Scommessa all'altare: Harmony Collezione
Di Jennie Lucas
5/5
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Info su questo ebook
Kassius Black è rinato dalle ceneri della sua drammatica infanzia spinto solo dal desiderio di vendetta nei confronti del padre. Impossessatosi quasi completamente dei beni dell'uomo, ora gli manca soltanto il tocco finale: una moglie e un figlio che il vecchio genitore non potrà mai conoscere. Laney Henry è la candidata perfetta al ruolo di consorte: Kassius le propone così una scommessa che sa di aver già vinto in partenza, certo di non avere nulla da perdere. Ma forse non è proprio così...
Jennie Lucas
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Scommessa all'altare - Jennie Lucas
successivo.
1
«Dovrei licenziarti subito, Laney.» Il suo capo la guardò in cagnesco. «Chiunque vorrebbe il tuo lavoro. E tutti meno stupidi di te!»
«Mi dispiace!» Laney May Henry aveva le lacrime agli occhi vedendo il caffè bollente che aveva appena rovesciato sulla costosa pelliccia bianca del suo capo appesa allo schienale della sedia. Protendendosi in avanti, cercò disperatamente di pulire la macchia con l'orlo della camicia di cotone bianca. «Non è stata...»
«Non è stata cosa?» Il suo capo, una contessa di origine americana dalla fredda bellezza, che era stata sposata e divorziata quattro volte, strizzò gli occhi truccati con cura. «Che cosa cerchi d'insinuare?»
Non è stata colpa mia. Tuttavia Laney sapeva perfettamente che sarebbe stato inutile spiegare al suo capo che la sua amica le aveva fatto di proposito lo sgambetto mentre portava il caffè. Inutile, perché la contessa aveva visto tutto e aveva riso con l'amica mentre Laney inciampava con un rumoroso gulp, finendo lunga distesa sul tappeto del sontuoso appartamento di Monaco. Per il suo capo era stato solo uno scherzo divertente... finché non aveva visto che il caffè era finito sulla lunga pelliccia.
«Ebbene?» domandò Mimi du Plessis, contessa de Fourcil. «Sto aspettando.»
Laney abbassò gli occhi. «Mi dispiace, signora contessa.»
Mimi si rivolse all'amica, vestita da capo a piedi in Dolce e Gabbana, che era seduta all'altra estremità del divano di cuoio bianco, fumando. «È stupida, vero?»
«Molto stupida» convenne l'amica, emettendo con raffinatezza un anello di fumo.
«Oggigiorno è così difficile trovare un aiuto valido.»
Mordendosi il labbro, Laney fissò il tappeto bianco. Due anni prima era stata assunta per tenere in ordine il guardaroba di Mimi du Plessis, seguire i suoi impegni sociali e fare commissioni, ma ben presto aveva scoperto perché lo stipendio era così buono. Era disponibile giorno e notte e doveva sopportare i continui rimproveri del suo capo. Ogni giorno, durante quei due anni, aveva sognato di lasciare il lavoro e tornarsene a New Orleans. Ma non poteva. La sua famiglia aveva un disperato bisogno del denaro, e Laney amava la propria famiglia.
«Prendi la pelliccia ed esci di qui. Non sopporto di vedere quel tuo faccino patetico un minuto di più. Portala in tintoria e il cielo ti aiuti se non sarà pronta prima del gala di Capodanno di stasera.» La contessa tornò a rivolgersi all'amica, riprendendo la conversazione di prima. «Credo che finalmente stasera Kassius Black farà la sua mossa.»
«Davvero?» domandò con interesse l'amica.
La contessa sorrise, come un gatto persiano compiaciuto davanti a una ciotola di costosissima panna. «Ha già sperperato milioni di euro in donazioni anonime al mio capo, ma la sua società fallirà comunque entro l'anno. Finalmente ho detto a Kassius che se vuole la mia attenzione, deve smettere di gettare via denaro e invitarmi semplicemente a uscire con lui.»
«E lui che cos'ha risposto?»
«Non l'ha negato.»
«Quindi ti porterà al ballo stasera?»
«Non esattamente...» La contessa scrollò le spalle. «Ma ero stanca di aspettare che facesse la sua mossa. È evidente che deve essere follemente innamorato di me. E io sono pronta a sposarmi di nuovo.»
«Sposarti?»
«Perché no?»
L'amica torse le labbra. «Tesoro, sì, Kassius Black è maledettamente ricco e affascinante, ma chi è? Da dove viene? Chi è la sua famiglia? Nessuno lo sa.»
«E a chi importa?» Mimi du Plessis, che amava vantarsi di poter rintracciare la storia della propria famiglia non solo fino al Mayflower, ma a Carlo Magno, liquidò la cosa con una scrollata di spalle. «Sono stanca di aristocratici senza un dollaro. Il mio ultimo marito, il conte, mi ha dissanguata. Certo, ho ottenuto il suo titolo, ma dopo il divorzio mi sono dovuta trovare un lavoro. Io! Un lavoro!» Rabbrividì per l'indignazione, poi s'illuminò. «Ma quando sarò la moglie di Kassius Black non dovrò più preoccuparmi di lavorare. È il decimo uomo più ricco al mondo!»
L'amica emise un altro anello di fumo. «Nono. I suoi investimenti immobiliari sono esplosi.»
«Meglio ancora. So che cercherà di baciarmi a mezzanotte. Non vedo l'ora. E soddisferebbe qualunque donna a letto...» Il suo viso affilato si contrasse quando vide Laney, che esitava ancora con aria infelice accanto al divano, con la pesante pelliccia sulle braccia. «Be'? Che cosa fai ancora lì?»
«Mi dispiace, madame, ma mi serve la sua carta di credito.»
«Darti la mia carta di credito? Stai scherzando. Paga di tasca tua. E portaci altro caffè. Sbrigati, idiota!»
Sotto il peso della pelliccia bianca, Laney prese l'ascensore per scendere e attraversò faticosamente l'atrio dell'elegante Hôtel de Carillon sulla via più costosa di Monaco, piena di boutique esclusive, che dava sul famoso Casinò di Monte Carlo e sul Mar Mediterraneo. Mentre usciva, il portiere le rivolse un sorriso incoraggiante. «Ça va, Laney?»
«Ça va, Jaques» rispose, sforzandosi di sorridere. Ma le nubi grigie sembravano grevi come il suo cuore.
Aveva appena smesso di piovere. La strada era bagnata, così come le costose auto sportive che passavano accelerando e i turisti fradici che si affollavano sul marciapiede. Verso la fine di dicembre, i pomeriggi invernali erano brevi e le notti erano lunghe. Ma questo accresceva il fascino di Capodanno. La gente, soprattutto i ricchi proprietari di yacht, amava trascorrere quel periodo a Monaco per i suoi ricevimenti esclusivi, le boutique e i ristoranti di fama mondiale.
Laney si consolò, pensando che almeno la pioggia era cessata. A parte la preoccupazione di bagnare la pelliccia, era corsa fuori dall'edificio troppo in fretta per afferrare il cappotto, e indossava solo una semplice camicia bianca, ampi pantaloni color cachi e zoccoli, con i capelli raccolti in una coda di cavallo: l'uniforme dei domestici. L'aria era umida e fredda e il sole era debole. Rabbrividendo, tenne stretta fra le braccia la pelliccia, sia per proteggerla dagli schizzi delle auto di passaggio, sia per scaldarsi.
Non le piacevano le pellicce del suo capo. Le ricordavano troppo gli animali che aveva amato allevare a casa della madre fuori New Orleans, i dolci e vecchi cani da caccia e i gatti orgogliosamente indipendenti. Erano stati il suo conforto durante alcuni giorni difficili dell'adolescenza. Quel pensiero le ricordò tutto il resto che le mancava di casa. Un nodo le serrò la gola. Non vedeva la sua famiglia da due anni.
Non pensarci. Inspirò profondamente. La pelliccia che teneva fra le braccia era grossa e ingombrante mentre Laney era minuta, così se la mise sulla spalla per cercare con lo smartphone la tintoria più vicina.
All'improvviso fu urtata da un folto gruppo di turisti che procedevano tumultuosamente, seguendo alla cieca la loro guida. Laney perse l'equilibrio, inciampò nel cordolo del marciapiede e cadde in avanti sulla strada. Girandosi con un gemito, vide come al rallentatore un'auto sportiva rossa che le arrivava addosso.
Ci fu uno stridore di freni e Laney pensò con rimpianto che stava per morire, a venticinque anni, lontana da casa e da tutti coloro che amava, tenendo la pelliccia sporca del suo capo, investita da un'auto. Avrebbe voluto poter dire un'ultima volta alla nonna e al padre che li amava...
Chiuse gli occhi e trattenne il fiato, sentendo l'impatto. Fu scaraventata sul cofano dell'auto, poi cadde su qualcosa di soffice. Le mancò il respiro e tutto divenne buio.
«Dannazione a lei, dove aveva la testa!»
Era una voce maschile. Non sembrava nemmeno la voce di Dio, quindi non poteva essere morta. Laney aprì lentamente gli occhi.
Un uomo torreggiava su di lei e la guardava dall'alto. Il suo viso e il suo corpo erano in ombra, ma era alto e dalle spalle ampie. E appariva furioso.
Una folla si radunò intorno a loro mentre l'uomo s'inginocchiava accanto a lei.
«Perché è piombata così sulla strada?» L'uomo aveva gli occhi e i capelli scuri ed era bellissimo. «Avrei potuto ucciderla!»
Laney lo riconobbe di colpo. Tossendo, si sollevò bruscamente a sedere, ma fu colta dalle vertigini e si portò la mano alla testa, con un senso di nausea.
«Attenta, dannazione!»
«Kassius... Black» mormorò con voce lugubre.
«Ci conosciamo?» domandò lui.
Perché avrebbe dovuta conoscerla? Lei non era nessuno. «No...»
«È ferita?»
«No» sussurrò Laney, poi vide che la pelliccia aveva attutito l'impatto contro l'asfalto come un morbido cuscino. Incredula, toccò il muso della costosa auto sportiva che premeva contro la sua spalla. Doveva essersi fermato su un francobollo.
«È sotto choc.» Senza chiederle permesso, lui le passò le mani sul corpo, in cerca sicuramente di ossa rotte. Laney fu percorsa da un'ondata di calore. Con il volto in fiamme, lo spinse via.
«Sto bene.»
L'uomo le rivolse un'occhiata scettica.
Laney cercò di sorridere. «Veramente.»
Con tutti i miliardari di Monaco, si era imbattuta in quello su cui aveva messo gli occhi il suo capo. Se la contessa avesse scoperto che Laney gli aveva causato dei problemi, oltre a tutto il resto...
Cercò di alzarsi.
«Aspetti» tuonò lui. «Prenda fiato. È una cosa seria.»
«Perché?» Laney gettò un'occhiata al paraurti lucente dell'auto. «Le ho danneggiato la Lamborghini?»
«Spiritosa.» La sua voce era secca. «Che cosa aveva in mente, gettandosi davanti alla mia auto?»
«Sono inciampata.»
«Avrebbe dovuto fare più attenzione.»
«Grazie.» Massaggiandosi il gomito, Laney fece una smorfia. Nelle due occasioni in cui aveva già incontrato quell'uomo, mentre pranzava con la contessa, aveva pensato vagamente che Kassius Black doveva essere un americano cresciuto in Europa, o forse un europeo cresciuto in America. Ma la sua voce aveva una strana inflessione che non corrispondeva a nessuna delle due teorie. In realtà, era un accento che conosceva bene. Ma era impossibile. Si massaggiò la fronte. La botta doveva essere stata più forte di quanto aveva pensato. «Cercherò di seguire il suo consiglio in futuro.»
Alzandosi in piedi, lui guardò la folla che si era radunata, formando un semicerchio intorno a loro. «C'è un dottore?» Nessuno si mosse, nemmeno quando ripeté la domanda in rapida successione in tre lingue diverse. Allora tirò fuori di tasca il telefono. «Chiamo un'ambulanza.»
«Ehm...» Laney si morse il labbro. «È gentile e tutto il resto, ma temo di non avere tempo per questo.»
Lui sembrò incredulo. «Non ha tempo per un'ambulanza?»
Laney controllò rapidamente se sanguinava o se aveva una gamba rotta, ma apparentemente era solo senza fiato e aveva un piccolo bernoccolo sulla fronte. «Sto facendo una commissione urgente per il mio capo.»
Con una smorfia, si alzò in piedi. Lui allungò la mano per aiutarla. Quando le loro mani si sfiorarono, Laney fu percorsa da una corrente elettrica che la fece tremare. Alzò lo sguardo su di lui. Era alto, bellissimo ed elegante nel completo scuro. In confronto lei doveva sembrare patetica.
Lasciò cadere la mano. «Be', grazie di avere fermato l'auto» borbottò. «È meglio che vada...»
«Chi è il suo capo?»
«Mimi du Plessis, contessa de Fourcil.»
«Mimi?» L'uomo s'avvicinò di colpo, scrutandola. Allora la riconobbe. «Aspetti. Adesso so chi è. Il topolino che scorrazza per l'appartamento di Mimi, in cerca delle sue pantofole e del suo telefono.»
Laney arrossì. «Sono la sua assistente.»
«Qual era questa commissione così importante per cui ha rischiato di morire?»
«Ma non sono morta.»
«È stata fortunata.»
«Fortunata.» Laney spinse indietro la testa. Da vicino era ancora più bello. Il viso aveva carattere, con un'interessante cicatrice su uno zigomo. Il naso aquilino era leggermente irregolare all'attaccatura, come se fosse stato rotto quando era giovane. Quell'uomo non era nato ricco, questo era certo. Non somigliava affatto ai ricchi playboy che Mimi aveva usato come fazzoletti di carta dopo il divorzio. Quest'uomo era un combattente. Perfino un delinquente, forse. E per qualche ragione, il suo sguardo la stordiva.
L'espressione di Kassius s'inasprì. «Allora, topolino, qual era la commissione così importante per cui era disposta a morire?» ripeté.
«La sua pelliccia...» Allora ricordò e, cercandola, emise un grido angosciato.
La