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Baciami sotto l'albero
Baciami sotto l'albero
Baciami sotto l'albero
E-book405 pagine5 ore

Baciami sotto l'albero

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Info su questo ebook

Cinque racconti rosa, ambientati in una località termale dell'Ottocento, sullo sfondo dei festeggiamenti natalizi. Fra intrighi e passioni inarrestabili, una serie di storie indimenticabili dalla penna di una delle regine del romance italiano.
"Ombre Rosa" è una collana e insieme un viaggio alla riscoperta di un'intera generazione di scrittrici italiane che, tra gli anni Settanta e gli anni Duemila, hanno posto le basi del romanzo rosa italiano contemporaneo. In un'era in cui finalmente si colgono i primi segnali di un processo di legittimazione di un genere letterario svalutato in passato da forti pregiudizi di genere, lo scopo della collana è quello di volgere indietro lo sguardo all'opera di quelle protagoniste nell'ombra che, sole, hanno reso possibile arrivare fino a questo punto, ridando vita alle loro più belle storie d'amore.
LinguaItaliano
Data di uscita27 mag 2024
ISBN9788727061184
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    Anteprima del libro

    Baciami sotto l'albero - Roberta Ciuffi

    Baciami sotto l'albero

    Cover image: MidJourney

    Copyright ©2010, 2024 Roberta Ciuffi and SAGA Egmont

    All rights reserved

    ISBN: 9788727061184 

    1st ebook edition

    Format: EPUB 3.0

    No part of this publication may be reproduced, stored in a retrieval system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.

    www.sagaegmont.com

    Saga is a subsidiary of Egmont. Egmont is Denmark’s largest media company and fully owned by the Egmont Foundation, which donates almost 13,4 million euros annually to children in difficult circumstances.

    Parte prima

    E giunse una stella…

    Bagni, Toscana: 1875 

    «Non esiste alcuna giustificazione al mondo.» La signora Colucci sistemò con attenzione la tazza vuota sul tavolino da tè. «Uno scapolo dotato di mezzi propri e in buone condizioni fisiche ha l'obbligo morale di ammogliarsi. Dovrebbe esistere una legge, al riguardo.»

    «Questo significherebbe spingersi troppo oltre» commentò la sua ospite, imitandola con prudenza ancora maggiore. Quello era il suo servizio buono, l'unico sopravvissuto indenne alle manine irrequiete di quattro bambine e per ciò stesso il prediletto.

    «Una legge!» L'altra inalberò il mento, rivelando l’ampia pappagorgia tremolante. «Gli uomini dovrebbero essere costretti a sposarsi, così come vanno a fare il servizio militare. In un caso come nell'altro, si tratta di compiere il proprio dovere nei confronti della Patria. Chi si rifiuta è da considerarsi un renitente e andrebbe posto agli arresti.»

    Le figlie, due giovani donne che l'imponenza della madre rendeva d'aspetto ancora più disadorno di quanto non fossero, annuirono, portandosi quasi all'unisono la tazza alle labbra.

    Un lieve scoppiettio risuonò nella stanza, interrompendo il monotono acciottolio delle porcellane: qualcosa di simile a una risata soffocata, che attirò gli sguardi delle presenti nella direzione da cui proveniva.

    Un volto dotato ancora dell'intatta levigatezza della gioventù, con un accenno di rosa sulle guance, vivaci occhi azzurri e una piega capricciosa delle labbra, oppose un'espressione beffarda a quella interrogativa delle altre.

    «Vostra sorella soffre di qualche imbarazzo di stomaco?» chiese altezzosa la signora Colucci, sollevando un sopracciglio. «Sono fastidi frequenti tra le vedove di una certa età.»

    «È vero» replicò l'interessata, in tono mite. «Talvolta sono sopraffatta da intensi attacchi di nausea.»

    Le due donne sostennero l'una lo sguardo dell'altra per qualche istante. «Vi suggerisco l'uso della camomilla» disse infine la più anziana, iniziando a sollevarsi con la maestosità di una bandiera di combattimento innalzata sull’albero di una nave. «O una tisana di alloro. È ottima per i disturbi di stomaco.»

    «Farò tesoro dei vostri consigli.» La giovane donna chinò il capo con un sorriso dall'ironia così lieve da passare quasi inosservata.

    Ma non a chi la conosceva: come la sorella, che, nell’alzarsi per accompagnare le ospiti alla porta, le si pose di fronte nascondendola alla loro vista.

    «È stato un così bel pomeriggio» farfugliò Elvira, agitandosi attorno alla voluminosa mole della Colucci. «Dovete tornare presto a trovarci, è sempre un tale piacere per noi…»

    «Un tale piacere, per noi» le rifece il verso Delia, non appena le altre furono sparite oltre la porta. Balzò in piedi dalla poltrona e mosse qualche passo irrequieto per la stanza. A ventotto anni non si considerava affatto di una certa età, e neppure credeva di sembrarlo. Tuttavia, c'era sempre qualche signora caritatevole disposta a rammentarle la sua condizione e ormai in ogni occasione mondana le capitava di venir risucchiata nel circolo delle donne mature, quelle che per intrattenimento intendevano recitare il rosario o ricamare a piccolo punto.

    «Ebbene sì, mia cara, sei una signora matura.»

    L'irritazione che provava era solo in parte causata dalla sgarbata allusione della signora Colucci e il divertimento per le sue ridicole considerazioni sugli scapoli non era del tutto genuino. Proprio lei non poteva ignorare l'importanza per una donna di contrarre un buon matrimonio!

    Innervosita, sollevò da una mensola la statuina raffigurante una pastorella, una di quelle cosine fragili e del tutto inutili di cui Elvira amava circondarsi, per poi agitarsi e rabbrividire ogniqualvolta a qualcuno capitasse di sfiorarle. La esaminò rivoltandola da ogni parte, come se non l'avesse mai vista.

    «Delia!»

    L'esclamazione la fece sussultare.

    «Delia!» ripeté Elvira, respirando a fatica. Le si avvicinò e allungò la mano tremante verso di lei. «Ti prego, fa' attenzione. Non sopporterei se dovessi romperla.»

    «Non avevo alcuna intenzione di farlo» rispose, consegnandole la statuina. «Oh, sono esausta!» sbuffò, compiendo un giro su se stessa. «Un'ora in compagnia della signora Colucci è in grado di prosciugare le mie energie.»

    «Non è questa l'impressione che ho avuto poco fa» la contraddisse la sorella, rimettendo la pastorella al suo posto. «Anzi, mi sei parsa in possesso di tutte le tue facoltà.»

    «Sono certa di non aver pronunciato una sola parola fuori luogo!»

    «Non è stato necessario: il tuo viso parlava più delle parole.» Elvira sospirò forte. «Spero proprio che tu non abbia compromesso le possibilità di Desirèe di essere accolta nel Circolo del Cucito!»

    «Desirèe? Ma se ha solo quattordici anni! E cosa c'è di tanto attraente nell'associarsi a un branco di femmine dedite al cucito?»

    «Le signore che frequentano il Circolo appartengono alla crema della società cittadina. I loro figli hanno i nomi migliori, un’educazione superiore e le prospettive più vantaggiose. E io… io ho quattro figlie!»

    Sul viso le comparve l'espressione afflitta che sempre accompagnava questa considerazione. Il compito di sistemare adeguatamente quattro femmine non era da prendersi sottogamba e Delia, che ne era consapevole, annuì.

    «Però mi sembra presto per preoccuparsi» obiettò. «Non vorrai trascorrere i prossimi dieci anni leccando le scarpe a quella virago.»

    «Io non lecco le scarpe!» La voce di Elvira si fece acuta e l'indignazione accese sulle sue guance due pomelli rossi. «Mi limito a riceverla con cortesia, come un qualsiasi altro ospite, guardandomi bene dal prendermi gioco delle sue convinzioni.»

    «Belle convinzioni davvero. Fosse per lei gli scapoli sarebbero tutti agli arresti!»

    Sulle labbra della sorella spuntò un pallido sorriso. «Bene, poveretta. Anche lei ha due figlie da accasare e non sono molto… Come dire…» Tossì piano, dietro la mano piegata.

    «In questa città gli uomini sono diventati refrattari al matrimonio o la signora Colucci alludeva a qualcuno in particolare?» chiese Delia.

    «Si riferiva a un piccolo circolo di gentiluomini che ruota attorno al marchese Del Rio, e in particolare al conte Giano, l'anima perduta ufficiale della nostra cittadina. Nonché preda ambita di ogni madre con figlia da marito.»

    «Che contraddizione. Se questo conte è una persona tanto riprovevole, come possono desiderarlo per le loro ragazze?»

    Elvira si strinse nelle spalle, sorridendo con indulgenza. «Ognuna spera che la sua figliola sarà colei che lo salverà dall’abisso del peccato. In ogni modo, su quel gentiluomo sono stati profusi troppi doni per non renderlo desiderabile già così com'è. È giovane, bello, ricco, nobile… e con una fama di dissolutezza. Quanto basta per suscitare l'interesse d'ogni fanciulla dotata di un'anima romantica.»

    «Un fenomeno della natura, dunque» commentò Delia, seccata di sentirsi stuzzicata lei stessa. «Sarebbe interessante appurare se sia davvero così straordinario come dici.»

    «Mia cara, è troppo giovane per te. Non avrà più di venticinque anni. Ma se t’interessa un ammiratore più adeguato…» Elvira ammiccò, ignorando il lieve broncio che le sue parole avevano provocato sul volto della sorella. «Ci sarebbe il marchese Del Rio. Sembra che abbia accettato l’invito alla serata danzante della signora Lucarelli. Ha meno di quarant’anni, è bruno, affascinante e dotato di ottima educazione. Ed è altrettanto irraggiungibile del suo amico!» concluse, scoppiando a ridere.

    «Peccato. La tua descrizione mi aveva incuriosito.»

    Ma forse era meglio così. Dopo un anno di lutto, stremata dal peso degli obblighi e delle delusioni passate, nonché oppressa da quello delle responsabilità future, aveva deciso di trascorrere un mese con la famiglia di sua sorella, in quella rinomata cittadina termale. Per riprendersi e ritrovare la gioia di vivere. E forse, chissà… anche qualcos’altro. Ma nella sua situazione non aveva tempo da perdere con scapoli incalliti, che rifuggivano dal matrimonio e sprecavano le loro doti in bagordi. Il che la portò a considerare che la proposta della signora Colucci non fosse, dopo tutto, da buttar via.

    «Allora, dov'è questa pietra di paragone?» Con un piccolo cenno del ventaglio, Delia indicò la sala da ballo già piena ai limiti della capienza. «Finora non ho visto nessuno in grado di impressionarmi.»

    «Difatti non c’è» rispose la sorella. «Lui è il fiore all'occhiello della serata. Non ti aspetterai che arrivi in anticipo.»

    «In anticipo? L'invito diceva alle sette e mezzo e ora sono le nove. Noi siamo arrivati alle otto. Vuoi dire che non siamo persone abbastanza eleganti?»

    «Non eleganti quanto il marchese. Non credo che sia abituato a ricevimenti che inizino prima delle dieci di sera.»

    Ivo Kramer, titolare di uno degli studi notarili più stimati in città, insinuò un dito all'interno del colletto. Il materiale rigido gli stava causando un'irritazione sul collo e lui approfittava della minima disattenzione della moglie per cercare sollievo con una furtiva grattatina.

    «E certamente non lo saremo mai, se non la smetti di frugarti ovunque» lo rimbeccò Elvira, evidentemente non abbastanza distratta dallo scambio di battute con la sorella minore.

    «Non mi frugo ovunque» borbottò l'uomo, abbandonando a malincuore il tentativo. «Vorrei solo non dover indossare questo strumento di tortura.»

    «Cosa ne vuoi sapere tu, di strumenti di tortura?» replicò Delia, ponendosi una mano sulla vita sottile.

    Quella non era la sua prima uscita mondana dopo la fine del lutto, ma certamente era la più elegante e l'unica che contemplasse un possibile abboccamento con un marchese. Un'occasione troppo ghiotta per non accettare un po’ di sofferenza causata dal busto tirato allo spasimo, in cambio di un aspetto strepitoso.

    Lanciò un'occhiata di sottecchi alla grande specchiera che aveva il compito di amplificare le proporzioni non proprio maestose della sala da ballo. Non c'era niente da dire sul suo aspetto. Almeno, non c'era niente che si potesse migliorare. Più graziosa di così non sarebbe mai riuscita a essere. Il vestito di seta blu e argento era valso ogni minimo centesimo del suo prezzo, anche se l’ampio tournure le impediva di sedersi se non sul bordo di uno sgabello e la generosa scollatura a trapezio le faceva venir voglia di coprirsi il seno con uno scialle.

    «Non essere vanitosa» la redarguì Elvira, con la sua superiorità da madre di famiglia. «Non ne hai bisogno. Guarda, il dottor Lepri sta venendo da questa parte. Ti vorrà invitare a ballare.»

    «Signora Greco.» Il giovanotto chinò il capo. Il cenno di saluto non riuscì a nascondere lo scintillio nei suoi occhi, quando posò lo sguardo sulla scollatura e sulla candida pelle esposta. «Posso invitarvi a questo ballo?»

    Delia sorrise per addolcire la delusione che stava per infliggere. «Oh, che disdetta… Non sono in grado di danzare, al momento. Un piccolo malessere, nulla d'importante. Probabilmente l’eccessivo affollamento.»

    Stavano suonando una polka e il marchese non era ancora arrivato. Non aveva intenzione di incontrarlo sudata e arrossata in volto.

    «Vuoi rifiutare tutti i balli?» chiese Elvira, osservando divertita la ritirata del giovane medico.

    «Non so. Dipende. Potrei rimettermi d'improvviso.»

    «Delia, non credo che il marchese Del Rio pensi al matrimonio.»

    L'affermazione un po’ maliziosa della sorella la fece voltare verso di lei. «Che importa?» replicò. «Non capita tutti i giorni di far la conoscenza di un uomo tanto ambito.»

    Davvero, che le importava se il marchese aveva intenzioni matrimoniali o no?, pensò, mentre Elvira e il marito la abbandonavano per andare a unirsi alle danze. Lei sarebbe stata fuori della partita in ogni caso. Troppo avanti negli anni, vedova di un ufficiale di grado inferiore dell’esercito e con una rendita modesta. Non aveva abbastanza da mettere nel piatto di un aristocratico con l’avversione per il matrimonio. O forse, si corresse subito dopo con un guizzo di umorismo, aveva fin troppo…

    Appena finito di salutare la padrona di casa, il marchese Del Rio si attardò a esaminare la folla accaldata che riempiva la sala. La zona centrale era occupata da più ballerini di quanti potesse contenere. Si stupì che ci fosse ancora posto per coloro – anziani, matrone e giovani donne prive di attrattive – che sedevano sulle sedie allineate lungo le pareti, fingendo di essere immersi in conversazioni troppo coinvolgenti per abbandonarsi alle danze. La donna al suo fianco sorrise, un’espressione beffarda sul bel volto sapientemente truccato.

    «Scommetto che questo è l’evento sociale della stagione.»

    Giacomo non rispose. Non sapeva spiegarsi il motivo per cui, dopo una certa esitazione, avesse infine deciso di rispondere in maniera affermativa all'invito alla serata danzante. Era stanco di rappresentare una sorta di trofeo obbligato per ogni padrona di casa con aspirazioni mondane. E mortalmente annoiato dalla necessità di tenere a distanza mamme ambiziose e figlie anche troppo disponibili. Era contento che Marina, la contessa Barbo, fosse riuscita a liberarsi degli sgradevoli impegni che l’avevano trattenuta a Roma per consentirgli di farle da cavaliere. Avevano riso, nella carrozza che li conduceva dai Lucarelli, sul fatto che in realtà i loro ruoli avrebbero dovuto essere invertiti.

    «Ti prego, non staccarti mai dal mio fianco!» aveva finto di supplicarla.

    «Tranquillo, ti proteggerò io dalle terribili signore che cercheranno di attentare alla tua virtù!»

    Continuò a guardarsi attorno, contento di non essere solo. Sì, era una fortuna che Marina fosse accanto a lui. Si erano sempre divertiti molto assieme. Un tempo erano stati amanti e, quando la relazione si era conclusa, il loro rapporto era sfumato in un’amicizia cameratesca, in cui ognuno sosteneva l’altro nei momenti di necessità.

    La signora Lucarelli si stava frettolosamente liberando di altri ritardatari e intanto lanciava attorno occhiate ansiose per controllare che direzione stesse prendendo la nobile coppia. Giacomo sapeva che tra breve sarebbe calata su di loro come un falco, impossessandosi di lui per concederlo in giro a piccole dosi, come una proprietaria gelosa.

    Quanto era scomodo, essere l'oggetto di tanta adorazione.

    Sospirò, facendo scivolare lo sguardo rassegnato verso lo sparso popolo dei derelitti impegnati a sostenere le pareti, non aspettandosi di trovarvi nulla d'interessante.

    Due signorine attempate bisbigliavano tra loro, accennando col capo all'uno o all'altro dei ballerini. Una matrona dal fisico appesantito teneva banco tra le sue pari. Un vecchio si manteneva desto facendo scattare la cassa dell'orologio da taschino. E una donna bruna batteva un piede, seguendo il ritmo della polka. Un'anziana…

    Tornò rapidamente indietro con lo sguardo.

    Chi era quella donna? Non rammentava d'averla mai vista. Non sedeva in un gruppo, ma stava in piedi per conto suo, come a dissociarsi dal novero di coloro che facevano tappezzeria. E a ragione, pensò, scorrendo lo sguardo sulla figura formosa eppure elegante, fasciata di seta blu e argento. La tonalità metteva in risalto l'incarnato chiaro e il lieve rossore delle guance. Nel suo atteggiamento c'era un'aura di sfida che attirava l'attenzione. Era davvero straordinario che non fosse sulla pista da ballo o assediata da un nugolo di corteggiatori.

    La signora Lucarelli era finalmente riuscita a demandare il compito di ricevere gli ospiti alla figlia maggiore. Sorridendo a destra e a manca, agitando il ventaglio, si fece largo tra la folla, puntando verso gli invitati di maggior prestigio.

    «Mia cara, devo abbandonarti» mormorò il marchese a Marina, sfilando il braccio dalla sua stretta. Le prese una mano tra le sue e la baciò, con un ammicco malizioso. «Ho bisogno che tu tenga impegnata la dragonessa.»

    «Traditore!» sibilò lei. Ma quando si girò verso la signora Lucarelli, che sopraggiungeva affannata, sul suo volto splendeva un sorriso affabile. «Che splendida serata!» esclamò, mentre Giacomo si defilava rapido da dietro le sue spalle.

    Scivolò lungo i lati della sala, tenendo la testa bassa per non rischiare di essere fermato prima di aver raggiunto il suo scopo. Man mano che si avvicinava, la donna sconosciuta gli appariva meno rilassata, più tesa e consapevole. Aveva anche smesso di battere il piede a tempo. Doveva averlo notato.

    La donna girò la testa e gli puntò gli occhi addosso con espressione incuriosita. Erano di colore azzurro, il suo preferito. Il suo atteggiamento, talmente sicuro da apparire sfacciato, costituiva un piacevole cambiamento rispetto ai risolini sciocchi e alle palpitanti ciglia abbassate che lo tormentavano nelle occasioni mondane. Quella non era una ragazza, ma una donna matura, benché ancora in giovane età. La consapevolezza lo riempì di compiacimento. Finalmente una partita che poteva giocare alla pari, senza timore di nodi scorsoi e laccioli tesi a catturarlo.

    Un gentiluomo si stava dirigendo verso di lei. Che fosse un gentiluomo era solo un'ipotesi ragionevole, vista l'impossibilità di girarsi a scrutarlo apertamente, ma che lei fosse il traguardo di quel lento aggiramento della sala era evidente. A chi altri poteva mirare? Non certo alla sconosciuta matrona alla sua destra, o alle povere signorine Colucci poco lontano.

    Stavolta non avrebbe rifiutato l'invito a danzare. Il marchese era davvero troppo in ritardo per essere una persona da frequentare e lei era stanca di fare tappezzeria. Per quanto poteva vedere con la coda dell'occhio, l'uomo sembrava alto ed elegantemente vestito. Con lentezza girò la testa verso di lui. Non era giovane e non era vecchio: si trovava in quell'età di mezzo che sembra durare così a lungo, nell'uomo, senza che nulla cambi sensibilmente nel suo volto o nella costituzione. Una lieve spruzzata di grigio sulle tempie contrastava con la folta capigliatura bruna. Le rughe sottili sul volto affilato denunciavano non solo il raggiungimento dell'età matura, ma anche quell'esperienza di vita che ogni donna apprezza in un uomo.

    Delia, almeno, la apprezzava.

    «Oh buon Dio, è arrivato!»

    Il bisbiglio concitato delle sorelle Colucci attirò la sua attenzione. I loro volti, da pallidi e dimessi, si erano illuminati, come fossero trasfigurati dall'emozione.

    «Il marchese sta venendo da questa parte…» bisbigliò agitata la matrona, localizzando con gli occhi la posizione di sua figlia nella sala, sperando di riuscire ad attirarne l'attenzione.

    Il marchese? Ma certo, di chi altri poteva trattarsi?

    La polka era terminata e i ballerini stavano abbandonando il centro della sala. Tra breve sarebbe iniziata una nuova danza che, secondo il programma, doveva essere una mazurca. Intravide Elvira e Ivo: rossi in volto e con il fiato corto s'intrattenevano con un'altra coppia, forse scambiando impressioni sulla danza appena conclusa. Non sarebbero riusciti ad arrivare in tempo per fornirle una presentazione decente.

    L’uomo si stava avvicinando, con l’aria di avere tutto il tempo del mondo. Delia seguì il suo lento avanzare fremendo come per un attacco febbrile. Il marchese Del Rio stava per invitarla a ballare!

    «Oh» mormorò la minore delle sorelle Colucci, Dorotea, osservando con rassegnazione il marchese avanzare verso la signora Greco. Ogni speranza era vana. In mezzo agli articoli da tappezzeria, lei spiccava come una rosa profumata nel deserto. Tuttavia, già il fatto di poter ammirare l'ambito gentiluomo così da vicino era da considerarsi un privilegio e un evento da raccontare più volte alle amiche che non partecipavano al ballo.

    L'uomo era a pochi passi. Delia si accorse di aver smesso per un istante di respirare. Che sciocca, si disse, scuotendo il capo. I pendenti di zaffiri dondolarono tra i riccioli castani. Sulle labbra dell'uomo apparve un sorriso lieve, quasi d'anticipazione. Inavvertitamente, Delia sollevò un piede, come per andargli incontro. Lui la avvolse in una rapida occhiata e poi, con un cenno educato del capo, passò oltre, raggiungendo gli sgabelli dove sedevano le Colucci.

    «Signorina Vincenza, signorina Dorotea.» Si chinò leggermente, sorridendo. Le due zitelle, annientate dallo sbalordimento che l’uomo rammentasse i loro nomi, non riuscirono a ricambiare. «Posso invitarvi a unirmi a me nella prossima danza? Suppongo che dovrei iniziare dalla maggiore, ma confesso di non essere in grado di stabilire a chi dare la precedenza.»

    Ripresasi dallo stupore, Vincenza si tese sulla sedia. «Sono io la maggiore!» esclamò, dandosi un colpo con la mano sul torace ingentilito da una modesta scollatura. Per la prima volta, dacché avevano abbandonato l'infanzia e le gonne corte, l'avere due anni più della sorella le apparve come un vantaggio.

    «E allora, sarà vostro il compito di sopportarmi nella prossima danza.»

    Delia ritrasse il piede. Sentiva il volto raggelato dalla sorpresa e dalla mortificazione. Era stata rifiutata. Girò la testa di scatto, fingendosi interessata a quel che stava dicendo l’anziano signore poco distante.

    «Non fosse per questa gamba» disse l’uomo, indicando l'arto gottoso poggiato su un cuscino, «non mi perderei una danza. E allora vedrebbero questi giovani di oggi come si balla sul serio!»

    Delia sorrise con la bocca irrigidita. Il marchese si stava allontanando con la sua dama appesa al braccio, che lo rimirava di sotto in su con un'imbarazzante espressione adorante. Avvertì caldo e freddo alternarsi dentro di lei. L'umiliazione lasciò il posto alla collera. Era in quella sala da più di un'ora e nessuno si era accostato alle Colucci per farle ballare, a parte il praticante del loro padre, che probabilmente vi era stato costretto. Perciò, o il marchese era animato da un fervente spirito di carità, oppure… aveva inteso prendersi gioco di lei.

    «Signora Kramer, avete saputo? Il marchese Del Rio ha invitato Vincenza a ballare!»

    Elvira, appena arrivata, si stava delicatamente asciugando il labbro superiore imperlato di sudore. Si bloccò con la mano in aria.

    «Il marchese Del Rio?» chiese, non riuscendo a evitare che l'incredulità trapelasse dalla sua voce.

    «Sì, proprio lui!» esclamò Dorotea. «Sembra un sogno, vero?»

    «Il marchese è stato qui?» Elvira si volse alla sorella. «Hai fatto la sua conoscenza?»

    Gli occhi della giovane donna lampeggiarono d'indignazione, ma, prima che potesse rispondere, il dottor Lepri le comparve dinanzi.

    «Eccomi a ritentare la sorte!» disse, chinandosi con aria di scusa. «Volete ballare con me la prossima danza? Sempre che vi siate rimessa dal vostro malore.»

    «Alla perfezione» rispose Delia, con voce un po’ incrinata dalla collera.

    Cosa di cui, però, si accorse solo Elvira, che la scrutò incuriosita. Mentre la sorella si allontanava al braccio del cavaliere, esaminò la sua schiena, che non era mai stata più diritta, e la posizione della testa, mai più inalberata. Che cosa poteva essere successo?

    Con un cortese sorriso tornò a volgere la sua attenzione alla signorina Colucci. «Mi stavate dicendo del marchese Del Rio…?»

    «Sì! È arrivato diretto qui, ci ha salutate, me e mia sorella, e poi ci ha invitate a ballare. Prima la maggiore e poi la minore, ha detto, e la minore sono io. Non sapevo neppure che conoscesse i nostri nomi. Ero così emozionata che temevo di svenire. Sverrò di sicuro, quando verrà qui a chiedermi… La prossima danza è un valzer, vero? Di sicuro sverrò.»

    Ivo tossì nella mano stretta a pugno per nascondere il divertimento, che normalmente Elvira avrebbe condiviso. Ora, però, era un po’ preoccupata. Il marchese aveva invitato le Colucci… e non Delia? Com'era possibile? Cercò di esaminare con la massima benevolenza Dorotea Colucci. Aveva dei begli occhi e tratti un po’ forti, ma per il resto era una spilungona priva di forme, se non quelle donatele dall’ampio sellino dell’abito. In più, e non in meglio, la sorella maggiore aveva solo una ventina di chili.

    Dopo qualche istante scosse il capo e sospirò. Delia doveva averne combinata qualcuna delle sue. Non c'era altra spiegazione.

    «Signora Greco, siete un'eccellente ballerina» disse il dottor Lepri.

    Delia sorrise senza rispondere. Occhieggiando oltre la spalla dell'uomo, cercava di seguire la coppia formata dal marchese e dalla Colucci. Lui ballava bene, con grande proprietà, ma lei era un disastro. Conosceva i passi, ma non aveva senso del tempo e oltretutto era così abbagliata dal proprio accompagnatore da non riuscire neppure a sentire la musica. Era evidente che il marchese stava compiendo uno sforzo eroico per prevenire e raddrizzare gli errori della compagna. Bene, peggio per lui. Sperava che finisse disteso sul pavimento della sala con quella goffa creatura addosso.

    Oh, sapeva di non essere caritatevole. Elvira non avrebbe mai ragionato in quel modo. Le Colucci erano delle care ragazze, non era colpa loro se erano poco favorite dalla sorte, o almeno dalle attrattive di Venere, ma in quel momento era troppo infuriata per costringersi a dei buoni sentimenti.

    «È il primo ballo cui partecipate da quando… ehm…» Il dottore diede un colpetto di tosse.

    «Da quando mio marito è morto? Sì, lo è. Ho partecipato ad altri intrattenimenti, ma mai a balli. È piacevole tornare a danzare.»

    L'uomo sorrise, contento di essere riuscito a stanarla dal suo cupo mutismo. Qualcosa doveva averla resa inquieta, ma non gli interessava sapere cosa, fintantoché non si trattava di lui. Era davvero una donna splendida, matura al punto giusto, eppure ancora in possesso di tutte le attrattive della gioventù.

    «È bello che siate venuta a passare le feste con la famiglia di vostra sorella» azzardò, desideroso di saperne di più. «Vi tratterrete anche per il passaggio dell’anno?»

    «Non so ancora. Non ho fatto progetti.»

    «Capisco. Spero che ci incontreremo di nuovo, nelle settimane a venire. Ci saranno molti intrattenimenti, per il Natale e per il Capodanno.»

    Delia si chiese se desiderasse invitarla per uno di questi in particolare. Perché dunque non lo faceva? Forse aveva timore che una richiesta diretta avrebbe assunto il senso di un impegno. Lei stessa non intendeva impegnarsi, non con quel giovanotto, ma la ritrosia di lui la irritò, come fosse la manifestazione di quanto fosse difficile realizzare le sue speranze. Tuttavia, nascose la contrarietà sotto un sorriso.

    «Credo che parteciperò a tutti quelli che mio cognato accetterà» rispose.

    L'orchestra stava suonando le ultime note della danza, ma lei non aveva alcun desiderio di farsi riaccompagnare al suo posto. Non voleva essere là, con l'aria di un cagnolino scodinzolante, quando quell'oltraggioso marchese vi avrebbe ricondotto la sua dama.

    «Possiamo bere qualcosa? Comincia a far caldo e io sono assetata.»

    Lepri la guidò al buffet affollato. Ogni partecipante al ballo doveva aver avuto lo stesso pensiero, perché fu costretto a lottare non poco per entrare in possesso di un bicchiere d'orzata tiepida. Delia la sorseggiò, sorridendo di tanto in tanto per mascherare il disgusto. Intanto l'orchestra stava per attaccare un valzer. Che trionfo per Dorotea Colucci, pensò con una punta d'amarezza. Addirittura, un valzer. Si girò per restituire il bicchiere a un cameriere e quando tornò a voltarsi lui era là, di fronte a lei, del tutto inatteso: alto e attraente e con un lieve sorriso sulle labbra.

    «Noi non siamo stati presentati» disse con voce dal morbido timbro baritonale. «Ma spero che questo non v’impedisca di unirsi a me in un valzer.»

    Delia non riuscì a trovare una risposta degna di tanta sfacciataggine. Come osava invitarla, dopo averla ignorata solo pochi minuti addietro?

    «Voi non avete nulla in contrario, vero, Lepri?»

    Il dottore s'inchinò con freddezza, scoccando un'occhiata carica d'antipatia all'indirizzo del nuovo venuto. Le prime note del valzer stavano risuonando e ancora Delia non aveva risposto. L'uomo le tese la mano, fingendo di interpretare la sua indecisione per un assenso. Senza sapere come, si ritrovò tra le sue braccia. Solo quando raggiunsero il centro della sala si rese conto di aver avuto intenzione di rifiutare. Cosa l'aveva bloccata? Di solito non peccava di timidezza.

    «Direi che ora sarebbe il caso di presentarmi» disse il marchese, dirigendola con sicurezza nella danza vorticosa. «Giacomo Del Rio» disse con l'aria di chi si aspetti in realtà di essere già conosciuto.

    «Signora Greco» replicò lei, in tono asciutto.

    Sposata, dunque. Giacomo controllò il disappunto. «Vostro marito si trova al ballo?»

    «Mio marito è morto un anno fa. Sono vedova.»

    Lo fissò come se lui avesse avuto a che farci.

    «Sono davvero spiacente.»

    Ma non molto, per la verità. La vedovanza era una condizione assai conveniente, per il pretendente di una donna giovane e bella.

    La stringeva con fermezza, ma in apparenza solo in funzione della danza. Delia era una ballerina assai migliore della Colucci e assieme costituivano una splendida coppia, in grado di mettere in risalto le rispettive qualità. Entrambi sentivano su di loro gli sguardi incuriositi degli altri danzatori.

    «Siete in visita?» proseguì il marchese, visto che lei non sembrava intenzionata a fare conversazione.

    «Sono ospite di mia sorella, la signora Kramer, per le festività.»

    «Capisco.»

    Giacomo sorrise, ma lei non replicò che con un cenno del capo. Perbacco, pensò lui, è veramente offesa. Non sapeva cosa l'avesse dissuaso dall'andare da lei per prima cosa. Forse l'aveva disturbato la sua evidente sicurezza di essere stata prescelta. Aveva avuto modo di pentirsi del suo impulso nel corso della mazurca. Per un paio di volte aveva dovuto far sfoggio di tutta l'abilità che possedeva per non crollare a terra assieme alla sua maldestra dama.

    Delia esaminò il suo sorriso. Forse non avrebbe dovuto guardarlo, ma sarebbe parso strano che lo evitasse, stretti com'erano in quel ballo poco meno intimo di un amplesso. La prima impressione era stata giusta. Era molto attraente. Il suo volto era segnato da piccole rughe che facevano pensare che la sua espressione più comune fosse un'amabile ironia. Come quella che sfoggiava ora. Per una volta, Delia era a corto d'argomenti di conversazione. Era ancora infuriata con lui, ma d'altra parte non poteva tacere per tutto il ballo. Alla fine, le parole che le vennero alle labbra furono proprio quelle che avrebbe voluto evitare a ogni costo.

    «Cosa pensa la signorina Colucci del vostro abbandono?»

    Lui inarcò un sopracciglio scuro e la piega ironica delle labbra si accentuò. «Il mio… abbandono?»

    «Sì», proseguì impacciata. «Questo non avrebbe dovuto essere il suo ballo?»

    «Oh, la signorina Dorotea.» Il marchese annuì come se solo allora avesse compreso di cosa parlava. «Temo che la poveretta sia rimasta vittima di un mancamento. Troppo caldo, suppongo.»

    «Che disdetta.»

    Così, dopotutto, non l'aveva scelta davvero. Sentì le guance avvampare e le mani prudere dalla voglia di staccarsi da lui. Quando sarebbe finito quello sciagurato ballo?

    «Siete arrossata in viso» commentò l'uomo. «Spero che non stiate per svenire anche voi.»

    «Niente affatto.»

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