Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Un inglese per Miss Sinclair: Gli amori dei Bawden, 6
Un inglese per Miss Sinclair: Gli amori dei Bawden, 6
Un inglese per Miss Sinclair: Gli amori dei Bawden, 6
E-book302 pagine3 ore

Un inglese per Miss Sinclair: Gli amori dei Bawden, 6

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Harry Delaine è amato da tutti sul suolo inglese. Ma quando deve avventurarsi in Scozia, il benvenuto che gli viene riservato non è altrettanto caloroso. Specialmente da parte della famiglia della bella principessa delle Highlands, Morag Sinclair.
"Ombre Rosa" è una collana e insieme un viaggio alla riscoperta di un'intera generazione di scrittrici italiane che, tra gli anni Settanta e gli anni Duemila, hanno posto le basi del romanzo rosa italiano contemporaneo. In un'era in cui finalmente si colgono i primi segnali di un processo di legittimazione di un genere letterario svalutato in passato da forti pregiudizi di genere, lo scopo della collana è quello di volgere indietro lo sguardo all'opera di quelle protagoniste nell'ombra che, sole, hanno reso possibile arrivare fino a questo punto, ridando vita alle loro più belle storie d'amore.
LinguaItaliano
Data di uscita27 mag 2024
ISBN9788727061337
Un inglese per Miss Sinclair: Gli amori dei Bawden, 6

Correlato a Un inglese per Miss Sinclair

Titoli di questa serie (50)

Visualizza altri

Ebook correlati

Narrativa storica per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Un inglese per Miss Sinclair

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Un inglese per Miss Sinclair - Roberta Ciuffi

    Un inglese per Miss Sinclair

    Immagine di copertina: Freepik

    Copyright ©2000, 2024 Roberta Ciuffi and SAGA Egmont

    All rights reserved

    ISBN: 9788727061337 

    1st ebook edition

    Format: EPUB 3.0

    No part of this publication may be reproduced, stored in a retrieval system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.

    www.sagaegmont.com

    Saga is a subsidiary of Egmont. Egmont is Denmark’s largest media company and fully owned by the Egmont Foundation, which donates almost 13,4 million euros annually to children in difficult circumstances.

    Londra, 1823 

    Harry Delaine, Conte di Mitcham, lasciò cadere la lettera che il suo maggiordomo gli aveva consegnato poco prima, al ritorno da una noiosa serata musicale, e pensò che a volte la vita di un Pari di Inghilterra poteva essere dannatamente complicata.

    E pensare che alcuni ritenevano che fosse tutta rose e fiori, balli e divertimenti, considerò con amarezza, sollevando alle labbra il bicchiere di Madeira che si concedeva la sera, quando, dopo un'intera giornata trascorsa a onorare il suo ruolo tra una puntata in Parlamento e un ricevimento mondano, gli era possibile abbandonare le stanche membra sulla poltrona Chippendale accanto al camino. Spento, al momento, visto che la stagione estiva aveva messo fine al suo utilizzo, come pure alle sedute del Parlamento e alla maggior parte degli intrattenimenti della buona società… ma non era questo il punto. Il punto era che la vita di un aristocratico britannico era piena di doveri e seccature.

    In particolar modo quando si era a capo di una famiglia numerosa e propensa a combinare pasticci, di un tipo o dell'altro. E non c'era verso che le cose potessero migliorare, non nel prossimo futuro, quando alla famiglia d'origine si sarebbe aggiunta quella destinata a trasmettere ai posteri l'illustre nome dei Delaine e il titolo connesso.

    Da qualche tempo, il pensiero si affacciava alla sua mente con fastidiosa insistenza. Alcuni mesi prima un conoscente della sua cerchia, il Marchese di Guildford, era incappato in un accidente imprevedibile: un fulmine a ciel sereno lo aveva sbalzato da cavallo, mettendo all'istante fine alla sua vita.

    Il marchese aveva trentadue anni, era un gaudente nel fiore di una matura giovinezza, motivo per cui aveva continuato a rimandare il momento di convolare a nozze e concepire un erede. Uno legittimo, perché del tipo diverso ne aveva una certa produzione ma nessuno che fosse di qualche utilità allo scopo.

    In assenza di fratelli e cugini prossimi, il titolo era migrato tra le braccia di un oscuro parente di mezza età, un signorotto di campagna anche lui scapolo incallito, il quale più che felice era rimasto terrorizzato dall'insperata fortuna che gli era capitata, oltre che dal dovere ormai improrogabile di mettersi a produrre eredi a sua volta.

    L'aspetto ironico della vicenda era che lo stalliere che seguiva da vicino il marchese era rimasto del tutto illeso e quindi in grado di popolare la terra con la sua irrilevante semenza. C'era da credere che la sorte fosse davvero cieca!

    Harry aveva quasi trent'anni, due meno del marchese alla sua dipartita da questo mondo, e come lui aveva continuato a rimandare il momento in cui avrebbe dovuto stringere il fatidico nodo. Al contrario di quell'infelice, aveva un parente stretto che – nel caso disgraziato di un suo prematuro trapasso – avrebbe potuto assumersi l'onere di portare il titolo.

    Che suo fratello Michael diventasse il Sesto Conte di Mitcham era però una possibilità da far tremare i polsi.

    Non lo vedeva da più di un anno, da quando era stato costretto a farlo scortare da alcuni suoi uomini su una carrozza diretta in Scozia, legato mani e piedi,per evitare che il Visconte Crenshaw gli facesse un buco in fronte, in seguito a un inopportuno guanto di sfida gettato da Michael in difesa di una baronessa dalla dubbia reputazione. A questo era seguita una serie di eventi che Harry non era in grado di decifrare. Michael era riuscito a fuggire e… bene, qualcosa doveva essere successo perché neppure un mese dopo quella testa vuota aveva finito per assumere un qualche incarico a Crenshaw Dell, la tenuta del visconte.

    Come questo fosse stato possibile era un mistero che suo fratello non gli aveva fatto la grazia di svelare. Né si era detto disposto a obbedire al suo perentorio ordine di far ritorno a Londra munito della dovuta contrizione di spirito per aver eluso gli ordini del capofamiglia. Al contrario, Harry aveva ricevuto una lettera confusa in cui Michael gli spiegava di aver trovato la sua strada in maniera indipendente e di non aver interesse a cambiarla.

    Indipendente! Il disgusto che il Conte di Mitcham provava per quella parola, pronunciata (o, in questo caso, scritta) da un suo parente, era pari solo a quello che gli suscitava il termine uguaglianza in bocca a un cittadino comune. Erano parole che evocavano tumulti e disordini. Sedizione. Rivoluzione francese!

    Come se non fossero morti sufficienti uomini per assicurare che simili termini si tenessero alla larga dal vocabolario di un gentiluomo.

    Sciocco ragazzo.

    In seguito al suo rifiuto a comparirgli davanti, Harry si era rivolto a Sylvester Landon, Visconte Crenshaw, affinché riconsegnasse il fratello minore alla famiglia, ma anche da lì non aveva cavato un ragno dal buco. Con un arrogante e contorto giro di parole, lo sciagurato perdigiorno gli aveva ingiunto di non immischiarsi negli affari della sua tenuta, dove Michael Delaine eseguiva in maniera brillante il compito di intendente.

    Harry bevve un altro sorso di Madeira per sciacquarsi la bocca dall'amaro. Un Delaine che faceva l'intendente per un Sylvester Landon. Nel recente passato, quell'uomo aveva aggiunto abiezione alla sua nomea di debosciato sposando una specie di vagabonda, una donna priva di dote e di bassa estrazione sociale. Qualcuno si spingeva a dire che fosse una zingara, ma lui riteneva che neppure Sylvester Landon sarebbe sceso tanto in basso.

    Almeno, aveva avuto il buongusto di non esibire la vagabonda nel suo giro di conoscenze londinesi, ma di tenerla confinata in quella oscura, piccola tenuta di cui era il titolare e proprietario. E confinandoci anche se stesso e suo fratello.

    Harry rabbrividì. Ecco cosa succedeva quando un uomo di buona nascita si abbandonava all'indulgenza nei propri confronti, una cosa che a lui il senso del dovere avrebbe sempre impedito, seppure ne fosse stato incline. Il che, naturalmente, non era.

    Quella sera era rincasato con la mente rivolta al problema di come evitare che il suo sciagurato fratello restasse l'unico erede disponibile ai titoli e alle terre che Dio e dei sovrani generosi avevano assegnato alla famiglia Delaine. Doveva scegliere una moglie, ma con quale criterio? Il buon sangue era essenziale. E poi, la dote, la gradevolezza, la capacità di interpretare il ruolo di Contessa di Mitcham, l'intelligenza, il buon carattere, l'educazione, la bellezza…

    Non sarebbero state troppe doti, per una sola donna? Poteva esistere un simile campione? Lui ne dubitava, benché fosse sicuro di non meritare niente di meno.

    Esaminando nella mente alcune giovani dame che aveva avuto la possibilità di conoscere negli ultimi anni, non riusciva a trovarne nessuna che le possedesse tutte. Né aveva intenzione di spingersi troppo indietro nel tempo, perché non voleva certo sembrare che andasse a procurarsi una moglie nel deposito delle debuttanti rifiutate.

    Si trovava in questo deprimente stato d'animo, quando il suo maggiordomo, Wiltmore, gli aveva porto il messaggio che ora giaceva sul tappeto Aubusson ai suoi piedi e la cui lettura aveva aumentato la sua convinzione che la vita di un Pari del regno fosse piena più di spine che di rose.

    La lettera proveniva da una delle sue tenute minori, nel nord della Scozia, una località che lui aveva frequentato solo nei primi mesi di vita, quando sua madre, come ogni moglie dei Conti di Mitcham, era andata a liberarsi della prole in quella landa selvaggia.

    Si trattava di un bizzarro obbligo legato all'assegnazione di titolo e terre: per conservare il possesso del baronato di Lairg, i Delaine dovevano nascere in terra di Scozia. A parte quei primi mesi, Harry si era guardato bene dal varcare mai il confine tra le civilizzate terre del sud e le barbare brughiere del nord. Nei suoi quasi trent'anni di vita aveva viaggiato per buona parte del Continente, spingendosi in terre arabe e in Egitto, con una puntata fino in Russia, ma mai nel nord del suo paese. Le terre scozzesi erano riservate a quei Delaine che per un motivo o per l'altro rischiavano di trasformarsi in una fonte d'imbarazzo per la famiglia, come Michael l'anno precedente e William e Janet tre mesi prima.

    A rigore, William, Visconte Pember, faceva parte della famiglia solo per aver sposato la sua sorella maggiore, Janet, appunto. E la potestà di Harry su di lui sarebbe stata molto dubbia, se il cognato non si fosse precipitato a Mitcham Hall in uno stato di profonda angoscia, sostenendo di essere risoluto a tirarsi una pallottola alla tempia. Per una frazione di secondo, Harry si era concesso di sognare che… Poi, la visione di sua sorella Janet in gramaglie che piombava a Mitcham Hall con prole al seguito lo aveva scosso dal sogno. Aveva avuto un brivido e si era apprestato ad ascoltare William.

    A quanto sembrava, lo sciocco pavone si era invischiato con un qualche membro della malavita locale, scommettendo su un cavallo sicuro anche i capelli che aveva in testa… e perdendoli. Virtualmente, almeno, visto che non solo non possedeva una simile somma ma nemmeno poteva prevedere di possederla nel prossimo o lontano futuro. Il che lo aveva spinto a perseverare nelle scommesse nell'intento di rifarsi, proprio quello che Harry si sarebbe aspettato da quel caprone di cui Janet si era invaghita quando era ancora troppo giovane per capire cosa stesse facendo. Il che dimostrava che nella scelta di un marito, di una moglie o di un cavallo non si era mai abbastanza cauti.

    Il malvivente aveva manifestato la sua impazienza di entrare in possesso del proprio denaro appiccando il fuoco alla porta di Pember House, con l'avviso che la prossima volta avrebbe iniziato dall'interno. Adesso William riteneva che, mettendo da parte il suddetto colpo di pistola alla tempia, solo l'intervento di Harry potesse scongiurare la sua precoce dipartita da questo mondo.

    Dopo un altro mezzo secondo di esitazione, lui era intervenuto. Con la condizionale che Pember e la sua famiglia facessero immediatamente i bagagli per la Scozia, dove avrebbero scontato un periodo di confino a discrezione dello stesso Harry.

    William e Janet avevano obbedito, stranamente più risentiti che riconoscenti, e per circa tre mesi le notizie provenienti dalla tenuta scozzese erano state succinte note di vita campestre. Ora, invece, sua sorella gli scriveva un messaggio disperato su una banda di selvaggi scozzesi che minacciava la sicurezza dell'intera famiglia e delle sue proprietà. Sembrava che una decina di giorni prima ci fosse stata l'ennesima scorribanda e che fosse stato versato del sangue (Janet non specificava di chi) e che tutto questo la mettesse in forte ansia per la salvezza dei suoi due figli. Potevano dunque tornare a Londra, nella società civilizzata del West End?

    Harry sapeva a quali selvaggi scozzesi alludesse sua sorella: i Sinclair, le cui terre confinavano con quelle dei Delaine, su cui accampavano ridicoli diritti lontani nel tempo. Da più di un secolo quei Sinclair erano una spina nel fianco della sua famiglia e quest'ultima generazione, da quello che gli raccontava Janet ma anche il suo intendente del luogo, non intendeva essere da meno.

    Harry sospirò. Aveva messo in pericolo dei membri della sua famiglia, con l'intenzione di aiutarli? Allungò la mano oltre il bracciolo della poltrona e raccolse la lettera dal tappeto. Una rapida rilettura al disperato messaggio di sua sorella gli fece aggrottare le sopracciglia. A quanto sembrava, la sua ricerca di una moglie perfetta doveva essere posticipata. C'erano altri interessi in gioco, che richiedevano un intervento immediato.

    La porta del salotto si aprì dopo un colpo discreto e un sibillino «Sì?» da parte sua. Wiltmore si fece sulla soglia. Aveva un aspetto inappuntabile perfino a quell'ora della notte, il che richiamò l'attenzione di Harry all'orologio sulla mensola del camino, che stava suonando il quarto dopo l'una.

    «Vostra Signoria ha bisogno di altro?» chiese il maggiordomo.

    «No, Wiltmore, grazie. Puoi andare a dormire.» Prima che l'uomo arretrasse, agitò la lettera che teneva in mano e sospirò di nuovo. «A volte invidio voi della classe lavoratrice. Potete dormire il sonno del giusto senza preoccuparvi di queste fastidiose incombenze. Lord e Lady Pember, Wiltmore» chiarì, all'espressione perplessa dell'altro. «Lord e Lady Pember e i Sinclair.»

    Il maggiordomo chinò il capo. «Capisco, Vostra Signoria. Desolato.»

    Wiltmore arretrò, chiuse la porta e, una volta in corridoio, per un istante restò immobile con la mano sulla maniglia. Aveva l'espressione di un maggiordomo fortemente tentato di sputare sul pavimento, ma forse a fermarlo fu la consapevolezza che le splendenti lastre di marmo fossero state lucidate sotto la guida di Mrs. Wiltmore, governante in quella stessa casa. Arricciò le labbra e si diresse verso il suo sonno del giusto (da cui si sarebbe risvegliato non più di cinque ore dopo) sibilando sottovoce: «Arrogante somaro».

    Poi, sparì al piano inferiore.

    «Le signore non sono ancora scese» annunciò la governante.

    Gabriel la esaminò con una punta di delusione. Dalle informazioni che aveva ricevuto, si era aspettato di trovare una costruzione più grandiosa, diretta da un maggiordomo qualificato e non da una donna grassottella dall'aria indaffarata di chi è a corto di personale. In effetti, non aveva ancora visto valletti o lacchè accorrere a ritirare il suo cappello e i guanti e fu solo quando, invece di allontanarsi dopo aver porto il biglietto da visita, lui avanzò di un altro passo nella hall che la governante fece con evidente riluttanza il gesto di ricevere gli indumenti dalle sue mani.

    «Se volete accomodarvi in salotto, avvertirò del vostro arrivo.»

    Anche l'interno della residenza era piuttosto deludente. Non che la casa sembrasse mancare di comodità, ma era l'abitazione confortevole e sovraccarica di mobili e ninnoli di un'agiata famiglia della borghesia, piuttosto che la residenza dell'ereditiera che si aspettava. Si aggirò per la stanza esaminando i tappeti. Quelli davanti al camino erano piuttosto consunti e le stoffe delle grandi poltrone lucide per il troppo uso. I mobili erano di buona fattura e costosi, ma quasi invisibili sotto ogni tipo di ninnoli, dai preziosi oggetti d'argento a cianfrusaglie chiaramente riportate da un viaggio sulla costa del sud o dal Continente.

    Dopo qualche minuto d'attesa, una cameriera arrivò con il vassoio del tè. «Mrs. Baker ha detto di portarvi i rinfreschi» disse, con un mezzo inchino piuttosto goffo.

    Una ragazzina tolta dalla cucina, giudicò Gabriel sprezzante.

    «Fate da voi?» chiese la cameriera, dopo aver posato il vassoio sul tavolo, passandosi nervosamente le mani sul grembiule bianco.

    «Sì, certo.»

    La creatura si precipitò fuori senza neppure sentire la fine della sua affermazione.

    Che diavolo…?

    Esaminò la teiera, un oggetto di porcellana francese, molto fine in realtà, come pure le tazze. Ma non aveva davvero voglia di bere del tè, neppure a quell'ora del mattino che non era però così precoce come la governante era parsa suggerire.

    Gabriel sapeva che la ragazza, Miss Sinclair, aveva qualche giustificazione se si trovava ancora nella sua camera. La sera precedente l'aveva incontrata al ricevimento del colonnello Randolph, che si era protratto fino alle prime ore del mattino. Un evento riuscito, benché non al livello di quelli più mondani offerti dal ton. Gabriel aveva avuto occasione di danzare due volte con Miss Sinclair e poi di parlare con lei nella penombra della terrazza, illuminata dalla luna più che dalle fioche lanterne. Era stato il loro terzo incontro a un ricevimento e gli era parso molto promettente.

    Una volta aveva anche scortato lei e sua zia, Mrs. Gordon, in carrozza a Hyde Park, nell'ora in cui le persone eleganti ne percorrevano i viali. Era stata una scelta strategica, per ispirare l'idea che tra loro esistesse una sorta di connessione, se non proprio un legame, e scoraggiare possibili rivali.

    Quella mattina intendeva stringere i tempi. Aveva sentito di una scommessa tra due membri marginali del ton su chi sarebbe stato il primo a conquistare la bella ereditiera scozzese e non intendeva essere battuto, quando riteneva di trovarsi in dirittura d'arrivo.

    Forse avrebbe dovuto portarsi dietro zia Honoria, pensò, esaminando gli acquerelli alle pareti. Avrebbe dato alla visita un aspetto più ufficiale, ma di certo non sarebbe stato molto romantico.

    Scosse la testa, tornando accanto al tavolino da tè. Sperava che i Sinclair, nella dimora avita di cui lei gli aveva parlato con entusiasmo, fossero in grado di giudicare e acquistare un quadro decente, cosa che evidentemente i Gordon non sapevano fare.

    Non aveva un'idea chiara dell'aristocrazia scozzese, ma credeva di aver capito che i Sinclair fossero nobili di livello minore, però piuttosto ben forniti di mezzi e terre, nonché di un castello. Un castello! Gli veniva l'acquolina in bocca solo a pensarci. Naturalmente sarebbe stato appannaggio del fratello maggiore, ma dava un certo tono a tutta la faccenda.

    Passò davanti a uno specchio con una pesante cornice dorata e ne approfittò per sistemarsi i capelli scuri sulla fronte in maniera che gli dessero una nota più drammatica. Si esaminò i denti e poi raddrizzò il nodo della cravatta, che non ne aveva alcun bisogno.

    In quel momento la porta si aprì e una figura femminile si aggiunse al riflesso nello specchio.

    Gabriel si girò di scatto. «Miss Sinclair! Siete splendida stamattina. Ma, d'altra parte, voi lo siete sempre.» Si avvicinò e le prese la punta delle dita che lei gli porgeva, stringendole leggermente.

    «Mr. Tarquin.» La replica aveva un lieve tono perplesso. «È straordinario trovarvi già in visita, a quest'ora. Dicono che i giovanotti londinesi passino la mattinata a riprendersi dalle fatiche notturne.»

    Dall'espressione candida, Gabriel comprese che la ragazza non era consapevole di come potesse essere interpretata la frase e decise di prenderla allo stesso modo. «Nessuna fatica potrebbe tenermi lontano da voi, Miss Sinclair.»

    La porta del salotto era rimasta aperta ma sembrava che nessuno intendesse entrare a fare da chaperon. Di solito Mrs. Gordon era una presenza piuttosto vigile, un gentile ma attento cane da guardia, ma quella mattina qualcosa doveva trattenerla nelle sue stanze. Gabriel si chiese se fosse il caso di approfittarne per garantirsi una scorciatoia alla mano della ragazza. Se l'avesse compromessa…

    Ma, d'altra parte, chi lo avrebbe saputo? La sguattera di cucina che aveva portato il vassoio? La governante? Per un piano del genere era necessario un luogo pubblico, persone estranee in grado di diffondere il pettegolezzo.

    «Volete sedere?» Miss Sinclair indicò una delle poltrone davanti al camino.

    Non il divano e questo gli parve di cattivo auspicio. Fingendo di equivocare, Gabriel attese che lei stessa sedesse sul divano e poi le si mise al fianco. La ragazza sollevò le sopracciglia ma non disse niente.

    Era una bella creatura, non la più bella che lui avesse mai visto ma di sicuro degna di nota. Il rosso cupo dei capelli contrastava con le iridi così scure da confondersi con il nero delle pupille, messe ancora più in evidenza dalle ciglia brune. La pelle era chiara, ma non come ci si poteva aspettare, e non aveva l'aria di fragilità tipica di certe rosse. Gabriel aveva potuto notare che le mani, all'apparenza delicate, nascondevano delle piccole callosità sul palmo, come se lei cavalcasse di frequente senza guanti. La cosa lo incuriosiva ma non gli ispirava diffidenza. Doveva far parte delle stravaganze dei popoli del nord.

    «Quando ci siamo salutati, ieri sera, non mi avevate accennato di voler venire in visita stamattina» disse lei in tono neutro.

    «È vero, ma dopo una notte di tormenti non sono riuscito a resistere.» Si sporse in avanti e le prese di nuovo la mano nella sua. Sentendola un po' rigida, non si arrischiò a deporvi il bacio che aveva programmato. «Vi sarete resa conto di avermi rubato il cuore» aggiunse invece, con aria ispirata.

    Lei sollevò un sopracciglio e Gabriel temette di aver esagerato. «Davvero?» disse Miss Sinclair, aprendo le labbra in un ampio sorriso.

    Aveva una bocca un po' troppo grande ma labbra poco generose, eppure i suoi sorrisi e le risate avevano il potere di bloccare i movimenti in una sala, quando decideva di usarli. Il che non accadeva di frequente. A dire il vero, Miss Sinclair sembrava spesso annoiata da tutto ciò che la circondava. Lui fu felice di averla fatta sorridere.

    «Ma naturalmente. E spero di non esservi indifferente…» Lasciò la frase in sospeso ma lei non disse nulla, non lo favorì neppure di un cenno del capo. «A dire il vero, sono venuto qui stamattina nella speranza che accoglieste con favore la mia proposta. Miss Sinclair. Mary…» affastellò lui.

    Diavolo, che goffo idiota, pensò. Si era preparato qualcosa di meglio ma aveva fatto conto su un'accoglienza più favorevole e invece adesso ogni cosa gli era sfuggita di mente.

    «Proposta?» Miss Sinclair sfilò la mano dalla sua e si alzò in piedi. «Mr. Tarquin, temo che…»

    Si affrettò a imitarla. «No, ve ne prego, non dite nulla di precipitoso.»

    «Mr. Tarquin» insistette lei in tono più deciso. «Temo che abbiate frainteso. Non sono pronta a ricevere una proposta.»

    «Ma lo sarete un giorno? Da me? Posso sperare?» Arrancò nel tentativo di afferrarle di nuovo la mano ma lei si allontanò e tutto naufragò in una frustrante sensazione di ridicolo.

    «Mr…»

    «Mr. Tarquin. Che sorpresa.»

    La voce dalla soglia lo fece girare di scatto. Mrs. Gordon era là, con la cuffietta da casa un po' storta sulla testa e l'aria di essersi vestita in gran fretta.

    Gabriel boccheggiò per un istante, prima di ritrovare la sua compostezza. «Mrs. Gordon, vi porgo il buongiorno.»

    «Come siete mattiniero» riprese lei, avanzando nella stanza. «Una dote encomiabile per un giovanotto di città.»

    Di nuovo. Forse nella fretta di aggiudicarsi un punto

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1