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Il matrimonio perfetto
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E-book246 pagine2 ore

Il matrimonio perfetto

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Info su questo ebook

Un rigoroso spaccato dell'aristocrazia italiana del XIX secolo, ma soprattutto un romanzo sensuale, vibrante e pieno di passione.
"Ombre Rosa" è una collana e insieme un viaggio alla riscoperta di un'intera generazione di scrittrici italiane che, tra gli anni Settanta e gli anni Duemila, hanno posto le basi del romanzo rosa italiano contemporaneo. In un'era in cui finalmente si colgono i primi segnali di un processo di legittimazione di un genere letterario svalutato in passato da forti pregiudizi di genere, lo scopo della collana è quello di volgere indietro lo sguardo all'opera di quelle protagoniste nell'ombra che, sole, hanno reso possibile arrivare fino a questo punto, ridando vita alle loro più belle storie d'amore.
LinguaItaliano
Data di uscita13 mag 2024
ISBN9788727061047
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    Anteprima del libro

    Il matrimonio perfetto - Roberta Ciuffi

    Il matrimonio perfetto

    Cover image: MidJourney

    Copyright ©1997, 2024 Roberta Ciuffi and SAGA Egmont

    All rights reserved

    ISBN: 9788727061047 

    1st ebook edition

    Format: EPUB 3.0

    No part of this publication may be reproduced, stored in a retrieval system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.

    www.sagaegmont.com

    Saga is a subsidiary of Egmont. Egmont is Denmark’s largest media company and fully owned by the Egmont Foundation, which donates almost 13,4 million euros annually to children in difficult circumstances.

    SOMMARIO

    PRESENTAZIONE

    10 

    11 

    12 

    13 

    14 

    15 

    16 

    17 

    18 

    19 

    20 

    PRESENTAZIONE

    Un Matrimonio Perfetto è stato il mio primo romanzo pubblicato, nel 1997. Era già un po' di tempo che scrivevo romance, ma senza riuscire a trovare una direzione precisa tra un romance vero e proprio e un insieme un po' confuso di dramma, storia patria e sentimento, espresso in un linguaggio che a distanza di circa venticinque anni posso ben definire ampolloso, quasi tentassi di richiamare il modo di esprimersi dell’epoca. Tentativo che da Un matrimonio in poi ho decisamente, definitivamente abbandonato.

    Naturalmente, non ottenevo molto successo.

    Mi venne in mente una storia semplice, veloce, in un ambiente aristocratico romano ottocentesco. Una di quelle che definisco storie da salotto, nel senso che è là che si svolgono, per lo più. Con quello che le mie più affezionate lettrici (bontà loro) in seguito avrebbero definito il mio stile solare. E con una nota di umorismo.

    Forse avevo trovato il mio stile!

    La scrissi, la stampai e la spedii, senza troppe speranze. Nel frattempo il computer che usavo allora, un Amstrad, passò a miglior vita. Così sgomberai la scrivania e decisi di smettere di scrivere. Era evidente che gli astri erano contro di me!

    Un pomeriggio di marzo squillò il telefono. La persona dall’altra parte si presentò come una editor de ‘I Romanzi Mondadori’. Chiusi gli occhi, aspettandomi quello che sarebbe seguito. Era già tanto che mi avessero telefonato, invece di mandare il solito prestampato: Ci dispiace, ma il suo manoscritto non corrisponde alle nostre attuali esigenze… E invece, con mia sorpresa, la voce disse: «Abbiamo letto il suo romanzo e ci è piaciuto. Vogliamo pubblicarlo».

    Le ore seguenti le passai in una sorta di ubriacatura. Anzi, non dico che mi ubriacai davvero, ma un bicchiere del Porto che mia madre ed io tenevamo per le serate fredde me lo bevvi. Per brindare. Beh, che volete, non tenevo lo champagne in frigo in previsione che… E dopo andai a festeggiare… in libreria, a comprarmi un libro. Non ricordo quale.

    Da allora ho pubblicato molti romanzi, con case editrici e in proprio, ma non ho mai più provato l’esaltazione di quella prima volta. Auguro a tutte le nuove scrittrici, i nuovi scrittori, di provarla! È qualcosa di inebriante sapere che il proprio lavoro è stato apprezzato.

    Perciò, anche se non so se adesso scriverei una storia come questa, sono affezionata a questo romanzo perché è stato il mio inizio. Il suo titolo originale, che era Un Ragionevole Accomodamento, fu modificato dalla redazione in Un Matrimonio Perfetto. Forse trovavano che l’altro fosse un po' pesante, anche se a me sembrava rispondente alla trama. In questa edizione non ho voluto modificarlo troppo, ho cambiato solo l’articolo. Oltre a quello, ho apportato altre modifiche perché in alcuni sviluppi il romanzo non rispondeva più al mio modo di sentire e lasciarlo immutato solo per rispetto dell’originale non mi sembrava razionale.

    A suo tempo il romanzo ebbe un discreto successo, considerato che ero un nome nuovo e… italiano. Spero che risulti ancora una lettura gradevole e rilassante.

    Approfitto per ringraziare l’amica Miriam Formenti, che ha letto il testo originale e ha concordato con me sull’opportunità di effettuare dei cambiamenti, e l’amica Giusy Valenti, che ha spulciato il testo definitivo alla ricerca dei refusi. Non ero in possesso del file (il vecchissimo floppy disk che lo conteneva è scomparso) e ho dovuto ricavare il testo dal cartaceo ma, non riuscendo a copiarlo a causa di un terribile torcicollo, ho scelto di ricorrere alla… dettatura automatica. Con risultati a volte comici, a volte incomprensibili. Sempre complicati. Vi assicuro che risistemare il testo non è stata un’impresa semplice e la caccia ai refusi non ha mai dato un bottino così abbondante!

    E con ciò, spero, buona lettura!

    Roma, 1835 

    «Zia! Zia, presto, svegliatevi. Sono qua, sento la carrozza.»

    L’anziana signora si destò di colpo, guardandosi attorno confusa. Susanna, china su di lei, la stava scuotendo delicatamente. «Sì, che c’è?»

    «Il marchese è arrivato. Tra poco sarà qui.»

    «Oh, di già?» Il sorrisetto sul volto della ragazza la rese d’un tratto consapevole che erano rimaste solo loro due nel vasto salotto di rappresentanza, e che le candele, quasi nuove quando s’era seduta nella poltrona affermando di voler riposare solo per un momento, sembravano ora molto consumate.

    «Ma dove sono tutti gli altri? Che ora è?»

    «È molto tardi, zia. Sono andati tutti a dormire.»

    «Oh, che maleducazione.»

    Susanna si sentiva disposta a convenire con lei ma, come ultimo membro aggiunto della famiglia, e quello di minor conto, c’erano opinioni che era costretta a tenere per sé. In realtà, erano già più di tre ore che sedeva sola accanto alla candela, con il ricamo in mano e la compagnia del leggero russare di zia Petronilla nelle orecchie.

    Gli altri se ne erano andati a letto protestando che se il nuovo marchese non aveva la creanza di arrivare all’ora in cui era atteso, non poteva ragionevolmente aspettarsi di ricevere un caloroso benvenuto. Questo comportamento sembrava a Susanna non solo sconveniente ma anche imprudente, da parte di persone il cui mantenimento sarebbe dipeso solo dalla buona disposizione d’animo dello stesso marchese.

    Non era solo il ritardo la causa dell’irritazione degli abitanti del palazzo: la loro ostilità nei confronti dell’uomo che stava arrivando per assumere il comando della famiglia aveva radici più profonde e lontane.

    Era stata necessaria una lunga serie di lutti perché Domenico Scorza, figlio quartogenito del marchese Alberto, potesse entrare in possesso del titolo e della proprietà che, benché molto dissestata, era pur sempre prestigiosa. Per quanto non potessero fargliene una colpa, le circostanze di quella eredità ferivano la sensibilità dei familiari, esacerbata dalle numerose disgrazie che avevano colpito la casata.

    Sei morti c’erano voluti, per riportare Domenico in seno alla sua famiglia. Il primo era stato il vecchio marchese, deceduto a seguito di una banale caduta da cavallo nel corso di una caccia alla volpe. Attività che, pensavano i familiari, alla sua età avrebbe potuto ragionevolmente risparmiarsi. Il primogenito, che ne aveva ereditato il titolo, lo aveva seguito a un anno di distanza, togliendosi la vita alla vigilia del matrimonio e suscitando un terribile scandalo di cui ancora non si era spenta l’eco. Quindi era toccato al secondogenito, morto di polmonite fulminante. Questi aveva lasciato una moglie e quattro bambini in tenera età, che erano passati sotto la tutela dello zio, monsignor Ascanio, terzogenito dell’infelice famiglia. Ancora più infelice quando una terribile epidemia di difterite s’era portata via tre dei bambini risparmiando solo una femminuccia, inutile ai fini dell’eredità.

    A quel punto don Ascanio aveva rivolto al Papa la richiesta di dispensa dai voti sacerdotali affinché potesse assumersi l'onere della famiglia, ma Sua Santità l'aveva invece esortato a non dire scempiaggini e a darsi piuttosto da fare per rintracciare l'unico fratello superstite di cui non si sapeva nulla da anni.

    Obbediente, don Ascanio aveva scritto all'ultimo indirizzo conosciuto ma erano dovuti passare tre mesi prima di ricevere risposta. Domenico Scorza, residente a Torino dove esercitava la professione di medico, faceva sapere di non poter lasciare la città a causa di un grave problema familiare. Soltanto la successiva precisazione che il grave problema consisteva nella malattia della moglie era riuscita a placare l’indignazione della parentela. A quella prima comunicazione, due mesi dopo, era seguita la notizia della morte della marchesa e la decisione del marchese di non muoversi da Torino ancora per un po' per non sottoporre le figlie a un eccessivo sconvolgimento delle loro abitudini, a così breve distanza dal grave lutto che le aveva colpite.

    Questo aveva riacceso l'ostilità dei membri della famiglia Scorza, mai completamente sopita. Non pochi tra loro ritenevano che Sua Santità avrebbe fatto meglio a seguire il suggerimento di don Ascanio, piuttosto di attribuire un immeritato onore a un uomo il cui passato era segnato da più di una macchia.

    Di quale macchia si trattasse, Susanna non lo sapeva, ma visto che riempiva di disappunto quelle vecchie cariatidi a lei risultava gradita.

    «Ecco» disse emozionata, «sento i passi.»

    «Presto, presto» la esortò la zia, tendendole la mano. «Aiutami ad alzarmi, non voglio che mi trovino accucciata in poltrona come un vecchio rospo su una foglia.»

    Stavolta Susanna non sorrise ma solo perché l'orgoglio di accogliere praticamente per prima il nuovo marchese Scorza cancellava ogni altra emozione. Prese il braccio della zia e la sorresse, mentre con uno sforzo si tirava in piedi. Dovette controllarsi per resistere alla tentazione di storcere il naso all'odore di muffa che proveniva dagli abiti della vecchia signora.

    La porta si aprì dietro la spinta di Jean-François, il valletto che il precedente marchese aveva portato dalla Francia e che era probabilmente uno dei pochi membri della servitù ancora svegli.

    «Ecco, eccellenza» disse l'uomo, col suo tipico accento. «Le signore sono qui.»

    Un altro uomo entrò dietro di lui. La prima impressione di Susanna fu di aver di fronte don Ascanio vestito in abiti mondani. Non c'era quasi altro da poter notare, perché il cappello che l'uomo portava ben calcato sulla testa ne celava in parte i lineamenti e due voluminosi pacchi che reggeva in braccio ne confondevano la figura.

    «Caro nipote!» esclamò la zia Petronilla, avanzando di qualche passo.

    Anche lui si fece avanti, uscendo dalla zona d'ombra della porta, e le donne si accorsero con meraviglia che quelli che avevano scambiato per pacchi erano in realtà due bambine addormentate.

    Zia Petronilla si fermò interdetta, non sapendo che fare. In quelle condizioni informali uno scambio di cortesie non era certo possibile. Susanna prese l'iniziativa.

    «Buonasera, signor marchese» disse, optando per l’informalità ed eseguendo un piccolo inchino. «Devono essere piuttosto pesanti. Vuole che l’aiuti?»

    L’uomo le rivolse uno sguardo scrutatore per niente benevolo. Per un istante la ragazza pensò che stesse per rifiutare.

    «La ringrazio» disse invece, con una morbida voce baritonale, molto piacevole. «È gentile. Prenda la piccola, per favore. L’altra pesa troppo per lei.»

    Susanna si avvicinò e lui fece scivolare la bambina tra le sue braccia. Il contatto con il corpicino morbido e caldo le ispirò un subitaneo senso di tenerezza.

    Il marchese emise un sospiro. «Grazie a Dio. È tutto il giorno che le tengo in braccio. Credevo stesse per venirmi un crampo.»

    «Ti aspettavamo molte ore fa» intervenne zia Petronilla, seccata d’essere stata apparentemente dimenticata.

    «Lo so. S’è rotta una ruota, un incidente molto spiacevole, e pericoloso anche. Abbiamo dovuto aspettare che la riparassero. Le bambine si sono spaventate e da allora non hanno più voluto lasciarmi.»

    «Capisco.»

    «Avete cenato?» chiese pratica Susanna.

    «Sì, grazie.» L'uomo si guardò attorno, notando la sala in penombra, le due donne pallide ed evidentemente stanche. «Mi rendo conto che è molto tardi. Spero di non avervi disturbato troppo. Se poteste guidarmi alla mia stanza…»

    Consapevole del sussulto della zia, Susanna dovette nuovamente prendere l'iniziativa. «Ma certo, se vuole seguirmi…»

    Uscì dalla sala, preceduta da Jean-François con la lampada in mano. Sentì uno scambio di auguri di buonanotte alle sue spalle. Sperò che la zia non si fosse offesa troppo. Era una signora molto buona ma estremamente suscettibile, come tutti i parenti poveri, e si inalberava facilmente se qualcuno le chiedeva un favore che avesse sentore di servizio. A lei invece non importava, purché lo si facesse con la dovuta cortesia.

    La piccina col capo affondato nel suo seno respirava piano, emettendo dei gemiti sommessi che sembravano miagolii. Susanna aveva una gran voglia di vedere il suo faccino ma temeva di svegliarla.

    Giunta alla stanza padronale, si fermò per dar modo al valletto di aprire la porta. Questa volta il marchese entrò per primo. Si guardò attorno con una strana espressione, quasi non fosse il posto in cui si aspettava di essere condotto. Poi, vedendo l'ampio caminetto dove scoppiettava un fuoco molto confortante, fece un cenno di approvazione. «Bene» disse. «Questa è stata davvero una buona idea, la serata è fredda. »

    Dato che l'idea era stata sua, Susanna s’inorgoglì dell' elogio. La camera era vasta e l'alto soffitto a volta decorato con scene mitologiche le conferiva un aspetto imponente, ma per il resto era molto trascurata e arredata in modo eterogeneo. La moglie del precedente marchese aveva fatto una tale tragedia nel doverla lasciare che don Ascanio aveva consentito a far trasportare i più bei mobili nel suo nuovo alloggio, confidando che sarebbe stato compito di Domenico, se avesse voluto, disporre poi diversamente. Dentro di sé Susanna aveva disapprovato e si era adoperata perché la stanza conservasse un aspetto almeno dignitoso. Aveva scelto i migliori arredi disponibili nelle soffitte e provveduto a disporre una pulizia speciale, ma c'era poco che si potesse fare per i vecchi tendaggi in stato di disgregazione, per le cortine del letto scolorite e i rivestimenti lisi delle poltrone. Purtroppo, al palazzo il denaro scarseggiava e don Ascanio aveva chiarito che non avrebbe ammesso che si contraessero debiti per futilità come gli arredi.

    Il marchese Scorza si avvicinò al letto e vi depose dolcemente la figlia maggiore, poi fece cenno a Susanna di fare altrettanto. Lei esitò. «La nursery è al piano di sopra» spiegò, subito turbata alla vista del cipiglio dell'uomo.

    «Le mie figlie stanotte dormiranno con me» affermò lui togliendosi il cappello e gettandolo su una delle poltrone.

    Susanna non poté evitare un gesto di stupore. Si dominò, sperando che il marchese non lo interpretasse per una manifestazione di disapprovazione. Depositò la piccina sul letto accanto alla sorella. Le due bambine continuarono a dormire indisturbate.

    «Per favore, mi aiuti a spogliarle» disse l'uomo, disponendosi immediatamente a eseguire quel compito.

    Susanna tolse la cuffia alla bambina, rivelando una massa di riccioli biondo pallido. Incantata, rimase un istante ad ammirare il faccino arrossato dal sonno, la piccola bocca imbronciata, il mento deciso. Poi proseguì a spogliarla con dita inesperte. Il marchese era evidentemente più abile, perché l'altra bambina era già in sottoveste.

    Jean-François si affrettò a rendersi utile scostando una coperta, di modo che le due piccole potessero essere messe a letto. Susanna si congratulò con se stessa per aver pensato a far mettere lo scaldino tra le lenzuola.

    «Bene» disse il marchese in tono più spicciativo che di elogio. «Siete stati entrambi molto gentili.»

    «Se non occorre altro…» mormorò lei, a disagio.

    «Solo una cosa» disse lui, sorridendo per la prima volta. «Il suo nome. Non so come si chiama.»

    Sorrise a sua volta. Si era dimenticata di presentarsi. «Susanna Palladini.»

    Il marchese le tese una mano, che lei prese prima di rendersene conto. Era calda, grande e ferma. Doveva essere abile con le mani, era un medico. Il pensiero, chissà perché, la fece arrossire e fu lieta della penombra della stanza. Lui era meno alto di don Ascanio, pensò, ma più magro.

    Nella sua confusione, non si era accorta che le stava parlando.

    «Sarò lieto di vederla domani, per esaminare la situazione della casa. Per ora, le auguro una buona nottata.»

    Susanna ricambiò l’augurio e uscì dalla stanza, perplessa. Quale situazione avrebbe dovuto esaminare, assieme a lui?

    Il borbottio sommesso di Jean-François attirò la sua attenzione. «Due ragazze, dormire nello stesso letto con il proprio padre… Bah.»

    Data la sua bassa posizione gerarchica, spesso i domestici non si facevano scrupolo di parlare apertamente davanti a lei e di solito la cosa non la disturbava. Quella sera, però, l’impertinenza del valletto la infastidì.

    «Sono solo due bambine, Jean-François. Il marchese non vorrà che si sveglino da sole in un ambiente sconosciuto.»

    «Non è comunque una cosa decorosa. Quando lo saprà la signora Petronilla!»

    Sì, pensò lei, turbata. Quando lo saprà la zia Petronilla! Ma per fortuna quella sera si era già ritirata. Avrebbe ascoltato le sue rimostranze il giorno dopo.

    Il marchese Scorza guardò le sue bambine che dormivano, i capelli come aureole bionde sul guanciale. «Siamo a casa, tesori miei.»

    Peccato per quell’incidente. Avrebbe voluto mostrare alle sue figlie la città in cui era nato e cresciuto, la città che amava, la sola in cui si sentisse ancora a casa. Erano passati dodici anni, volati in un soffio, eppure così lunghi. Dodici anni e quattro papi, dall’ultima volta che aveva visto Roma.

    Si slacciò il mantello, lasciandolo cadere su una poltrona. Che strano destino

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