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Charlene
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E-book282 pagine3 ore

Charlene

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Info su questo ebook

Parigi, 1824. La giovane e talentuosa Charlene ha un sogno: diventare scrittrice.
Grazie all'incontro con Eugène Delacroix, Charlene verrà catapultata in un mondo tanto affascinante quanto pericoloso...
"Ombre Rosa" è una collana e insieme un viaggio alla riscoperta di un'intera generazione di scrittrici italiane che, tra gli anni Settanta e gli anni Duemila, hanno posto le basi del romanzo rosa italiano contemporaneo. In un'era in cui finalmente si colgono i primi segnali di un processo di legittimazione di un genere letterario svalutato in passato da forti pregiudizi di genere, lo scopo della collana è quello di volgere indietro lo sguardo all'opera di quelle protagoniste nell'ombra che, sole, hanno reso possibile arrivare fino a questo punto, ridando vita alle loro più belle storie d'amore.
LinguaItaliano
Data di uscita6 mag 2024
ISBN9788727148373
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    Anteprima del libro

    Charlene - Theresa Melville

    Charlene

    Copyright ©2022, 2024 Theresa Melville and SAGA Egmont

    All rights reserved

    ISBN: 9788727148373 

    1st ebook edition

    Format: EPUB 3.0

    No part of this publication may be reproduced, stored in a retrieval system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.

    www.sagaegmont.com

    Saga is a subsidiary of Egmont. Egmont is Denmark’s largest media company and fully owned by the Egmont Foundation, which donates almost 13,4 million euros annually to children in difficult circumstances.

    Un nuovo amico

    René osservava affascinato il raggio di sole che filtrava dalla chioma di un cipresso: il fiotto luminoso terminava sulla lastra marmorea posta in terra, ricco del pulviscolo alitato dal vento.

    Seduto sul muretto sotto l’albero, il giovane prese dalla cartella il blocco da disegno e tracciò uno schizzo a carboncino. Tornando con gli occhi al fogliame, sorrise. Nemmeno il pittore più dotato potrebbe riprodurre questo incanto pensò, immaginando di sviluppare sulla tela quelle forme.

    Nel mentre, giocherellava con il carboncino; il vezzo gli imbrattava i polpastrelli e lasciava impronte scure sui calzoni, sul gilet e sulle maniche arrotolate della camicia, ma René non ci badava. Quel grigio ardesia per lui non era sporco, era colore, e per un pittore i colori sono tutto, sono parole: raccontano l’anima delle cose che non hanno voce. Come il candore delle lapidi racconta l’integrità del puro spirito. Come il rosso brunito delle iscrizioni arrugginite racconta il passare del tempo.

    I suoi compagni dell’accademia d’arte consideravano bizzarra l’abitudine di andare nel cimitero di Père-Lachaise a caccia di suggestioni, eppure, nella tranquillità di quei giardini silenziosi, René Bouillon si sentiva stimolato a creare.

    Il 25 maggio del 1824, il pittore si trovava al camposanto nell’ora che precede il tramonto.

    Dopo aver abbozzato sulla carta il cipresso pervaso dal sole calante, René volse intorno lo sguardo in cerca di un’altra immagine che lo ispirasse.

    Fu allora che vide la scena: c’era un fascio di garofani scarlatti legati con lo spago sul bordo del fontanile di pietra; un’estremità della corda penzolava rasente il terreno, e un gatto randagio la faceva oscillare con la zampetta. E c’era una donna: sorrideva di quel gattino audace e, china su di lui, gli accarezzava il dorso.

    La matita corse rapida sul foglio per fissare la visione. Nell’impulso creativo, René spostava di continuo gli occhi dalla donna alla carta e viceversa, sperando che lei non smettesse di vezzeggiare l’animale e che l’animale continuasse a divertirsi con lo spago.

    Un paio di zampate fecero cadere a terra un mazzetto di garofani. Spaventato, il gatto fuggì.

    La sconosciuta raccolse i fiori e li dispose insieme agli altri sul bordo della fontana, quindi si dedicò a ridurre i gambi e a togliere le foglie in eccesso.

    René non riusciva a staccarle gli occhi di dosso.

    Lei portava i capelli castani raccolti in disordine sul capo. Indossava panni umili: una camiciola bianca, che le era scesa su una spalla scoprendo l’omero, un giubbetto color ocra e un grembiule coi tasconi sulla veste marrone.

    Il volto non era ben visibile, perciò René ripose carta e matita nella borsa che mise a tracolla e la raggiunse. Finse di dover bere.

    Quando la ragazza se lo ritrovò al fianco, si fece da parte per permettergli di accostarsi al bocchettone.

    Il pittore bevve pochi sorsi e indietreggiò restando ad osservarla.

    Intenta com’era nel suo compito, sembrava non fare caso a lui: tagliava i gambi, eliminava le foglie e metteva il garofano da una parte, poi ne prendeva un altro e ricominciava. Avrà avuto circa vent’anni. L’aspetto era sciatto, ma il volto era uno scrigno di tesori. Gli occhi erano grigio verdi, a seconda della luce più scuri o più dorati, e di tanto in tanto sbirciavano lo sconosciuto. La linea del naso era perfettamente dritta. La bocca sembrava una pennellata di carminio, morbida e piena. Gli zigomi erano pronunciati, le guance scavate, la pelle olivastra e levigata.

    René suppose che avesse antenati di sangue orientale.

    «Allora?» lo apostrofò a un tratto la donna. «Non avete visto abbastanza? Volete che mi metta di profilo? Forse qualche particolare vi è sfuggito.»

    «Non volevo importunarvi, è che… Vedete, sono un pittore. Avete un volto singolare, per questo vi guardavo.»

    «Non avete niente di meglio da fare?» mormorò lei senza smettere di mondare i garofani.

    «Non c’è niente di meglio per un artista che ammirare i capolavori della natura. E voi lo siete, signorina.»

    «Cosa sarei io?» ribatté con una gran risata.

    «Intendevo i vostri lineamenti, il vostro viso…»

    «Via, toglietevi di mezzo. Non vedete che sono occupata?»

    «Potrei aiutarvi, fareste prima.»

    La ragazza si girò a guardarlo con una mano sul fianco, fece una smorfia, scrollò le spalle. «Se ci tenete…»

    «Ci tengo molto.»

    «Eccovi accontentato!» Prese un mazzo di garofani e glielo mise sotto il naso. «Dovete levare le foglie appassite e spezzare l’ultima parte del gambo per farli tutti della stessa misura.»

    René si mise all’opera. «Per chi sono questi fiori?» le chiese.

    «Per chi, secondo voi? Siamo in un cimitero.»

    «Basterebbero per adornare una decina di tombe.»

    «Undici, per l’esattezza. Vedete quel mausoleo con l’angelo?» Gli indicò la costruzione in pietra lì vicino. «Appartiene all’istituto di Saint Cyrille, ci sono sepolte le badesse. I fiori sono per loro; vengo a metterne di freschi ogni sabato.»

    «Un bel gesto.»

    «Mi pagano» replicò lei, esaminando accigliata alcuni garofani appassiti. «Ladro di un fioraio… Questi sono da buttare!»

    Li gettò nel secchio dei rifiuti insieme a un bel po’ di foglie e steli.

    René fece altrettanto con le foglie eliminate e le porse la propria parte di fiori puliti. «Visto? Avete risparmiato tempo.»

    «Vi ringrazio.»

    «È stato un piacere, signorina…» Lei gli scoccò un’occhiataccia. «Permettete che mi presenti? Mi chiamo René Bouillon.»

    «Gran bel nome» commentò la giovane senza guardarlo, e raccolse i garofani in un unico grande mazzo per allontanarsi verso il mausoleo.

    Il pittore decise di aspettarla. Sedette su una panchina lungo il viale che portava all’uscita ed esaminò il blocco da disegno. C’era qualcosa di buono negli schizzi che ritraevano la sconosciuta dei garofani, tuttavia, nessuno di essi rendeva giustizia alla sua bellezza. Trascorse circa venti minuti a ritoccare i disegni, quando un’esclamazione lo fece sobbalzare.

    «Dunque non mi avete mentito!» Sopraggiunta alle spalle di René, sbirciava gli schizzi a carboncino. «Siete davvero un pittore!»

    «Sicuro che lo sono, però prediligo i paesaggi.»

    «Ah.» Sembrò delusa, ma non perse di vista i disegni. «Posso dare un’occhiata?»

    René porse il blocco e lei lo sfogliò attentamente.

    «Siete bravo» commentò. «Venite spesso a disegnare qui?»

    «Appena posso. Può sembrare strano, ma questo luogo mi piace.»

    «Non lo trovo affatto strano. Piace anche a me.»

    «Dite sul serio?»

    «Mi piace, sicuro, specie in questa stagione. D’inverno è un po’ troppo tetro. Be’, ora vado.»

    «Aspettate!» René si alzò in piedi riponendo blocco e matita nella cartella. «Vi andrebbe di farmi compagnia per una tazza di tè?»

    «Veramente dovrei tornare al lavoro.»

    «Prendiamo una carrozza e in cinque minuti arriviamo da Pierre.»

    «E chi sarebbe Pierre?»

    «Il padrone di una caffetteria. È un posto ben frequentato, fanno delle torte deliziose.»

    Sentendo parlare di torte, la giovane donna sorrise mettendo in mostra denti piccoli e perfetti.

    René la incalzò speranzoso: «Se ne avete voglia, sarei lieto di farvi assaggiare la migliore torta di mele di Parigi. Vi va l’idea?»

    «Quasi quasi…»

    «Vi prometto che non ve ne pentirete.»

    «In effetti, oggi non ho pranzato» ammise asciugandosi le mani sul grembiule.

    «Neanch’io, e muoio di fame.» Era una bugia, ma avrebbe detto qualsiasi cosa pur di metterla a suo agio. «Adesso me lo dite il vostro nome?»

    «Charlene» mormorò, intanto camminava attenta a dove metteva i piedi, come una bambina, le mani dietro la schiena.

    «Charlene e poi?»

    Lei arrossì lievemente senza alzare lo sguardo.

    «Charlene e basta.»

    Usciti dal cimitero, montarono sulla prima carrozza di passaggio.

    Durante il tragitto Charlene rimase in silenzio guardando fuori del finestrino. Quando il conducente fermò i cavalli in un vicolo di Saint Germain, ignorò la mano che René le offriva per aiutarla a scendere dalla vettura e balzò a terra. Poi si guardò la veste dimessa, le scarpe malridotte, il grembiule sporco. Ebbe un tentennamento, ma di breve durata: dal locale proveniva un delizioso profumo di dolci.

    Entrarono, sedettero al primo tavolo libero e subito Pierre li raggiunse.

    Era un omone gioviale con due folti baffi grigi.

    «Giusto voi, signor Bouillon!» esclamò. «C’era qui il signor Hugo, fino a poco fa. Vi stava cercando.»

    «L’ho mancato per un soffio… Ha detto se ritornerà?»

    «Spiacente, non ha lasciato detto nulla. Cosa vi porto?»

    «Che domande! La specialità della casa, è ovvio.»

    Con un largo sorriso, Pierre annotò le ordinazioni sul blocchetto: «Due porzioni di torta di mele» recitò scrivendo. «Panna anche per voi, signorina?» Lei annuì con vigore. «Ho capito: doppia porzione di panna.»

    Quando l’uomo si fu allontanato, Charlene puntò i gomiti sul tavolo e posò il mento sulle mani intrecciate. «Siete di casa, a quanto pare» disse scrutando il pittore con smaccato interesse.

    «Il cibo è ottimo, il locale accogliente. Incontro qui i miei amici quasi tutti i giorni.»

    Tacquero, intenti ad osservarsi cercando di capire chi avevano davanti.

    Charlene notò per la prima volta il pallore del volto di lui, la sua barba corta mal rasata, la giacca stazzonata coi polsini logori. I capelli biondo cenere, troppo lunghi sul collo, avrebbero avuto bisogno delle sforbiciate di un barbiere.

    «Mi sembra di essere sotto una lente d’ingrandimento» disse René a disagio, per porre fine a quell’esame.

    «Ora sapete cosa si prova.»

    «Forse sono stato un po’ invadente, al cimitero, ma senza l’intenzione di mancarvi di rispetto, credetemi.»

    «Lo so. Altrimenti non sarei qui.»

    In quel momento, Pierre servì le torte e il tè.

    Charlene guardava estasiata la gigantesca fetta di dolce coperta di panna che aveva nel piatto.

    «Non è solo bella da vedere. Assaggiatela e poi mi direte.»

    Charlene prese il cucchiaino e si portò un boccone alle labbra. Masticò lentamente, gli occhi socchiusi per il piacere. Mangiò il secondo boccone e il terzo, finché non ebbe terminato l’intera fetta.

    «Ne volete ancora?»

    Lei rispose di sì annuendo con la bocca piena. Il tempo di bere un paio di sorsi di tè e Pierre la servì per la seconda volta, e di nuovo Charlene mangiò fino all’ultima briciola, ripulendo il piatto con il cucchiaino.

    René non aveva mai visto nessuno mangiare con tanta voracità.

    «Perdinci!» esclamò esterrefatto. «Si direbbe che non tocchiate cibo da giorni.»

    Lei si succhiò il pollice sporco di panna.

    «Buona» dichiarò soddisfatta, appoggiandosi allo schienale della sedia. «Ma voi non avete ancora finito la vostra porzione!»

    «Mi sono saziato guardandovi. Per caso, volete anche questa?»

    Charlene non si fece pregare; afferrò il piatto e mangiò la terza fetta di torta.

    «Non avrete esagerato? Vi sentite bene?» chiese il pittore preoccupandosi.

    «Sto molto meglio di prima, in verità.»

    Allora lui capì che Charlene non era semplicemente golosa: era affamata.

    «Se ne volete ancora, non fate complimenti.»

    «Dopo, semmai. Potrei avere un’altra tazza di tè?»

    «Sicuro. Non vedo Pierre… Dev’essere nell’altra sala. Vado a chiedergli di portare altro tè, ci vorrà un istante.»

    Con quella scusa, il pittore si allontanò e, dopo aver ordinato la bevanda, chiese a Pierre di incartargli una torta intera.

    Tornò al tavolo col pacchetto tra le mani.

    «Il tè arriva subito e questa è per voi.»

    «Cos’è?»

    «La torta che avete tanto apprezzato. Potrete mangiarla più tardi, a casa vostra.»

    Charlene cambiò espressione e scostò il pacchetto con un gesto sgarbato. «Credete che sia un’indigente?»

    «No, che idea! Ho visto che vi è piaciuta e ho pensato…»

    «Non posso accettarla.»

    «Perché?»

    Lei esitò. Intanto guardava di sguincio l’involto di carta.

    «Non posso, ecco tutto» soggiunse abbassando gli occhi.

    «Va bene, la terrò io. Certo che avete un bel caratterino…»

    Charlene si agitò sulla sedia. Non avrebbe voluto essere villana, ma le pesava dover ammettere la propria condizione.

    «È vero, ho un brutto carattere» disse sottovoce. «Ma non pensate male di me. Il fatto è che nel posto dove vivo mi farebbero un mucchio di domande vedendomi arrivare con quel dolce, e non potrei certo rispondere che l’ho avuto in dono da uno sconosciuto. Chissà cosa penserebbero!»

    «Ho mancato di tatto, scusatemi.»

    «Non potevate sapere. Tenete per voi quella squisitezza, non rimandatela indietro.»

    «Farò come dite. Se non sono indiscreto, dove vivete?»

    «All’istituto di Saint Cyrille. Lavoro, sapete, e sto mettendo da parte un po’ di soldi in attesa di sistemarmi altrove.»

    «State lì da molto?»

    «Da quando avevo quindici anni. Non sono orfana, però. Una famiglia ce l’avevo. Ho deciso io di lasciarla.»

    «Davvero? E perché?»

    «Certo che siete proprio curioso, René Bouillon!» sbuffò e bevve un sorso del tè che Pierre le aveva appena servito.

    «Sentite, Charlene, io potrei aiutarvi.»

    «In che modo?»

    «Facendovi guadagnare.»

    «Ho già un lavoro, ve l’ho detto.»

    «Il vostro lavoro sarebbe portare i fiori sulle tombe delle badesse?»

    «Non solo. Faccio le pulizie nella pensione Tatien e tengo in ordine i giardini di qualche villa.»

    «Avete mai pensato di posare come modella?»

    La giovane saltò su indignata. «Ma per chi mi avete presa?»

    «Non vi sto proponendo nulla di scandaloso.»

    «Badate che non sono un’ingenua. So come funziona in certi ambienti.»

    «Vi assicuro che al riguardo ne so più io di voi.»

    «Avrei dovuto immaginare che c’era sotto qualcosa! Volevate tendermi una trappola.»

    «Per l’amor del cielo, cosa vi salta in testa? Sono una persona rispettabile!»

    «Magari vorreste dipingermi senza niente addosso…»

    «Tanto per cominciare, io preferisco i paesaggi ai ritratti, e poi non dovreste posare per me, ma per un mio amico, sulla cui rettitudine garantisco personalmente. Se non lo avete capito, vi sto offrendo un lavoro decoroso, poco stancante e ben pagato.»

    Lei fece spallucce. «Non ci sono lavori così.»

    «Nel nostro ambiente sì, se si conoscono le persone giuste. L’amico che vorrei presentarvi è un pittore di talento e ha già una certa fama: si chiama Eugène Delacroix.»

    «Mai sentito, ammesso che esista veramente.»

    René trasse un sospiro, scoraggiato da tanta diffidenza.

    «Vi consiglio di riflettere sulla mia proposta.» Prese un biglietto da visita dalla tasca interna della marsina e glielo porse. «Se doveste cambiare idea, qui c’è il mio indirizzo.»

    Charlene afferrò il biglietto e senza leggerlo lo infilò in una tasca del grembiule.

    «Perché proprio io?» domandò con tono ruvido.

    «Perché avete una bellezza non comune, e perché so cosa significa trovarsi senza un franco in tasca.»

    «Non sembrate poi così malmesso.»

    «Nel mestiere dell’artista ci sono alti e bassi e in effetti, sì, sono stato peggio. Da quando divido le spese di casa con Eugène, le cose sono migliorate. Ci si sostiene a vicenda, quando non si è troppo superbi per accettare l’aiuto di un amico.»

    Lei comprese l’allusione e replicò prontamente: «Io non sono una vostra amica».

    «Neppure Eugène lo era, eppure adesso siamo inseparabili.»

    In quel momento trillò il campanello della porta, segno che un cliente era entrato nel locale.

    René si girò a guardare l’ingresso e subito sorrise, sollevando un braccio per attirare l’attenzione dell’uomo appena entrato. «Victor! Sono qui!»

    Il giovane bruno rispose al saluto e si diresse al tavolo, poi afferrò una sedia trascinandola sul pavimento per piazzarla di fianco all’amico, quindi sedette di peso.

    «Finalmente! Ti cerco da stamattina» esordì senza far caso a Charlene. «Dove ti eri cacciato?»

    «In giro. Novità?»

    «Ci riuniamo stasera a casa mia. Verrà anche Eugène.»

    «Sul serio? Come lo hai convinto a staccarsi dalle sue tele?»

    «L’ho minacciato. Gli ho detto che, se non fosse venuto, non mi sarei più fatto spedire certi pigmenti colorati dalla mia amica italiana.»

    René si mise a ridere e indicò l’involucro che conteneva la torta. «Guarda qui: abbiamo anche il dolce.»

    «Ottimo. Mancano solo i liquori.»

    «Ci penserà Charles, vedrai, sempre che non si scoli le bottiglie durante il tragitto.»

    I due giovani risero di gusto.

    Riprendendo fiato, Victor si rivolse a Charlene con un sorriso luminoso: «Naturalmente, signorina, se voleste unirvi a noi, sareste la benvenuta».

    «Non farti illusioni, non accetterà» commentò il pittore scuotendo il capo.

    «Potresti almeno presentarmela.»

    «Victor, ti presento la signorina Charlene» dichiarò René con enfasi. «Charlene, questo è il mio amico Victor Hugo.»

    La donna sgranò gli occhi per lo stupore. «Victor Hugo?» ripeté arrossendo. «Lo scrittore?»

    «In persona, mia cara.»

    «Oh mio Dio, siete proprio voi! Ho letto i vostri racconti sul Journal de Paris

    «Vi sono piaciuti?»

    «Immensamente» gli rispose trasognata. «Posso chiedervi quanti anni avete?

    «Ventidue.»

    «Così giovane, e già così bravo…»

    «Come mai vi colpisce la mia età?»

    Charlene stava per rispondere che lei ne aveva ventitré e nessuno aveva mai letto un solo verso delle sue poesie, ma tacque, vergognandosi di confessare il suo sogno più grande a un vero scrittore, il primo che avesse conosciuto.

    «Semplice curiosità» disse alzandosi in piedi. «Mi spiace, ma devo tornare al lavoro.»

    René si alzò a sua volta. «Mi promettete di pensare a quanto vi ho proposto?»

    «Lo farò, signor Bouillon. Arrivederci, signor Hugo. È stato un grande onore conoscervi.»

    «Lasciate stare i convenevoli. Piuttosto, se doveste cambiare idea per questa sera…»

    Ma lei scappò via senza rispondere, lasciandolo di sasso.

    «Ho fatto qualcosa di male?» chiese Victor all’amico. «Sembrava che avesse il diavolo alle calcagna.»

    «È difficile capire cosa le passa per la testa.»

    «Ma chi è?»

    «Vive nell’istituto di Saint Cyrille da quando è scappata di casa all’età di quindici anni, e tira a campare con lavoretti di fortuna. Non so altro, tranne che ha un viso che vorrei saper ritrarre. L’hai notato?»

    «Certo che sì. Con quel taglio di occhi, quegli zigomi… Piacerebbe a Eugène.»

    «L’ho pensato anch’io, ma quando le ho proposto di lavorare come modella ci è mancato poco che mi picchiasse.»

    «Vai a far del bene!» rise l’altro, e si accese un mozzicone di sigaro preso dal taschino.

    «Lei mi piace, Victor. Avrei voluto darle una mano.»

    «Scommetto che si farà viva.»

    «Tu dici?» ribatté con scetticismo. «No, non credo.»

    «Ha le mani piene di calli ed è magra da far paura.»

    «Già, purtroppo crede che prostituirsi e posare per un pittore siano più o meno la stessa cosa.»

    «Se apprezza i miei racconti non può essere così stupida!»

    «Stupida no, ma di sicuro è stravagante: non ha soldi per mangiare e spende per comprare il Journal de Paris

    «Non ci trovo nulla di strano, magari le piace leggere… O addirittura scrivere, chissà! Un mese

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