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Un cuore nelle tenebre: La saga dei Lykaon, 1
Un cuore nelle tenebre: La saga dei Lykaon, 1
Un cuore nelle tenebre: La saga dei Lykaon, 1
E-book404 pagine4 ore

Un cuore nelle tenebre: La saga dei Lykaon, 1

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Info su questo ebook

I Lykaon, creature a metà strada fra l'uomo e il lupo, imperversano nelle tenebre delle terre friulane post-risorgimentali. Ma l'incontrollabile sete di sangue di alcuni, mette a rischio l'esistenza stessa dei licantropi.
Sarà compito di Lars, accompagnato da una donna coraggiosa, rimettere tutto a posto.
"Un cuore nelle tenebre" inaugura una trilogia che sposa sapientemente il fantasy con il romance, il paranormale con il romanzo storico.
"Ombre Rosa" è una collana e insieme un viaggio alla riscoperta di un'intera generazione di scrittrici italiane che, tra gli anni Settanta e gli anni Duemila, hanno posto le basi del romanzo rosa italiano contemporaneo. In un'era in cui finalmente si colgono i primi segnali di un processo di legittimazione di un genere letterario svalutato in passato da forti pregiudizi di genere, lo scopo della collana è quello di volgere indietro lo sguardo all'opera di quelle protagoniste nell'ombra che, sole, hanno reso possibile arrivare fino a questo punto, ridando vita alle loro più belle storie d'amore.
LinguaItaliano
Data di uscita13 mag 2024
ISBN9788727061207
Un cuore nelle tenebre: La saga dei Lykaon, 1

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    Anteprima del libro

    Un cuore nelle tenebre - Roberta Ciuffi

    Un cuore nelle tenebre

    Cover image: MidJourney

    Copyright ©2011, 2024 Roberta Ciuffi and SAGA Egmont

    All rights reserved

    ISBN: 9788727061207 

    1st ebook edition

    Format: EPUB 3.0

    No part of this publication may be reproduced, stored in a retrieval system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.

    www.sagaegmont.com

    Saga is a subsidiary of Egmont. Egmont is Denmark’s largest media company and fully owned by the Egmont Foundation, which donates almost 13,4 million euros annually to children in difficult circumstances.

    Il mito

    Si narra che Zeus, signore degli dèi, desiderando verificare le accuse di empietà rivolte al re di Arcadia, si recasse presso di lui travestito da contadino. Insospettito, il re, per sfidarlo a rivelarsi, gli fece servire come pasto la carne di un bambino. Zeus, inorridito, rovesciò la tavola e lanciò una maledizione su di lui e su tutta la sua stirpe. Poiché avevano cuore di lupo, da allora in poi ne avrebbero avuta anche la forma. Il re, i suoi dignitari, il suo popolo, e tutti i loro discendenti furono condannati a vivere sotto la duplice forma di uomini e di lupi. Soltanto se avessero abbandonato le loro malvagie abitudini per sette anni consecutivi, la Maledizione avrebbe perso il suo effetto.

    Questa è la leggenda di Lykaon, re di Arcadia, come si può leggere nei testi di mitologia. Questa è la leggenda cui ancora adesso i lykaon fanno riferimento per spiegare la propria origine.

    Friuli, 1885 

    Lars Coulter si accorse della presenza dell’animale prima che il cavallo si fermasse di colpo, puntando gli zoccoli. Prima ancora che i cespugli a sinistra della strada si agitassero, per poi separarsi lacerati da un lampo nero.

    C’era stato un bagliore nella sua mente, la sensazione che tutto quanto lo circondava divenisse più intenso: gli odori più stordenti, i colori più accecanti, e gli alberi e gli arbusti che costeggiavano la strada di montagna si protendessero come per trattenerlo.

    Se ne accorse, ma non poté far nulla per evitarlo. Il cavallo si bloccò, nitrendo terrorizzato. S’impennò, scartò, scalciò con le zampe posteriori, e quindi si diede alla fuga, inseguito dall’ombra scura da cui emanava l’energia selvaggia che gli riempiva la mente.

    Non poté farci nulla, perché a quel punto era già precipitato faccia in giù sul fondo polveroso della strada, tra minuscole schegge di roccia frantumata e sassi.

    Il colpo gli svuotò i polmoni, e un dolore esplosivo lo paralizzò per un istante. Respirò, prima di rialzare la testa. Non c’era nessuno. Il sole che attraversava le chiome degli alberi gli disegnava addosso un merletto di luci e ombre. Il cavallo e la belva che lo inseguiva erano scomparsi alla vista.

    L’uomo puntò le mani al suolo per rimettersi in piedi. Una fitta gli incendiò la caviglia sinistra.

    «Maledizione» biascicò, sputando la polvere che gli ricopriva la faccia. Tentò di nuovo, facendo attenzione a poggiare prima la gamba destra e cercando di sostenersi con le mani. La fiammata stavolta gli arrivò al cervello, facendolo gridare. Riprese fiato, e poi, concentrandosi per controllare il dolore, ruotò col corpo per cercare di mettersi seduto.

    Sperava con tutte le forze che si trattasse solo di una distorsione. Non aveva nessuna voglia di passare la notte in montagna, con una gamba rotta.

    Un frullo d’ali annunciò l’atterraggio di una cornacchia grigia, a breve distanza da lui. Avanzò dondolando, muovendo la testa per studiarlo, il grosso becco nero proteso in avanti come una minaccia. Lars Coulter strinse la mano su un sasso. L’uccello si fermò, emise un verso gracchiante e volò via. L’uomo lo seguì con gli occhi, finché non lo vide scomparire tra un larice che sussultava e brontolava, formicolante di ali. Lentamente, si mise a ridere. Sperava che gli animali che popolavano la montagna si spaventassero con la stessa facilità di quella cornacchia, altrimenti si sarebbe trovato nei guai.

    Elena distolse lo sguardo dal finestrino, per trovarsi addosso gli occhi ansiosi della signora Persello.

    «Sta bene, signorina Arlati?»

    La frequenza con cui glielo chiedeva iniziava a irritarla. Il presupposto era che una giovane donna in viaggio da sola doveva soffrire della sua condizione, e manifestare con frequenti segnali di malessere la propria natura delicata.

    «Benissimo, la ringrazio» rispose, senza curarsi di sorridere. Se avesse continuato a farlo ogni volta che la moglie dell’avvocato si rivolgeva a lei, ormai avrebbe avuto la faccia paralizzata per i crampi.

    Tornò a girare la testa. La signora era come uno di quegli animali che si animano speranzosi quando intravedono dell’interesse nei loro confronti, ma che tendono a tornare al loro posto se li si ignora. L’avvocato Persello l’aveva addestrata bene, pensò, trattenendo un sorriso.

    I viaggiatori del postale diretto a San Raffaele tacevano, lasciandosi scuotere dall’ondeggiare della vettura senza opporre resistenza. Erano tutti stanchi, ma nessuno quanto Elena Arlati. E nessuno era spaventato quanto lei.

    Lars Coulter cominciava ad aver sonno.

    Da più di un’ora, ormai, sedeva con la schiena contro un leccio che le piogge avevano fatto crescere inclinato verso il centro della strada. Quella struttura obliqua era riuscita a richiamare la sua attenzione, strappandolo allo stordimento provocato dalla caduta, e la scomodità della posizione gli impediva di addormentarsi.

    Avvertiva contro la nuca la rugosità del tronco, e sulla faccia il calore del sole che attraversava il fitto fogliame, di un verde così scuro da sembrare nero. Aveva bisogno di quel calore più d’ogni altra cosa, anche del riposo o del sonno.

    Lo stomaco protestava per la fame. Aveva mangiato l’ultima volta più di un giorno prima, ma la sua mente era in grado di ignorare la tormentosa sensazione di bisogno, isolandola fino a dimenticarla.

    La caviglia si era gonfiata. Se la teneva immobile, non gli faceva male. Calcolava che ci fosse ancora un paio d’ore di luce per riuscire a trovare una soluzione. Dopodiché, gli si aprivano altre possibilità.

    Chissà dove era andato a finire, quel maledetto cavallo. E poi, era ancora vivo? Era corso via come se avesse il diavolo alle calcagna: il che non era poi molto lontano dal vero.

    Forse.

    Doveva di continuo rammentarsi che al mondo esistevano anche eventi naturali, e creature non diverse da quel che apparivano.

    Un concetto di cui aveva cominciato a dubitare.

    Sull’altro lato della strada, alcuni merli rovistavano con le zampe nel terreno umido. Una femmina, riconoscibile dal manto bruno, affondò il capo risollevandolo con un lungo verme nel becco. Si girò, dondolando il collo per contrastare i contorcimenti dell’insetto, poi iniziò a sezionare la preda.

    Lars Coulter continuò a guardare. Era solo un insetto. Poteva sopportarlo.

    Il calpestio degli zoccoli dei cavalli, appena udibile anche per lui, lo fece girare di scatto. La carrozza doveva essere a meno di un chilometro e mezzo di distanza.

    Afferrò la piccola sacca che teneva sulla spalla al momento della caduta. Ne estrasse un fazzoletto pulito e se lo strofinò sul viso e sulla barba, per rimuovere la polvere biancastra della strada. Poi si passò le dita tra i capelli, folti e neri, contrariato per non poter fare di più.

    Puntellandosi contro il tronco del leccio, si alzò in piedi.

    La carrozza sbucò da dietro il tornante, trainata da quattro cavalli. Era un postale. Bene. Non potevano rifiutarsi di caricarlo a bordo.

    Controllò che il pugnale fosse al suo posto sulla schiena, sotto la giacca. Non intendeva spaventare troppo i viaggiatori. Per questo sarebbe stato sufficiente il suo aspetto. Il fucile era rimasto nella sella del cavallo fuggiasco, il che non veniva del tutto a sproposito: dubitava che avrebbe fatto buon’impressione, tra le braccia di un uomo fermo sul ciglio della strada.

    Quando valutò che i postiglioni fossero in grado di vederlo, sollevò una mano, agitandola sopra la testa.

    La carrozza si fermò prima di arrivare alla sua altezza, per dar modo ai due a cassetta di studiarlo. Comprese l’esitazione degli uomini e non li biasimò per questo.

    «Che le è successo?» chiese quello che teneva le redini, dopo averlo scrutato con attenzione.

    «Il mio cavallo ha incrociato un lupo e s’è spaventato. Mi ha scaraventato per terra.»

    Gli uomini s’irrigidirono, poi si scambiarono un’occhiata allarmata. Se quel che il professor Pratt gli aveva scritto era vero, ne avevano tutte le ragioni.

    «Un lupo? Ne è sicuro?»

    Lars si strinse nelle spalle, da buon cittadino costretto a confrontarsi con i misteri della natura. «Così m’è parso. Non che ne abbia visti molti, in vita mia.»

    «E il suo cavallo che fine ha fatto?»

    «Mi piacerebbe saperlo» biascicò tra i denti, con rabbia.

    «Oltretutto, l’avevo pagata un occhio della testa, quella maledetta bestiaccia.»

    I postiglioni risero, e questo era un buon segno. Dopo una breve esitazione, rise anche lui.

    «Dove è diretto?»

    «ASan Raffaele. Potete darmi un passaggio? Pagando, naturalmente. Purtroppo non posso camminare» precisò, indicando la gamba sinistra, col piede sollevato da terra. Il gesto parve tranquillizzare i due a cassetta.

    «Dentro c’è posto» disse il conducente, accennando con il mento. «Può accomodarsi. Se la cava da solo?»

    «Tenterò.» L’uomo fece una smorfia, che trasformò subito in un sorriso cordiale. «Vi ringrazio.»

    Raccolse la sacca da viaggio e il cappello e si diresse saltellando su una gamba sola in direzione della vettura.

    All’interno, una signora che si era avventurata fino al finestrino si ritrasse di scatto, le mani strette al seno.

    «Santo cielo, non vorranno farlo salire con noi, vero?»

    «Qual è il problema?» replicò una seconda signora, che trovandosi al centro del sedile non poteva rendersi conto della situazione.

    «Ha un’aria così… così… poco per bene.»

    «Deve aver avuto un incidente di viaggio» disse il suo accompagnatore. «Sembra piuttosto male in arnese.»

    «Sembra uno zingaro» tagliò corto la signora Petiziol, fissando lo sguardo sulla giovane di fronte a lei, l’unica che dava l’idea di non nutrire alcun interesse nei confronti dell’imprevisto. «Non penso sia opportuno farlo salire. Potrebbe essere un brigante.»

    «Temo che dovrà rassegnarsi, signora. Sulla strada vige il codice marinaresco: non si abbandona un naufrago.»

    Dallo sportello dischiuso, fluivano le frasi alternate dei tre uomini. La voce dello sconosciuto sembrava appartenere a una persona d’educazione raffinata. Elena continuò a guardarsi le mani unite in grembo, ignorando i tentativi della signora Petiziol di attirarla nella conversazione… se così si poteva definirla.

    Respirava piano, il corpo teso, come sul punto di scattare, lanciarsi contro lo sportello e fuggire via. Cosa che naturalmente non avrebbe fatto.

    Non c’era alcun posto dove potesse andare, se non quello che si trovava al termine del percorso della diligenza. E non sapeva neppure se fosse in grado di correre. Non l’aveva mai fatto in vita sua. Poteva solo aspettare. In questo, era maestra.

    «Eccolo, sta venendo! Mio Dio, che presenza sinistra.»

    I passeggeri si risistemarono ai loro posti, come se non si fossero mai accostati ai finestrini per spiare. Lo scricchiolio degli stivali sul terreno annunciò l’arrivo dell’uomo. Lo sportello si spalancò e una figura imponente ne riempì il vano.

    «Buonasera» disse lo sconosciuto, senza sorridere. Quando posò il piede sinistro, la sua bocca si torse in una smorfia. «Scusate se vi ho costretto a fermarvi. Il cavallo mi ha disarcionato.»

    Due uomini gli fecero posto e lui si lasciò cadere tra loro. Non fu possibile a nessuno ignorare che li sovrastava di mezza testa. L’interno della carrozza apparve di colpo più piccolo e soffocante.

    Il conducente lanciò un sibilo e i cavalli si misero in movimento di scatto. Colta di sorpresa, Elena oscillò pericolosamente in avanti. Si sentì sul punto di cadere, ma una mano puntata sulla sua spalla la trattenne.

    «Faccia attenzione.» La voce dello sconosciuto era educata, e morbida quanto il tono indifferente lo consentiva.

    Gli occhi neri si posarono sui suoi, quello destro leggermente irregolare a causa di una cicatrice che proseguiva sulla fronte, per perdersi poi tra i capelli scuri. La ragazza si ritrasse, tornando a poggiarsi contro il sedile. Il suo impulso di fuga si fece più intenso.

    Lui la esaminò un istante, prima di girare la testa in direzione del finestrino.

    Elena pensò che un uomo così imponente dovesse trovare detestabile l’interno ristretto di una carrozza.

    Era relativamente giovane, forse sulla metà dei trent’anni, a giudicare dalle rughe sottili che gli segnavano gli occhi. I lineamenti squadrati e al tempo stesso raffinati erano di quelli che fanno palpitare il cuore di una donna a qualunque stagione della vita. Elena li valutò con ostilità. La virilità che esprimevano era opprimente, e la lieve imperfezione provocata dalla cicatrice non faceva che aumentarla.

    Il naso lungo, diritto senza essere sottile, e la bocca sensuale ma ferma, manifestavano un carattere deciso, forse tendente alla sopraffazione. La corta barba nera, che gli decorava il volto magro lasciando scoperti i lati delle guance, e il cerchietto d’oro all’orecchio sinistro accentuavano l’impressione.

    La signora Petiziol aveva ragione, sembrava uno zingaro. Peggio ancora, un pirata privato della sua nave. Cosa ci faceva un tipo così, su quella strada di montagna?

    Lars Coulter era consapevole di essere sottoposto a esame da parte dei compagni di viaggio, ma non se ne curava. Non si trattava di una circostanza inconsueta.

    «Si è ferito alla gamba?» chiese il gentiluomo alla sua destra. Annuì, poi decise di girarsi a guardarlo. «Credo di essermi storto una caviglia.»

    «Una bella sfortuna.» L’altro fece schioccare la lingua contro il palato. «E ha perso anche il cavallo. Sono bestiacce infide. Io preferisco viaggiare in carrozza.»

    «È più comodo» ammise. «Ma lento.»

    Aveva un modo di parlare che aggiungeva intensità alle parole, come se fosse sempre sul punto di proferire qualcosa d’importante. Elena si rese conto che lo sconosciuto era ancora più controllato di lei.

    «Viaggia spesso?»

    Era uno dei motivi per cui Lars preferiva spostarsi a cavallo. All’interno delle carrozze la gente diventava loquace e faceva domande a cui era impossibile sfuggire.

    «Sì, molto spesso.» Lo sguardo dei compagni di viaggio conteneva un’interrogazione che si sentì in obbligo di soddisfare. «Sono un ricercatore, un archeologo.»

    Il sollievo che riempì l’abitacolo fu quasi percettibile. Questo spiegava il suo aspetto particolare.

    «Che lavoro interessante!» Ogni diffidenza aveva abbandonato il volto della signora Petiziol. «E ha fatto scoperte importanti?»

    Stirò un angolo delle labbra in un sorriso storto. «Dal mio punto di vista.»

    «Di cosa si è occupato di recente?»

    Così era diventato l’attrazione del viaggio. Un supplemento al prezzo del biglietto che non aveva previsto di pagare.

    «Ho partecipato a degli scavi in Arcadia. Nel Peloponneso» chiarì, controllando le loro reazioni. Nessuno parve colpito in modo particolare dai nomi delle località. Meglio così.

    «Permetta che mi presenti: dottor Luigi Petiziol» disse il gentiluomo alla sua destra. «Se lo desidera, alla prossima sosta le esaminerò la caviglia.»

    Quando presentò la moglie, questa tenne a informare Lars che il signor Petiziol era anche sindaco di San Raffaele, il paese che costituiva l’ultima tappa della diligenza. La precisazione le valse un sibilo seccato da parte del marito.

    «Giovanni Persello, avvocato» disse quello alla sinistra.

    L’ultimo si presentò col solo cognome, senza ulteriori chiarimenti. Forse la sua professione non gli appariva degna di figurare accanto a quelle dei compagni di viaggio.

    Era il suo turno. «Lars Coulter.» Con una punta di divertimento, si accorse che il nome aveva prodotto il suo prevedibile effetto.

    «Oh. È… siete straniero?» chiese una delle signore, con il tono che avrebbe riservato a una parola volgare.

    «In parte. Non del tutto.» Si godette l’incertezza provocata dalla sua affermazione, prima di passare a chiarirla. «Appartengo a una famiglia piuttosto cosmopolita di studiosi che amano i nomi altisonanti. Il mio è d’origine etrusca.»

    «Be’, questo sì che è un nome strano. Veramente fuori del comune.»

    L’osservazione diede il via a una sorta di competizione per decidere quale fosse il nome più stravagante che si protrasse a lungo, senza richiedere nuovi interventi da parte dell’ultimo arrivato. L’uomo poggiò la nuca contro lo schienale e si permise di riposare qualche istante.

    La carrozza era sicura. Nel momento stesso in cui vi aveva messo piede, aveva sottoposto i passeggeri a un rapido controllo. Tre donne, tre uomini. Tra le prime, una abbastanza giovane, l’unica a fornire un elemento dissonante.

    Lars sentiva che era spaventata. La sua tensione sfrigolava a uno strato di coscienza superficiale, segno che non si trattava di un attributo caratteriale. La paura era concentrata su un evento specifico, e molto recente. Era vigile, sul chi vive. All’inizio, sospettosa e carica d’avversione nei suoi confronti. Ma anche quando aveva smesso di interessarsi a lui, la sua inquietudine aveva seguitato a vibrare all’interno della carrozza, come la nota persistente di un diapason.

    Certo che la cosa non lo riguardasse, chiuse gli occhi e cadde in un sonno leggero.

    La diligenza si fermò in un borgo che non figurava sulla carta che Lars Coulter aveva consultato prima di partire: una manciata di case e l’immancabile chiesa, con in più una locanda ben tenuta. La proprietaria cucinava degli arrosti superbi, fu la giustificazione dei postiglioni per aver anticipato la sosta notturna. Nessuno dei passeggeri se ne lamentò, e Lars ipotizzò che non fosse la prima volta che capitava. Solo la giovane donna parve preoccuparsi per il cambiamento di programma. La sua espressione impassibile non mutò, ma da lei emanava una tale irrequietezza che l’uomo si trattenne a fatica dal raccomandarle di calmarsi.

    Sedettero tutti attorno alla stessa tavola. Avrebbe preferito mangiare da solo, o evitare la cena, ma doveva trascorrere ancora molte ore con quelle persone e non intendeva offenderle.

    Nell’attesa della seconda portata, una delle signore si addormentò sulla sedia. L’avvocato la risvegliò con dolcezza, stringendole appena la mano. L’espressione dei loro occhi, quando s’incontrarono, costrinse Coulter a distogliere i propri. Avevano più di cinquant’anni, e dovevano essere sposati da alcuni decenni. Un sentimento che attraversava indenne un periodo tanto lungo era toccante.

    Come sarebbe stato, se Margot fosse vissuta? Scosse la testa, strappandosi dal gioco ipnotico che talvolta lo intrappolava a tradimento. Non esistevano realtà alternative, solo quella in cui era costretto a vivere.

    La cameriera iniziò a servire. Quando tutti i piatti furono sistemati sulla tavola, ci si accorse che il nuovo arrivato aveva di fronte solo una porzione di verdure.

    «Non le piace il capriolo?» chiese il dottor Petiziol, con l’aria di un prete che si trovi ad affrontare una stravagante forma d’eresia. «Le assicuro che è straordinario.»

    «Non ne dubito» rispose, cercando di ignorare l’intenso aroma che lo avvolgeva. Di solito gli riusciva più facile.

    «Purtroppo non potrò verificarlo, perché non mangio carne.»

    Questo provocò qualche istante di silenzio attorno alla tavola, interrotto infine da un raschiare di gola.

    «Mi perdoni.» Il signor Mondini, quello privo di professione nota. «Lei è forse… appartiene a un’altra religione?»

    «No. Non mangio carne per scelta.» Affondò la forchetta tra le verdure, deciso a tagliar corto.

    Si accorse che la ragazza lo fissava, non diversamente dagli altri commensali. Qualcosa aveva interrotto il flusso di tensione che proveniva da lei. Un senso d’incertezza.

    «Questo è molto pericoloso» affermò il dottore. «Un uomo della sua struttura fisica ha bisogno di nutrimento. Non teme di ammalarsi?»

    «I legionari romani si nutrivano principalmente di pane e legumi, e la loro struttura fisica fu sufficiente a trasformare un villaggio paludoso in un impero.»

    L’informazione venne accolta con scetticismo, ma nessuno era in grado di controbatterla. Coulter iniziò a mangiare, cercando di distaccarsi da quanto lo circondava. L’incidente del mattino aveva squilibrato le sue difese. Faticava a ignorare i coltelli che sezionavano l’arrosto, il rumore lacerante della masticazione, l’odore di disfacimento della carne appena mascherato dalla rosolatura.

    Finì di mangiare in fretta e poi si alzò, scusandosi. Il locandiere gli aveva procurato un bastone, si muoveva con agilità. Mentre armeggiava per passarlo sulla sinistra, Elena notò per la prima volta la linea più chiara alla base dell’anulare: il segno lasciato da un anello. Abbassò di scatto gli occhi, come se avesse veduto qualcosa di sconveniente. Non era strano che fosse stato sposato. Solo che in genere i vedovi mantenevano le fedi al loro posto, non le rimuovevano come oggetti inutili. Forse l’archeologo aveva tuttora una moglie da qualche parte.

    Lui zoppicò fino alla porta. Sul punto di uscire, tastò all’altezza della tasca, come per accertarsi della presenza di qualcosa. La ragazza capì che stava andando a fumare. L’osservò, senza curarsi di dissimulare il proprio interesse. Era un tipo d’uomo che attirava gli sguardi, inutile negarlo.

    Aveva spiegato l’eccentricità del nome ma non quella del cognome, pensò, masticando svogliatamente un pezzo d’arrosto. Lo pronunciava come la parola coltello, in latino. Poteva essere falso? Un nome falso, un anello rimosso dal dito… Come se avesse qualcosa da nascondere. Si sentì cogliere da una vertigine e la forchetta le cadde sul piatto. Dovette appoggiare le mani in grembo per nasconderne il tremito.

    Quella sosta imprevista non ci voleva. Avrebbe perso tempo. Loro potevano rintracciarla. Umberto Bostedo non l’avrebbe lasciata andare senza tentare di vendicarsi. Se non lui personalmente, poteva aver pagato qualcuno per riportarla indietro. O ucciderla.

    Forse era stata sciocca a decidere di andare a San Raffaele, il primo posto dove chiunque avrebbe pensato a cercarla: ma era stanca di nascondersi e tremare nell’attesa della loro vendetta! Doveva raggiungere Orlando al più presto. Lui non avrebbe permesso che le facessero mai più del male.

    Durante il giorno, il calore del sole aveva creato l’illusione che il lungo inverno fosse terminato. La sera era invece abbastanza fredda da scoraggiare chiunque dall’uscire a prendere un po’ d’aria. Chiunque a parte lui.

    Lars Coulter si riempì la bocca dell’aroma del sigaro, che combatteva quello ristagnante all’interno della sala da pranzo. Ne aveva bisogno per superare la notte, e rendere tollerabile la permanenza nella stanza in comune con gli altri uomini della carrozza. Un tempo non sarebbe stato tanto sensibile alla presenza d’estranei. Aveva dormito in posti ben più miserabili di quello, in ambienti più angusti, e con persone la cui mente somigliava a un nido brulicante di calabroni.

    Da qualche anno, però, la compagnia degli Altri era diventata un tormento e un’oppressione. Il loro odore lo disturbava, e la corrente d’emozioni che emanava da quelle menti grossolane talvolta lo coglieva di soprassalto, con una violenza che gli provocava l’impulso di scappare. Nessuno era consapevole dell’ammasso di miserie che la mente di un essere umano poteva celare. Nessuno a parte lui.

    Quella giovane donna, per esempio. Aveva commesso qualcosa, e adesso aveva paura. Sentiva la sua mente sfiorarlo con un disgusto che non comprendeva. La cosa non lo riguardava, ma lo infastidiva; come pure il disprezzo che intuiva dietro il cortese atteggiamento del dottore nei confronti della moglie. O l’invidia che scorreva sotto il sorriso dell’avvocato, quando si rivolgeva a lui.

    Non riusciva a distinguere i pensieri, ma le emozioni umane possedevano una forza in grado di infrangere le sue difese. La sua mente era ricoperta di cicatrici ancor più del corpo. Non sapeva fin quando sarebbe riuscito a sopportarlo. Aveva bisogno della sua gente.

    Fissò nel buio, oltre i tetti delle case che riusciva ancora a distinguere. I boschi circondavano il piccolo borgo, assediandolo. Se si concentrava, udiva il palpito delle creature che li popolavano. Era un richiamo selvaggio, che vibrava sotto la sua pelle, facendolo rabbrividire. Che gli riempiva la mente di bagliori. Si chiese che fine avesse fatto il suo cavallo, e sperò che fosse riuscito a raggiungere sano e salvo qualche insediamento umano. Era stato un buon compagno di viaggio, finché la belva non l’aveva spaventato.

    Gettò il sigaro in terra, calpestandolo col piede sano. Si girò per andare a raggiungere gli altri uomini, nella stanza che era stata loro assegnata. Qualcuno gli si parò davanti, bloccandogli l’ingresso.

    «È per espiare, che lo fa?»

    La tesa del cappellino a cuffia, in uno stile fuori moda, impediva alla lanterna di illuminarle il volto. Era una sagoma scura, indubbiamente femminile.

    «Che faccio, cosa?» chiese.

    «Il non mangiare carne: è una forma d’espiazione?»

    Riconobbe la vibrazione delle sue emozioni come un altro avrebbe percepito un profumo. Riusciva anche a vederla, ma lei questo non lo sapeva. «Non crede di essere indiscreta?»

    La ragazza deglutì, tesa, tutta chiusa in sé stessa.

    «Sono curiosa» ammise. «Non è un peccato.»

    «No, ma forse è un’indelicatezza.»

    Fece un passo avanti. Erano così vicini che potevano udire ognuno il respiro dell’altra. Lei stava lottando per non allontanarsi di scatto, o almeno incrociare le braccia in un gesto di difesa.

    «Lei è il primo archeologo che incontro. Mi sento emozionata.» La giovane donna parlava a scatti. Stava cercando di nascondersi dietro la civetteria femminile, una dote che le era del tutto estranea. Se ne sarebbe accorto anche qualcuno meno percettivo di lui. «E non ho mai conosciuto un uomo che rifiutasse di mangiare carne… potendoselo permettere.»

    «E cosa ne deduce?» Aveva un buon odore, di quelli che associava al pane fresco o a certe erbe che sua nonna metteva tra la biancheria di casa. Si chiese se avrebbe gridato, nel caso si fosse chinato a baciarla.

    «Non saprei. Ho pensato… che fosse una specie di voto. O per scontare una colpa.»

    A parte per la tempesta che intuiva nel suo animo, all’inizio lei non l’aveva colpito affatto. Gli era parsa una di quelle creature dall’aspetto asmatico che vegetano come pallidi fiori dimenticati nei salotti borghesi. Probabilmente non aveva mai esposto quel suo delicato viso al raggio diretto del sole. Non sapeva cosa significasse correre, ridere di cuore, e compiere qualcosa di folle e sfrenato.

    Ora si chiedeva se fosse stato nel giusto. Lei lo stava vagliando. Per quale motivo?

    «Sono curioso anch’io, signorina Arlati» pronunciò con lentezza. «Come mai una ragazza come lei viaggia da sola, senza accompagnatore?» La sentì irrigidirsi.

    «Che ragazza sarei, io?»

    «Una per bene. Di buona famiglia.»

    «E questo da cosa lo desume?»

    «I suoi abiti, la valigia. Il modo di parlare. Viaggia con poco, è vero, e questo è strano. Se n’è andata in tutta fretta?»

    Elena arretrò di qualche passo, come se l’avesse colpita. Il suo respiro divenne affannoso. «Cosa vuole da me?» chiese, una nota stridula nella voce.

    «Non sono stato io a cercarla» le ricordò. «Non dovrebbe avvicinare uomini estranei, di sera, e al buio. Non è saggio, per una donna che viaggia sola.» Tacque, come attendendo una risposta. Non ne venne alcuna. «Le auguro la buonanotte, signorina Arlati. Dorma bene.»

    Le passò accanto, la superò e poi entrò nella locanda. Lei si scostò con un balzo, come temesse un’aggressione, poi lo seguì all’interno. Coulter fece ancora qualche passo, prima di essere fermato da un’altra domanda.

    «Sua moglie è molto bella?»

    Questo lo costrinse a girarsi. Quando Elena vide il risultato della sua sfida, si spaventò.

    «Cosa sa lei di mia moglie?»

    «No, io… io chiedevo» balbettò, addossandosi contro la parete. «Il suo anulare, vede… Si nota il segno della fede.»

    Lui sollevò la mano e la osservò come se non la conoscesse. Una linea sottile spiccava ancora, là dove solo poco tempo prima si trovava l’anello nuziale.

    «Mia moglie è morta» rispose, senza emozione. «Due anni fa.»

    Prima che lei potesse scusarsi, o dirgli quanto fosse spiacente, tornò a girarsi. Proseguì fino alle scale, deciso stavolta a non fermarsi per nessun motivo.

    Elena aspettò ancora qualche istante, poi si staccò dal solido sostegno della parete. Non aveva ottenuto niente. A parte la questione della moglie, ne sapeva quanto prima. E anche quella poteva essere una menzogna. No, era certa che non lo fosse. La sua furia non era simulata, quando lei gliene aveva accennato.

    Se aveva nutrito il dubbio che fosse uno scagnozzo dei Bostedo, pagato per scovarla, ora non lo credeva più. Tuttavia, l’atteso senso di sollievo non arrivò.

    Chiuse gli occhi per riprendere il controllo di sé ed elaborare la repulsione che l’aveva colta, quando Coulter si era avvicinato fin quasi a toccarla. Con lui era peggio che con tutti gli altri: in nessun modo le riusciva d’ignorare la sua presenza e fingere che non esistesse.

    Tirò un profondo respiro, si cucì un sorriso sulle labbra, a uso delle compagne di stanza, e si diresse verso le scale.

    Il giorno dopo sarebbe stata finalmente al sicuro. E Lars Coulter, soltanto un ricordo.

    L’abitacolo di una carrozza era il posto meno adatto per cercare di evitare qualcuno. Elena se ne rendeva conto. Come, alla luce del giorno, capiva quanto fosse stato sciocco il suo tentativo d’investigazione della sera prima. Era riuscita soltanto a rendersi ridicola. Quell’uomo non era pane per i suoi denti.

    C’era una qualità indecifrabile in lui, che non era ben certa di riuscire a comprendere. Ognuno degli altri passeggeri aveva attimi d’imbarazzo o incertezza. Elena aveva imparato con quali sistemi riuscivano a vincerli, e a mettere in stallo il proprio corpo per il tempo necessario a superarli.

    La signora Petiziol estraeva il rosario e faceva scorrere i grani

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