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Caterina
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E-book321 pagine3 ore

Caterina

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Info su questo ebook

Italia, 1798. La bella Caterina si è stancata di essere continuamente ignorata dal marito. Per lui, è come se lei fosse uno spettro. L'arrivo di Luciano, un tenente che tutte le gran dame del circondario si contendono, sembra mettere finalmente un po' di sale nella monotona esistenza di Caterina. Ma siamo sicuri che l'uomo sia proprio quello che ci si aspetterebbe?
"Ombre Rosa" è una collana e insieme un viaggio alla riscoperta di un'intera generazione di scrittrici italiane che, tra gli anni Settanta e gli anni Duemila, hanno posto le basi del romanzo rosa italiano contemporaneo. In un'era in cui finalmente si colgono i primi segnali di un processo di legittimazione di un genere letterario svalutato in passato da forti pregiudizi di genere, lo scopo della collana è quello di volgere indietro lo sguardo all'opera di quelle protagoniste nell'ombra che, sole, hanno reso possibile arrivare fino a questo punto, ridando vita alle loro più belle storie d'amore.
LinguaItaliano
Data di uscita13 mag 2024
ISBN9788727061054
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    Anteprima del libro

    Caterina - Roberta Ciuffi

    Caterina

    Cover image: MidJourney

    Copyright ©1999, 2024 Roberta Ciuffi and SAGA Egmont

    All rights reserved

    ISBN: 9788727061054 

    1st ebook edition

    Format: EPUB 3.0

    No part of this publication may be reproduced, stored in a retrieval system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.

    www.sagaegmont.com

    Saga is a subsidiary of Egmont. Egmont is Denmark’s largest media company and fully owned by the Egmont Foundation, which donates almost 13,4 million euros annually to children in difficult circumstances.

    Sommario

    10 

    11 

    12 

    13 

    14 

    15 

    16 

    17 

    18 

    19 

    20 

    21 

    22 

    23 

    24 

    25 

    26 

    27 

    28 

    29 

    30 

    31 

    32 

    33 

    34 

    35 

    36 

    37 

    38 

    39 

    Roma, 20 febbraio 1798 

    Il conducente della vettura pubblica batté gli occhi, infastidito dalla luce improvvisa. Sbucando dalla buia via dei Tre Archi, piazza Terenzi appariva quasi insopportabilmente inondata dal sole. L'inconveniente lo distrasse e gli ci volle un po’ per rendersi conto che c'era qualcosa che non andava.

    L'intero perimetro di strade che circondava il palazzo era stato cosparso da uno spesso strato di paglia, che soffocava lo sferragliare delle ruote e riduceva lo scalpitio degli zoccoli a un rimbombo sordo.

    Qualcuno doveva essere gravemente ammalato, pensò l'uomo. Rallentando il passo del cavallo fino a un trotto fiacco, lo portò a fermarsi davanti al portone. Batté un colpo sul tettuccio per avvisare che erano arrivati, lanciando al contempo un'occhiata al centro della piccola piazza, dove era stato piantato un Albero della Libertà. Con disinvoltura, sputò in direzione del simbolo repubblicano. Quindi smontò da cassetta e andò ad assestare un paio di colpi al massiccio battente a forma di leone. Non appena lo spioncino si dischiuse, informò la persona all'interno dell'identità del suo passeggero.

    Le maestose porte doppie si spalancarono con rapidità e la carrozza penetrò nel cortile, subito circondata da una piccola folla di uomini di guardia e valletti, che s'affrettarono ad abbassare la scaletta e aprire lo sportello al loro padrone.

    Prima ancora che il marchese posasse piede a terra, un uomo di mezz'età con indosso la livrea della casa gli si parò dinanzi.

    «Eccellenza!» esclamò con voce alterata dall'agitazione. «Grazie a Dio lei è qui. Avevamo paura che fosse successa una disgrazia.»

    «No» disse l'altro, facendo segno a uno dei domestici di pagare il vetturino. «Ci hanno rilasciati a scaglioni, ma a quest'ora tutti gli ostaggi saranno già tornati a casa.»

    «Se avessimo saputo che la liberavano avremmo mandato la carrozza.»

    «Non importa. Il viaggio non è stato troppo disagevole.» Si avviò per la scalinata, seguito dal servitore. «La signora sta bene?»

    Antonino, dietro di lui, si schiarì la voce. «Ecco, no, non proprio, eccellenza. È in travaglio.»

    Il marchese si fermò bruscamente, voltandosi a guardare il valletto, che arrossì dall'imbarazzo. «E da quanto tempo…?»

    «Quasi un giorno, ormai.»

    «Mio Dio!» Riprese a salire, il passo reso veloce dall'ansia.

    Quell'andatura non si confaceva alla sua età né alle sue abitudini e alla fine della seconda rampa dovette fermarsi per calmare l'affanno. «Il dottore è arrivato?»

    «Sì, eccellenza. Non s'è mai mosso da qui.»

    «Le cose… non vanno…?»

    «La povera signora è tanto spaventata.»

    «E non solo lei» sibilò il marchese, riprendendo a divorare i larghi gradini di pietra. «Mi sembra davvero troppo presto…»

    Il salotto comunicante con la camera da letto della marchesa era vuoto, ma proveniente dall'interno della porta chiusa si intuiva un trambusto, un brusio di femmine irrequiete e nervose, inframmezzato da grida laceranti. Antonino andò a bussare. La porta s'aprì e il dottore, un uomo piccolo e grassoccio, ne uscì asciugandosi la fronte.

    Il marchese esaminò con scetticismo quella figura così poco rassicurante. Il medico gli era stato raccomandato come il migliore nella sua professione e per la verità l'aveva ben servito nel corso delle tre gravidanze di Brigida Palombi, la sua amante. Brigida era però una donna del popolo, solida e nata per essere madre. Caterina, invece, era di costituzione delicata e, nonostante i ventuno anni, di carattere ancora infantile, incapace di vera fermezza. Bastava sentire come gridava. Inoltre, benché il pensiero potesse apparire meschino, questa volta non si trattava semplicemente di un'amante, per quanto cara, ma di sua moglie, e quello che stava nascendo sarebbe stato il suo primo erede legittimo.

    «Come sta andando?» chiese.

    «Donna Caterina è molto agitata» rispose il medico, piegando il fazzoletto e riponendolo nella tasca della giacca. «Soffre molto.»

    «Eppure il bambino è in anticipo, non può essere poi così grosso» obiettò il marchese, contrariato. «Credete possibile che sopravviva?»

    La crudezza della domanda fece sussultare il servitore, rimasto in attesa poco lontano, ma non disturbò il medico, che se n'era sentite rivolgere di peggiori. «È un po’ in anticipo, è vero» consentì. «E la gravidanza è stata molto difficile. Cerchiamo però di non disperare. Dobbiamo confidare in Dio.»

    «Ma naturalmente» replicò asciutto l'altro. «Naturalmente noi tutti confidiamo in Lui. Ditemi, pensate che sia un maschio?»

    Il dottore sollevò le spalle. «Chi può saperlo, a questo punto? Signor marchese, se solo lei entrasse dalla signora per qualche minuto… non di più… È talmente agitata, se si calmasse il travaglio ne sarebbe facilitato.»

    L'uomo lanciò uno sguardo dubbioso in direzione della porta chiusa, considerando la questione. Il medico e il domestico lessero chiaramente sul suo viso la mancanza d'entusiasmo. Dopo una lieve esitazione, lui rivolse loro un cenno piuttosto brusco ed entrò.

    Nella camera regnava una terribile confusione, che andava ben oltre l'ordinario disordine delle stanze di sua moglie. Con un'occhiata notò i cassetti spalancati, con le biancherie e le trine penzoloni sul pavimento, le vesti gettate ovunque, su panchette, sgabelli, in terra, come in un tentativo di fuga non riuscito. L'odore lievemente amaro del profumo di Caterina permeava l'aria e lui scorse in un angolo i resti infranti del contenitore di cristallo.

    Turbato, volse lo sguardo al letto, dove, in un ammasso disfatto di lenzuola stropicciate, la giovane marchesa Terenzi giaceva, sfinita.

    Saverio sussultò. Quella che s'intravedeva sotto il groviglio di lunghi capelli scuri era una grottesca versione del bel viso di Caterina, una versione torturata, chiazzata, dalla bocca distorta, i denti scoperti. Le sue mani, la cui delicatezza ammirava tanto, erano artigliate al materasso, quasi stessero tentando di trattenere gli scuotimenti del corpo.

    La sorella maggiore, la contessa Nunez, tentava invano di calmarla applicandole pezzuole bagnate sulla fronte bruciante.

    Il marchese si avvicinò al letto, senza preoccuparsi di rispondere al sommesso benvenuto della cognata. Per prendere una mano della moglie tra le sue dovette staccarla quasi a forza dalla presa sul lenzuolo.

    «Caterina» mormorò, con tenerezza.

    La giovane donna socchiuse gli occhi gonfi. Il suo corpo teso si rilassò di colpo, con un gran sospiro. Tentò di sorridere, un sorriso storto e penoso che fece sanguinare il cuore del marito. «Eccoti qui» bisbigliò, inumidendosi le labbra con la lingua.

    «Sì, sì, piccola mia, eccomi qui. Cerca di star calma. Se ti agiti rendi le cose più difficoltose e fai del male al bambino. Questo tu non lo vuoi, vero?»

    Senza rendersene conto, le stava parlando come a una bimba piccola, il che non era poi molto diverso dal modo in cui la trattava di solito. Caterina scosse la testa e tentò di dire qualcosa, ma il suo corpo fu percorso da un sussulto improvviso che la fece gridare. Saverio si portò la sua mano alla bocca. Lei respirò con forza e lo guardò. I suoi occhi nerissimi erano appannati e spenti.

    «Sarò brava…» balbettò a fatica. Era chiaramente esausta.

    «Lo so» s'affrettò a rassicurarla. «Tu sei sempre brava. La mia brava bambina. Ma non parlare, sta' calma. Vuoi che… Se vuoi, io resterò.»

    «No! Va' via. Va'.»

    Di nuovo le baciò la mano, con riconoscenza stavolta, poi la lasciò ricadere delicatamente sul letto. Uscì dalla stanza, sollevato come se fosse scampato a un pericolo. Quasi correndo si rifugiò nel suo studio, lontano dalle camere della moglie tutta la lunghezza del palazzo. Sedette alla poltrona presso il caminetto e lì, in quella rassicurante atmosfera maschile, pian piano il respiro affrettato si calmò.

    Il marchese Saverio Terenzi aveva superato da poco i cinquant'anni, quando per la prima volta aveva posato gli occhi sulla sua futura moglie. Era vedovo da molto tempo e senza figli legittimi. A parte questo, la sua condizione non gli pesava. Era perfettamente soddisfatto del rapporto che lo legava a Brigida, l'amore di tutta una vita, e orgoglioso dei figli che lei gli aveva dato. Sarebbe stato felice di sposarla, ma questo era impossibile e lo sapevano entrambi. Tuttavia, non desiderava sposare nessun'altra e non intendeva farla soffrire.

    Stava considerando la possibilità di ottenere dal Papa la legittimazione del maggiore dei suoi figli, quando, un giorno di Pasqua di tre anni prima, trovandosi a Napoli per un breve soggiorno aveva partecipato al ricevimento di don Giosuè De Toma, un facoltoso gentiluomo del posto.

    Era stato il caso a portarcelo, o meglio, era stato suo cugino Filippo, che l'aveva incuriosito decantandogli la particolare bellezza delle figlie dell'uomo. Conoscendo la sua fama di libertino, s'era aspettato delle ragazze appariscenti e volgari ed era rimasto piacevolmente sorpreso nello scoprire d'essersi sbagliato. Le tre ragazze De Toma erano deliziose, in maniera deliziosamente diversa.

    La maggiore, Teresa, affascinante come una fiammata, bruna, vivace, brillante e capricciosa, era già sposata con un nobile napoletano. Anche per la seconda, Amalia, alta, formosa e molto pia, era in vista un buon partito, il figlio di un eminente banchiere fiorentino. E infine c'era lei, la terza figlia, destinata a prendere il velo.

    In quella Pasqua del 1795, Caterina era tornata a casa dal convento per trascorrere il suo obbligatorio mese nel mondo. Nel corso della prima settimana don Giosuè ricevette tre proposte di matrimonio per la figlia minore. Quella del marchese Terenzi fu la quarta, il giorno dopo il ricevimento pasquale.

    A Saverio era bastata un'ora in sua compagnia per perdersi completamente in un sogno che doveva essere realizzato a ogni costo. Senza alcun artificio, senza civetteria, lei l'aveva stregato. Silenzioso, l'aveva osservata muoversi, parlare, cosciente che ogni parola, ogni suo sorriso e gesto era un laccio che lo avvinceva a lei. Non aveva mai incontrato una creatura tanto incantevole.

    Terza figlia o no, una richiesta del marchese Terenzi non poteva essere ignorata. Interpellata dal padre, Caterina era arrossita, confessando che il marchese le piaceva abbastanza e che, per lei, sarebbe stata più che contenta di maritarsi.

    Saverio aveva cercato di non sentirsi troppo deluso da questa dichiarazione, pensando di non potersi aspettare altro da una creatura che usciva da una così lunga reclusione. Col tempo, era certo che le cose sarebbero cambiate. E infatti, nei mesi di fidanzamento seguiti alla proposta, il tiepido interesse della ragazza si era sviluppato in un attaccamento tenace che l'aveva portata felice e piena d'aspettativa al giorno delle nozze.

    Caterina era diventata sua moglie, la marchesa Terenzi. Aveva preso possesso del suo ruolo con perfetta tranquillità e s'era installata al palazzo travolgendone la consolidata routine. All'improvviso, tutto aveva preso a girare attorno a lei. La servitù, gli anziani parenti ospitati per carità, perfino il cinico Filippo, tutti erano infatuati di lei e le ruotavano attorno come satelliti, per viziarla e ottenere la sua attenzione, e per godere della sua spontanea attitudine alla felicità.

    Saverio non esitava ad ammettere che un raggio di sole era entrato al palazzo. Non s'era mai pentito d'averla sposata, benché ora, dopo quasi tre anni di matrimonio, dovesse riconoscere con tristezza che erano pessimamente appaiati. Le voleva bene, nel suo modo cauto. Ma la vivacità, l'entusiasmo, il candore, tutte quelle doti che l'avevano attratto, in principio, ora le trovava un po’ stancanti, se non addirittura stucchevoli.

    Sentimentalmente, era un uomo tranquillo. Nel corso di una relazione quasi ventennale, la sua personalità s'era adattata a quella di un'altra donna e si rendeva conto che non era più possibile modificarla.

    Brigida aveva compreso, o almeno aveva finto bene. I loro rapporti non erano mutati granché, salvo che ora Saverio metteva molta più discrezione nel recarsi alla casa che aveva comprato per la sua famiglia segreta. Solo nel periodo della gravidanza di Caterina, preso da uno strano senso di superstizione, aveva evitato del tutto di frequentarla.

    Un leggero bussare alla porta lo distolse dai suoi pensieri. Filippo entrò prima che potesse rispondere. Gli mandò un muto interrogativo, cui l'altro replicò scuotendo il capo.

    «Ancora niente. Com'è la situazione, là fuori?»

    Fuori? Batté le palpebre, senza comprendere cosa intendesse il cugino. Poi ricordò. I francesi, l'occupazione della città, l'arresto del Papa… Mio Dio, doveva essere proprio sconvolto! Preso dall'ansia, aveva dimenticato ogni cosa.

    «C'è una terribile confusione» disse, riluttante a staccarsi dalle sue preoccupazioni domestiche.

    Filippo sedette davanti a lui, in posizione scomoda sulla sedia troppo bassa, e stese le lunghe gambe di fronte a sé. «Hai visto l'Albero della Libertà, nella piazza?»

    «Già. Ce ne sono dappertutto. A cosa serviranno, solo il cielo lo sa.»

    «Ti hanno detto che Sua Santità è stata fatta partire stamattina, sotto scorta armata?»

    «Sì, lo so. I francesi hanno liberato gli ostaggi non appena sono stati certi che il Papa fosse partito senza incidenti.»

    «Hai idea di dove lo porteranno?»

    «No. In Francia, forse. Come spoglia di guerra. Che empietà!» Saverio si passò una mano sulla faccia, quasi potesse allontanare stanchezza e ansia con un gesto.

    «Com'è stata la prigionia al Quirinale?» ghignò Filippo, tentando di alleggerire l'atmosfera. «L'hai trovata di tuo gradimento?»

    «Passabilmente. Esistono carceri peggiori, immagino.» Saverio rise. Poi, facendosi di nuovo serio, continuò: «Il duca Braschi ha fatto distruggere le insegne pontificie sul suo palazzo».

    I due cugini si fissarono, lo stesso disprezzo riflesso sui volti molto simili. Il duca Braschi era nipote del Papa deposto, gli doveva ogni cosa, dalla moglie al titolo. Quelli erano gli uomini dei tempi nuovi.

    «A proposito, i francesi stanno sistemando i loro ufficiali nei vari palazzi cittadini. Vorrei che raccomandassi a tutti di mantenere la calma e mostrarsi ospitali. Niente incidenti in casa mia.»

    «Non preoccuparti, sarà fatto.»

    Saverio tacque, di colpo distratto, guardando cupo di fronte a sé.

    «Caterina è più forte di quel che credi» disse Filippo, quasi gli avesse letto nella mente. «Andrà tutto bene, vedrai.»

    «Dici? Ho paura che perderà questo bambino. Non è stata bene un solo giorno, in tutta la gestazione.»

    «Avete tempo per farne degli altri. L'importante è che a lei non succeda nulla.»

    Il marchese corrugò la fronte, pensieroso. «Hai ragione. Ma era così felice… Temo che quest'esperienza la segnerà.»

    «Saverio, Caterina è una donna ormai. Saprà riprendersi.»

    «Una donna!» ribatté l'altro, con una risata senza gioia. «Devo dire che finora non me ne sono accorto.»

    Il cugino gli lanciò un'occhiata strana, ma dei colpi battuti alla porta gli impedirono di replicare.

    «Eccellenza…» Con gli occhi gonfi di pianto, Giacinta, la cameriera della marchesa, entrò nella stanza.

    I due uomini balzarono in piedi, terrorizzati.

    «È nata, è una femmina» balbettò l'anziana donna. «La signora però sta bene.»

    E scoppiò in lacrime.

    Saverio guardò il bambino addormentato in posizione rannicchiata sullo scomodo divanetto. Da quanto era lì, ad ascoltare le grida e i pianti di Caterina? Possibile che nessuno badasse a lui?

    Spinse la porta ed entrò nella stanza. Il dottore gli andò incontro. «Come sta?»

    «Bene, bene grazie a Dio!» rispose l'altro, con un'espressione di autentico sollievo.

    «E la bambina?»

    Lo sguardo dell'uomo si fece sfuggente. «La bambina, ecco… Temo che per lei non ci siano molte speranze, signor marchese. È troppo piccola, ha difficoltà a respirare. Probabilmente i suoi polmoni non sono ben formati.»

    Saverio annuì.

    «Vuole vederla?» Il medico accennò alla culla sulla sinistra del letto.

    «No» rifiutò, seccamente. «A che scopo?»

    Si avvicinò alla cognata, che stava rimboccando le coperte attorno al corpo della sorella. Come sembrava piccola, distesa in quel grande letto, così pallida, abbandonata… Per un momento, nonostante le parole rassicuranti del medico, ebbe paura.

    «Come sta?» ripeté, rivolto alla donna.

    Teresa sollevò su di lui un volto stravolto dalla fatica e dalla tensione, con grandi cerchi scuri attorno agli occhi. «Sta dormendo. Per ora sta bene. È felice. Crede che…» Un singhiozzo interruppe le sue parole.

    Il marchese le prese una mano tra le sue, colmo di gratitudine. Teresa non era il genere di donna che solitamente rispettasse, ma doveva ammettere che era capace d'autentica dedizione.

    «Ludovico sta dormendo nel salotto» la informò. «Non so da quanto tempo sia lì.»

    «Oh, povero piccolo. Lui… Saverio, per favore, vorresti portarlo nella sua camera? Preferirei non svegliarlo.»

    «Naturalmente.» Le sorrise, poi volse lo sguardo a sua moglie, ma scoprì che non sopportava di guardarla.

    Ludovico dormiva così profondamente che non si destò neppure quando lo sollevò tra le braccia. Era pesante per non avere nemmeno quattro anni, pensò Saverio. In effetti, era un bel bambino sano e vivace. D'improvviso, fu colto da un desiderio spasmodico di abbracciare i suoi ragazzi e assicurarsi che stessero bene.

    Nella nursery non c'era nessuno. Il fuoco era spento e faceva un freddo terribile. Mise il piccino a letto e lo coprì per bene con le coperte. Ludovico mormorò qualcosa nel sonno. Povera creatura, pensò. Avrebbe meritato dei genitori migliori di quei due sciagurati di Teresa e Consalvo! Uscì dalla stanza e attraversò velocemente le grandi sale deserte. Aveva una terribile voglia di urlare la sua rabbia, ma non poteva. Incrociò il cugino, che gli rivolse uno sguardo interrogativo.

    «Filippo, voglio un favore da te.»

    «Dimmi» replicò l'altro, stupito.

    «Voglio che cerchi la bambinaia di Ludovico e la cacci via. E che cacci via lo stalliere o il facchino o chiunque sia con lei in questo momento, senza referenze o buonuscita. Immediatamente.»

    «Va bene.» Interdetto, l'uomo lo guardò allontanarsi rapidamente.

    Da qualche anno Filippo era diventato l'amministratore di Palazzo Terenzi e dei beni della famiglia. L'aveva fatto per sua scelta, perché l'idea di trascinare le giornate accanto al camino con le vecchie zie e gli abati che il cugino manteneva per carità gli era insopportabile. Saverio aveva accettato senza commenti questo ruolo e senza mai sottolinearlo. Si fidava di lui, gli lasciava fare quel che voleva, sicuro che fosse per il meglio. Quella, però, era la prima volta che gli chiedeva in maniera esplicita di svolgere un incarico per lui.

    Solo quando le ante del portone si aprirono di nuovo per far passare la carrozza, il marchese si accorse della paglia sparsa sul selciato. Stizzosamente, si chiese chi avesse ordinato quella balordaggine. Oltretutto, gli appartamenti di sua moglie affacciavano sul giardino, all'interno del palazzo.

    Benché fossero appena le cinque del pomeriggio, le strade erano deserte. Dei piccoli drappelli di soldati francesi incrociarono il corso della vettura, ma, nonostante i timori del cocchiere che potessero requisire i cavalli, nessuno sembrò badare a loro. Saverio sapeva che uscire in una sera simile era una follia, ma non riusciva più a tollerare l'atmosfera del palazzo.

    Per questo si era sposato? Per questo aveva fatto soffrire Brigida?

    Avrebbe dovuto sposare Amalia, pensò amaramente. Donna noiosa, ma chi ha bisogno di parlare con una donna? Perfino quella pazza di Teresa era stata capace di dare a suo marito un figlio maschio e in buona salute. Lui invece aveva voluto sposare un folletto ed ecco il risultato. Sua figlia, una creatura incompleta… C'era solo da sperare che finisse presto.

    La carrozza si fermò. Saverio scese lentamente, gli occhi fissi all'edificio quadrato, a tre piani, in cui viveva la sua vera famiglia. Le persiane erano chiuse e dagli spiragli non filtrava alcuna luce. Possibile che dormissero già tutti?

    Prima che avesse il tempo di bussare, la porta s'aprì e Brigida fu di fronte a lui, una lanterna nella mano sinistra. Per qualche interminabile secondo rimasero a guardarsi. Erano mesi che non si vedevano e la bellezza opulenta della donna colpì il marchese come la prima volta che s'erano incontrati.

    I suoi capelli, crespi e biondissimi, erano appuntati dietro la testa in una voluminosa crocchia. I grandi occhi castani dalle palpebre un po’ pesanti, ingannevolmente pigri, sensuali, lo guardavano con un'espressione che gli fece rimescolare il sangue.

    «Buonasera, Brigida. Posso entrare?»

    Filippo lo affrontò mentre risaliva la scalinata. «Ti abbiamo cercato dappertutto! Ma santo cielo… dove sei andato?»

    «Dovevo uscire» confessò, distogliendo lo sguardo. «Mi sembrava di impazzire.»

    «La piccola Virginia ci ha lasciati» annunciò il cugino bruscamente.

    «Chi?»

    «Tua figlia.» La voce colpiva come una sferzata. «Caterina aveva deciso di chiamarla Virginia e visto che era agli estremi l'ho fatta battezzare con questo nome. Non ho creduto che fosse necessaria la tua autorizzazione.»

    «No, non fa niente. Io… non lo sapevo.» D'improvviso si sentì mortalmente stanco. Si passò la mano tra i capelli. «Non so cosa fare.»

    «Non c'è niente da fare» affermò l'altro, affiancandolo mentre saliva le scale. «Caterina dorme ancora. Abbiamo portato la piccola nella cappella.»

    Il tono del cugino era meno noncurante del solito. Saverio gli lanciò un'occhiata incuriosita, notando per la prima volta l'espressione tirata del suo volto.

    Era ancora un uomo affascinante. Aveva pressappoco la sua età e si somigliavano abbastanza. Anche se le sue attrattive apparivano un po’ appannate dagli anni e dai

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