Un grido dal passato
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"Ombre Rosa" è una collana e insieme un viaggio alla riscoperta di un'intera generazione di scrittrici italiane che, tra gli anni Settanta e gli anni Duemila, hanno posto le basi del romanzo rosa italiano contemporaneo. In un'era in cui finalmente si colgono i primi segnali di un processo di legittimazione di un genere letterario svalutato in passato da forti pregiudizi di genere, lo scopo della collana è quello di volgere indietro lo sguardo all'opera di quelle protagoniste nell'ombra che, sole, hanno reso possibile arrivare fino a questo punto, ridando vita alle loro più belle storie d'amore.
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Anteprima del libro
Un grido dal passato - Theresa Melville
Un grido dal passato
Cover image: MidJourney
Copyright ©2014, 2024 Theresa Melville and SAGA Egmont
All rights reserved
ISBN: 9788727148397
1st ebook edition
Format: EPUB 3.0
No part of this publication may be reproduced, stored in a retrieval system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.
www.sagaegmont.com
Saga is a subsidiary of Egmont. Egmont is Denmark’s largest media company and fully owned by the Egmont Foundation, which donates almost 13,4 million euros annually to children in difficult circumstances.
1
Accadde a notte fonda: Frances risentì quel grido. Leggero come un sibilo all’inizio, cresceva a poco a poco e culminava in un acuto lacerante, che affiorando dal buio dell’inconscio dilagava nella mente. Un’ondata di terrore le portava via i pensieri e le gelava il sangue nelle vene. Solo con la forza della disperazione, infine, riusciva a strappare sé stessa all’incubo; nel buio spalancava gli occhi e viveva il solito drammatico risveglio. Si destava di soprassalto con la camicia da notte intrisa di sudore, e subito lasciava il letto per correre in finestra, aprire gli scuri e respirare a pieni polmoni l’aria fresca.
Lo fece anche questa volta.
Davanti alle imposte spalancate, coi lunghi capelli agitati dalla brezza, guardò il giardino sottostante rischiarato dalla luce incerta degli albori.
Il gazebo coperto di rampicanti era proprio sotto di lei. Da che aveva memoria, lì aveva festeggiato i suoi compleanni, e quelli di Marion e di Grace. In quello stesso posto, Lord Hatfield e sua moglie Hellen avevano celebrato gli anniversari di matrimonio, con gli ospiti assembrati intorno al pianoforte trasportato per l’occasione in giardino.
Ricordi lieti che la fecero sentire al sicuro, circondata dall’affetto di persone care.
Tirò un sospiro di sollievo e sentì che il cuore rallentava i battiti. Ora respirava senza affanno. Si tirò indietro i lunghi capelli chiari e li intrecciò brevemente lasciandoli ricadere sulla spalla. Col dorso della mano si asciugò la fronte madida e cominciò a sentire freddo.
L’autunno di quel 1859 era particolarmente rigido; già da tre giorni, la pioggia sferzava la campagna dell’Hertfordshire.
L’alba del dodici ottobre si levò in un cielo finalmente terso sotto un forte vento che ammucchiava le foglie ai piedi delle querce.
Frances rabbrividì, fece un passo indietro e chiuse le imposte. Con la veste da notte ondeggiante sulle caviglie nude raggiunse il mobile da toletta, accese un candeliere e sedette davanti allo specchio, lo sguardo alla propria immagine riflessa. Aveva gli occhi di un colore grigio blu molto espressivi; quando si entusiasmava, li sgranava come una bambina. Erano occhi sinceri, che in quel momento rivelavano sgomento.
Gli zii con cui viveva, il conte e la contessa di Hatfield, le dicevano affettuosamente che galoppava troppo con la fantasia, e sempre trovavano il modo di rassicurarla quando la malinconia le velava lo sguardo. La cugina Marion, invece, vicina a lei di età, tendeva a sdrammatizzare rimproverandole quegli alti e bassi dell’umore. Frances non era mai entrata in sintonia con Marion come con Grace, l’altra cugina, una diciassettenne esuberante e allegra, l’unica vera amica che avesse mai avuto.
Quasi l’avesse evocata col pensiero, sentì la sua voce sommessa unita a un cauto bussare alla porta.
— Cugina, sono io!
Un gran sorriso distese il volto di Frances che corse ad aprire. — Cosa fai alzata a quest’ora?
— Ti ho sentita gridare e mi sono preoccupata.
— Forza, vieni dentro prima che ci senta qualcuno.
Grace sgattaiolò nella stanza stringendosi addosso lo scialle che indossava sulla veste da notte e balzò sul letto, sedendo a gambe incrociate sopra le coperte.
— Che ti è successo? Il solito incubo?
— Sì, purtroppo — le rispose sedendo sulla sponda del letto. — Mi spiace di averti svegliata.
— Ma no, che dici… A me spiace per te. Ora come stai?
— Meglio. È passata.
La ragazza la scrutò con un’aria da furbetta. — A me non sembra. So io cosa potrebbe rinfrancarti.
Si guardarono negli occhi e scoppiarono a ridere. Si capivano senza bisogno di parole.
— Grace! Non dirmi che hai fame!
— Una fame da lupo — e saltò giù dal letto. — Ti andrebbe di fare una capatina in cucina?
— Bada, avevi promesso.
— Non fare la guastafeste — sbuffò alzando gli occhi al cielo. — Stai parlando come Marion.
Per loro, paragonarsi a Marion era quasi un insulto.
— Santo cielo, no! — esclamò Frances ridendo. — Come Marion, no! Ritratta immediatamente.
— Nemmeno per sogno. Andiamo, cugina… — Ammiccò graziosamente reclinando la testa da una parte. — Fammi contenta.
Frances capitolò con un sorriso. — E va bene, ma senza esagerare.
Grace doveva smaltire qualche chilo di troppo, perciò la madre esigeva che stesse a dieta stretta. Marion si era incaricata di sorvegliare affinché la sorella rispettasse le regole, minacciandola che non avrebbe trovato marito se non fosse dimagrita. Eppure, Grace si guardava allo specchio e si trovava bella: il volto paffuto aveva tratti regolari, occhi ridenti, splendidi capelli castani dai riflessi luminosi, e non si sentiva sminuita da quei chili in eccedenza, così continuava a rimpinzarsi di nascosto incurante delle lagnanze della madre e della sorella.
Frances conosceva l’indole della giovane cugina e sapeva che non tollerava imposizioni. Era certa che Grace avrebbe seguito una dieta quando avesse deciso di sua sponte e che fino a quel momento assillarla sarebbe stato inutile, perciò, anche quella notte cedette al suo volere.
Le due ragazze si avvolsero negli scialli e uscirono dalla stanza. In punta di piedi scesero al piano terra, da lì passarono sul retro della villa dov’erano i locali della servitù.
La cucina era riscaldata da un gradevole tepore; nel camino e nelle stufe la brace ardeva ancora.
— Non esiste un luogo più accogliente di una cucina — mormorò Grace con aria sognante posando la lumiera sul tavolo di marmo. — Che buon profumo! E guarda che meraviglia quei barattoli di canditi… — Perlustrando con gli occhi la credenza, vide infine quel che cercava sotto una campana di vetro. — Volevo ben dire! Mi sembrava ne fosse avanzata.
Si riferiva alla torta di noci che era stata servita a cena. In un batter d’occhio sollevò la campana, prese il piatto di portata e lo posò sul tavolo.
Frances alzò un sopracciglio. — Non sarebbe meglio qualcos’altro?
— Una mela, un gambo di sedano? — ribatté la cugina brandendo il coltello. — Non scherziamo!
Divisero ciò che restava della torta in due grosse fette e sedettero una di fronte all’altra.
Grace attaccò voracemente il dolce, poi notò l’espressione assorta della cugina, la svogliatezza con cui si portava alla bocca piccoli bocconi.
Allora posò il pezzo di torta e le chiese dolcemente: — Ti va di parlarne?
Non c’era bisogno di specificare l’argomento. Quel tono accorato poteva preludere a una cosa sola: il passato di Frances.
Lei non affrontava quel discorso volentieri.
— Ne abbiamo parlato tante volte, Grace — rispose mestamente. — Non c’è molto da dire.
— Ma non puoi continuare a tormentarti in questo modo: devi voltare pagina.
— Non faccio che provarci, ma, quando mi sembra di esserci riuscita, ritorna quel maledetto incubo. Non immagini quanto mi sia sforzata di frugare la memoria in cerca di qualcosa che mi riportasse indietro alla notte del naufragio.
— Avevi solo pochi mesi, come potresti ricordare?
— Eppure, quelle grida, la sensazione di gelo nelle membra… Sembrano davvero cose che ho vissuto.
— È solo suggestione. Non fai che rimuginare, e sono i brutti pensieri a farti venire gli incubi.
Frances era sicura che quegli incubi riguardassero le drammatiche circostanze nelle quali erano morti i suoi genitori.
Di loro sapeva ciò che lo zio Richard e la zia Hellen le avevano raccontato: che erano periti durante un naufragio nel tratto di mare che divide l’Irlanda del sud dall’Inghilterra. In quella notte di tempesta, molti non erano riusciti a guadagnare le barche di salvataggio. I genitori di Frances avevano fatto appena in tempo ad affidare la figlia neonata a una donna che stava salendo su una scialuppa, una passeggera conosciuta in viaggio. Poco dopo un’ondata gigantesca aveva spazzato il ponte della nave e loro erano caduti in acqua, inghiottiti dai flutti. Una volta sbarcata sulle coste gallesi, quella passeggera si era recata da Lord Hatfield e gli aveva portato la bimba riferendogli il poco che sapeva: che la piccola Frances aveva poco più di un mese, era nata il 18 novembre del 1838, e che i suoi genitori, poco prima di morire, l’avevano supplicata di rivolgersi a lui. I loro nomi erano Eveline e Rodney Laraby.
Così Frances era entrata nella casa di Richard Laraby conte di Hatfield, un lontano cugino di suo padre, ed era stata affiliata alla ricchissima famiglia.
Il conte e la contessa di Hatfield l’avevano accolta e cresciuta con amore. Frances non poteva fregiarsi del titolo di lady come Marion e Grace, che erano diretta discendenza, ma Lord Richard e Lady Hellen consideravano le tre ragazze alla pari come figlie. Avevano sofferto nel rivelare alla nipote, quand’era adolescente, la verità sulle sue origini, tuttavia avevano ritenuto giusto non mentirle, e lei, passato lo sconcerto iniziale, aveva apprezzato la sincerità.
All’epoca, Frances cercò di sapere di più della vicenda. Chiese agli Hatfield di rintracciare la passeggera che l’aveva portata in salo, ma le fu risposto che la donna era scomparsa senza lasciare alcun recapito. Allo stesso modo non c’era traccia dei suoi genitori, forse vissuti in Irlanda, i cui corpi non erano mai stati recuperati. Frances sapeva solo i loro nomi: Eveline e Rodney. Non aveva una tomba su cui poterli piangere, né ricordi tangibili di loro.
— La cosa peggiore è che non riesco nemmeno a figurarmeli. È come se non fossero mai esistiti — sospirò allontanando il piatto con i resti della torta.
— Perdonami, non volevo rattristarti — mormorò Grace. — Non finisci la torta?
— Non ho più fame.
— Allora la finisco io.
Frances sorrise guardandola mangiare con gusto. — Proprio non ti importa di ingrassare, eh?
— Dimagrirò quando sarò grande. Lo ha detto Rosalie.
— Lo dice già da qualche anno.
— Vuol dire che bisogno di più tempo. Forse sono un po’ lenta di comprendonio.
— Se ti sentisse Marion…
— Che faccia farebbe! — rise Grace. — Si preoccuperebbe del fatto che uno dei suoi tanti spasimanti ipotizzasse qualche tara ereditaria. In effetti non si dovrebbe sposare la sorella di una ragazza grassa e lenta di comprendonio.
— Non mi piace sentirti parlare in questo modo. Potresti avere tanti pretendenti quanti ne ha Marion, se fossi meno scontrosa con i nostri amici. Ricordo ancora il nostro debutto in società: passasti la sera sulla terrazza pur di non ballare.
Grace fece spallucce. — Non mi interessa il ballo, tantomeno maritarmi.
— Ti interesserà, vedrai. La famiglia è importante.
— Certo, ma si può essere felici anche in altre situazioni, che so… viaggiando, conoscendo il mondo. Sognare non costa nulla, no? Tu, ad esempio: che regalo vorresti dalla vita?
— Troppi per ottenerli tutti.
— Scegline uno. Coraggio, uno solo.
Frances rispose senza esitazione: — Vorrei vedere il volto di miei genitori, sapere chi erano, com’erano. Mi accontenterei anche di un ritratto, o di poche parole che mi raccontassero di loro.
Grace abbandonò la fetta di torta e corse ad abbracciarla.
Ogni mattina alle nove la famiglia si riuniva nella sala da pranzo intorno a lungo tavolo per fare colazione.
Il conte era in genere il primo a presentarsi, vestito di tutto punto. Le ragazze lo trovavano seduto in poltrona davanti alla grande vetrata che dava sul parco, con il Times spiegato tra le mani.
Grace e Marion lo