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Passione nelle tenebre: La saga dei Lykaon, 3
Passione nelle tenebre: La saga dei Lykaon, 3
Passione nelle tenebre: La saga dei Lykaon, 3
E-book476 pagine5 ore

Passione nelle tenebre: La saga dei Lykaon, 3

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Info su questo ebook

Italia, fine Ottocento. Un gruppo di briganti assalta una stazione postalee solo Dalila e sua cognata Agata riescono a fuggire. Roman Coulter è il capitano del Regio Esercito Italiano che le soccorre. Intenzionato a mettersi sulle tracce dei malviventi e conquistarsi l'amore dell'affascinante Dalila, Roman scopre che a compiere l'efferata scorribanda sono stati dei suoi simili: i Lykaon. Roman dovrà scegliere fra la fedeltà che deve alla razza dei licantropi, suoi fratelli di sangue, e la trascinante passione che prova per Dalila.
"Ombre Rosa" è una collana e insieme un viaggio alla riscoperta di un'intera generazione di scrittrici italiane che, tra gli anni Settanta e gli anni Duemila, hanno posto le basi del romanzo rosa italiano contemporaneo. In un'era in cui finalmente si colgono i primi segnali di un processo di legittimazione di un genere letterario svalutato in passato da forti pregiudizi di genere, lo scopo della collana è quello di volgere indietro lo sguardo all'opera di quelle protagoniste nell'ombra che, sole, hanno reso possibile arrivare fino a questo punto, ridando vita alle loro più belle storie d'amore.
LinguaItaliano
Data di uscita27 mag 2024
ISBN9788727061221
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    Anteprima del libro

    Passione nelle tenebre - Roberta Ciuffi

    Passione nelle tenebre

    Cover image: MidJourney

    Copyright ©2014, 2024 Roberta Ciuffi and SAGA Egmont

    All rights reserved

    ISBN: 9788727061221 

    1st ebook edition

    Format: EPUB 3.0

    No part of this publication may be reproduced, stored in a retrieval system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.

    www.sagaegmont.com

    Saga is a subsidiary of Egmont. Egmont is Denmark’s largest media company and fully owned by the Egmont Foundation, which donates almost 13,4 million euros annually to children in difficult circumstances.

    Il lupo procedeva rapido sul suolo impregnato dell’umidità della notte. Foglie secche e rami spezzati scricchiolavano sotto le sue zampe. Il sentore di marcio e muffa colpiva più forte le sue narici a ogni passo, misto a quello inebriante della terra ricca del sottobosco. Sopra di lui, le chiome degli alberi coprivano il cielo quasi per intero. Come altri della sua specie, amava gli spazi aperti dove correre a perdifiato, ma nel chiostro segreto dei boschi la sua anima trovava la pace. Mentre i sensi si riempivano degli odori della vita selvatica, la mente sembrava tornare a uno stadio primitivo dove tutto questo sarebbe stato normale e sufficiente.

    Il suo arrivo in una radura provocò una rapida fuga di piccole forme spaventate. Non si preoccupò di indagare. Non era là per cacciare.

    Spalancò le fauci ed emise un ululato incontrollato ed esultante, il suo canto al mondo che amava. E il mondo rispose con un fulmineo fremito di spavento. I rami degli alberi ribollirono al frullio delle ali. Gli uccelli risvegliati dal sonno guizzarono verso l’alto, il suolo sotto i suoi piedi si ridestò. Ancora un istante e tutto attorno a lui tacque; ogni cuore, ogni respiro si arrestò. Immobile. In attesa.

    Se fosse stato nella sua altra forma, il lupo avrebbe riso di quel potere indesiderato. Invece, si limitò ad ascoltare, vigilando l’istante in cui il bosco si sarebbe risvegliato. In cui lui sarebbe tornato a essere parte di quella vita, compagno, e non più nemico.

    Nel silenzio, udì un grido. Sollevò il muso, gli occhi rosseggianti nel buio ne cercarono l’origine. Un grido, in quella zona e di notte, significava solo problemi, e di un genere che il lupo preferiva evitare. Qualcosa, nel suono, una particolare modulazione, gli rese impossibile ignorarlo. Esitò solo un istante, prima che il suo corpo scattasse tra la vegetazione bassa, evitando cespugli e buche d’animali.

    L’eccitazione riempì il grosso corpo di una sensazione quasi elettrica, come se un oceano di formiche si fosse risvegliato nel suo sangue. La luminescenza verdastra che avvolgeva il mondo attorno a lui, rendendolo visibile ai suoi occhi, si fece più intensa, l’udito più pronto a cogliere il minimo rumore. Gli odori divennero più acuti. Tutti i sensi erano desti e ricettivi.

    Il suono, quel suono che l’aveva sottratto alla sua estasi, era un grido di donna.

    Agata se ne stava immobile, un blocco di granito con gli occhi sbarrati nel buio. L’unico indizio che fosse ancora in sé era il lieve suono sibilante del respiro.

    «Muoviti!» intimò Dalila, sottovoce, scrutando attorno.

    L’altra non rispose. Sembrava svenuta, ma era in piedi e con gli occhi aperti. Doveva richiamarla alla ragione o sarebbero state perdute. Forse gli uomini che avevano assalito la carrozza postale si erano contentati dei bagagli, ma lei temeva di no. Due donne giovani e attraenti, ben vestite e con possibili parenti ricchi potevano costituire un bottino ancora più allettante.

    Con un gesto rapido, verificò che la rivoltella fosse dentro la sacca, e non fosse caduta a terra nella corsa.

    Gliel’aveva regalata suo marito, quando aveva minacciato di ucciderlo.

    «Spero che saprai farne buon uso» aveva detto, con il solito sarcasmo pieno di disprezzo. Con l’arrogante sicurezza di conoscerla. Aveva avuto ragione, non l’aveva usata, quella pistola. Non era stato necessario e lei in fondo non era così pazza.

    E adesso si trovava persa su una strada di montagna, di notte, in compagnia di una sciocca che in caso di pericolo non le sarebbe stata di nessun aiuto. Non avrebbe dovuto accettare che Agata la seguisse, ma un improvviso desiderio di vendetta le aveva impedito di rifiutare il suo inatteso sostegno.

    «Avanti, muoviti» ripeté, afferrandola per un braccio e scuotendola.

    L’altra girò la testa verso di lei. I suoi occhi erano spalancati all’inverosimile. Dalila pensò di veder cadere i bulbi oculari davanti a sé e le venne un singulto di riso isterico.

    «Hai sentito?» sussurrò Agata.

    «Sì, ho sentito, era un lupo» disse, come aveva già fatto un paio di volte. «Ma era lontano. Molto lontano. E se tu non avessi gridato, sarebbe stato meglio. Ora togliamoci di qui, e cerchiamo di raggiungere il paese.»

    Fece un passo, strattonando la cognata per farla muovere.

    «Ho troppa paura» balbettò quella. «Saremmo dovute restare nei pressi della carrozza.»

    La sua voce però non sembrava impaurita, quanto incrinata da un’emozione che Dalila non riuscì a definire. «Non ha più senso discutere di questo.» Si stava davvero arrabbiando. Avrebbe dovuto lasciare Agata al suo destino, e invece un imprevisto senso di lealtà l’aveva spinta ad afferrarle il polso e trascinarla con sé nella boscaglia. La loro fuga aveva colto di sorpresa i banditi: non si aspettavano che dame così eleganti fossero in grado di reagire e muoversi tanto in fretta.

    Dalila sapeva che, lasciata a sé stessa, Agata sarebbe rimasta a farsi scannare come una capretta indifesa, ma aveva giustamente contato sul suo istinto gregario. Spronata dalla sua energia, la ragazza aveva corso come se avesse il fuoco alle calcagna, senza fare domande né recriminare. Si erano lanciate nel fitto del bosco, per poi raggomitolarsi all’interno di un cespuglio, trattenendo il respiro, in attesa di capire se la strada fosse finalmente sicura. O se i banditi le stessero cercando.

    Non sapevano quanto tempo fosse trascorso. Erano in una condizione di spirito alterato, che faceva loro girare la testa e perdere il senso del tempo. Quando l’imbrunire, più fosco e inquietante sotto la volta ombrosa degli alberi, era stato sostituito dal buio della sera, avevano deciso di lasciare il loro freddo rifugio per cercare di raggiungere un paese.

    E poi, quell’ululato.

    Dalila si guardò attorno. La luce lunare era sufficiente a illuminare il cammino, sulla strada, ma non le cupe muraglie di vegetazione che l’affiancavano. Ai suoi occhi il mondo attorno era costituito solo da zone scarsamente differenziate di toni di grigio scuro e nero. L’ululato era distante, e il lupo che l’aveva lanciato poteva non costituire un pericolo immediato, ma dava un’indicazione minacciosa sulla popolazione di quelle montagne. I lupi vivevano in branchi. Dove ce n’era uno, dovevano essercene molti. Stabilendo che Agata non avesse bisogno di quell’informazione, continuò a incalzarla finché l’altra non si decise a muoversi da sola, senza i suoi costanti strattoni.

    «Quando ci hanno… fermate, non eravamo distanti dalla prossima tappa» disse, per rincuorarla. «Abbiamo deviato nel bosco, ma presto dovremmo vedere delle luci. Forse hanno perfino mandato qualcuno a controllare perché il postale non sia arrivato in orario.»

    «Gli stivaletti mi fanno male» si lagnò Agata, zoppicando per illustrare la dichiarazione. «E se i banditi ci stessero ancora cercando? E se i lupi ci vedessero muovere? Non sarebbe meglio restare ferme, nascoste, in attesa dell’alba?»

    Dalila non replicò. Avevano già dibattuto quell’argomento e lei non aveva saputo trovare giustificazioni valide al suo bisogno di lasciare il bosco e il loro rifugio, a parte che non tollerava più di restare inattiva, in attesa che gli eventi la raggiungessero.

    «Avanti, cammina» disse, brusca. «E cerca di farlo in silenzio. Con quei tacchi sembra che tu stia ballando la tarantella.» Finse di non notare l’occhiata risentita dell’altra. Era già abbastanza infuriata lei stessa.

    Questo avrebbe dovuto essere l’inizio della sua nuova vita, una vita migliore, aveva sperato: e invece tutto stava andando a rotoli, quasi che una mano misteriosa la stesse respingendo indietro.

    Si fermò per respirare, guardando il volto lacrimoso della sua compagna. Agata sarebbe sempre stata un ricordo della sua vecchia esistenza. Ogni volta che avesse guardato in quei chiari occhi castani, le sarebbero tornati alla mente quelli di suo marito. Si morse il labbro inferiore fino a farsi male e poi riprese a camminare.

    Il lupo emerse dalla boscaglia a una ventina di metri dalle donne. Era così buio, e lui così scuro, che forse non si sarebbero accorte della sua presenza nemmeno se si fosse spinto sulla strada, ma non si fidò e rimase al riparo degli arbusti a guardarle camminare. Zoppicavano e inciampavano, ostacolate dalle ampie gonne e dalle calzature inadatte, proprio come delle vere signore. Il lupo si chiese cosa stessero facendo in mezzo ai boschi. Di sicuro dovevano essere dirette al paese, ma per quale motivo erano a piedi? Cosa era successo ai loro accompagnatori? Girò il capo nella direzione da dove le due sembravano essere venute.

    Il naturale desiderio di indagare, che lo spingeva sempre un po’ oltre il dovuto, si accese in lui, simile a un fastidio, un tormento che doveva essere acquietato. In quella forma non poteva fare niente per le donne, se non spaventarle. E dovevano esserlo già parecchio, a giudicare dal modo in cui le loro emozioni rimbalzavano nella sua mente. Calmatevi, avrebbe voluto dire loro: vi sentiranno.

    Dall’atteggiamento, era evidente che una delle donne guidava l’altra, fermandosi ogni poco per spronarla a camminare, o sibilando una sorta di minaccia sottovoce. Una dominante e una gregaria. Era un rapporto che il lupo poteva capire. Nascosto tra gli alberi, accordò il passo al loro, trattenendo il desiderio di uscire allo scoperto ed esaminarle.

    Le donne dovevano trovarsi alla macchia già da un po’, a giudicare dallo sporco e dalle foglie sui cappotti. Quella che guidava l’altra era senza cappello; allo sguardo del lupo, la sua testa bionda scintillava sotto la luna, aureolata di un bagliore quasi argenteo. Era la prima volta che vedeva una cosa del genere, ma del resto non gli era capitato di incontrare molte donne, in quella forma. E mai una con i capelli di quel colore. Lei con una mano tirava la compagna – che esitava, si fermava, riprendeva il cammino incespicando – mentre con l’altra tratteneva qualcosa contro il corpo.

    Per un istante il lupo pensò che avesse il ventre di una femmina gravida, ma quando lei si girò si accorse che stringeva una voluminosa sacca da viaggio. Una donna accorta, anche se poco prudente. Si era data alla fuga portandosi dietro gli effetti personali. Alla fuga da cosa? Il pensiero lo costrinse a fermarsi, riluttante.

    Tornò a girare il capo nella direzione da cui le donne provenivano. Qualunque cosa fosse, si trovava laggiù, lungo la strada. A piedi non potevano essersi allontanate molto, e doveva esserci una carrozza da qualche parte, dei cavalli che avevano abbandonato. Lanciò un’ultima occhiata alla testa color platino della donna-guida, quindi si girò e cominciò a trotterellare tra la vegetazione, finché non pensò di essere al sicuro dagli sguardi delle due sconosciute. A quel punto abbandonò il suo nascondiglio e uscì allo scoperto. Era il momento di correre.

    Si fermò quando sentì l’odore del sangue e della carne morta. Se fosse stato un vero lupo, avrebbe potuto trovarlo invitante, ma la sua natura più complessa lo costrinse a distogliere il muso e sfregarlo contro il terriccio umido, per vincere il disgusto di quell’olezzo nauseante. Di nuovo nascosto nella boscaglia, il lupo nero esaminò la situazione.

    Le donne avevano fatto bene a mettersi in salvo. Doveva essere stata quella che guidava a prendere la decisione, e a farlo in fretta a giudicare dalla ferocia degli assalitori.

    Il lupo nero provò una punta di rimpianto. La sua pace era stata spezzata in maniera definitiva. Doveva abbandonare quella forma e tornare a una che gli consentisse di intervenire.

    E, soprattutto, di guardare negli occhi la donna dai capelli di platino. Guardarla, senza vederla fuggire da lui terrorizzata.

    Sotto la spinta, lo sportello basculante esplose verso l’interno. Il lupo atterrò sul pavimento di terra battuta. Attese un istante per riprendere contatto con quanto lo circondava, dimenticare l’odore della terra e i rumori del bosco, espellerli dal proprio corpo… e poi iniziò a mutare.

    L’urgenza accelerò la trasformazione, aumentando lo strazio della carne e delle articolazioni sottoposte a un travaglio innaturale. Un’esclamazione a mezzo tra ululato e grido umano gli sfuggì dalla gola. Dopo qualche secondo, qualcuno bussò alla porta di legno. «Capitano, tutto bene?»

    Si rivoltò su sé stesso, il corpo deforme ancora a metà tra le due nature, e fissò lo sguardo rosso sulla porta. La bocca dalle labbra già formate emisero un ringhio che non gli apparteneva più.

    L’intruso non ripeté la domanda. Il suo respiro oltre la porta sarebbe stato impossibile da sentire per chiunque altro, ma per la creatura in lotta tra le sue due nature era un sibilo irritante, che stimolava la frenesia di un momento sempre pericoloso.

    Quando tutto fu finito, Roman Coulter cominciò a tremare. Allungò una mano verso una coperta, prima di chiamare con voce ancora un po’ incerta l’attendente.

    «Pirro! Pirro, presto, vieni qua.»

    L’uomo aprì la porta, ma prima di farsi avanti scrutò all’interno. Rassicurato, si avvicinò al suo comandante. «Tutto bene, signore? È rientrato presto.» Mentre parlava, già iniziava a radunare i vari capi della divisa. Efficiente come sempre. Pirro faceva parte della vita di Roman da quando lui era entrato nel Regio Esercito, comandato da suo nonno, il Vecchio Lupo, a restargli al fianco e proteggerlo. Un fedele servitore, che era ormai diventato quasi un parente.

    «I banditi hanno assalito la carrozza postale» disse Roman, liberandosi della coperta. I suoi denti non volevano smettere di battere. Era sempre così dopo la muta, e tanto più da quando era rientrato dall’Africa. «Dobbiamo far uscire gli uomini.»

    «Sono… ci sono dei morti?»

    «Credo di sì. E due donne sono disperse sulla strada.»

    «Riuscite a fuggire» annuì Pirro. Tese la giacca, che l’altro si affrettò a infilare. «Sono state brave.»

    «Sì, brave.» Forse non si erano neppure rese conto del destino cui erano sfuggite, anche se non si poteva mai sapere cosa potesse accadere su una strada di montagna, con la notte incombente.

    In effetti, pensò, lanciando un’occhiata all’orologio da tasca, erano solo le sette di sera ma in inverno il buio calava presto. Un sorriso gli guizzò sulle labbra, al ricordo della donna-guida, come l’aveva chiamata l’altra parte di sé. Era proprio curioso di verificare se il suo volto fosse straordinario quanto il colore dei capelli.

    Gli uomini non furono contenti di scambiare le loro occupazioni serali con quell’incursione notturna. Anche di giorno, indossare una divisa del regio esercito italiano poteva essere rischioso, su quelle strade e tra i boschi. Di notte, la loro fantasia inquieta faceva immaginare figure di briganti e assalti a ogni ombra tra la vegetazione che costeggiava la strada.

    Si era levato un forte vento, che trascinava le nuvole a nascondere e scoprire la luna, e che scuoteva le fronde. Il rumore riempiva l’aria, ossessivo, coprendone ogni altro, anche quelli possibili prodotti da uomini appostati tra gli alberi.

    Il capitano Coulter e il suo attendente Pirro guidavano il gruppo. Quando mai si era sentito di un attendente che partecipasse a delle azioni militari o di polizia?

    L’irritazione degli uomini aumentava l’ostilità latente verso il capitano piemontese arrivato da tre settimane a comandare il presidio della Milizia Mobile, nell’ambito delle operazioni di repressione del brigantaggio in quella zona di montagna tra Lazio e Abruzzo.

    Il fatto che fosse riuscito, fino a quel momento, a riportarli in caserma ogni sera senza aver perso neppure un uomo, non diminuiva la loro diffidenza. Era uno straniero, scelto dall’alto per sostituire il vecchio capitano Loreto, caduto in un agguato. Uno straniero, un gran signore e un piemontese, rappresentante del governo e della famiglia reale che avevano lacerato antichi legami, imposto tasse e la coscrizione obbligatoria.

    Ai loro occhi Roman Coulter era una sorta di parafulmine, che avrebbe finito per attirare e scaricare su di loro la furia dei briganti.

    «Le sento, capitano» mormorò Pirro, gli occhi fissi nelle tenebre.

    Roman Coulter annuì. Le sentiva anche lui, ma non disse nulla. Riteneva meglio non rivelare davanti agli altri la straordinaria capacità di percezione peculiare della loro specie. Sentiva anche i sentimenti ostili dei suoi uomini, che filtravano in lui con lo stesso gusto di un’acqua sulfurea che aveva assaggiato una volta. Avrebbero cambiato idea, pensò con tranquilla noncuranza.

    Tra lo sbattere e frusciare delle fronde, il rumore di zoccoli di cavalli raggiunse le due donne che camminavano sul ciglio della strada, pronte a lanciarsi tra la vegetazione al primo segno di pericolo. «I briganti…» sussurrò Agata, immobilizzandosi.

    Per prudenza Dalila si spostò dietro un albero, trascinando l’altra con sé. Non aveva neppure il buonsenso di mettersi al sicuro, pensò con disprezzo. Attesero in un silenzio interrotto dai singhiozzi di Agata e dai rumori portati dal vento. Lo stomaco di Dalila si torceva per la paura e la fame. Estrasse la rivoltella dalla sacca e la puntò nel buio. Era pesante e lei non aveva mai sparato. Anche se sapeva che non avrebbe esitato a farlo, dubitava dell’efficacia del suo tiro.

    Dal singulto di Agata accanto a sé ne immaginò lo sgomento, e le domande che dovevano affollarle la mente, ma non c’era tempo per quello. Ora il vento portava voci soffocate di uomini e il rumore degli zoccoli era più distinto.

    «Devono essere qui vicino» disse qualcuno.

    Dalila si accucciò contro il tronco dell’albero, il capo inclinato di lato per cogliere l’arrivo del gruppo che sembrava numeroso.

    «Capitano, lei è sicuro di quel che ha detto l’informatore?»

    Capitano! Più che il titolo, fu il tono rispettoso della voce a far defluire il terrore e a riempirla di sollievo. Tuttavia non uscì dal suo nascondiglio, limitandosi a sporgere un po’ di più la testa.

    «Sicurissimo. Provate a chiamare. Devono averci sentito arrivare ed essersi nascoste per paura che fossimo briganti.»

    Questa voce era particolare, più sicura delle altre, e aveva un accento diverso. Un accento del nord. Non poteva essere un bandito di quelle parti. La rivelazione la spinse ad alzarsi in piedi, mentre nell’aria risuonavano i richiami degli uomini: «Signore! Signore, dove siete?» facendo agitare gli uccelli tra le fronde sopra di lei.

    «No, no!» sibilò Agata afferrandole la mano.

    Se ne liberò con uno strattone.

    «Tu sta’ qua» le disse, nascondendo il disprezzo che provava con un tono di ben simulata sollecitudine. «Vado avanti io.»

    Non appena fece un passo verso la strada, Agata si alzò in piedi e la seguì. La paura di restare sola ai margini del bosco superava quella di affrontare gli sconosciuti.

    «Sono qua» disse Dalila a voce alta.

    Il rumore di zoccoli e di sfregamento di finimenti segnalò i movimenti degli uomini. Qualcuno sollevò una lanterna cieca e la luce improvvisa, seppure flebile, la costrinse a coprirsi gli occhi.

    «Per favore, signori, io e la mia amica stiamo camminando da ore. La carrozza postale è stata attaccata dai briganti.»

    «Signora, poggi quell’arma a terra.»

    Sconcertata, si rese conto di aver dimenticato di nascondere la pistola. «Certamente» disse, la voce incrinata da uno stridio, come se stesse per scoppiare a ridere, o forse a piangere. Si piegò fino a poggiare la pistola sul terreno. Il cerchio di ferro della gonna s’inerpicò dietro di lei in maniera ridicola.

    Un cavaliere si avvicinò. «Siete sole?» chiese, scrutando alle sue spalle, verso gli alberi da cui erano spuntate.

    «Sì, signore. Viaggiavamo con il postale quando è stato attaccato dai briganti. Noi siamo fuggite nel bosco prima che ci prendessero.»

    «Vedo che siete riuscite a salvare qualcosa.» La voce adesso aveva un’intonazione un po’ beffarda. «Siete state previdenti.»

    Lei attese qualche istante, affondando i denti all’interno del labbro inferiore per darsi il tempo di placare la collera improvvisa. «Non si aspetterà che una signora si inoltri in un bosco senza neppure un indumento di ricambio?» chiese poi, aspra.

    L’uomo scoppiò in una risata, rovesciando la testa all’indietro. Dalila lo guardò lievemente stupita. Erano pochi quelli che reagivano con divertimento all’arroganza di una donna. Alla luce della lanterna, lui non appariva diverso da tanti altri. Era alto, bruno. La barba e il chepì, assieme alle ombre, le impedivano di farsi un’idea dei suoi lineamenti.

    «Credo ci siano dei feriti, signore» intervenne Agata per la prima volta. L’uomo smise di ridere e si volse a guardarla come se si fosse reso conto solo allora della sua presenza. «Gli altri nella carrozza postale, intendo» riprese la ragazza, spostandosi leggermente dietro Dalila quasi per nascondersi. «Credo che qualcuno di loro… sia morto.» La sua voce diminuì di forza fino a svanire in un sussurro.

    Dalila si chinò a raccogliere la pistola e la rimise nella sacca. Nessuno parve notarla. Tutti gli uomini erano stati d’un tratto travolti dall’urgenza dell’azione. Il capitano ordinò di far montare le signore a cavallo. Non si fidava a lasciarle sulla montagna con solo una piccola scorta, anche se la loro presenza li avrebbe leggermente rallentati.

    A Dalila dispiacque che non la facesse salire con lui. L’uomo l’incuriosiva. Non sembrava che la loro condizione l’avesse commosso, né che la possibilità di un’azione cavalleresca lo entusiasmasse. Mentre tornavano per il percorso che avevano compiuto, parzialmente sulla strada e per lo più tra gli alberi, si rese conto di non aver messo tra loro e la carrozza la gran distanza che aveva immaginato. La stanchezza, la paura, qualche giro a vuoto tra la vegetazione avevano confuso il suo senso dell’orientamento. Non ci vollero più di venti minuti per raggiungere la vettura assaltata.

    Il capitano balzò a terra per primo, e gli altri lo seguirono. Passarono dall’uno all’altro dei passeggeri per controllarne le condizioni. I postiglioni erano scomparsi e così i cavalli.

    «Sono fuggiti ai primi colpi di fucile» disse Dalila, alla domanda del capitano. «Devono essere ancora tra i boschi, se non hanno già raggiunto uno dei paesi sulla strada.»

    Una signora anziana e la nipote se ne stavano rannicchiate all’interno della carrozza, strette l’una all’altra, in preda alla confusione. «Mia nipote continua a svenire» balbettò la donna con voce stridente. «Ci hanno preso tutto quello che avevamo.»

    Il capitano attese, ma lei non aggiunse altro. Se c’era stato un diverso tipo di violenza, probabilmente nessuno l’avrebbe mai saputo. Un uomo era steso sul terreno, e fu subito evidente che per lui non c’era nulla da fare. Un giovanatto robusto si lamentava per una ferita al braccio, da cui colava il sangue.

    «Manca qualcuno?» chiese, rivolto a Dalila.

    Lei annuì. «Una coppia, marito e moglie. Devono averli rapiti. Avevano un’aria… facoltosa.» Fu colta da un’ondata repentina di sollievo, e da un senso d’euforia. Aveva fatto bene a fuggire. Era stata brava.

    Quasi le avesse letto nella mente, il capitano si girò a guardarla. «È stata brava» commentò, in una ripetizione dei suoi pensieri che per un attimo le fece girare la testa. «Molto pronta.»

    La fissò come se si stesse chiedendo da dove le derivasse una simile abilità. Una giovane donna di educazione superiore. Dove poteva aver imparato a cogliere i segnali di minaccia e reagire prima che si trasformassero in pericolo reale? Dalila sollevò il mento. «È una mia caratteristica.»

    Lui annuì. «Me ne sono reso conto.»

    Chi era quell’uomo e perché non la trattava come una vittima? Perché non cercava di consolarla e mettersi al suo servizio, invece di farla sentire come se dovesse discolparsi da qualcosa?

    «Qual è il suo nome, signora?»

    Si trattenne dal replicare che non era il momento per le presentazioni ufficiali. Meglio non mostrarsi ostile, visto che si trovava sotto la sua protezione. «Dalila Reis» rispose. «E lei è Agata Reis, mia cognata. Sorella del mio defunto marito» tenne a spiegare, perché fosse ben chiaro che non era una ragazzina da menare per il naso. C’era un altro motivo per la precisazione, che le divenne manifesto solo dopo che ebbe pronunciato quelle parole. Voleva che si sapesse che era una signora, ma non una signora sposata.

    «Dalila» ripeté l’uomo, avvicinandosi. Alla luce argentea della luna e a quella più calda della lanterna i lineamenti del suo volto si aprirono in un ampio sorriso. I denti bianchi scintillarono tra la barba bruna in modo quasi innaturale. «Un nome pericoloso, se è vero che in ogni nome c’è un destino.»

    Anche se attorno a loro era pieno di gente in movimento, Dalila si sentì leggermente sopraffatta dalla sua presenza. C’era qualcosa di minaccioso in lui, e il contrasto con il sorriso aperto aumentava il senso d’allarme. Non voleva che le venisse troppo vicino. «Solo se lei avesse dei capelli molto lunghi» replicò, tanto per non lasciare che fosse lui a parlare per ultimo.

    Tra i soldati scoppiò una risata, che sconcertò i superstiti della carrozza postale e anche lei. Non aveva inteso fare dello spirito.

    Con il sorriso ora un po’ sghembo, il capitano si tolse lentamente il chepì. Tra lo stupore di Dalila, i capelli gli ricaddero giù per le spalle e sulla schiena, in una massa folta e dalla foggia strana. Potevano essere… intrecciati?

    «Capitano Roman Coulter, al suo servizio. E come vede, cara signora Reis, lei costituisce un reale pericolo per la mia persona.»

    Il branco scivolò giù per la montagna, cauto e silenzioso. Chiunque fosse della loro specie avrebbe però avvertito quella particolare emozione che lo avvolgeva, simile a un’incalzante nuvola d’energia. Raggiunta l’altezza della strada, non uscì allo scoperto, ma si appostò al riparo della vegetazione, le teste abbassate per nascondere lo scintillio rivelatore degli occhi.

    Il gruppo degli umani era là, accanto alla vettura priva di cavalli. Le narici dei lupi vibrarono al loro odore estraneo, e a quello più penetrante del sangue e della morte. Non avevano assistito all’attacco, ma sapevano cosa fosse successo per esserne stati altre volte testimoni silenziosi. Gli uomini arrivavano, uccidevano altri uomini e poi fuggivano via, lasciandosi dietro le spoglie.

    Paura e collera erano percepibili, quasi fossero colori sparati nella notte. Sentirono le voci pronunciare parole a malapena comprensibili. L’udito dei lupi era acuto, ma la nuvola d’eccitazione premeva contro di loro e pulsava come il cuore dopo una corsa, confondendoli. Tuttavia erano stati in grado di seguire l’uomo che aveva acceso il loro interesse, che li aveva richiamati fin lì con la traccia della sua mente, del suo odore. L’uomo che non era un uomo, ma uno della loro specie.

    Era tranquillo, sicuro di sé. Lo spettacolo della morte non lo turbava. Lo sentivano, ma ancora non l’avevano individuato nel gruppo, perché le sue doti in quel momento erano attenuate. Coglievano anche qualcos’altro, una tenue vibrazione, che scartarono come non interessante, e poi una più forte. C’erano altri della loro gente, là in mezzo.

    Voci di maschi si alternavano a voci di femmine. All’esplosione di una risata, appiattirono ancora di più il muso. Non capivano cosa stesse succedendo. Nell’attimo di silenzio che seguì, le parole risuonarono nitide.

    «Capitano Roman Coulter, al suo servizio.»

    Un giovane lupo ebbe uno scatto, come per sollevarsi, ma un colpo di muso di uno più anziano lo trattenne schiacciato al suolo. L’energia adesso era quasi visibile, un’emozione che filtrava fin dentro il loro sangue, i loro cuori. L’altro re, quello che avevano a lungo aspettato, era finalmente arrivato.

    Roman distolse lo sguardo dalla donna, infastidito da una sensazione. Come se l’ala di un uccello gli avesse sfiorato il volto. Si girò verso Pirro, e scoprì che lo stava guardando. Non mutarono espressione, ma la comprensione corse chiara tra loro. Tra la vegetazione c’era qualcuno.

    «Forza, togliamoci di qua» disse. «Il posto non è sicuro.»

    Ci volle ancora una mezz’ora per organizzarsi, poi il convoglio riprese il cammino verso Cheggia. Per tutto il tempo Roman scrutò ai lati della strada, i sensi tesi a cogliere delle presenze appostate nella notte. Non erano però i briganti a preoccuparlo, quanto quelle vibrazioni che percepiva, di colpo numerose. Pirro di tanto in tanto scuoteva la testa, come se la pressione fosse eccessiva, poi lo guardava, ma lui non sapeva cosa dirgli. Era una novità anche per lui.

    I soldati portarono il cadavere del viaggiatore nella piccola infermeria della caserma che presidiava quel territorio, alla periferia del paese. Il giorno appresso il becchino avrebbe preso in carico il corpo, per inumarlo nel cimitero poco distante o imbalsamarlo, secondo le disposizioni dei parenti, in attesa del loro arrivo.

    Le due donne, nonna e nipote, decisero di fermarsi da dei conoscenti. In seguito avrebbero preso un’altra carrozza postale per proseguire il viaggio fino alla loro destinazione. Avevano rifiutato di vedere il dottor Moretti, l’unico medico del paese, ma il capitano Coulter si ripromise di interrogarle prima della partenza. Non era prudente che le uniche informazioni sull’assalto gli venissero da una sola persona, di cui non sapeva se fidarsi.

    Non c’era nessun reale motivo per la sua cautela, a parte che Dalila Reis era una donna sconcertante. E il nome faceva sorgere delle domande sui suoi genitori. Colei che impoverisce. La traditrice. Questi erano i significati del suo nome.

    Chi mai lo avrebbe imposto a una figlia?

    A parte un Coulter, pensò trattenendo un sorriso, mentre assieme a un gruppo di soldati procedeva a cavallo per le strette strade del paese.

    Girò lo sguardo sulla donna, seduta nella carretta che condivideva con la sua compagna e con il ferito, diretti tutti verso la casa del dottor Moretti. Era una fortunata coincidenza che quella fosse anche la destinazione delle due giovani cognate.

    Ancora non era riuscito a vederla se non alla luce della luna, o a quella deformante della lanterna. Ne vedeva però lo spirito, al modo in cui quelli della sua specie riuscivano a percepire le emozioni altrui, e quel che ne ricavava aumentava la sua curiosità. C’era dell’amarezza, in lei, e disprezzo. Rivolto verso di chi? Anche sfida e determinazione. Come chi intraprenda una grande impresa.

    Dalila Reis non gli aveva più rivolto la parola né uno sguardo, da quando lui si era tolto il cappello. Forse si era offesa, ma sembrava il tipo in grado di parare o anticipare qualunque cosa… come la provvidenziale fuga dalla carrozza dimostrava; e questo gli poneva il dubbio se non ci fosse qualcosa di strano, in quella sua miracolosa prontezza di riflessi.

    In ogni caso, avrebbe avuto il tempo di indagare su di lei, perché Dalila Reis non era una viaggiatrice di passaggio, ma era arrivata per restare, almeno per un certo periodo.

    La casa del dottor Moretti si trovava sulla piazza principale del paese, come si confaceva a un uomo della sua posizione sociale. Roman conosceva il dottore, ma vide per la prima volta la signora Moretti quando questa apparve trafelata dietro la cameriera, venuta ad aprire la porta.

    Strano che non l’avesse notata prima, o che nessuno gliela avesse indicata. Una donna simile non passava inosservata.

    «Dalia, piccola mia» esordì, spalancando le braccia in maniera un po’ esagerata.

    Roman chinò la testa di lato. Dalia?

    La giovane si prestò all’abbraccio con imbarazzo evidente. Nonostante l’espansività del benvenuto, gli occhi neri della signora Moretti fissi su di lei erano ansiosi, ma non premurosi.

    «Ester, mia cara, lascia che entrino in casa.» L’invito del dottore riuscì a sciogliere il piccolo intasamento sulla porta.

    I nuovi arrivati riempirono l’ingresso, per poi separarsi. Un paio di soldati e il ferito seguirono il dottore verso l’ambulatorio, che si trovava sul lato destro della casa e possedeva un’entrata indipendente. La padrona, le giovani donne e il capitano Coulter si diressero verso il salotto, in cui era stato preparato un piccolo rinfresco. Gli altri soldati restarono all’esterno, in attesa.

    «Non posso credere a quello che è successo.» La signora spostò lo sguardo dall’una all’altra delle due ospiti. «Un assalto alla carrozza postale! Non è la prima volta che succede, ma ultimamente sembrava che le cose fossero migliorate.»

    Roman Coulter non aveva voglia di invischiarsi in una conversazione sul brigantaggio nel teramano. La presenza delle tre donne stimolava in lui il desiderio di rapporti sociali più rilassati, privi del contegno austero che il suo ruolo imponeva. Era passato un lungo anno da quando aveva potuto permettersi una simile libertà. Tutto quello che era successo in mezzo era stato logorante e opprimente.

    «La ringrazio, capitano Coulter, di essere andato in aiuto della mia figlioccia con tanta solerzia.» La signora Moretti sorrise e ai lati della sua bocca si produssero due profonde fossette. «Come ha saputo cosa stava succedendo?»

    «Il postale era in forte ritardo e abbiamo avuto una segnalazione» rispose lui senza esitare. Quando si apparteneva a una specie segreta, s’imparava a mentire presto e con disinvoltura.

    Le due giovani donne sedevano su un divanetto, con delle tazze di cioccolato caldo tra le mani. Agata era avvolta in uno scialle pesante, ma questo non le impediva di tremare convulsamente. Era graziosa, con i capelli rossi, gli occhi castano dorato e la pelle chiara, i lineamenti delicati. Reggeva la tazza con dita sottili dalle pallide unghie ovali. La sua fragilità, fatta per stimolare il senso di protezione maschile, era priva di attrattive per Roman Coulter. L’altra era diversa, come aveva immaginato. Di altezza media e apparentemente sottile quanto l’amica, il corpo dava invece l’impressione di una forza in grado di resistere a ogni attacco. Forse era il suo atteggiamento guardingo a suggerire l’idea, il modo deliberato in cui si muoveva, o volgeva gli occhi dall’uno all’altro dei suoi interlocutori, come se nascondesse un’arma pronta per ogni situazione. Roman l’aveva vista raccogliere la pistola da terra e riporla nella sacca. Un altro motivo per diffidare. Quale donna porta con sé una pistola? Quale donna onesta, lo corresse una voce dentro di lui.

    Alla luce delle lampade, i suoi capelli mantenevano la promessa fatta a quella della luna. Erano di un biondo chiarissimo, eppure vivace e brillante. Annodati strettamente, e poi leggermente disfatti dall’avventura nel bosco, le circondavano la testa in una nuvola crespa che lasciava ricadere qualche ciocca sulle spalle. Conoscendo le donne, Roman era certo che lei detestasse quei suoi straordinari capelli, che lui invece continuava a guardare affascinato. Gli occhi erano verdi, e in qualche modo se lo era aspettato, senza sapere perché.

    Sotto il suo esame, Dalila Reis sollevò il mento e lo fissò, quasi sfidandolo a commentare il proprio aspetto. La signora Moretti batté piano un paio di dita sul gomito della sua protetta, un richiamo a un comportamento più modesto.

    «Credo che a questo punto io possa andare» disse Roman, con un’occhiata di desiderio alla bottiglia del brandy sul tavolo. C’era ancora del lavoro da fare. I postiglioni erano dispersi tra i boschi, e c’erano due persone in mano ai briganti. Non aveva tempo di indugiare in attività sociali.

    Tuttavia indugiò a stringere la mano alle due nuove arrivate, nonostante la meraviglia che

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