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L'occasione perduta
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E-book144 pagine1 ora

L'occasione perduta

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Info su questo ebook

Marion si sta recando nelle Highland scozzesi per le nozze della cugina, quando le si buca una gomma nel mezzo del nulla. Un uomo tenta di aiutarla, ma Marion rifiuta categoricamente. Non ha alcuna intenzione di essere "salvata" da Sean Matheson, per cui aveva perso la testa quando era un'adolescente e che probabilmente nemmeno si ricorda di lei.
"Ombre Rosa" è una collana e insieme un viaggio alla riscoperta di un'intera generazione di scrittrici italiane che, tra gli anni Settanta e gli anni Duemila, hanno posto le basi del romanzo rosa italiano contemporaneo. In un'era in cui finalmente si colgono i primi segnali di un processo di legittimazione di un genere letterario svalutato in passato da forti pregiudizi di genere, lo scopo della collana è quello di volgere indietro lo sguardo all'opera di quelle protagoniste nell'ombra che, sole, hanno reso possibile arrivare fino a questo punto, ridando vita alle loro più belle storie d'amore.
LinguaItaliano
Data di uscita6 mag 2024
ISBN9788727035598
L'occasione perduta

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    Anteprima del libro

    L'occasione perduta - Maria Masella

    L'occasione perduta

    Immagine di copertina: freepik.com

    Copyright © 2024 Maria Masella and SAGA Egmont

    All rights reserved

    ISBN: 9788727035598 

    1st ebook edition

    Format: EPUB 3.0

    No part of this publication may be reproduced, stored in a retrieval system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.

    www.sagaegmont.com

    Saga is a subsidiary of Egmont. Egmont is Denmark’s largest media company and fully owned by the Egmont Foundation, which donates almost 13,4 million euros annually to children in difficult circumstances.

    Marion controllò con cura la gomma dell’auto. Nonostante il buio e la pioggia battente era riuscita a cambiarla e a riavvitare bene i bulloni. Prese la borsa dei ferri e si rimise in piedi per riporli nel bagagliaio. Aveva scelto proprio la posizione migliore per forare: il punto più alto e isolato della statale che da Inverness portava alla costa occidentale. Per fortuna era riuscita a trovare una piazzuola e a cambiare la gomma.

    Doveva essere una posizione panoramica da cui ammirare il lago sottostante e la cascata, perché si sentiva il rumore dell’acqua.

    In fondo cambiare una gomma non è poi una tragedia, si disse Marion, anche se sono inzuppata e ho le mani sporche di grasso; ho dovuto superare guai peggiori.

    In quel momento un’auto le si affiancò e prima che la giovane donna potesse rendersi conto di quanto stava accadendo un uomo scese e le venne vicino. «Ha bisogno d’aiuto?»

    La voce dell’uomo aveva solo una traccia dell’accento della zona. Il suo viso, nonostante la luce della lampada d’emergenza, ancora posata a terra, restava in ombra. Doveva tuttavia essere alto e solido, a giudicare dal giaccone e i pantaloni pesanti che indossava.

    «Ho finito. Grazie comunque», rispose Marion sperando di non aver fatto un brutto incontro: era notte e quella non era una strada molto frequentata, soprattutto di domenica. In quell’angolo della Scozia settentrionale il precetto del riposo festivo era ancora rispettato: proprio per questo motivo le corse degli autobus erano così rare che lei aveva dovuto noleggiare un’auto per raggiungere il villaggio dove abitavano gli zii.

    L’uomo si avvicinò all’auto e rapido si chinò per controllare i bulloni. Fece un cenno d’assenso e commentò: «Possono andare.»

    Per un attimo il viso dello sconosciuto attraversò il cono di luce della lampada. Marion rimase immobile, mentre il cuore le balzava in petto e la gola diventava arida: conosceva quei lineamenti aspri come se il gelido vento del nord li avesse scavati, conosceva quegli occhi ancora più gelidi del vento.

    «Però li faccia stringere da qualcuno con più forza nelle mani», stava aggiungendo l’uomo con voce decisa.

    «Ho abbastanza forza nelle mani per stringere quattro bulloni», replicò Marion e gli voltò le spalle, sperando che lui se ne andasse.

    L’uomo non aggiunse altro e si allontanò, sparendo nell’ombra come dall’ombra era arrivato.

    Marion udì riaprire la portiera dell’auto, il motore che si avviava e, dopo qualche minuto, il silenzio. Poi cominciò a distinguere di nuovo i suoni della foresta; forse quell’angolo delle Higlands era così anche secoli prima: il vento fra i rami degli alberi, il rumore della cascata e il senso di isolamento…

    Anche l’uomo che aveva appena incontrato apparteneva al passato.

    Marion scosse il capo dicendosi che doveva controllare non solo i bulloni della ruota ma anche la sua fantasia e si rimise al volante, ma era come se le forze di colpo l’avessero abbandonata: l’emozione che aveva provato era stata così improvvisa, inaspettata, intensa, che a fatica era riuscita a controllarsi e non mostrarla con una parola o con un gesto avventato.

    Si passò la mano sul viso e si guardò nello specchietto retrovisore: come prevedeva non era solo fradicia di pioggia e infangata ma anche mortalmente pallida.

    Il pallore, tuttavia, non dipendeva dal freddo, lei lo sapeva: la colpa era di Sean Matheson.

    Di sicuro lui non l’aveva riconosciuta, allora lei era una ragazzina, adesso era una donna. Di sicuro non ricordava più di averla già incontrata, perché per lui era stato un incontro senza importanza.

    Per la prima volta Marion rimpianse di non essere una fumatrice, perché nei film la protagonista, quando si sentiva uno straccio o era sconvolta, accendeva una sigaretta e per miracolo riacquistava energie ed equilibrio. Frugò nella borsa, pescò un cioccolatino, lo scartò con cura: forse avrebbe operato il miracolo di cancellare quell’uomo dalla sua vita o almeno dalla sua memoria.

    Dopo qualche minuto avviò l’auto e si diresse verso la costa occidentale delle Highlands, verso la cittadina dove abitavano zia Kathleen, zio Alastair e Lizzy, la sua unica cugina, prossima alle nozze. Si diresse dove di sicuro avrebbe incontrato Sean Matheson.

    Marion aprì gli occhi: una luce pallida ma dorata filtrava attraverso le tende e dava un aspetto fiabesco alla stanza con il soffitto spiovente. Cercò di muoversi senza far rumore per non svegliare Lizzy che dormiva ancora nel letto accanto. La sera prima l’aveva ascoltata raccontare per ore del matrimonio imminente, degli ultimi preparativi e soprattutto del suo David, di come si erano conosciuti e di come avevano scoperto di amarsi.

    Doveva essere splendido essere così innamorate, si disse ancora una volta Marion, e ancora più splendido sapere di essere ricambiate, ma lei non l’aveva mai provato…

    Cercò di respingere la malinconia e senza far rumore si alzò, prese un maglione e lo infilò mentre scendeva in cucina.

    Zia Kathleen era già in piedi. «Come va, Marion? Una tazza di tè?»

    «Grazie.» Prese la tazza che la zia le porgeva e bevve un sorso: come poteva dirle che ormai preferiva il caffè?

    «Hai dormito bene? Sei un po’ pallida.» L’anziana donna sedette accanto alla nipote. «Ma lo eri anche ieri sera quando sei arrivata: il viaggio deve essere stato faticoso.»

    Marion cercò di sorridere e la rassicurò: «Niente. Solo stanchezza passeggera.»

    «Lavori troppo. Ma ora ne approfitterai per stare un po’ qui con noi. Non penserai di andartene subito dopo la cerimonia lasciandomi qui tutta sola!»

    Marion sorrise e non replicò.

    Zia Kathleen continuò imperterrita: «Avrai ben diritto alle tue ferie. Non saranno dei negrieri!»

    «Il mio lavoro mi piace, zia.»

    «E sai farlo bene, lo so. Me lo ripeti in ogni lettera e sono fiera di te, qui siamo tutti fieri di te.»

    Ora le avrebbe parlato dell’amore, del matrimonio e dei figli, Marion lo sapeva. Come sapeva che la zia aveva una grande considerazione per le donne in carriera ma pensava che una vita senza amore fosse vuota. Cercò di prevenirla e disse: «Ho una vita piena e felice, zia.»

    «Ne sono contenta, Marion. Va tutto bene con Steve?»

    La ragazza annuì, dicendosi che in fondo non era una vera menzogna: con Steve andava bene. Si erano lasciati il mese prima di comune accordo, nessuno dei due aveva sofferto. Ma come poteva dire alla zia che anche questa volta una sua relazione era finita in niente, come poteva spiegarle che in lei ci doveva essere qualcosa che la rendeva refrattaria all’amore con la A maiuscola?

    «Avete già parlato di sposarvi?»

    Marion scosse il capo.

    «Peccato, speravo che tu mi comunicassi la bella notizia proprio in occasione del matrimonio di Lizzy.»

    «Chi sta parlando del mio matrimonio mentre non ci sono?» Lizzy entrò in cucina e, presa una tazza, si versò il tè.

    Marion la fissò: erano figlie di due sorelle ma erano diversissime. Lizzy era tranquilla, con i capelli biondo miele e lisci come il lino. La sua pelle aveva il soffice candore della panna e gli occhi, la limpidezza del cielo: chiunque avrebbe capito perché David se ne era innamorato alla follia la prima volta che l’aveva vista.

    Quanto a Marion non aveva bisogno di guardarsi allo specchio per sapere che i suoi capelli erano una massa di riccioli ribelli, forse castani forse neri, e i suoi occhi erano due oscure pozze ardenti di passione: così li aveva definiti un giornalista.

    Era stata un’altra delle sue brevi relazioni finite in niente, un ulteriore tentativo di incontrare l’amore, un tentativo fallito e l’ex di turno, sbattendo la porta, le aveva confessato di non poterne più del suo carattere impossibile. Ed era lo stesso uomo che all’inizio della loro relazione le aveva detto che non solo i suoi capelli ma anche il suo carattere era ardente di passione.

    Marion non poteva dargli torto: riusciva a nascondere il suo carattere solo per poco tempo e a patto che il rapporto non fosse troppo stretto. Gli uomini si spaventavano o rinunciavano: perché sprecare tempo ed energie con una donna difficile quando le facili abbondavano?

    «Cosa c’è, Marion? Qualche problema con Steve?»

    Era Lizzy e Marion esitò per un attimo, chiedendosi se fosse il caso di dirle che con Steve era finita, ma preferì non rattristarla.

    Lizzy la guardò con comprensione e commentò: «Sai, anche nelle storie più tranquille i momenti difficili ci sono. Anche io e David ne abbiamo avuti.»

    Marion posò una mano su quella di Lizzy. «Tutto bene, non preoccuparti, va tutto bene.» Si alzò intenzionata ad andare di sopra: era tempo di lavarsi, vestirsi. Se zia Kathleen non aveva bisogno di lei avrebbe fatto una passeggiata evitando con cura le scogliere a nord e il capanno dove molti dei suoi problemi avevano avuto inizio.

    Suo zio Alastair entrò in quel momento. «Bene, bene, tutte in piedi.» Si avvicinò alla moglie e chiese: «È pronta la colazione?»

    La donna gli rispose con un sorriso: «Quando mai non è stata pronta?» Poi guardò Marion e aggiunse: «So che hai altre abitudini… Porridge e arringhe affumicate non ti piacevano neppure allora; ma ho dell’ottima marmellata di arance e dei biscotti.»

    «Non preoccuparti per me, zia, tè e qualche fetta di pane con burro e marmellata andranno benissimo. Ci penso io quando scendo.»

    Quando ritornò giù udì la voce dello zio che come al solito parlava a voce alta. «Ho sentito che è tornato Matheson, Sean Matheson. Nessuno si aspettava che venisse in questo periodo.»

    Marion si fermò, sapendo che alla luce della cucina e agli occhi acuti della zia non sarebbe riuscita a nascondere il turbamento che si stava impossessando di lei.

    Intanto lo zio continuava a parlare, infervorandosi sempre di più. «Anche Hannah

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