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Innamorarsi a Edimburgo (eLit): eLit
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E-book133 pagine1 ora

Innamorarsi a Edimburgo (eLit): eLit

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Info su questo ebook

Una valigia per... Edimburgo - Un autentico colpo di fulmine! Saul si è innamorato di lei la prima volta che l'ha vista. Farebbe di tutto pur di averla. E Shelley ha bisogno di qualcuno che sia al suo fianco... qualcuno di cui si possa finalmente fidare: oggi, domani, sempre.

Il fascino di Edimburgo è galeotto.
LinguaItaliano
Data di uscita30 set 2016
ISBN9788858959107
Innamorarsi a Edimburgo (eLit): eLit

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    Anteprima del libro

    Innamorarsi a Edimburgo (eLit) - Susanne Mccarthy

    successivo.

    1

    «E soffierò, e sbufferò, e ti butterò giù la casa... Ah, è arrivato papà, finalmente.» Shelley sollevò il capo dal libro di fiabe quando suonarono alla porta. «Deve essersi scordato le chiavi.»

    Emma, rincantucciata nel suo lettino insieme all'orsetto Fred, gorgogliò contenta. Il dentino che le stava tagliando la gengiva era finalmente spuntato, offrendole un po' di sollievo dopo giorni e giorni di tormento che l'avevano resa insolitamente capricciosa.

    Shelley sollevò la sbarra del lettino e la bloccò prima di correre di sotto ad aprire, la fronte solcata da una ruga sottile. Non era da Colin rincasare tardi, né dimenticare le chiavi; nelle sette settimane da che erano sposati, Shelley aveva constatato che Colin era preciso come un orologio svizzero.

    In fondo, era proprio di una persona così che aveva bisogno, rifletté, fermando una ciocca di capelli ramati dietro l'orecchio: una persona affidabile. Non poteva più permettersi di pensare solo a se stessa, ora che c'era anche Emma.

    «Sto arrivando!» gridò allorché suonarono di nuovo, con impazienza. Non era da lui neppure quello, rifletté mentre percorreva il corridoio e apriva la porta del disimpegno: Colin era l'uomo più placido ed equilibrato che lei avesse mai conosciuto.

    Solo che non era la sagoma di Colin quella che la luce dei lampioni delineava contro la porta a vetri, ma di qualcuno diversi centimetri più alto e dalle spalle più larghe. Per un attimo, Shelley esitò, poi inserì la catena, ringraziando mentalmente Colin per quell'elementare sistema di sicurezza che lei non si era mai preoccupata di usare prima, liquidandolo come un'inutile seccatura.

    «Signora Clarke?»

    Il cuore le batteva forte nel petto. Conosceva bene quella voce profonda, leggermente roca, e sbirciando da dietro la porta socchiusa riconobbe all'istante il profilo affilato. Saul Rainer, il capo di Colin.

    Lo aveva incontrato solo una volta, appena due settimane dopo che lei e Colin si erano sposati, in occasione del decimo anniversario della fondazione della compagnia, in uno dei locali notturni più in di Londra, affittato per i festeggiamenti. Shelley aveva ballato con lui: un ballo solo, perché era d'obbligo, avendo lui danzato con tutte le mogli dei suoi dipendenti e collaboratori. Era stato un incontro veloce, formale, che lui aveva probabilmente dimenticato nel giro di qualche minuto; ma lei no, malgrado i suoi sforzi, lei non lo aveva dimenticato.

    Che ci faceva ora lì, sulla soglia di casa sua, con il bavero del cappotto rialzato per proteggersi dalla pungente pioggerellina?

    «Posso entrare, signora Clarke?» domandò, la voce di chi era abituato a essere obbedito.

    Lei esitò ancora; poiché Colin non era in casa, avrebbe preferito non accoglierlo. Ma quello era Saul Rainer, dopotutto, capo di una delle compagnie private più prestigiose d'Inghilterra; non poteva lasciarlo fuori a inzupparsi di pioggia. Quindi, con riluttanza, sfilò la catena e aprì la porta, ritraendosi con mossa istintiva quando lui entrò nell'angusto ingresso.

    La sua presenza sembrò dominare lo spazio circostante. Non era solo la sua imponenza, per quanto fosse un uomo effettivamente molto alto; c'era qualcosa nella sua fredda aria sicura che sfiorava l'arroganza, qualcosa in quella sua indefinibile aura di potenza maschile che lei avrebbe preferito essere in grado di negare.

    Così come avrebbe voluto negare il tormento dolceamaro dell'illecita attrazione che sentiva per lui, ma era troppo onesta con se stessa per fingere che non ci fosse, forse persino più prepotente della sera in cui si erano conosciuti.

    Non si poteva assolutamente dire di lui che fosse un uomo bello secondo i canoni della bellezza classica, eppure i suoi lineamenti emanavano un fascino irresistibile. I capelli erano scurissimi e lisci, pettinati all'indietro a rivelare una fronte spaziosa. Gli occhi erano anch'essi scuri, lucenti sotto le folte sopracciglia, occhi penetranti, misteriosi. Il naso era aquilino, e linee profonde lo segnavano ai lati della bocca, una bocca serrata, apparentemente non incline al sorriso.

    L'uomo si guardò intorno, e l'espressione truce che gli attraversava il viso mise Shelley in allarme. «Qualcosa... che non va?» chiese a scoppio ritardato. «È successo qualcosa a Colin?»

    «Speravo che potesse darmi lei la risposta, signora Clarke» replicò lui, in tono grave. «Sa dov'è suo marito?»

    «No.» Shelley scosse la testa, confusa. «Di solito torna a casa dal lavoro intorno alle sette.» Un'occhiata all'orologio le chiarì che erano ormai quasi le otto.

    «Oggi non si è proprio presentato in ufficio... né ha telefonato per giustificarsi o per avvisare di un eventuale malanno.»

    «Non capisco» mormorò lei, sempre più perplessa. «Non è malato. Almeno... so che sta lavorando sodo ultimamente.» Lanciò un'occhiataccia a Saul Rainer. «Da quando il responsabile amministrativo è in ospedale, Colin sta svolgendo il proprio lavoro e quello del collega, portandosi le carte a casa e restando alzato anche fino a mezzanotte.»

    Saul sollevò un sopracciglio con aria sardonica. «Davvero? Non mi ha mai detto di avere delle difficoltà.»

    Qualcosa nel tono della sua voce la insospettì. «Che cosa intende dire?»

    Lui parve esitare una frazione di secondo prima di rispondere. «Manca del denaro da uno dei conti della società. Diciamo una bella somma di denaro. Naturalmente si tratterà di un errore... Come ha detto lei, Colin sta lavorando sodo ultimamente...» Ma la chiara implicazione era che lui dubitava di quella spiegazione.

    Colin che rubava soldi al suo datore di lavoro! L'idea era assurda. Gli occhi verdi di Shelley gli gettarono uno sguardo di severa indignazione. «Non penserà che...?» Un deciso lamento dal piano di sopra le impedì di concludere. «Oh, mi scusi... Prego, si accomodi in soggiorno, da questa parte.» Aprì la porta e lo invitò a sedersi. «Vado a controllare Emma e sono subito da lei.»

    Shelley corse in fretta di sopra, grata per quella pausa. Non doveva lasciarsi turbare così dalla sua presenza, si rimproverò. Era una donna sposata, e con una bimba piccola. Ma era una reazione che non poteva controllare.

    La cameretta della figlia era al secondo piano di quella vecchia casa. Ricordava ancora con quanto entusiasmo lei e Luke l'avessero ristrutturata, due anni prima, scegliendo insieme la carta da parati con gli orsetti per la stanza di Emma.

    La bambina era in piedi nel lettino, e il pianto si trasformò in un sorriso radioso quando apparve Shelley. Luke non era vissuto abbastanza da vedere sua figlia crescere, rifletté lei con una traccia di amarezza; non aveva che sei settimane quando un idiota, sbucando a folle velocità da uno svincolo, aveva scaraventato il motociclista sulla doppia carreggiata intensamente trafficata.

    Shelley aveva vissuto diciotto mesi di atroce solitudine prima di incontrare Colin. Non era stato proprio amore a prima vista, ma lui si era mostrato gentile, divertente, e pieno di attenzioni verso Emma. Lei era rimasta piuttosto sorpresa quando lui le aveva proposto di sposarlo dopo poco che si conoscevano, e Colin stesso si era dichiarato incredulo di fronte al suo inaspettato stordimento amoroso.

    In realtà, sulle prime Shelley non era sicura che quella fosse una buona idea; aveva persino avvisato Colin che forse lei non sarebbe mai più stata in grado di provare lo stesso sentimento che l'aveva legata a Luke. Ma lui l'aveva persuasa che non aveva importanza, che avrebbero benissimo potuto costruire un matrimonio basato sull'amicizia, sulla fiducia reciproca e sul rispetto. E appena sei settimane dopo avevano salito insieme le scale dell'ufficio del registro per ridiscenderle qualche minuto più tardi come marito e moglie.

    Erano scivolati ben presto in una piacevole routine di vita di coppia, una routine destinata a infrangersi quella sera con il ritardo di un'ora di Colin e la visita del suo capo, che era di sotto, seduto sul divano colorato, e gettava insinuanti illazioni che non potevano avere nulla a che vedere con la persona prosaica e prevedibile che era suo marito.

    Shelley prese Emma in braccio. Chissà quanto tempo avrebbe impiegato per farla riaddormentare, e non poteva lasciare Saul Rainer in salotto da solo. «Bene, frugolino, abbiamo deciso di stare alzati fino a tardi» mormorò, posando un bacio sui riccioli biondi della figlia. «Andiamo giù a sentire cosa ha da dirci quell'uomo orribile sul conto di papà Colin.»

    Nel voltarsi, sbirciò la propria immagine riflessa nello specchio dell'armadio. Per far piacere a Colin, di solito vestiva in maniera semplice e convenzionale e portava la chioma selvaggia raccolta dietro la nuca. Quella sera, però, era ritornata al suo vecchio stile, nero rigoroso, che aveva quasi dismesso da quando non era più la diciassettenne ribelle che cercava di emergere dagli asfittici valori provinciali che la sua matrigna aveva cercato di inculcarle. Aveva indossato una dolcevita nera a costine, una minigonna nera e dei collant opachi, il tutto ravvivato da un paio di vistosi orecchini d'argento che le sfioravano le spalle. I capelli rossi erano tirati su, in maniera molto morbida, con ciocche cascanti sulle spalle, secondo un'acconciatura un po' pre-raffaellita, mentre le unghie erano laccate di un'intrigante tonalità di porpora.

    Il viso che la guardava dallo specchio era pallido, con lineamenti delicati. Gatta, la chiamava Luke, per i suoi occhi verdi dal taglio allungato. Ma Luke non c'era più, e lei si era ripromessa di non pensare più al passato quando aveva accettato di sposare Colin.

    E ora Colin era accusato di chissà quale infamia. Dove diavolo si era cacciato? Era il tipo che faceva una tragedia di un piccolo errore. Era fuori, da qualche parte, sotto la pioggia, con la paura di tornare a casa? Shelley poteva solo sperare che non avesse commesso qualche sciocchezza...

    Per lo meno, la preoccupazione l'avrebbe munita di una corazza contro l'effetto snervante che Saul Rainer esercitava su di lei, tentò di rassicurarsi mentre portava Emma di sotto; e tuttavia dovette ugualmente fermarsi e trarre un ampio respiro prima di aprire la porta.

    Lui sembrava decisamente fuori luogo in quella stanza arredata badando più

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