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La missione di Viola
La missione di Viola
La missione di Viola
E-book467 pagine6 ore

La missione di Viola

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Info su questo ebook

Un appassionante romance a sfondo storico, ambientato nella Roma di inizio Ottocento, nel quale la protagonista si mette sulle tracce del marito scomparso, con cui sette anni prima ha consumato unicamente la prima notte di nozze, rimanendo però incinta di una bambina che non ha mai conosciuto suo padre...
"Ombre Rosa" è una collana e insieme un viaggio alla riscoperta di un'intera generazione di scrittrici italiane che, tra gli anni Settanta e gli anni Duemila, hanno posto le basi del romanzo rosa italiano contemporaneo. In un'era in cui finalmente si colgono i primi segnali di un processo di legittimazione di un genere letterario svalutato in passato da forti pregiudizi di genere, lo scopo della collana è quello di volgere indietro lo sguardo all'opera di quelle protagoniste nell'ombra che, sole, hanno reso possibile arrivare fino a questo punto, ridando vita alle loro più belle storie d'amore.
LinguaItaliano
Data di uscita27 mag 2024
ISBN9788727061177
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    Anteprima del libro

    La missione di Viola - Roberta Ciuffi

    Roberta Ciuffi

    La missione di Viola

    SAGA Egmont

    La missione di Viola

    Cover image: MidJourney

    Copyright ©1998, 2024 Roberta Ciuffi and SAGA Egmont

    All rights reserved

    ISBN: 9788727061177 

    1st ebook edition

    Format: EPUB 3.0

    No part of this publication may be reproduced, stored in a retrieval system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.

    www.sagaegmont.com

    Saga is a subsidiary of Egmont. Egmont is Denmark’s largest media company and fully owned by the Egmont Foundation, which donates almost 13,4 million euros annually to children in difficult circumstances.

    Roma, Stato Pontificio - 1806 

    Da quando poteva ricordare, Viola Della Croce aveva sempre tentato di allontanare le cose sgradevoli fingendo che non esistessero. Era convinta che chiudendo gli occhi, serrando forte le palpebre e ripetendo all'infinito che tutto sarebbe andato bene, quella brutta cosa –la punizione dell'istitutrice, il divieto di andare a cavalcare o la morte della mamma- sarebbe scomparsa e alla fine tutto sarebbe tornato alla normalità. Quel giorno però nulla al mondo avrebbe potuto convincerla a chiudere gli occhi.

    Seduta nell'antiquata carrozza cerimoniale che da due secoli accompagnava le donne della famiglia Della Croce alla dimora del loro sposo, terreno o celeste, Viola non riusciva a distogliere lo sguardo da suo marito, nel timore superstizioso che se si fosse distratta un solo istante lui sarebbe scomparso e lei sarebbe precipitata in una realtà distorta in cui tutto questo non era mai accaduto.

    Viola, per carità, batti quelle palpebre o ti cadranno gli occhi per terra! esclamò il duca Della Croce, seduto di fronte a lei in compagnia della signora D'Aquino, madre dello sposo.

    Vito D'Aquino scoppiò a ridere. Tuo padre ha ragione, tesoro. Puoi anche guardare altrove, adesso: io non andrò da nessuna parte.

    Nel sentir rivelare le sue sciocche paure, la ragazza dapprima arrossì, e poi, come era più nel suo stile, inalberò il mento con aria di sfida.

    Certo che no, disse, ostentando una sicurezza che non provava. Ormai siamo sposati. Siamo marito e moglie.

    L'uomo le rivolse una maliziosa strizzata d'occhi. No, amore, non proprio. Non completamente.

    Viola trattenne il respiro, sconcertata che lui potesse fare un commento tanto personale in pubblico; ma prima che riuscisse a ribattere, la voce aspra di sua suocera la prevenne.

    Vito! Mio Dio, come puoi parlare in questo modo? Non hai nessuna decenza? La signora si portò la mano guantata al petto ed inspirò profondamente, come se stesse per avere un mancamento. Suo figlio si limitò ad alzare gli occhi al cielo, mentre Viola si sforzava di non ridere. Sua suocera non le piaceva affatto, ma era abbastanza saggia da non provocarla inutilmente.

    Su, donna Adelaide, non siate troppo severa, intervenne il duca, facendo gli occhiacci a sua figlia. Sapete come sono i giovani.

    Anziché addolcire la donna, la sua gentile intercessione ottenne il risultato opposto. Se ci avesse pensato, Viola avrebbe avvertito suo padre che la signora D'Aquino detestava sentir accennare alla propria età, anche nella maniera più velata; purtroppo, lei era troppo giovane per preoccuparsi di tali sciocchezze, e suo padre troppo vecchio.

    Gli occhi della signora D'Aquino lampeggiarono di sdegno, ma non osò dire nulla. Per quanto ne avesse una pessima opinione, nutriva gran soggezione del duca e bastava un suo aggrottar di sopracciglia per farla tremare. Così tacque, limitandosi ad abbassare il mento sul petto con aria di riprovazione. Sapeva che non c'era verso di spuntarla con quei maledetti Della Croce.

    Se in quel momento qualcuno avesse potuto leggere nella mente di donna Adelaide, l'avrebbe di certo presa per pazza. Non era raro che il rampollo di una famiglia patrizia impoverita sposasse un'ereditiera di origine borghese allo scopo di rimpinguare le casse di famiglia. Si storceva la bocca, si pettegolava, ma si faceva. Il contrario, invece, non si faceva. Mai. I nobili non cedevano mai le loro figlie ai borghesi, per ricchi che questi potessero essere. Quel che stava accadendo a Vito D'Aquino era un evento di portata così straordinaria da rasentare lo scandalo. Eppure, sua madre non ne era affatto contenta.

    Da circa vent'anni, da quando la precedente signora D'Aquino era morta, donna Adelaide godeva di un'autorità indiscussa tra le dame del suo ceto, costituito da ricchezze non troppo recenti, mai toccate dagli scandali e consolidate da buoni matrimoni. Quando si doveva considerare l'opportunità di un'unione, la frequentabilità di un gentiluomo o la decenza di una nuova moda, la parola di donna Adelaide faceva legge.

    Catapultata da due anni in una famiglia di aristocratici arroganti, eccentrici e presuntuosi, che la trattavano con sufficienza venata di disprezzo, tutta la sua superiorità era d'improvviso naufragata nell'insicurezza e nella frustrazione. In quel rapporto lei sarebbe sempre stata l'elemento di rango sociale inferiore, e questo le era insopportabile. Con cautela, aveva tentato di mettere in guardia suo figlio, di instillargli un dubbio sulla convenienza di un matrimonio nel quale, benché uomo, avrebbe avuto un ruolo subordinato, ma invano.

    Se fosse stata sincera, la signora D'Aquino avrebbe ammesso che sopra ogni cosa detestava Viola. Non le interessava se lei fosse o meno la moglie giusta per Vito: quel che contava era non fosse la nuora giusta per lei. Quella ragazza viziata, cresciuta come una selvaggia, abituata a fare di testa sua si sarebbe insediata a Palazzo D'Aquino per farla da padrona, e gliene avrebbe conteso il dominio fino a strapparglielo di mano. Avrebbe frequentato ambienti che a lei erano inaccessibili, criticato il valore ed il merito delle sue norme di comportamento, e sarebbe in breve divenuta la nuova stella polare della casa e della società che le appartenevano.

    Inoltre la trovava brutta e la sua dote, benché cospicua, non poteva certo paragonarsi al capitale dell'ereditiera su cui la signora D'Aquino aveva messo gli occhi.

    Faceva molto caldo, ed i quattro passeggeri cominciavano a sudare, pigiati l'uno contro l'altro nell'abitacolo della piccola, scomoda carrozza. Un'altra delle tradizioni dei Della Croce, come quell'orrendo vestito fuori moda che sua nuora aveva insistito per indossare: figurarsi, un guardinfante del secolo passato, ripescato in qualche vecchio armadio! Se almeno fosse stata una Della Croce di quelli buoni, pensò stringendo le labbra con riprovazione, e non uno dei frutti di quell'unione riprovevole… Il resto del mondo poteva aver perdonato quel disgraziato matrimonio –il duca era troppo ricco e quella donna troppo bella per subire a lungo il bando della buona società- ma le signore del suo ambiente non avrebbero mai dimenticato, e mai perdonato.

    Senza curarsi del malumore della suocera, Viola si sporse a salutare i passanti che le lanciavano baci e frasi beneauguranti. Quello era il giorno più bello della sua vita e nessuna vecchia megera invidiosa glielo avrebbe guastato. Don Marzio osservò con mestizia quel volto radioso, proteso in avanti come per un'anticipazione del futuro meraviglioso che l'attendeva. Sentiva la felicità della figlia pesargli sul cuore come un macigno. La sua piccola, la sua ultima bambina se ne andava. Non aveva più bisogno di lui. Con un moto di ribellione, si disse che non era giusto: diciotto anni erano talmente pochi… Ma quando le aveva suggerito di attendere ancora, Viola si era limitata a ridere e l'aveva accusato di essere geloso.

    La carrozza entrò nella piccola piazza dove sorgeva il Palazzo D'Aquino e si fermò, il leggero cigolio delle ruote accompagnato dall'esclamazione di rito del cocchiere: Noi siamo i Della Croce! Qui i passeggeri dovettero scendere perché palazzo D'Aquino, forse unico tra i palazzi romani, non possedeva cortile d'accesso per le carrozze. Una doppia scala ricurva, graziosa ma per niente imponente, portava ad un loggiato da cui si accedeva direttamente al piano di rappresentanza mentre al livello inferiore si trovavano le zone di servizio. Era stato il bisnonno di Vito a far costruire il palazzo, su suo progetto, dopo un viaggio nelle città del nord dell'Europa che doveva avergli confuso un po’ le idee. L'intervento dell'ideatore era evidente in vari particolari, come nelle anacronistiche finestre a bifora sulla facciata, la strana loggia, e la disposizione interna delle stanze. Era un edificio di dimensioni ridotte rispetto ai grandi palazzi nobiliari, ma a Viola piaceva, forse proprio per le sue eccentricità e, non in ultimo, perché sapeva che sua suocera lo detestava. La signora giudicava che quella residenza non si confacesse alla sua importanza, e di certo non aveva nulla di grandioso, ma suo marito si era sempre rifiutato di trasferirsi e suo figlio sembrava intenzionato a fare altrettanto.

    La portiera s'aprì con la velocità d'un lampo e già un valletto si protendeva per aiutare Viola, quando il duca lo fermò con un cenno della mano. Aspetta, disse. Voglio farlo io.

    Con cautela districò il lungo corpo magro dalle gambe degli altri passeggeri e, con il discreto aiuto del valletto, scese i due gradini malridotti. Poi, con un sorriso, offrì il braccio a sua figlia. Sorreggendo con una mano il pesantissimo abito di broccato, Viola poggiò l'altra delicatamente sul braccio di suo padre e si fece aiutare a scendere.

    A te non dispiace, vero? chiese il duca a suo genero. Vorrei essere io ad accompagnarla alla sua nuova casa. Vito non poté negare al vecchio signore un ultimo privilegio. Si consolò pensando che da quella sera Viola sarebbe stata interamente sua, senza più l'ombra di un'ingombrante famiglia fra di loro. Si accontentò quindi di accompagnare sua madre giù dalla vettura ed assieme si misero sulla scia di sua moglie e suo suocero. La signora D'Aquino pensò con rancore che in qualche modo erano riusciti a rubarle la precedenza e a confinarla in un ruolo subalterno perfino in casa sua.

    Mentre saliva per la piccola scalinata, in Viola si agitava un confuso ammasso di esaltazione e rimpianto. Sapeva perfettamente quel che stava provando suo padre, e per questo motivo aveva acconsentito a quasi tutte le sue proposte: dall'entrare a Palazzo D'Aquino al suo braccio, piuttosto che a quello del marito, come stava sognando da due anni, all'indossare quel terribile abito di broccato color bronzo, pesante, scomodo e fuori moda, ma che era stato l'abito da sposa di sua madre. Che importava un vestito, se poteva farlo felice?

    Attraversarono un ampio atrio circolare dominato dalla grande scalinata –questa sì, maestosa- che portava al piano superiore e raggiunsero il salotto principale della casa, che donna Adelaide chiamava la Sala Grande, dove tra brusii e risate i parenti li stavano attendendo per la rituale preparazione degli sposi. La giornata era stata lunga, i festeggiamenti stancanti, ma nessuno avrebbe rinunciato a quella parte della cerimonia, anche se il duca la giudicava un residuo di barbarie medievale. Entrando nel salotto furono accolti da un applauso, come a teatro. Il duca sollevò la mano di sua figlia e la baciò. Cercava di farsi forza ma era turbato.

    Coraggio, papà, gli sussurrò Viola. Vedrete che non ne morirò. L'uomo soffocò una risata. Ho paura di averti educata molto male, figlia mia. Non dovresti parlare così a tuo padre.

    La ragazza lo fissò per un istante, ed entrambi ebbero lo stesso pensiero: se la mamma fosse stata ancora viva…

    Non verrò su in camera, tesoro. Sai come la penso.

    Lo so. Si sollevò in punta di piedi per deporre un bacio sulla guancia scarna e si congedò da lui. Per qualche giorno non si sarebbero visti, e dopo tutto sarebbe stato diverso, ma era giusto così, era la vita. Poi Viola andò a baciare la sua giovane cognata, Elisa, che era troppo piccola per assisterla e si sarebbe presto ritirata nella nursery.

    Perché non posso venire anch'io con voi? protestò la ragazzina, imbronciata. Ormai sono grande.

    Marcello rise, dandole un buffetto sulla guancia. Non siate impaziente, signorina D'Aquino. Verrà anche il vostro momento. Con le tonde guance arrossate, Elisa sollevò gli occhi adoranti sul giovanotto. Viola assestò un'amichevole pacca sul braccio del fratello e allungandosi in punta di piedi gli bisbigliò all'orecchio: Rubacuori! Non ne risparmi proprio nessuna?

    Quindi fu presa in consegna dalle donne e trascinata, tra risa e battute, su per le scale, e poi per una fuga di stanze che le parve infinita, benché palazzo Della Croce fosse una decina di volte più grande della casa dei D'Aquino. La porta della sua stanza di donna sposata era aperta per riceverla. In un'allegra confusione, le sue assistenti -le sorelle sposate, la sorella monaca, sua cognata Luciana, le cugine, e, sfortunatamente, sua suocera- la spogliarono senza tanti complimenti, la rivestirono con una ridicola camicia da notte piena di veli e merletti -ma tanto trasparente che la ragazza, guardandosi allo specchio, lanciò un gridolino- e poi la costrinsero alla toletta.

    Francesca e Clarissa, le sue sorelle gemelle, disfecero la pettinatura che quella mattina aveva impegnato due pettinatrici per tre ore e si misero al lavoro per ravviare la chioma, nera come la notte, che le arrivava oltre la vita. Marzia, la sorellastra più anziana, sovrintendeva all'operazione mentre Luciana, dal divanetto dove si era accomodata, declamava buffi consigli di vita matrimoniale. Quando i suoi capelli furono infine una nuvola liscia e crepitante, li legarono dietro la nuca con un nastro celeste. Quindi le ripulirono il volto dalla cipria, le misero un paio di gocce di profumo dietro le orecchie e la fecero girare per ammirarla. Oh Violetta, sei uno splendore! esclamò Clarissa, battendo le mani. Non è bellissima, suor Passione? Suor Passione di Cristo dondolò col capo, per farsi desiderare, e poi ammise che sì, la sua piccola sorellastra era bellissima.

    Peccato sia tanto scura! In un silenzio costernato una decina di paia d'occhi si puntarono su colei che aveva osato pronunciare quella frase sconveniente. La signora D'Aquino sorrise a Viola con falsa dolcezza. Se solo tu fossi di colori più chiari… Ma che farci? Bisogna ammettere che sei veramente troppo scura, ripeté, accompagnando le parole con desolati scuotimenti del capo.

    Non c'è niente che non vada nei colori di Viola, ribatté seccamente Clarissa, che, al pari della gemella, era uno splendore d'oro e panna. È l'eredità della Mora.

    Bene, non mi sembra ci sia da vantarsene, disse la donna, abbandonando la sua finta affabilità. Stavolta la sua uscita venne accolta da un coro oltraggiato.

    Luciana si alzò gravemente dal divanetto e andò a porsi di fronte alla padrona di casa. Noi siamo i Della Croce, disse, fissandola con aria di sfida.

    Era il motto che compariva nel loro stemma e lo usavano per acquietare ogni contestazione. Loro erano i Della Croce, ogni cosa appartenesse loro era buona e giusta. Non avevano bisogno di badare alle convenienze sociali, loro. Non dovevano seguire regole, né estetiche né di buona creanza. Erano i Della Croce delle crociate, che travolgevano il nemico con la ferocia delle loro spade… o del loro sarcasmo. Le regole erano per la gente dappoco, come lei. Furiosa, la signora D'Aquino si morse il labbro inferiore. Bene, disse poi, se a voi sembra che basti!

    Senza tante cerimonie Suor Passione di Cristo la afferrò per un braccio e la respinse in un angolo della vasta stanza da letto. Si era accorta che gli occhi della giovane sorellastra stavano diventando sospettosamente brillanti. Dovreste vergognarvi a comportarvi così il giorno del matrimonio di vostro figlio! sibilò. Se non volete che vi cacci da questa stanza, state zitta e non cercate di rovinare la festa a Viola.

    Oh! Voi.. voi! Come osate parlarmi così in casa mia? Voi non dovreste essere qui! Voi che siete una religiosa!

    Faccio parte di un ordine questuante, l'informò la suora. Posso andare dove voglio, purché ne riceva un obolo.

    Molto comodo!

    Sì, non è vero? ribatté suor Passione, serafica. Ora, smettetela di comportarvi da sciocca. E mettete uno scialle su quelle nudità avvizzite che tenete in esposizione: siete ridicola. Con un grido oltraggiato la donna si portò una mano al seno e crollò a sedere su un divanetto.

    La suora l'abbandonò al suo sdegno e tornò dalle parenti, tutte impegnate a consolare Viola. Quando le donne ebbero esaurito gli argomenti a favore della superiorità dell'incarnato della sposina su qualunque altro esistente al mondo, la misero a letto. Seduta, appoggiata a due voluminosi cuscini, con una pesante coperta fuori stagione sulle gambe, Viola ridacchiò divertita. Allora fecero entrare gli uomini. Il cardinale Vittorio, come fratellastro maggiore, le rivolse delle esortazioni alla pazienza e alla comprensione; poi Giuseppe, Marcello ed i cugini la baciarono e le rivolsero i loro auguri di una lunga vita felice. Erano commossi ed imbarazzati, e nessuno di loro aveva voglia di scherzare. Da parte sua Viola era terribilmente imbarazzata, e tentava di scivolare sotto le coperte per nascondere le sue quasi nudità. Infine introdussero Vito, anche lui pronto per la notte.

    La ragazza rise, meritandosi un'occhiataccia dalla suocera. Chissà perché non s'era mai immaginata che suo marito avrebbe indossato la camicia da notte. Quando furono entrambi compostamente seduti sotto le coperte, Vittorio rinnovò loro la benedizione già impartitagli alla mattina dal Santo Padre. Quindi gli assistenti dello sposo e della sposa sfilarono fuori della stanza. Per ultima, con grande riluttanza, la signora D'Aquino, che s'attardò a spegnere le candele e poi, a malincuore, si chiuse la porta alle spalle.

    Se Dio vuole, esclamò Vito, per un paio di giorni non vedremo nessuna di quelle facce! Spazzò via la coperta con impazienza e si alzò dal letto. Ed ora, riaccendiamo le candele.

    Viola lo sentì armeggiare nel buio. La sua figura le riapparve al tenue chiarore di una fiammella, poi di un'altra, via via che accendeva i vari elementi di un candelabro. Di colpo scoprì di avere paura. Le sue sorelle e la cognata l'avevano preparata a questo momento con abbondanza di particolari, senza omettere nulla e senza ipocrisie, così credeva di sapere abbastanza bene cosa aspettarsi. Sapeva, ad esempio, che la prima notte di nozze gli uomini sono spesso nervosi ed agitati e questo può portarli a comportarsi in modo brusco, o impacciato. Per questo motivo doveva essere molto, molto paziente con Vito, per non mortificarlo. L'orgoglio degli uomini è una cosa delicata, le aveva rammentato Marzia. Stai attenta a non ferirlo. Le gemelle avevano riso di queste ammonizioni, ma non le avevano contraddette.

    Non potendo fare paragoni, Viola non aveva idea di quanto queste avvertenze fossero stravaganti e contrarie a quelle che normalmente una madre impartisce ad una figlia in procinto di sposarsi, tuttavia le aveva trovate molto sensate. Ora, però, mentre attendeva che suo marito tornasse al letto che avrebbero condiviso quella notte e tutte le future che Dio avrebbe dato loro, scopriva di non essere tranquilla come avrebbe voluto.

    Una sensazione di allarme si stava impadronendo di lei, come la punta fredda ed aguzza di uno spillone che man mano stesse affondando nel suo cuore. Sentiva, nonostante le rassicuranti descrizioni delle parenti, che le sarebbe successo qualcosa di brutto e spaventoso. S'afferrò con le mani al copriletto, trattenendo il respiro. Vito stava tornando da lei. Sbarrò gli occhi, in preda ad un terrore incomprensibile. Mentre si avvicinava, le parve che lui non fosse più il ragazzo divertente, l'amico di suo fratello che due anni prima era venuto a Villa Ventosa e le aveva rubato il cuore. Era un uomo, era suo marito, era un maschio grosso e pesante che le sarebbe salito sopra e le avrebbe fatto male…

    Viola. Sobbalzò spaventata al suono della sua voce. Non si era accorta che fosse così vicino. L'uomo sedette sul letto e le sorrise. Viola, guardami, tesoro.

    Sollevò il viso verso di lui. Il suo sorriso era così bello, le era sempre piaciuto il modo in cui il volto si riempiva di pieghe e si scoprivano i denti bianchi, e gli occhi allegri… Non fare quella faccia terrorizzata, amore mio. Va tutto bene. Annuì, ma non ne era convinta. Guardami negli occhi.

    Alzò su di lui i grandi occhi neri, battendo le ciglia, turbata. A Vito non serviva di più per sentire rimescolare il sangue nelle vene. Quella ragazza era stata la sua ossessione per due anni e benché per tutto quel tempo fossero stati regolarmente fidanzati, aveva sempre temuto che qualcosa o qualcuno arrivasse a portargliela via. Sapeva che la sua famiglia non approvava il matrimonio, chissà perché, viste le abitudini promiscue dei Della Croce. Sapeva che più di uno aveva tentato di dissuaderla, e che il padre stesso non era completamente convinto. Nessuno si sarebbe sdegnato se lei avesse cambiato idea e rotto il fidanzamento, ma Viola sembrava ossessionata quanto lui ed aveva saputo imporre la sua decisione su tutti. Ed ora era sua.

    L'emozione che stava provando doveva trasparirgli dal viso, perché la ragazza, con un subitaneo sorriso, sollevò una mano e lo carezzò sulla guancia. Viola… Non riusciva a smettere di pronunciare il suo nome.

    Va tutto bene, caro. Non preoccuparti. Che sciocca era ad aver paura, pensò la ragazza, sollevata. Era il suo Vito, quello. Cosa c'era da temere? L'uomo si allungò su di lei e poggiò le labbra sulle sue. Con un gemito Viola le dischiuse, così come le aveva insegnato nei rari momenti in cui riuscivano a sgattaiolare, soli, in qualche angolino nascosto della Villa. Sentì la lingua calda penetrarle nella bocca ed esplorarla, ed una corrente di brividi le percorse tutto il corpo. La sua mente ruotava, incapace di afferrare la realtà. Si accorse a malapena che una mano le stava risalendo su per le gambe, sotto la camicia da notte. Dove erano finite le coperte? La bocca si staccò dalla sua e le percorse il collo, mordicchiando delicatamente il lobo dell'orecchio, e poi scendendo giù, giù… Anche attraverso la stoffa avvertì il calore e l'umido delle labbra sul suo seno e sussultò dal piacere. Oh Vito…

    La mano dell'uomo era giunta alla fine del percorso. Le dita si insinuarono nella sua intimità, ed il corpo della ragazza si inarcò, pieno di desiderio ed aspettativa.

    Tesoro mio… mormorò l'uomo, sentendosi tremare come se fosse la prima volta che sperimentava la passione. Voleva possederla subito, ma aveva paura di spaventarla. Sapeva già che quella non era la sera in cui avrebbe manifestato le sue migliori doti di amante. Non ce la faccio ad aspettare…

    Viola scoppiò in una risata inattesa. Neanche io. Oh Vito, ti amo così tanto! Mettendo da parte le sue remore, le aprì le gambe e le montò sopra. La ragazza gli circondò il corpo con le braccia e lo strinse a sé e, con un'esclamazione di trionfo, Vito affondò in lei bruscamente. Sentì il suo grido, ma non si trattenne e spinse con forza, accecato dall'eccitazione, incapace di connettere, e ancora, e ancora… ecco! Si fermò di colpo, sbarrò gli occhi, conscio d'improvviso che qualcosa non era stato come doveva essere… Ma a quel punto il piacere l'aveva già travolto, quasi a tradimento, e per un istante si abbandonò sul corpo della ragazza… di sua moglie.

    Lei non emetteva un fiato, immobile sotto di lui, spaventata da quella passione che somigliava ad un attacco di follia. Quando lui si sollevò, liberandola, tentò di catturare i suoi occhi e di sorridere per rassicurarlo, ma Vito le girò le spalle, mettendosi a sedere sul letto. Ecco che diventava confuso, come le aveva detto Marzia, pensò con indulgenza. Si era comportato male ed ora si vergognava. Oh, il delicato orgoglio degli uomini! Allungò una mano sul suo braccio in una carezza, ma lui si ritirò bruscamente, alzandosi in piedi. Ma che sciocco!

    Vito… lo chiamò dolcemente. Vito si girò; nei suoi occhi non c'era vergogna né mortificazione, ma una furia mai vista. Vito! ripeté, spaventata.

    Chi c'è stato prima di me?

    Prima quando? chiese, sbalordita. L'uomo si curvò su di lei minacciosamente, e la ragazza si appiattì contro la testata del letto.

    Non prendermi in giro! esclamò Vito con un tono che non aveva mai usato con lei. Tu sei stata con un altro uomo!

    Con un senso di vertigine Viola comprese cosa intendesse dire. No! No, non è vero!

    Credi che sia pazzo? Credi che me lo inventi?

    Scrollò il capo, non sapendo per la verità cosa credesse. Ti sbagli, disse. Io non ho mai… Lui le afferrò la gola con una mano e le spinse la testa contro la testiera di legno intagliato. Terrorizzata aprì la bocca per gridare ma non ci riuscì.

    Io non mi sbaglio, sibilò l'uomo, gli occhi ristretti a due fessure piene di rabbia omicida. Mi hai preso in giro. Mi avete preso in giro tutti, tu e la tua maledetta famiglia!

    Vito… boccheggiò, aggrappandosi con le mani a quella morsa d'acciaio che le serrava la gola. Lascia… lasciami…

    Con un ultimo barlume di ragione, Vito D'Aquino si rese conto di cosa stesse facendo. Inorridito, arretrò, liberandola. La ragazza tossì, si sfregò la pelle arrossata, emise un singhiozzo, ed intanto lo fissava con gli occhi sbarrati, come se lui fosse un pazzo.

    Gli sembrava che la stanza gli stesse girando attorno vorticosamente. Il mondo, quel fidato solido mondo su cui aveva sempre fatto affidamento, s'era ribaltato, il paradiso s'era trasformato in un inferno, e Viola… Viola era precipitata tra le fiamme di quell'inferno. Aveva la nausea. Aveva voglia di piangere.

    Non ho fatto niente di male, Vito, te lo giuro. La sua voce un po’ arrochita lo distolse dalla paralisi che l'aveva colpito. La guardò con odio. Per due anni si era umiliato davanti a tutta la sua parentela, sentendosi troppo in basso per loro, cercando di entrare nelle loro grazie. Per due anni aveva dovuto subire un controllo costante, guardato a vista come una bestia pericolosa, come se potesse infettare quel candido fiore di virtù. Aveva stretto i denti ed accettato ogni pretesa, ogni condizione. E per tutto quel tempo si erano fatti gioco di lui, l'avevano ingannato, ridevano di lui…

    Alzati, disse bruscamente.

    Perché?

    Alzati, ho detto! L'afferrò per le braccia, tirandola in piedi.

    Vito, per favore, per favore… gemé sgomenta la ragazza.

    Vestiti.

    Ma perché?

    Ti riporto a casa. Le girò le spalle e s'allontanò a passi rapidi. Quando sentì la porta sbattere Viola crollò di nuovo a sedere sul letto. Non riusciva a credere a quel che stava succedendo. Doveva trattarsi di un incubo. Ora avrebbe chiuso strettamente gli occhi, e l'incubo sarebbe scomparso. Ecco, avrebbe fatto così…

    Allora? La voce dell'uomo la fece trasalire. Non si era accorta che fosse passato tanto tempo, ma lui era già completamente vestito e la guardava con uno sguardo spaventoso. Scattò in piedi e gli si avvicinò.

    Ascoltami, Vito, tutto questo non ha senso! Lui si scostò con una smorfia di ripugnanza. Vito! Non ho fatto niente di male, te lo giuro. Non avrei mai… mai… Io ti amo!

    Il volto dell'uomo si torse in un'espressione di disgusto. Almeno stai zitta, sibilò. E vestiti.

    No. Non voglio andare a casa. Non voglio.

    L'afferrò per le braccia e la scrollò bruscamente. E allora verrai così. La trascinò fuori dalla stanza ignorando le sue grida di protesta; attraversarono un'infinità di sale, il corridoio, e poi giù per le scale. Viola singhiozzava, stravolta dall'orrore di quel che le stava succedendo, lui la spingeva, la trascinava, i piedi nudi della ragazza incespicavano sul pavimento freddo, a volte quasi non toccavano il suolo, finché non giunsero alla scala esterna e nella piazzetta, dove una carrozza era già pronta. Vide la faccia sbigottita del cocchiere, e si girò supplichevole a suo marito.

    Ti prego… mormorò. Con un'imprecazione lui la sbatté letteralmente all'interno della carrozza. Viola volse la testa, disperata, e in alto, ad una finestra, vide il volto diafano di sua suocera incorniciato dai capelli sciolti, somigliante ad una testa spiccata di Medusa. 'Gesù mio, non è possibile,' pensò. 'Questo non può succedere a me.'

    Lo sportello fu richiuso e lei crollò sul sedile, accasciata. Suo marito aveva preso posto accanto al conducente. La carrozza partì spedita; al suo interno Viola, senza più forza, stremata, non piangeva né badava a reggersi, e veniva sballottata senza pietà.

    Quando la vettura si arrestò si afferrò al bordo del sedile, tremante. Lo sportello si riaprì e Vito si sporse all'interno per afferrarla. La sua resistenza, le sue suppliche furono inutili. La trascinò fuori davanti agli occhi oltraggiati degli svizzeri di suo padre, e di nuovo su per le scale. Volti di domestici cominciavano a sporgersi dai parapetti più in alto, meravigliati, dubbiosi, e poi, quando si rendevano conto della situazione, indignati. Tra tutti Viola ne riconobbe uno, Teodoro, il suo uomo di scorta da quando era una ragazzina, e in un impulso di disperazione tese un braccio verso di lui. Teodoro, aiutami!

    L'uomo portò una mano alla vita come se cercasse un'arma, ma era in camicia da notte, come tutti. Allora, con un'esclamazione di rabbia, si lanciò giù per le scale.

    Prima che potesse raggiungerli, il duca Della Croce si affacciò al parapetto di marmo e guardò giù. Che cosa sta succedendo?

    La sua voce smorzò tutti i mormorii e bloccò Teodoro ad una rampa di distanza da Viola. Chi è là?

    Papà, cosa c'è? La voce di Giuseppe, pensò Viola, tremante di vergogna. Vito, che s'era fermato, per un momento incerto su quel che stesse facendo, ricominciò a salire la scalinata, più lentamente. Giunsero al primo piano. L'uomo si teneva eretto, sicuro di sé e della sua collera, Viola curva su sé stessa, come per fuggire gli sguardi di tutta quella gente ammassata a fissarla.

    Ma è Viola! La voce di Luciana le fece alzare il viso. Erano tutti là, di fronte a lei, le facce stralunate, gli occhi sbarrati. Senza più potersi trattenere scoppiò in singhiozzi.

    D'Aquino. La voce solenne del duca coprì tutte le altre. Volete dirmi cosa sta succedendo? Cosa state facendo a mia figlia?

    Io credo che lo sappiate, replicò Vito, carico di disprezzo. Con uno spintone gettò Viola nel gruppo dei suoi parenti. Giuseppe l'afferrò impedendo che cadesse e la tenne stretta. Senza capire cosa stesse succedendo, sapeva però che lei aveva bisogno di protezione. Sì, don Marzio, continuò Vito senza badare alle esclamazioni indignate dei Della Croce. Credo proprio che lo sappiate. Li avvolse tutti in una lenta occhiata sprezzante. Vi ho riportato vostra figlia. Noi siamo i D'Aquino, aggiunse con aspro sarcasmo, parodiando il motto dei Della Croce, e non amiamo gli oggetti rabberciati, in casa e neppure nel letto.

    Un silenzio di tomba seguì queste parole. Poi, da qualche parte, qualcuno gridò. Maledetto! Ti ammazzo!

    Marcello si fece bruscamente largo tra i suoi parenti e si scagliò contro il cognato. Vito alzò il braccio in tempo per parare il pugno, ma non riuscì a mantenere l'equilibrio e precipitò giù per le scale, con Marcello che lo tratteneva per il bavero della giacca. Le scale si riempirono di grida. Viola cercò inutilmente di liberarsi dalla stretta di Giuseppe. Marcello! Marcello, no! gridò. Poi, una nebbia nera le cadde sugli occhi e per la prima volta in vita sua Viola svenne.

    Su, tesoro, su! Ci siamo quasi. La grossa mano rugosa della levatrice si posò sulla fronte sudata della ragazza. Gli occhi neri si spalancarono, resi opachi e distanti dalla sofferenza. Poi, con un ringhio, Viola scattò in avanti, i denti scoperti in un digrigno animalesco.

    Spaventata, la levatrice si tirò indietro appena in tempo, prima che quei denti affondassero nella sua mano. Ma siete impazzita?

    Si lasciò ricadere sul cuscino, esausta. Sono ore che state dicendo che ci siamo quasi, bisbigliò, con voce colma di rancore.

    Ma stavolta ci siamo davvero, sciocca ragazza! la rimbrottò l'anziana donna. Da trent'anni la signora Pasqua era la levatrice di fiducia dei Della Croce; aveva fatto nascere tutti i rampolli più giovani della famiglia, da don Marcello in giù, compresa quella rabbiosa ragazzina che si contorceva sul letto rifiutandosi di fare il suo dovere, e non s'era mai trovata in una situazione così ingrata. Sembrava proprio che non avesse nessuna voglia di partorire quel figlio!

    Lanciò un'occhiata interrogativa a donna Marzia, impegnata ad inumidire una pezzuola con l'acqua, ma prima che quella potesse intervenire, Viola cominciò a battere la testa contro il cuscino, urlando come una forsennata. Levatemi questa cosa di dosso! Levatemela!

    È ora di far entrare il dottore, disse Marzia, esausta. Luciana aprì la porta di comunicazione con il salotto, dove alcune persone angosciate erano in attesa da ore. Dottore, presto, venite.

    La porta si richiuse alle loro spalle. Giuseppe e Marcello si scambiarono un'occhiata. Che starà succedendo? Nessuno dei due aveva figli, l'uno perché Luciana, sua moglie, non era mai riuscita a condurre a termine una gravidanza ed era ormai troppo vecchia per riprovarci; l'altro, perché ancora scapolo. Entrambi si chiedevano se sarebbero mai riusciti a sopportare una tale esperienza. Il duca Della Croce, che pure ci era passato molte volte, si stava chiedendo la stessa cosa. Clarissa, seduta accanto a lui, gli prese una mano tra le sue e la strinse affettuosamente.

    Non preoccupatevi, papà, andrà tutto bene.

    Ma certo, ribadì Francesca, dall'altro lato. In realtà, non avendo avuto alcuna difficoltà nei loro parti, erano loro stesse molto in ansia.

    Ad un altro lato del salotto, suor Passione di Cristo baciò il crocefisso del rosario prima di riappuntarlo alla cintura della veste. Aveva pregato abbastanza, riteneva, per far nascere almeno una coppia di gemelli, e confidava che la sorella Agata, là nella clausura, stesse facendo la sua parte.

    Si accostò ai due fratelli, che stavano parlottando a bassa voce. Non credete, mormorò, con cautela, che bisognerebbe avvertire D'Aquino?

    E perché? sbottò Marcello, rabbioso. Per farci umiliare di nuovo?

    La porta del salotto si spalancò e, senza farsi annunciare, il cardinale Vittorio fece il suo ingresso. Aveva il volto scuro, aggrondato. Salutò il padre, baciò le sorelle minori, poi si scusò con loro ed andò a raggiungere i fratelli. Porto pessime notizie, disse. Il gruppetto gli si strinse attorno.

    Un grido penetrò la difesa della porta e li fece trasalire tutti. Povera Viola, disse Francesca, facendosi il segno della croce. Com'è sfortunata.

    Io non riesco a capacitarmi che un uomo dell'esperienza di D'Aquino si sia potuto comportare così da zoticone, disse Vittorio, davanti all'espressione attonita dei fratelli.

    Altro che zoticone, questa è una mascalzonata! Gli occhi di Marcello sprizzavano scintille rabbiose. Vittorio gli mise una mano sul braccio. Sta' calmo. La tua sciocchezza l'hai già fatta. Giuseppe si schiarì la gola. Non amava il ricordo di quanto fosse costato alla famiglia far dimenticare all'autorità pontificia quello sciagurato duello.

    Avrei dovuto ucciderlo quando ne avevo l'occasione, borbottò il giovanotto. Adesso non sarebbe libero di andarsene in giro a dire le sue sconcezze su Viola.

    Non credo che qualcuno gli crederà, intervenne Giuseppe nel suo modo pacato. Lo sanno tutti che la ragazzina era pura come un giglio. È stata sorvegliata a vista da quando era alta così, come tutte le nostre ragazze.

    Nessuna ragazza può essere sorvegliata costantemente, soprattutto se cresce in una villa di campagna. Notando gli sguardi stupiti dei fratelli, Vittorio sollevò le mani in aria. Non sto insinuando niente. Metterei la mano sul fuoco sulla virtù di Viola, se fosse necessario, e so che non lo è. Ma è quel che diranno gli altri. Qualcuno disposto a credere il peggio c'è sempre.

    Che grande guaio, pensò il cardinale. E tutto per un banale accidente di natura che, lo dicevano i migliori medici, succedeva più di frequente di quanto si immaginasse. E se anche non fosse stato così… Buon Dio, bisognava proprio essere uno zotico di borghese per farne un simile scandalo!

    La porta della camera da letto si aprì e Luciana s'affacciò sulla soglia, il volto provato ma radioso. È una bambina. È bellissima.

    Naturalmente! esclamarono tutti, all'unisono, scoppiando a ridere per il sollievo.

    Ecco qua la vostra signorina, disse la signora Pasqua, sorridendo al fagottello tra le sue braccia. Allora, la volete prendere oppure no? Con una smorfia sul viso stanco, Viola si sollevò faticosamente e, benché solo poco prima avesse dichiarato che non avrebbe mai voluto avere niente a che fare con quella 'cosa', protese le braccia per accogliervi sua figlia.

    Oh! esclamò, stupita. È una bambina vera.

    Buon dio! La levatrice sollevò gli occhi al cielo. Cosa credevate di aver partorito, un cagnolino?

    Senza darle retta, la ragazza sfiorò con un dito il faccino arrossato, le

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