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Una modella per il milionario: Harmony Collezione
Una modella per il milionario: Harmony Collezione
Una modella per il milionario: Harmony Collezione
E-book153 pagine2 ore

Una modella per il milionario: Harmony Collezione

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Info su questo ebook

Belli, ricchi e impossibili. Un loro semplice sguardo è sufficiente a sbaragliare le difese di qualsiasi donna: sono gli uomini che chiunque vorrebbe avere al proprio fianco.



Libby Vincent, modella di fama internazionale, farebbe qualunque cosa pur di convincere Marco, giovane rampollo della famiglia Vincenzo, di essere molto diversa dal classico stereotipo della top model tutta gambe e niente cervello. Il problema è che Marco non ha alcuna intenzione di ascoltare quello che lei ha da dirgli. L'unica cosa di cui è convinto è che le donne come Libby sono disposte a tutto pur di ottenere ciò che vogliono.
LinguaItaliano
Data di uscita10 ago 2017
ISBN9788858970805
Una modella per il milionario: Harmony Collezione
Autore

Elizabeth Power

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    Anteprima del libro

    Una modella per il milionario - Elizabeth Power

    1

    «Ancora una, Blaze! Perfetto. Scuoti quei meravigliosi capelli e sorridi. Sorridi alla bambina. Ricorda, è tua figlia. Più in alto! Sollevala più in alto. Perfetto così!»

    Il complimento del cameraman era fasullo, esattamente come il suo rapporto con la bambina che teneva sospesa sopra la testa, pensò Libby. E come il soprannome che le avevano dato all’inizio della sua carriera di top model, dopo che qualcuno l’aveva notata a una sfilata benefica di moda.

    In fondo, che cosa importava alla stampa se lei era stanca di fingere? Se dietro alla sua bellezza, agli abiti e al trucco per promuovere una nuova ed esclusiva linea di creme che assicurava una pelle perfetta era semplicemente Libby Vincent? O meglio, Libby Vincenzo, si corresse con una smorfia; una ragazza di origini modeste che non poteva fuggire da ciò che era veramente, a prescindere da quanto ci provasse, o dal senso di colpa che la schiacciava ormai da lungo tempo.

    «D’accordo, basta così! Perfetto, tesoro!»

    Con un impercettibile sospiro, Libby abbassò le braccia, lieta che fosse tutto finito. Non avrebbe sopportato quella situazione un secondo di più.

    La stoffa della sua gonna da contadina le sfiorò le caviglie mentre attraversava il prato, e la bambina che teneva riluttante in braccio le afferrò la camicetta con la sua manina rosa.

    Libby venne sopraffatta da un desiderio così intenso che per un istante smise di respirare. In qualche modo riuscì a mascherare le proprie emozioni, e con un’espressione impassibile raggiunse la postazione di trucco dove gli altri la stavano aspettando.

    «Ecco» mormorò con un nodo in gola mentre restituiva alla madre la piccola, la quale, percependo la tensione di Libby, iniziò a piangere.

    «Non è un amore?» commentò Fran, la responsabile del trucco.

    «Se lo dici tu» ribatté lei.

    «Non dimenticare, Fran, che Blaze non possiede istinto materno, e che non è attratta da nessun tipo di rapporto personale» intervenne cinico Steve Cullum, uno dei tecnici che una volta l’aveva invitata fuori, ricevendo lo stesso gentile rifiuto che Libby opponeva sempre agli esponenti dal sesso opposto.

    Quello era un punto su cui spesso la stampa aveva speculato: il suo passato, l’assenza di uomini nella sua vita, e a volte persino la sua sessualità.

    Dietro il fuoco c’è solo ghiaccio?, aveva intitolato un giornale dopo che lei si era rifiutata di concedere un’intervista a quella testata a proposito di amore, matrimonio e figli.

    E perché avrei dovuto?, si chiese Libby, amareggiata. Si trattava di questioni private. Quel suo riserbo aveva fatto sì che il suo vero nome non venisse scoperto, per cui nessuno era riuscito a metterla in relazione con Luca.

    Venne sopraffatta dall’angoscia al pensiero del ragazzo che aveva sposato e alla tragica fine della sua vita in un incidente d’auto meno di un anno dopo il loro matrimonio. Aveva amato Luca, e all’epoca aveva creduto che la felicità fosse un diritto di tutti, persino suo, ma era passato tanto tempo da allora, e le sue emozioni erano state cancellate dagli eventi. Rise tra sé, ripensando alla sua ingenuità. Un’ingenuità e un’innocenza che purtroppo si erano scontrate con il pregiudizio e la disapprovazione della famiglia Vincenzo, con l’autoritarismo del padre di Luca e il biasimo di suo fratello maggiore... e tutto era cambiato.

    Il pensiero di Marco Vincenzo la fece rabbrividire. Era un uomo tanto attraente quanto esigente. Lei e il cognato non avevano condiviso soltanto una reciproca antipatia, ma anche qualcos’altro... qualcosa di più forte e profondo che non era mai stata in grado di definire.

    Tutto questo, però, apparteneva al passato, e con il tempo Libby aveva imparato molto bene a nascondere le sue emozioni, esattamente come fece in quel momento, mentre sorrideva a Fran.

    «Vieni alla festa, stasera, Blaze?»

    «Prova a fermarmi!» ribatté Libby, recitando al meglio la parte. Sapeva che avrebbe dovuto farlo finché non si fosse cambiata e non fosse salita sulla sua Porsche. A quel punto avrebbe cercato di allontanare i pensieri sgradevoli riaffiorati per colpa di una semplice crema di bellezza. «Dopo una settimana di levatacce per venire qui a farmi mangiare viva dalle zanzare, festeggerò fino all’alba!» esclamò, imponendosi di ridere.

    Be’, che cosa si era aspettato?, si chiese Marco nella roulotte quando Libby, senza guardare dove stava andando, gli sbatté addosso. Che fosse cambiata?

    «Buongiorno, Libby» la salutò, colpito dal suo calore e dalla sua femminilità. I suoi sensi, di solito così controllati, si allertarono, procurandogli un’accelerazione del battito cardiaco. Osservò la cognata impallidire mentre spalancava la bocca per lo shock.

    «Mi spiace, Blaze» le mormorò Fran alle spalle, contrita, penetrando il caos dei suoi pensieri. «Ti volevo avvertire...» E rivolgendosi con un tono di deferenza all’italiano alto e abbronzato, vestito con un abito scuro, aggiunse: «Le chiedo scusa, signor Vincenzo, comunque non mi ero dimenticata che stava aspettando...».

    I capelli neri di Marco brillarono al sole mentre chinava leggermente la testa in un cenno d’assenso, poi si avvicinò alla porta e la chiuse con un gesto deciso, bloccando all’esterno Fran e il resto del mondo.

    Il fratello di Luca non era cambiato, considerò Libby con la parte di cervello che ancora funzionava. Con il suo impeccabile stile, la sicurezza che gli veniva dal suo ceto sociale e un’innata autorità, dominava qualsiasi luogo in cui si trovava.

    «Che... che cosa ci fai qui?» lo apostrofò. Ogni volta che si ritrovava in compagnia di quell’uomo, veniva colta da un misto di nervosismo e ribellione. Poi, una volta superata la sorpresa, riprese a pensare razionalmente, e allo shock subentrò il panico. «È successo qualcosa?» Lo fissò con i suoi occhi verdi dal taglio orientale che erano stati immortalati su innumerevoli riviste, nel corso degli anni.

    «Non che io sappia.» Marco la osservò chiudere gli occhi, mentre le sue lunghe ciglia sfioravano la pelle di alabastro del viso.

    «Da quanto sei qui?» Libby si appellò al poco autocontrollo che le era rimasto.

    «Da un po’ di tempo.»

    La sua voce era profonda come la ricordava. I tratti del volto erano classici: fronte alta, naso dritto, mascella squadrata e due grandi occhi neri che avevano sempre avuto il potere di penetrarle l’anima.

    «Perché non mi hai detto che venivi?» gli domandò, sulla difensiva.

    «E perdermi così lo spettacolo della modella più famosa della nazione che recita la parte della madre devota?» ribatté Marco, curvando le labbra in un sorriso che avrebbe fatto sciogliere qualsiasi donna.

    Libby lo oltrepassò sfiorandogli la giacca con la spalla, e quel semplice contatto fu sufficiente a farla rabbrividire. «Non è un ruolo che avrei accettato, normalmente» dichiarò. In effetti, aveva cercato di rifiutare quel lavoro, ma il suo agente l’aveva messa in guardia sulle possibili conseguenze che sarebbero potute derivare dal respingere una simile opportunità. Così aveva ceduto.

    «È per questo che hai restituito la bambina come se fosse un sacco di patate?»

    «Ho fatto così?» Era difficile cercare di fingere di non essere turbata, visto che le tremava la voce. «Credevo di essere stata attenta.»

    Marco fece una smorfia. «Attenta come quando hai ceduto Giorgio?»

    «Giorgio?» Quel nome sfuggì dalle labbra di Libby simile a una supplica. Marco le aveva detto che non era accaduto niente, tuttavia qualcosa doveva essere successo, perché in tutti quegli anni non si era mai preso la briga di farle nemmeno una telefonata. «Lui sta bene, vero?»

    «Non ti sei preoccupata di Giorgio per sei anni, quindi perché dovresti farlo adesso?» ribatté Marco dopo un secondo che a lei parve una eternità.

    Libby non poteva rivelargli il tremendo dolore che provava al pensiero del bambino che era stata costretta a cedere in modo tanto crudele. Era talmente forte il desiderio di vederlo, conoscerlo, prendersi cura di lui, da sentire una fitta lacerante che non l’abbandonava mai, in nessun momento della giornata.

    «Non saresti qui se non si trattasse di Giorgio.» Libby sospirò. Si sentiva come una schiava che chiedeva pietà al padrone dal quale dipendeva la sua sopravvivenza. «Hai intenzione di dirmi di cosa si tratta? Oppure godi nel vedermi soffrire?»

    «Soffrire? Tu?» Marco inarcò un sopracciglio. «Non credo proprio, Libby. Fino a qualche secondo fa, il tuo unico pensiero era quello di divertirti fino all’alba.»

    Senza quasi rendersene conto, lei gli afferrò la giacca stringendo i denti per la frustrazione. «Vuoi dirmelo, sì o no?» sbottò, consapevole all’improvviso della sua vicinanza fisica. Se solo avesse voluto, Marco avrebbe potuto allontanarla con un semplice gesto. Fortunatamente non lo fece. Invece le catturò le mani tenendole strette contro il suo torace, rendendola fin troppo conscia del calore di quel corpo sotto la stoffa del suo impeccabile completo.

    Lo sguardo di lui si soffermò sulle sue labbra, mentre sul volto si alternavano emozioni diverse. «Calmati» mormorò, roco.

    Marco era rimasto colpito dalla forza della reazione di Libby a quel suo commento sarcastico. Del resto, quale essere umano non si sarebbe sentito in diritto di farlo? Soprattutto sapendo cosa aveva combinato quella piccola opportunista. Probabilmente quella sua inaspettata reazione era dovuta al senso di colpa. Non sarebbe stata nemmeno un essere umano se non avesse provato rimorso per ciò che aveva fatto. Ma Libby era umana, e fin troppo femminile, due aspetti di cui era consapevole, soprattutto in quel momento, mentre le stringeva i polsi sottili che pulsavano di vita. No, doveva accantonare quelle sensazioni e pensare unicamente che la donna che aveva davanti non era altro che un’opportunista senza cuore. Solo così avrebbe potuto farcela.

    «Quindi non c’è solo ghiaccio, sotto il fuoco» commentò, sarcastico, riferendosi all’articolo non molto edificante che era stato scritto su di lei. «Ma sappiamo bene che forse sono sempre stato io quello che sapeva ravvivare la fiamma, giusto, cara

    «Di... di cosa stai parlando?» balbettò Libby. Marco non poteva sapere che aveva sempre avuto il potere di sconvolgerla... anche quando era felicemente sposata con suo fratello. Probabilmente era dovuto soltanto al fatto che allora era molto giovane e intimidita da lui, si giustificò. Perché lei aveva amato Luca! Lo amava ancora.

    E Giorgio...

    I suoi occhi verdi si appannarono per la paura, il dolore e la disperazione. Per non parlare dei sentimenti repressi e del pensiero della maternità negata. Barcollò, schiacciata dal peso di tutte quelle emozioni.

    «È meglio se ti siedi» le suggerì lui.

    Libby seguì il suo consiglio e si lasciò cadere sulla sedia, sapendo che non le avrebbe fatto piacere ascoltare quello che Marco aveva da dirle.

    Libby si strinse la mani tra le ginocchia, sperando di bloccarne il tremore, e fissò Marco come se fosse appena sceso da un’astronave. «Ti dispiacerebbe ripetere?» sussurrò.

    «Sono sicuro che mi hai sentito benissimo» rispose lui, fissandola con occhi duri.

    Sì, pensò lei, sconvolta. Ancora faceva fatica a credere che Marco Vincenzo fosse lì. Probabilmente si sarebbe svegliata nel giro di qualche secondo, e avrebbe scoperto che si era trattato soltanto di un sogno; eppure sapeva benissimo che quell’uomo era tutto fuorché un parto della sua immaginazione.

    Nel mondo artificiale in cui viveva,

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