Amore, baciami: Gli amori dei Bawden, 2
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Info su questo ebook
"Ombre Rosa" è una collana e insieme un viaggio alla riscoperta di un'intera generazione di scrittrici italiane che, tra gli anni Settanta e gli anni Duemila, hanno posto le basi del romanzo rosa italiano contemporaneo. In un'era in cui finalmente si colgono i primi segnali di un processo di legittimazione di un genere letterario svalutato in passato da forti pregiudizi di genere, lo scopo della collana è quello di volgere indietro lo sguardo all'opera di quelle protagoniste nell'ombra che, sole, hanno reso possibile arrivare fino a questo punto, ridando vita alle loro più belle storie d'amore.
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Anteprima del libro
Amore, baciami - Roberta Ciuffi
Amore, baciami
Immagine di copertina: Shutterstock
Copyright ©2000, 2024 Roberta Ciuffi and SAGA Egmont
All rights reserved
ISBN: 9788727061252
1st ebook edition
Format: EPUB 3.0
No part of this publication may be reproduced, stored in a retrieval system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.
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Saga is a subsidiary of Egmont. Egmont is Denmark’s largest media company and fully owned by the Egmont Foundation, which donates almost 13,4 million euros annually to children in difficult circumstances.
GLI AMORI DEI BAWDEN
Amore, scrivimi!
Amore, baciami!
Amore, sposami!
Amore, perdonami!
Quattro romantiche commedie Regency di amori e inganni
1
Marzo 1816, Cambridge
Tristan Bawden, quartogenito figlio maschio del defunto quarto Marchese di Edgerton, si annoiava a morte. O forse era seccato a morte. Doveva ancora decidere. Questa fastidiosa disposizione d'animo si era impadronita di lui da quando aveva scoperto che la sua posizione subordinata all’interno della famiglia lo obbligava a intraprendere una faccenda chiamata carriera.
L’imposizione gli appariva tanto più ingiusta se confrontata alla condizione del fratello maggiore, il quinto Marchese di Edgerton, che, come primogenito, poteva infischiarsi di ogni genere di attività o impegno al mondo, a parte scarrozzare se stesso dalla casa di Londra a quella di campagna, per non parlare delle altre tenute di minor conto.
Sdraiato sulla chaise‒longue, nella sua stanza al Magdalene College, Cambridge, Tristan emise un lungo sospiro. Sì, probabilmente era più annoiato che seccato.
Annoiarsi era considerata un’attività di tutto rispetto, tra gli studenti che si gingillavano per qualche anno all’università in attesa di assumere il posto loro riservato nella costellazione familiare.
Tristan conosceva primogeniti annoiati esattamente quanto lui, e anche secondogeniti e terzogeniti, tutti destinati all’una o all’altra delle posizioni considerate accettabili nel loro livello sociale: proprietari terrieri, ufficiali, membri del clero. C’era perfino un quintogenito che la disgraziata prolificità dei genitori avrebbe condannato a procacciarsi il futuro sostentamento in India: e anche lui si annoiava in maniera passabile.
Annoiarsi era elegante.
Peccato che suo fratello maggiore non lo capisse. Se pensava alla strapazzata che aveva ricevuto da lui, durante le vacanze di Natale, aveva ancora i brividi. Dapprima Maxwell l’aveva sottoposto al trattamento che nell’ambito dei figli cadetti era definito: lo sguardo. Quella lunga occhiata gelida, sprezzante, appuntita come la lama di un pugnale che trapassava l’anima del malcapitato privandolo di ogni briciolo d’amor proprio. E poi, quando Tristan già sperava che si limitasse a quello, aveva iniziato a parlare. Oh, se aveva parlato! Era incredibile che un uomo privo d’interessi letterari avesse una tale proprietà di linguaggio e conoscesse talmente tanti termini per descrivere un gentiluomo malato di noia. C’era da credere che avesse fatto uno studio in proposito.
Non era stato tanto l’essere definito ozioso, fannullone, scioperato, perditempo, accidioso ‒ ma dove diavolo aveva pescato quella parola? ‒ quanto che l’avesse fatto pubblicamente, di fronte alle sue sorelle e alle loro graziose amiche.
Ne aveva provato una vergogna così cocente che per i due giorni successivi era rimasto chiuso nella sua stanza, dove aveva continuato ad annoiarsi esattamente come all’università, ma con molto meno diletto.
Poi, il Marchese di Edgerton lo aveva fatto chiamare per conferire con lui ‒ il domestico si era espresso proprio così! ‒ in biblioteca.
Si trovavano nella tenuta di campagna dello zio Felsham, dove spesso trascorrevano il periodo estivo e le altre feste. Maxwell non possedeva il genere di temperamento adatto all’organizzazione di ricevimenti e detestava vedere le belle stanze di Edgerton Ridge e i prati distrutti da quelle che definiva orde di selvaggi incivili. La realtà era che, per qualche motivo ignoto a Tristan, non amava la sua tenuta di campagna,.
Lo zio Felsham, d’altra parte, era un tipo del tutto diverso. Spassosissimo. Sempre pronto a divertirsi e a sganciare un po’ di sterline, quando un giovane gentiluomo si trovava in momentanea difficoltà. Come contropartita, c’era purtroppo quella sua malsana abitudine di raccontare storie vecchie come Matusalemme, della maggior parte delle quali aveva dimenticato il finale. Poco importava. Era il suo zio preferito e l’unico che lo comprendesse fino in fondo.
«Se fosse possibile, mio caro Tristan» usava dire dopo una di quelle sue storie, che lui aveva badato a coronare con la grassa risata che l’anziano parente si attendeva, «lascerei tutto questo a te. Sono certo che ne faresti miglior uso di tuo fratello Edmund… Se mai fosse ancora vivo! Pensaci: ti piacerebbe diventare il settimo Conte di Felsham?»
A questo punto, come ci si aspettava da lui, Tristan negava appassionatamente di aver mai nutrito una simile speranza. Ma… accidenti se gli sarebbe piaciuto! Che vita meravigliosa avrebbe fatto! Era quasi certo che avrebbe perfino abbandonato senza troppo rimpianto l’elegante abitudine di annoiarsi.
Era inutile però crogiolarsi in quel sogno, che si sarebbe potuto realizzare solo passando sopra a due cadaveri: quello dello zio, attempato sì, ma non tanto da guardare con favore a una rapida dipartita da questo mondo, e quello di suo fratello.
Di Edmund, in effetti, non si sapeva nulla da un paio d'anni, in seguito a una storica litigata con Maxwell per aver favorito i propositi matrimoniali di Beth, la maggiore delle sorelle, con un insegnante di ballo francese di cui si era invaghita. Molto inopportuno da parte sua. Anzi, di entrambi. Quello era il genere di errore che Tristan non avrebbe mai commesso e che, secondo lui, dimostrava la sua superiore attitudine a ereditare un titolo e rivestire una carica in Parlamento.
Da allora, Edmund era sparito. Nelle colonie in qualche parte del mondo, si diceva. Forse in Africa, o in India, chi poteva saperlo? Dal giorno della sua fuga non aveva mai scritto neppure una riga. Almeno, non a lui.
Tristan sapeva che Maxwell, con tutta la sua severità, si struggeva l’animo per il fratello e avrebbe dato un braccio pur di riaverlo nella loro casa, come una volta. Almeno, era quanto diceva zia Portia, quando beveva un bicchierino di Porto e diveniva di umore sentimentale.
«Povero Maxwell» sospirava. «Che carico gravoso, essere un capofamiglia.»
Un carico gravoso? Tristan era certo di potersene accollare il peso senza alcuna difficoltà. Invece il destino aveva deciso altrimenti, ed eccolo lì, a sospirare su una chaise‒longue e a rimuginare sul desolato futuro che gli si schiudeva davanti, e che Maxwell gli aveva tanto bene illustrato quel giorno famoso, nella biblioteca di Felsham Manor.
«Un ecclesiastico? Io, un ecclesiastico?» aveva sussurrato Tristan, d’improvviso privo di forze. «Stai scherzando, vero?»
Maxwell aveva stretto le mani sullo schienale della poltrona contro cui si teneva appoggiato, come se gli occorresse tutto il suo autocontrollo per non commettere qualche azione di cui si sarebbe pentito in seguito. Una che conducesse a un’altra fuga per il mondo, per dire.
«Sai che non scherzo mai» aveva risposto, con quel suo sguardo fosco che faceva venire la tremarella ai fratelli minori. «Sei il quartogenito e Edmund non è affatto portato per la vita religiosa. Quando avrai terminato il tuo corso di studi… se mai questo accadrà… prenderai possesso del beneficio ecclesiastico di Edgerton Ridge.»
«Ma nemmeno io sono portato per la vita religiosa!» aveva protestato, attaccandosi all’unico appiglio possibile.
«Ah. Vorresti dire che preferisci quella militare?»
Il sopracciglio di suo fratello non era mai stato inarcato in maniera più ironica. Al diavolo, no, aveva pensato. Le guerre contro Bonaparte erano state definitivamente archiviate dalla sua sconfitta a Waterloo, ma Tristan non ci si vedeva proprio infilato in una divisa e costretto a marciare o cavalcare in difesa di un qualche pezzo di terra sparso per il mondo. E questo anche se la morte di Charles, il secondogenito della famiglia, nel corso di uno scontro navale, non gli avesse tolto per tempo ogni velleità battagliera.
La sua espressione doveva essere stata eloquente, perché Maxwell aveva aggiunto, con un sorrisetto: «Come immaginavo. E che altro genere di carriera ti sentiresti di intraprendere, di grazia?».
Che altro genere di carriera poteva intraprendere un giovane gentiluomo suo pari? Non aveva trovato una risposta. Non ce n’era alcuna. L'esistenza di un quartogenito maschio era dannatamente disgraziata. Non avrebbe mai posseduto nulla, salvo che un qualche parente non provvisto di eredi si fosse deciso a tirare le cuoia, ricordandosi di lui nel testamento. Difficile, però.
Sia i Bawden sia i White possedevano lombi dannatamente fertili. C’erano eredi a iosa, ovunque, per qualunque proprietà e titolo si potesse immaginare. Era un miracolo che lo zio Felsham e la zia Portia, fratello e sorella di sua madre, non avessero provveduto a incrementarne il numero. La zia aveva in odio il matrimonio, mentre lo zio lo amava forse anche troppo, tanto che non era mai riuscito a decidersi tra l’una o l’altra delle donzelle di cui s'innamorava a ripetizione. Fatto stava che a più di sessant’anni era ancora scapolo e Maxwell avrebbe procurato che così restasse. Gli faceva troppo gola l’idea di sistemare suo fratello nelle scarpe del Conte di Felsham.
Il fratello sbagliato, purtroppo.
Tristan era uscito da quel colloquio avvilito, disperato. Neppure la comprensione delle sue sorelle e delle loro graziose amiche era riuscita a risollevargli il morale. Neppure il fatto che il giorno successivo Maxwell si fosse rotto una gamba cadendo da cavallo, l’aveva vendicato. La sua vita era finita. Lui, un ecclesiastico! L’avrebbero chiamato… Reverendo? Vicario? Oh, per quel che lo riguardava potevano anche nominarlo vescovo, non sarebbe mai stato un religioso nell’animo.
Era certo che quella fosse un’attività in cui annoiarsi non fosse ritenuto elegante.
La porta si spalancò sotto la spinta di qualcuno irruente e maldestro, che non appena superata la soglia inciampò nel tappeto.
«Oh, per Giove, Bawden!» sbottò il nuovo arrivato, aggrappandosi all’attaccapanni per restare in piedi. «Non sai pensare a un altro posto dove piazzare un tappeto?»
Dal suo letto di dolore, Tristan sospirò ma non rispose. Gli sembrava superfluo e inoltre non voleva alimentare in Carruthers l’impressione che fossero amici. Da quando il compagno di studi aveva scoperto la decisione presa per il suo futuro, aveva iniziato a manifestare per lui una simpatia eccessiva. Come se condividessero aspirazioni e convinzioni. Ma che l’altro aspirasse a diventare un religioso fin da quando aveva i calzoni corti, non lo rendeva il suo migliore amico.
Crispin Carruthers non aveva la presenza che secondo Tristan ci si aspettava da un classico studente di Cambridge. Un po’ più basso di lui, robusto e tarchiato, la mascella prominente, gli occhi infossati dallo sguardo severo, gli riportava immancabilmente alla memoria uno di quei feroci puritani del passato di cui il mondo non sentiva la mancanza. Inoltre, trovava che i suoi colori ‒ capelli arancioni e occhi verdi, il tutto abbinato a una robusta dose di lentiggini ‒ non si accordassero ai propri. Come la maggior parte dei suoi fratelli, Tristan aveva ereditato i colori della madre: occhi e capelli neri e incarnato olivastro.
E tuttavia, da qualche mese il buon Crispin si trovava sempre nei paraggi, ansioso di offrire i suoi servigi, consigli e ammonimenti. Per non parlare dei piani per il futuro. Quel giorno, invece, la sua importuna presenza nella stanza aveva un’altra motivazione.
«È arrivata la posta» disse. «C’era una lettera per te.» Gli tese una busta dal color avorio con sfumature rosate. E profumata. «È della tua fidanzata? Non c’è bisogno che ti ricordi che un uomo di chiesa deve essere prudente, nelle sue frequentazioni femminili,