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Un'adorabile bugiarda
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E-book311 pagine3 ore

Un'adorabile bugiarda

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Info su questo ebook

Durante le Guerre Napoleoniche, la bella Elisa è vittima di soprusi degli invasori francesi. In particolare, prova a tener testa a un arrogante ufficiale, Giles, il quale non esita però a prendersi ciò che desidera con la forza. Ma i due, per uno scherzo del destino, si ritroveranno presto nei salotti più esclusivi di Milano...
"Ombre Rosa" è una collana e insieme un viaggio alla riscoperta di un'intera generazione di scrittrici italiane che, tra gli anni Settanta e gli anni Duemila, hanno posto le basi del romanzo rosa italiano contemporaneo. In un'era in cui finalmente si colgono i primi segnali di un processo di legittimazione di un genere letterario svalutato in passato da forti pregiudizi di genere, lo scopo della collana è quello di volgere indietro lo sguardo all'opera di quelle protagoniste nell'ombra che, sole, hanno reso possibile arrivare fino a questo punto, ridando vita alle loro più belle storie d'amore.
LinguaItaliano
Data di uscita13 mag 2024
ISBN9788727110691
Un'adorabile bugiarda

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    Anteprima del libro

    Un'adorabile bugiarda - Mariangela Camocardi

    Un’adorabile bugiarda

    Cover image: MidJourney

    Copyright ©2021, 2024 Mariangela Camocardi and SAGA Egmont

    All rights reserved

    ISBN: 9788727110691 

    1st ebook edition

    Format: EPUB 3.0

    No part of this publication may be reproduced, stored in a retrieval system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.

    www.sagaegmont.com

    Saga is a subsidiary of Egmont. Egmont is Denmark’s largest media company and fully owned by the Egmont Foundation, which donates almost 13,4 million euros annually to children in difficult circumstances.

    Indice

    10 

    11 

    12 

    13 

    14 

    15 

    16 

    17 

    18 

    19 

    20 

    21 

    22 

    Epilogo

    — Come mai ancora qui, Elisa? — Isolina avanzò nella stanza con andatura da gatta di razza. L’abito di voile blu pavone ondeggiava morbido attorno alla figura minuscola rivelandone l’avvenenza e mettendo in risalto l’epidermide bianchissima e la rigogliosa chioma corvina.

    — Cleofe mi ha chiesto di fermarmi oltre l’orario — spiegò Elisa, sprimacciando con energia i guanciali e lisciando le grinze del copriletto. — Ci sono ospiti in arrivo e dovevo controllare che le camere fossero in ordine.

    — Sì, ho sentito. — Isolina si sventolò il viso grazioso con un ridicolo fazzolettino di pizzo che non avrebbe smosso un moscerino. — Ospiti danarosi, se possono permettersi l’alloggio migliore della locanda Ai Cavalleggeri… — S’interruppe e, fissando sbigottita il parquet lucidissimo, esclamò: — Santo cielo, non posso credere che con questo caldo abbia dato anche la cera!

    — Una faticaccia che mi sarei volentieri risparmiata, ma sai com’è fatta Cleofe.

    — Sì, e non si può dire che non te la guadagni la miseria che ti passa la padrona.

    — Sarà una miseria, ma è sempre meglio di niente. E arrotondo con gli straordinari, se capita. Con i tempi che corrono ci si deve accontentare, no?

    — Ti accontenti di poco, tu! — Isolina storse il nasino all’insù. — Neanche morta mi adatterei a fare la sguattera! Odio le faccende domestiche e non so proprio come tu possa… — Scosse il capo. — Be’, è assurdo sfacchinare come un mulo per ricavarci a malapena di che vivere, potendo viceversa…

    Elisa le lanciò un’occhiata infastidita. — Potendo far cosa? Quello che fai tu, forse?

    — Perché no? — Imperturbabile, l’altra le sorrise. — Anche se ti nascondi sotto quegli orribili vestiti senza forma, sei bella e i clienti sborserebbero cifre da capogiro pur di godere della tua compagnia, sai?

    Lei smise per un attimo di strofinare il ripiano del cassettone. — Occorre esserci tagliati per fare… be’, senza offesa, preferisco fare la cameriera. — La fissò con espressione dispiaciuta. — Scusa se l’ho detto, ma è ciò che penso.

    — Figurati! — L’altra rise. — Conoscendoti, sono stata sciocca a parlartene. Non ti ci sporcheresti mai, vero? Nemmeno se fossi alla fame.

    — No, nemmeno — Il tono di Elisa era asciutto. Giudicare gli altri era un compito che lasciava a Dio, ma non invidiava quelle come Isolina, costrette a vendere il loro corpo a chiunque fosse disposto a pagare per averlo. Cleofe teneva alle dipendenze cameriere particolari, a disposizione di una ristretta cerchia di selezionati clienti, soddisfacendo un diverso genere di appetiti. Isolina, nata in una famiglia della buona borghesia, era stata ripudiata quando, appena sedicenne, era fuggita di casa con l’uomo sposato di cui si era invaghita, e che l’aveva ben presto abbandonata al suo destino. Cleofe l’aveva trovata in un vicolo del Bottonuto, quartiere tra i più malfamati di Milano, stremata e affamata, e l’aveva portata alla locanda. Il proseguo era stato qualcosa di scontato

    — Ognuno ha diritto alle proprie scelte — Isolina raggiunse la porta con un provocante ondeggiare di fianchi. — Stammi bene, cara! Mi aspetta una serata vivace e non voglio subire anche i rimbrotti di Cleofe arrivando in sala in ritardo.

    Elisa la seguì con lo sguardo finché non si eclissò oltre la soglia. Tirando un sospiro, si accostò alla finestra spalancata. La calura pomeridiana si stemperava piano piano nella brezza del tramonto, satura della fragranza del glicine che avvolgeva il pergolato esterno. L’estate si annunciava con la fragranza delle rose che sbocciavano, avanzando sul verde intenso dei prati, tra siepi di bosso e biancospino. A ovest, dove cielo e lago si fondevano in un sipario unico, il disco fiammeggiante del sole calava lentamente dietro le montagne, incendiando le creste di riflessi aranciati che sfumavano nel violetto. Era come osservare un acquerello incompleto che di attimo in attimo offriva nuovi particolari e nuovi colori, ma lei era troppo stanca per apprezzare la bellezza della natura. La locanda era affollata e Cleofe era una padrona esigente. La clientela aveva la priorità su tutto e il successo del locale era il risultato concreto di un’ottima gestione. Ce n’erano altri, naturalmente: l’Osteria del Leoncino, o L’Osteria del Pesce d’oro, ma quello di Cleofe era il ritrovo preferito. La locanda sorgeva su una collina da cui si poteva godere un impagabile panorama. Lo sguardo spaziava dall’ampia distesa del lago alla rosseggiante successione dei tetti di Intra, fino al ponte di sasso che, scavalcando il torrente San Giovanni, collegava la cittadina lacustre ai tanti piccoli paesi che la contornavano con le loro antiche chiese, disseminate tra le ombrose alture, i folti boschi e le silenziose vallate.

    Nell’udire il rumore degli zoccoli di un cavallo che si avvicinava, abbassò lo sguardo. Un cavaliere si stava avvicinando al trotto. L’uomo smontò nell’ampio cortile lastricato, davanti all’ingresso principale, e porse le redini, al garzone di stalla. Il ragazzo scaricò le borse da viaggio e intascò la moneta che il forestiero gli porse, prima di allontanarsi verso la scuderia.

    Un secondo uomo uscì dall’edificio, si avvicinò all’ultimo arrivato, che lo accolse con un: — Allora, Jean?

    I due confabularono per qualche momento, poi, quello di nome Jean, capelli e barba biondi, figura massiccia, annuì e rientrò nella locanda; l’altro, alto e aitante, i riccioli bruni e ribelli che gli ricadevano sulla fronte, si guardò in giro con espressione accigliata. Indossava aderenti brache nere, una redingote che gli modellava alla perfezione le larghe spalle, camicia bianca e gilet grigio perla. Morbidi stivali al ginocchio, neppure troppo impolverati, completavano l’abbigliamento raffinato ed elegante del cavaliere. Vestiva con la sobria ricercatezza di chi è dotato di un’innata signorilità, e tutto in lui rivelava la sua appartenenza all’aristocrazia.

    D’un tratto, quasi si fosse accorto di essere osservato, l’uomo sollevò il capo e vide Elisa che lo fissava dalla finestra.

    Lei si ritrasse, a disagio per essere stata colta a sbirciare e tirò le pesanti tende di velluto sui vetri. Il volto scarno e maschio dello sconosciuto, un volto dai tratti poco comuni, le si era impresso nella mente. I loro occhi si erano incontrati per un breve attimo eppure… per quanto assurdo, era passato tra loro qualcosa di indefinibile, come se… Irritata per la piega presa dai propri pensieri, Elisa sbuffò, accese la lampada a olio e ricominciò a sfaccendare.

    Un po’ più tardi, ispezionando l’alloggio, camera e salottino comunicanti, approvò soddisfatta. Cleofe non avrebbe potuto lagnarsi. Riservava quelle stanze dall’arredamento sontuoso a persone di riguardo, cioè chi pagava senza battere ciglio la somma quasi esosa richiesta dalla proprietaria. Nessuno sapeva a quanto ammontavano i suoi guadagni, ma gli introiti erano senza meno cospicui, soprattutto considerando l’incasso giornaliero della sala al pianterreno dove si consumavano i pasti, gremitissima, ogni sera, di uomini che attendevano impazienti di essere serviti dalle graziose cameriere.

    Scostandosi dal viso accaldato una ciocca ramata, si accinse a scendere per informare la padrona che aveva finito, e potersene tornare a casa, finalmente. Non voleva affrontare la strada del ritorno con l’oscurità. Con i francesi ovunque, evitare di imbattersi in loro era una buona regola. Quelli non andavano granché per il sottile se incrociavano donne, soprattutto giovani, dopo il crepuscolo.

    Mentre radunava secchio, scopa e strofinacci, le sembrò di sentire aprirsi l’uscio nel salotto adiacente.

    — Siete voi, Cleofe? — chiese. L’unico rumore che le giunse in risposta fu il vociare confuso che saliva dalla sala sottostante. Alzando le spalle, regolò al minimo la fiammella della lampada e si avviò stancamente verso la porta.

    Le braccia muscolose che le cinsero la vita, da dietro, in una stretta che le mozzò il respiro, la colsero talmente alla sprovvista da strapparle un grido. Mollò secchio e scopa, dibattendosi alla cieca. — Ehi, chi diavolo… — cominciò indignata. Cercò di voltarsi per dirne quattro al villanzone che si permetteva simili libertà nei suoi confronti, ma l’uomo che la imprigionava in quella morsa d’acciaio non gliene diede il tempo. La rigirò con la destrezza di un giocoliere e le schiacciò le labbra in un bacio brutale, impossessandosene come se ne avesse ogni diritto.

    Mugolando adirata contro quella bocca imperiosa, Elisa tentò inutilmente di sottrarsi al volgare approccio. Era paonazza quando lui, chiunque fosse quello sfrontato, le permise di riprendere fiato, pur tenendola sempre premuta contro di sé. Furibonda per essere stata baciata in quel modo, lasciò che la collera esplodesse. Liberando con uno strattone una mano, la protese verso la faccia di quel libertino. L’intenzione era di cavargli gli occhi, ma, ridacchiando divertito, l’uomo schivò abilmente le sue unghie.

    — Madame Cleofe avrebbe dovuto avvisarmi che sei una tigre sanguinaria, chérie

    — Madame Cleofe? — sibilò indignata lei.

    Lo sconosciuto fissò ammirato la giovane servetta scarmigliata che sembrava pronta a scorticarlo vivo se solo avesse abbassato la guardia. Una rossa tutta fuoco e passione, caspita! L’idea di stuzzicarla un po’ lo tentò. Le conquiste troppo facili lo annoiavano e quella piccola belva prometteva di non esserlo affatto. Le accarezzò un seno, ridendo dei suoi rabbiosi quanto vani contorcimenti.

    — Cleofe vi scaraventerà fuori a calci appena le riferirò… — ammutolì riconoscendo il cavaliere che aveva intravisto dalla finestra. Dunque era lui l’ospite di riguardo che la padrona aspettava. Bell’esempio di distinzione, aggredirla così! Come osava prendersi confidenze del genere? Un odioso francese, per giunta, pensò, moltiplicando gli sforzi per respingerlo. Ottenne l’esito opposto. Aprì la bocca per cacciare un urlo e, per la seconda volta, venne messa a tacere con un bacio ancora più intimo e sconvolgente. Un principio di sgomento la invase quando, oltretutto, un po’ trascinandola e un po’ sospingendola, lui la pilotò verso il letto, rivelando le sue intenzioni

    Monsieur… — balbettò, puntando vanamente i piedi sul parquet che lei stessa, accidenti, aveva reso, con un abbondante strato di cera, così scivoloso. — Toglietemi le vostre mani di dosso! — Gli intimò. Contrariare un avventore, specialmente se facoltoso, non era nella politica di Cleofe, ma, diamine, anche se il cliente ha sempre ragione, questo esagerava con le pretese. Lei non era un omaggio della casa!

    — Non gradisci le mie avances? — Le infilò le dita nei capelli per scioglierli. — E perché mai? Ho pagato in anticipo per le tue prestazioni.

    — Pagato… in anticipo?! — Lo fissò trasecolata, mentre la comprensione si apriva un varco nella mente frastornata. Signore Iddio, l’aveva scambiata per una delle ragazze che erano a disposizione degli ospiti per altri servizi, era chiaro! — Monsieur, siete caduto in un grosso equivoco! — proruppe affannata.

    — Un equivoco? — Impassibile, si chinò a sfiorarle la gola con le labbra.

    — Sì, un equivoco — ribadì, dibattendosi tra quelle braccia solide come catene. — Non sono io la persona che deve intrattenervi!

    Per tutta risposta venne sollevata e sbattuta sul letto, dopodiché lui le piombò sopra con tutto il suo peso, ricominciando a baciarla come se neppure l’avesse udita.

    — Vi prego, ascoltatemi — insistette quando riuscì a voltare di lato la testa. — State commettendo un abuso! — Le sembrò di parlare a un muro e il panico dilagò. S’irrigidì sotto quel corpo maschile. Forse, considerò febbrilmente tra sé, un atteggiamento passivo avrebbe raffreddato i bollenti spiriti di un tale idiota.

    L’uomo parve infatti accorgersi che la ragazza non partecipava come avrebbe dovuto. Staccando con riluttanza la bocca da quella tremante di lei, la fissò con aria interrogativa. — Sono troppo impetuoso, chérie? — le domandò con voce calda e profonda.

    Sfruttando l’insperata opportunità di trarsi d’impaccio, Elisa sibilò: — Temo di non essere io la donna che dovrebbe apprezzare il vostro impeto, monsieur!

    — Oh, davvero?

    — Avete sbagliato persona, potete giurarci! Io sono semplicemente la cameriera che ha riordinato la camera.

    Le sorrise sornione. — Cos’è, un trucchetto per rendere più eccitante l’incontro? O stai solo cercando di strapparmi una mancia supplementare?

    — Per chi mi prendete? — Stizzita, gli puntò le mani sul petto per tenerlo a bada. — Mi sto sfiatando per ficcarvi in testa che non sono la ragazza che deve intrattenervi!

    Il francese scoppiò a ridere. — Chérie, mi è bastata un’occhiata, credimi sulla parola, per capire che nessun’altra reggerebbe il confronto!

    Lei strinse i denti e gli tirò i capelli per impedirgli di baciarla, fissandolo bellicosa. Da vicino era più attraente, ammise assurdamente, benché, date le circostanze, tanta virilità le provocasse solo la rabbiosa voglia di schiaffeggiarlo. E quella erre moscia, oltre alla spocchiosa condiscendenza, le dava maledettamente fastidio. Avvampando d’ira, ritorse tagliente: — Come devo dirvi che siete in errore? Inoltre non sto affatto giocando, quindi spostatevi e lasciatemi andare!

    — Non ci penso neppure… — Il tono era divertito mentre iniziava a slacciarle il corpetto del vestito.

    — Insomma, monsieur, non sono una sgualdrina! — strillò Elisa fuori di sé. — Io non… — Il resto della frase si perse sulle labbra avide del francese, le sue mani che s’infilavano rapaci sotto agli abiti e le accarezzavano il corpo paralizzato dallo choc.

    Lei si divincolò, ma ogni espediente messo in atto per sfuggirgli fallì. Era troppo forte, e aveva bevuto. Il suo alito sapeva di cognac, il che rendeva forse impossibile ricondurlo alla ragione. Elisa era reduce da una massacrante giornata di lavoro e lottare contro il francese le stava prosciugando le residue energie. Lacrime di frustrazione le salirono agli occhi mentre si dibatteva sempre più debolmente per liberarsi. La spaventava soprattutto la forza di lui, e la sua espressione eccitata. L’aveva vista già una volta… s’immobilizzò brevemente, ricordando, con un brivido di repulsione, l’individuo che l’aveva violentata. No, non poteva accaderle di nuovo! Sconvolta, cercò disperatamente di sgusciare via con un ultimo frenetico strattone, ma l’uomo la bloccò accentuando la stretta sui suoi polsi e sopraffacendo la convulsa quanto inutile ribellione che gli opponeva.

    Elisa si morse il labbro a sangue sentendo il ginocchio di lui aprirle con determinazione le cosce. — Vi prego, vi prego, monsieur! Fermatevi!

    Il francese sollevò appena il capo e, guardandola irritato, sbottò: — Le donne difficili sono quelle che preferisco, chérie; però adesso facciamola finita con le tue finte ritrosie, eh? — Poi le tirò su la sottana, armeggiò con la biancheria intima e la penetrò, soffocando con la bocca il grido con cui lei accolse l’intrusione.

    Chiuse sconfitta gli occhi e si costrinse a estraniarsi al sopruso di cui era vittima. Non le stava causando dolore e le spinte, lente e profonde, avevano il ritmo di chi non ha fretta di cogliere il piacere, assaporandolo, appunto, lentamente. Intanto, con le mani e la lingua, la toccava in un modo che… che le impediva di estraniarsi nell’indifferenza.

    Attraverso l’impotenza generata dall’essere alla merce di un estraneo che l’aveva presa per una donna di malaffare, il suo corpo inaspettatamente reagì. Un fremito le saettò nel sangue e fu percorsa da sensazioni che non avevano nulla a che fare con la sua volontà di contrastarlo. Le labbra calde esploravano e le lambivano la bocca in un susseguirsi di baci ardenti, solleticando i sensi con la consumata maestria di un amante esperto che esige di essere corrisposto con uguale slancio. Il viso che scottava per la vergogna, sentì il corpo farsi arrendevole, vibrare con quello maschile, per quanto volesse reprimere ogni brivido di eccitazione. Fisicamente reattiva, la mente che rifiutava qualsiasi forma di accettazione sua, lei si rese conto che nulla l’aveva preparata al repentino coinvolgimento all’amplesso e alla sensualità del francese. Aveva tirato allo scoperto l’essenza di un desiderio finora ignorato, trascinandola con sé in un vortice dove prevalevano gli istinti carnali, il richiamo ancestrale delle pulsioni sessuali e l’inarrestabile erompere di una passionalità latente che imbavagliò recisamente gli ultimi sussurri della ragione.

    Si sciolse con un gemito di resa a quell’empito di frenesia contro il quale si scopriva inerme, condividendo, con quello sconosciuto, un appagamento che si riverberò in lei in un decrescendo di intime contrazioni che le tolse persino il respiro.

    Il francese si staccò da lei solo dopo averla sentita fremere in un residuo, insopprimibile spasimo di estasi; poi, spostandosi di lato, cedette quasi subito al sonno.

    Viceversa, Elisa tornò bruscamente alla realtà.

    L’enormità di quanto era successo la raggelò, prima che saltasse fuori dal letto come una furia. Si rimise in ordine alla meglio, fissando con tale astio l’uomo supino sul letto da tremare da capo a piedi. Infine, piangendo di rabbia, riguadagnò il corridoio, per sua fortuna deserto e, passando dall’uscita posteriore, fuggì nell’oscurità, allontanandosi dalla locanda come se fosse il regno del demonio.

    Monsieur, svegliatevi…

    Il francese sollevò faticosamente le palpebre e, con un grugnito di protesta, fissò la prosperosa bionda che, china su di lui, i seni esposti da una scollatura a dir poco indecente, lo scuoteva con insistenza.

    — Che vuoi? — borbottò con aperta irritazione.

    — Come sarebbe? — Lo fissò stupita. — Non siete voi quello che ha pagato la padrona per avere la compagnia di una donna? Non avete pregato Cleofe di mandarvene una che trascorresse qualche ora con voi? — Si raddrizzò. — Ebbene, sono a vostra disposizione! — Lei esibì con orgoglio quel suo corpo dalle curve accentuate che gli avventori della locanda adocchiavano sospirando. Era la più bella tra le ragazze che la proprietaria della locanda destinava al piacere di pochi eletti. La più contesa.

    Il francese le oppose un brusco diniego. — Vattene! Ho già avuto ciò che volevo.

    Lei lo sogguardò interdetta. — Dovete aver bevuto un bicchiere di troppo, monsieur. Sono appena salita, dunque ve lo siete di sicuro sognato che…

    — Avrò anche bevuto, ma la giovane che era con me era vera.

    — Quale giovane? — La bionda indicò il letto vuoto. — Siete solo, vedo.

    — Se ne sarà andata — si spazientì lui.

    — Ma, monsieur.

    — Senti! — ringhiò esasperato, scattando a sedere. — Cercavo una donna e l’ho avuta. Adesso chiedo soltanto di poter dormire, chiaro?

    — Sentite voi, piuttosto — tentò lei, contrariata di essere messa alla porta da un buon cliente. E che cliente! Il fascino del francese la stuzzicava al punto da farle accantonare anche la venalità! Muscoli scattanti sotto una pelle abbronzata che spiccava sul candore delle lenzuola. Un volto che difficilmente una donna poteva dimenticare o confondere, occhi di un blu intenso, capelli nerissimi tra i quali affondare sensualmente le dita.

    — Vattene, ho detto!

    Sospirando illanguidita, la bionda ribadì suadente: — Monsieur… non potremmo voi e io fare la reciproca conoscenza in una maniera meno…

    — Fuori dai piedi! — la liquidò in tono risoluto, rituffandosi con un’imprecazione sotto le lenzuola odorose di sapone alla lavanda.

    Scuotendo il capo, lei retrocesse e, gettata un’ultima occhiata sconcertata al francese, si eclissò senza sollevare ulteriori obiezioni, assolutamente decisa a chiedere alla padrona chiarimenti a proposito di quel mistero.

    Soltanto dopo aver percorso un lungo tratto Elisa si concesse di rallentare l’andatura. La locanda sorgeva sulle alture che sovrastavano Intra e c’era una certa distanza tra Antoliva e dove abitava lei. Individuata una radura appartata, si lasciò cadere sull’erba e sfogò ira e umiliazione con un pianto liberatorio.

    Quel dannato francese!

    E lei, che razza di scostumata era per aver provato… arrossì di nuovo e si disprezzò per essersi comportata peggio delle ragazze compiacenti di Cleofe.

    Dio, come aveva potuto?!

    Non sapeva spiegare un simile comportamento. Più calma, si mise a riflettere sull’accaduto. Qualcosa di istintivo aveva avvinto i loro corpi, qualcosa di imprevedibile sfuggito al controllo dalla ragione. Sospirò, afflitta dal senso di colpa. Si sentiva sporca e a nulla servì ripetersi che quell’episodio assurdo e degradante non era dipeso dalla sua volontà. Ma allora, da che cosa?

    Una volta aveva inteso una donna anziana dire a qualcuno che il magnetismo animale è insito anche negli esseri umani… Esistono pulsioni sconosciute persino a noi stessi aveva affermato la vecchia. Si tratta di impulsi che stimolano l’attrazione per una tale persona piuttosto che per un’altra, e non alcuna importanza che siano estranei. Scattano aspetti individuali che ignoriamo di possedere e che sarebbe innaturale reprimere: farlo equivale a negare la nostra intima essenza, ciò che in definitiva si è, nel bene e nel male.

    In effetti si era verificata una… suggestione? Lei non comprendeva perché invece di respingerlo con i pugni, sferrargli anche una ginocchiata nell’inguine, gli aveva permesso di toccarla come fosse una sgualdrina. Ma il cervello aveva smesso di funzionare, mentre in quel letto avveniva l’impensabile.

    Come li detestava quei pezzenti rifatti che, rubando e spadroneggiando, si godevano senza remore i frutti delle loro razzie. Erano i clienti più assidui della locanda, quei senza Dio, e Cleofe, ovviamente, li accoglieva a braccia aperte: di qualunque razza fossero, purché pagassero in contanti, erano i benvenuti.

    All’inizio tutti avevano accolto i francesi con entusiasmo, acclamandoli per aver riportato la libertà, auspicata e attesa, e le riforme sociali in grado di riscattare secoli di oppressione e di ingiustizie. Quale illusione! A un tiranno ne era subentrato un altro, e la libertà si riduceva a quell’albero simbolico che l’armata d’Italia, guidata dal Bonaparte, aveva innalzato nelle piazze

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