli neri si stavano ingrigendo e lei non si curava di tingerli, ricordando anzi a tutti quanti che aveva meritato quei capelli grigi. Aveva un mento testardo e agli acuti occhi marroni era raro sfuggisse qualcosa.
«Ti ho sentito parlare al telefono con Nick questa mattina» preferì cambiare argomento la figlia. «Va tutto bene?»
«Sì» rispose Teresa raggiungendola accanto alla staccionata. «Tua cognata è di nuovo incinta.»
Ah, ecco il motivo della ripresa mattutina. «Che bella notizia.»
«Già. Così fanno tre figli per Nick, due per Tony e quattro per Peter.»
I fratelli si stavano proprio impegnando al massimo per ripopolare il mondo dei Torino, rifletté con un sorriso. Adorava essere zia, naturalmente; solo avrebbe preferito che vivessero tutti più vicino, in modo da toglierle un po’ la pressione di dosso. Solo Tony viveva ancora al ranch, dando una mano al padre. Nick era in Colorado, ad allenare una squadra di football di un college e Peter era nella California meridionale, a installare software per aziende di sicurezza.
«Sei una nonna fortunata, con così tanti nipoti da viziare» considerò Gina.
«Potrei essere ancora più fortunata» ribatté la donna con un sospiro.
«Mamma...» Gina non riuscì a trattenere il proprio, di sospiro. «Hai otto nipoti e mezzo. Non hai bisogno che anch’io ne sforni uno.»
La madre aveva sempre sognato il giorno del suo matrimonio, il giorno in cui la sua unica figlia avrebbe percorso la navata della chiesa al braccio del padre. Il fatto che Gina non l’avesse ancora realizzato proprio non le andava giù.
«Non ti fa bene stare sola, Gina» ribadì battendo la mano sulla staccionata con tanta energia da farla vibrare tutta.
«Non sono sola. Ho te e papà, i miei fratelli, le loro mogli, i loro figli. Chi mai potrebbe essere solo in questa famiglia?»
Teresa, però, ormai era partita in quarta. Quando parlò di nuovo, il forte accento italiano colorò le sue parole.
«Una donna dovrebbe avere un uomo nella propria vita, Gina. Un uomo da amare e dal quale essere amata...»
Gina cominciò a irrigidirsi, anche se una parte di lei non poteva che trovarsi d’accordo con le parole della madre. Non è che avesse deciso di non sposarsi, di non avere figli - solo che le cose erano andate così. E non aveva intenzione di passare il resto della propria vita a