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Belle sceme
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E-book307 pagine3 ore

Belle sceme

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Info su questo ebook

La vita di Laura Arnolfini è apparentemente perfetta: una laurea, un master, un buon lavoro da ingegnere e… l'amore! Sì, peccato che non sia tutto oro quel che luccica: il "suo uomo", infatti, è un collega scostante che vuole tenere segreta la relazione con lei. Ma Laura ha tutte le intenzioni di emanciparsi dal ruolo di "bella scema" a cui Umberto sembra averla suo malgrado condannata.
"Ombre Rosa" è una collana e insieme un viaggio alla riscoperta di un'intera generazione di scrittrici italiane che, tra gli anni Settanta e gli anni Duemila, hanno posto le basi del romanzo rosa italiano contemporaneo. In un'era in cui finalmente si colgono i primi segnali di un processo di legittimazione di un genere letterario svalutato in passato da forti pregiudizi di genere, lo scopo della collana è quello di volgere indietro lo sguardo all'opera di quelle protagoniste nell'ombra che, sole, hanno reso possibile arrivare fino a questo punto, ridando vita alle loro più belle storie d'amore.
LinguaItaliano
Data di uscita20 mag 2024
ISBN9788727035697
Belle sceme

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    Anteprima del libro

    Belle sceme - Maria Masella

    Belle sceme

    Omslag: Midjourney

    Copyright © 2023 Maria Masella and SAGA Egmont

    All rights reserved

    ISBN: 9788727035697 

    1st ebook edition

    Format: EPUB 3.0

    No part of this publication may be reproduced, stored in a retrieval system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.

    www.sagaegmont.com

    Saga is a subsidiary of Egmont. Egmont is Denmark’s largest media company and fully owned by the Egmont Foundation, which donates almost 13,4 million euros annually to children in difficult circumstances.

    I soldati di Napoleone possono diventare marescialli. Le donne possono diventare belle sceme.

    Da «Le Massime» di Lamarinetta

    LAURA

    Sabato.

    Genova (aeroporto Cristoforo Colombo)

    «Bella scema!» Lo dico, di cuore, alla donna che ho davanti. Che bella non è, ma scema sì! Che, se non lo fosse, non avrebbe buttato cinque anni di vita a lustrare un uomo.

    «Bella scema!» Glielo dico ancora una volta, perché è un po’ tarda. Poi mi giro e volto le spalle allo specchio giallastro della toilette del Cristoforo Colombo.

    La mia faccia la conosco. Non mi riserva sorprese piacevoli da quando ho tolto il baracchino per raddrizzare i denti e mi sono vista senza museruola.

    Mi sono gingillata in un limbo di autocommiserazione, sono abilissima, non so se per vocazione o per lunga pratica. Mi ci sono gingillata, dicevo, da giovedì e oggi è sabato.

    Scottex, Tavor, caffè, sigarette. Cioccolatini inzuppati di lacrime.

    Parto o non parto? Partire è un po’ morire. Perché un po’? Vorrei morire del tutto e non soffrire più.

    Perché, scema scema scema, lo amo ancora da impazzire. Lo stronzo.

    Lui, l’uomo che ho lustrato per cinque anni. Lustrato in senso fisico (camicie, calzini, mele sbucciate, relazioni di lavoro aggiustate o rifatte di sana pianta) e in senso metaforico (puntellando il suo ego negli attimi di debolezza, frequenti e non dichiarati: ma una donna innamorata conosce il suo uomo).

    Il mio uomo…

    Di corsa devo ritornare alla toilette, mi chiudo dentro e ancora una volta vomito il niente che ho mangiato.

    Mi lavo la faccia con l’acqua fredda: sono peggio di un mostro. In un lampo di dignità mi ero truccata prima di uscire da casa, ma il trucco si è sfatto.

    Esco. Chiamano il mio volo.

    Mi aspetta Parigi e poi un romantico alberghetto nei dintorni. Quei posti di charme dove si paga per annoiarsi. Dovevamo andarci insieme. Anzi! Io dovevo andare e lui raggiungermi. Quatto quatto: direbbe mia nonna.

    Perché se ci vedevano insieme non era bene!

    Non era bene andare a cena fuori, non era bene andare insieme… da nessuna parte: nessuno doveva sapere.

    Liberi e maggiorenni. Io trentaquattro e lui quasi quaranta, anche se ne dichiarava trentasei (età che fa figo).

    Ma colleghi. Secondo lui poteva essere dannoso alla nostra immagine. Che tutte quelle precauzioni di segretezza potessero avere un effetto distruttivo sulla mia autostima contava meno di niente.

    Parigi e poi l’alberghetto romantico senza di lui… Solo il pensiero mi procura un nuovo attacco di nausea. Eppure devo. Sarà come quando chiudevo gli occhi per buttar giù una medicina cattiva.

    O quando agli esami scritti mi prendeva un attacco di panico al momento di cominciare.

    Mi parlo, l’ho sempre fatto, e mi do della stronza deficiente. Passi innamorarsi, anche se, di questi tempi, capita solo alle eroine dei romanzi rosa; passi innamorarsi di uno che ti usa come stuoino, nei secoli noi donne ci siamo perfezionate nel ruolo appena citato! Ma perdersi in un abisso di autocommiserazione NO!

    Laurea in ingegneria (massimo dei voti), master a Londra superato brillantemente… Più qualche corsetto qua e là, per aspettare a dare un assetto definitivo alla vita. Cazzeggiare, insomma.

    Poi LUI. Il mio cervello mi comanda soltanto dal collo in su se ho potuto permettere a un uomo di farmi questo!

    Come superavo le crisi di panico agli esami? Visualizzando tutto quello che avevo studiato.

    È così che devi fare, mia bella scema. Rivedermi tutto in una fiction con Laura Arnolfini come protagonista femminile. Per le location non ho problemi: epicentro Genova, con puntatine in Riviera o all’estero. Puntatine che non creeranno problemi, essendo per la maggior parte in interni, perché gli esterni sono pericolosi. Gli hotel di charme sono uguali in tutto il mondo…

    Giovedì precedente

    Laura Arnolfini entrò in ufficio mostrando il solito viso, ma dentro stava cantando di gioia. Era già in ferie, dieci giorni benedetti, ma la sera prima si era ricordata di avere ancora una pratica da controllare e così aveva deciso di fare la brava ragazza.

    Ancora uno strappo, due ore, non di più, poi il pomeriggio sarebbe andata dal parrucchiere e avrebbe provveduto agli ultimi acquisti.

    Il sorriso si accentuò ripensando alla guêpière di pizzo che l’avrebbe resa fascinosa. Color champagne: la preferita dal suo lui, che trovava volgare il solito nero e ancor più pacchiano il rosso. «Sei la mia Laura, non una puttana»: testuali parole quando lei aveva tentato, i primi tempi, di alterare il copione.

    E poi sarebbe arrivato il sabato! «Sabato partiròòò…!»: se lo cantò dentro sulle note della Turandot.

    Era tutto perfettamente organizzato: in quei dettagli Umberto era un mago. Ci sembrava nato. Forse aveva fatto un corso di strategia militare: incastrava tutti i movimenti alla perfezione, mossa e contromossa, con piani di riserva.

    I loro rendez-vous assomigliavano allo sbarco in Normandia.

    Onestamente erano anche un po’ stressanti, ma non erano così frequenti. Almeno non come lei avrebbe desiderato. Per fortuna l’aspetto organizzativo riempiva un po’ gli intervalli fra un incontro clandestino e l’altro. A volte Laura si sentiva una spia dormiente, come quelle che il KGB aveva seminato a destra e a manca immaginando che prima o poi servissero: l’aveva visto in un film, vecchio. La sera e i pomeriggi di domenica ne vedeva a raffica.

    Così l’organizzazione.

    Lei sarebbe partita sabato mattina, da Genova, dal Colombo. Lui sarebbe andato a Milano in auto e sarebbe partito da là. Aerei diversi, percorsi diversi, solo la destinazione era la stessa: alla fine (domenica) un letto, finalmente insieme, con accessori più o meno lussuosi.

    Umberto organizzava con cura il depistaggio. Nemmeno fossero mafiosi o terroristi. Erano solo due colleghi e amanti.

    Ma non aveva torto, depistaggio e segretezza aggiungevano un po’ di pepe. Oltre a tanta stanchezza e solitudine…

    No, doveva essere felice.

    Laura era tanto concentrata su di sé che soltanto quando arrivò alla sua scrivania si rese conto dell’atmosfera più effervescente del solito.

    Che avessero scoperto tutto? In fondo non le sarebbe dispiaciuto. Tutte le altre donne a parlare dei loro mariti, dei loro uomini e lei sempre zitta…

    «Oh, Laura! Sai la novità?» iniziò Rita, quella sposata e con due figli.

    «Come può saperlo se è appena arrivata!» la interruppe Maura anche lei trentaquattrenne, come Laura, ma ne dimostrava meno. Perché era tosta e si godeva la vita. «E poi non dovevi essere già in ferie? Guarda che, anche se non ci sei, non casca il mondo e mica ti pagano di più! Nemmeno un grazie, per quello che vale. Con un grazie non ti paghi un caffè!»

    Laura si mise alla scrivania. «Una pratica da controllare.»

    Maura alzò le spalle. «Per me sei scema o lo fai.»

    Che ne sapeva Maura? Era una pratica che, in teoria, spettava a Umberto, ma lui era così terribilmente lento e indeciso che ormai lei collaborava dando un’occhiata. Ci mancava soltanto che lui ci si impantanasse e non riuscisse a chiuderla e così dovesse rimandare la partenza: era già successo l’unica volta che lei non gli aveva dato una mano.

    Che poi, come diceva lui, non era propriamente dargli una mano, perché lui non ne aveva bisogno, ma era un confronto di opinioni, un ulteriore controllo.

    Lei lo faceva volentieri.

    Ma doveva scrollarsi Maura di torno se voleva lavorare in incognito. E fin quando Maura non avesse raccontato la grande novità sarebbe rimasta lì, in piedi, a tenerla d’occhio. Così le chiese, fingendo un interesse che non provava: «Che cosa dovrei sapere?»

    «Umberto…»

    Per fortuna fra il suo viso e i loro occhi attenti c’era un acer AL1731.

    «Umberto si è deciso. Finalmente» spiegò Rita. Una persona non era completa, se non era sposata, secondo lei. Si era sempre chiesta, a voce alta, perché il loro collega Umberto non fosse ancora sposato. Distinto, benestante… Aveva anche lanciato la possibilità che fosse gay. Ipotesi bruscamente bocciata da Maura «Ma che gay e gay… È soltanto un’acqua cheta. Le sue femminucce ce l’ha… ce l’ha…» Rita aveva fatto la faccia di una che vuol sapere di più, ma Maura era rimasta zitta. Laura si era chinata a controllare che i fili della ciabatta non fossero aggrovigliati. Come si sentiva lei, fra l’altro.

    «In che senso si è deciso?» Che avesse deciso di rendere pubblica la loro relazione? Relazione abbastanza rodata, durava da cinque anni.

    «Si è fidanzato.»

    Fidanzato? Già era una parola che nessuno usava più… Se il soggetto non fosse stato proprio Umberto, Laura ci si sarebbe fatta una risata.

    «Con Clelia Samperi.» E poi aggiunse, come se ce ne fosse bisogno: «La figlia di Samperi. Figlia unica e amatissima».

    Samperi, amministratore delegato della Società TEXA, valutazione, registrazione e commercializzazione di brevetti industriali.

    «Si è ben sistemato l’Umberto» continuò Maura, forse senza rendersi conto di quanto stesse rigirando il coltello nella piaga di Laura o forse sapendolo. Con Maura non si poteva mai dire: non che fosse carogna, tutt’altro, ma sapeva sempre tutto… «Samperi è anche ricco di suo e di beni della moglie. Ben imparentata con famiglie che contano in città. Gente che alle prime del Carlo Felice viene invitata… La Samperi non sarà bella, grigia e smunta e tutta perbenino, ma basta spegnere la luce. Forse a letto farà faville, non si può mai dire.»

    La testa di Laura stava andando in corto circuito: lei riusciva soltanto a pensare che Umberto, ma si faceva chiamare Berto nell’intimità, preferiva farlo al buio o, al massimo, in penombra; così anche la Samperi sarebbe stata ok.

    «L’ho saputo dalla segretaria privata di Samperi. Mi ha raccomandato la massima discrezione, ma voi siete mie amiche, dovevo dirvelo. Samperi avrebbe preferito un partito migliore per la sua Clelia, ma in fondo Umberto è laureato. Con qualche spinta giusta riuscirà anche a fare una bella carriera.»

    Laureato. Come la sottoscritta, pensò Laura. Umberto ci aveva impiegato otto anni a conquistare la stessa laurea che lei si era presa al volo in cinque anni cinque, tempo minimo. Con il massimo dei voti.

    Solo la lunga pratica alla simulazione le impedì di rotolarsi a terra ululando come un botolo.

    Si gingillò per un po’ con i suoi fascicoli, mentre descrizioni e grafici dei brevetti le ballonzolavano davanti agli occhi, fingendo di lavorare. Poi, in semicoma, salutò le colleghe, accolse con un sorriso finto i loro auguri di buone ferie e finalmente uscì dalla TEXA.

    In fretta arrivò al posteggio, entrò in auto, controllò che i finestrini fossero ben chiusi e compose il numero del cellulare di Umberto. Ci doveva essere una spiegazione, doveva essere un equivoco!

    Cellulare: «L’utente non è raggiungibile».

    Mise in moto la Punto grigio scuro, metallizzata, auto seria, che Umberto le aveva consigliato, anche perché poco appariscente. Lei avrebbe preferito… No, neppure si ricordava cosa avrebbe preferito.

    Il nodo di Cornigliano era avvolto nel grigio, la sopraelevata era una lunga coda, casualmente scorrevole. Anche la giornata era grigia: la città sarebbe stata anche bella, il grigio si addiceva a Genova. Perlaceo, plumbeo, cangiante, nebbioso… Mare, cielo, monti e case e palazzi.

    Le curve e controcurve della sopraelevata, sospesa fra porto e città, erano come la sua vita. Ci fosse stata la possibilità di accostare, si sarebbe fermata e buttata giù. Per un attimo vide i giornali del giorno dopo con in prima pagina il suo suicidio. Poi le venne la nausea: perché la prima pagina? Non era famosa… Era soltanto una scema, una come tante.

    Fermarsi e partire in una perenne coda, appena appena scorrevole, soffocata nel grigio senza scampo di un novembre di cielo basso.

    Neppure l’improvvisa apertura della Foce la fece respirare meglio. Salone nautico.

    Frotte sconvolte con borse di dépliant sull’ultima barca quando con lo stipendio non riuscivano ad arrivare alla fine del mese. Masochismo: cullarsi in sogni impossibili.

    E lei? Dannazione, lo aveva sempre saputo che la sua storia con Umberto non aveva futuro… Anche uno scarso presente, per la verità. Forse neppure era una storia ma un accanimento masochista.

    Su, lasciandosi il mare alle spalle, verso il caos di Marassi. Da quattro anni si era trasferita lì. Palazzo moderno, appartamento grande, troppo per una persona sola. Ci si era sentita subito a disagio. Quando si era trasferita, su consiglio di Umberto, le dimensioni troppo abbondanti per una single di poche pretese le erano sembrate un pregio. Forse il primo passo verso un progetto comune. Un segno dell’intenzione di Umberto di metter su casa insieme.

    Ora ci si sentiva persa e rimpiangeva il suo vecchio bilocale pittoresco in via San Donato.

    Arrivata a casa continuò a riprovare sul cellulare: niente.

    La valigia aperta sul divano e pronta per essere richiusa dopo le ultime aggiunte sembrava prenderla in giro. Laura le si fermò davanti e con le mani sui fianchi, un gesto poco fine davvero!, le gridò «Cosa vuoi che faccia?»

    Nessuna risposta, ma così aperta sembrava proprio ridere di lei. E allora sull’ondata di rabbia decise di telefonargli al numero di casa, quello vietato perché MAMMA non doveva sapere, non doveva sospettare. Povera donna, vedova da anni, aveva solo il figlio, si sarebbe sentita abbandonata…

    Chissà se si sentiva abbandonata anche dopo il fidanzamento con la Samperi?

    «Pronto.»

    La voce era così lieta che Laura provò un tuffo al cuore. Di certo era soltanto un equivoco, uno stupido equivoco. O uno scherzo cattivo delle colleghe… Eppure lei non aveva mai fatto sgambetti. Nemmeno per bontà, ma per incapacità di spintonare, forse dipendeva dall’educazione familiare o dai geni che si portava dentro.

    Doveva ragionare, fingere che fosse un problema di lavoro. MAMMA non poteva essere così lieta se lui la lasciava sola! Prese fiato e si presentò: «Buongiorno, signora. Mi scusi se disturbo. Sono Arnolfini, una collega dell’ingegnere, avrei necessità di parlargli». Una pausa e poi aggiunse, per salvare il salvabile, se del caso: «Per lavoro».

    Come avesse avuto doti improvvise di chiaroveggenza, intuì la risposta, ancora prima che arrivasse, forse messa sull’avviso dal gorgoglio come di gatto contento. «Lei è Laura, vero? Bene, è uscito con la fidanzata.»

    E così MAMMA conosceva il suo nome. Tanta segretezza e poi… Riattaccò, in preda a un attacco di nausea furiosa.

    Bene.

    Era stato lui a dirle di prenotare il viaggio romantico… La partenza separata, poi il ricongiungimento.

    Così lei sarebbe andata senza saper nulla del fidanzamento con un’altra.

    Il dubbio era se lui l’avrebbe fatta aspettare invano o sarebbe arrivato senza dire nulla dell’avvenuto fidanzamento.

    Stronzo stronzo stronzissimo in entrambi i casi: Laura non sapeva cosa augurarsi.

    Però doveva sapere.

    Soltanto per sapere (o per abitudine?) decise di attenersi scrupolosamente alla tabella di marcia.

    Nel pomeriggio andrà dal parrucchiere, provvederà agli ultimi acquisti.

    Venerdì si farà la ceretta e una maschera rilassante. Si darà lo smalto alle unghie. Quello rosa, appena appena perlato, che Umberto ritiene consono a una vera signora.

    Affiderà le piante alla vicina.

    Andrà a dormire presto per essere fresca e riposata per lui.

    Lo stronzo stronzissimo traditore.

    Sabato

    Genova (ancora aeroporto Cristoforo Colombo)

    Sobbalzo davanti alla donna riflessa nella vetrata non tanto pulita. Sono io, Laura Arnolfini, o no? La faccia è gonfia e gli occhi sono arrossati: ho pianto da maledetta. Di giorno la rabbia ha tenuto sotto controllo il dolore per il tradimento e l’abbandono (ma ha davvero deciso di abbandonarmi o ha pensato bene, cocchino di mamma sua, di tenermi come extra?).

    Ma, di notte, la rabbia si è sgonfiata in un dolore alla pancia. Somatizzo tutto lì, da quando sono ragazzina. Mai fatto un esame senza mestruazioni.

    Infatti arrivano, in anticipo di due settimane. Rifaccio i conti. Sì, in anticipo, perché ne avevo tenuto conto programmando il viaggio romantico.

    Sono o non sono Laura Arnolfini, quella sconosciuta sconvolta?

    Non sembro affidabile e neppure equilibrata.

    Anche i miei capelli non sembrano i miei.

    Con un gesto rabbioso me li tiro giù cercando di assestarli in un modo più consono e il vetro riflette le mie mani.

    Non bastano le macchie di unto sul vetro e neppure le caccole di mosche per nascondere che quelle mani non sono le mie.

    Tutto è cominciato dalle mani.

    Venerdì mattina, dandomi lo smalto. Rosa tenue, appena appena perlato che fa fine, curato, ma non appariscente.

    Venerdì precedente

    Laura guardò l’ora. Le sette. Inutile provare a dormire: aveva inseguito il sonno per tutta la notte, con l’unico risultato di sentirsi ancora più stanca che se si fosse rassegnata all’insonnia.

    Manicure e smalto: fatti bene e con calma le avrebbero portato via un’oretta. E l’avrebbero rilassata.

    Rilassata? Non aveva mai provato a farsi le unghie mentre gli occhi continuavano a buttar lacrime.

    E la boccetta di smalto non voleva saperne di aprirsi. Continuò a provare, sempre più ostinata: ormai era diventato un fatto personale. La odiava come se «quella» fosse la responsabile delle sue sofferenze.

    Strinse con forza e ruotò.

    E la boccetta schizzò via. Colpendo lo specchio del bagno e poi, nell’ordine, le piastrelle delle pareti e del pavimento. Restando aperta ma incolume sul tappetino di spugna.

    Ripulendo tutto avrebbe impiegato un’altra oretta: la vita sembrava diventata orette vuote da colmare…

    Solo alla fine si rese conto che tutti quegli schizzi tipo fuochi d’artificio avevano esaurito lo smalto nella boccetta.

    Dannazione dannazione dannazione… Se lo ripeté come un ritornello. Poteva vestirsi alla buona e andare a comprarlo.

    E via un’altra oretta se invece di comprarlo alla profumeria sotto casa arrivava a quella a tre isolati di distanza con la commessa più simpatica.

    Buttò la boccetta finita nella spazzatura, si vestì come capitava e uscì.

    Pensieri, pensieri capricciosi e irati da casa a tre isolati di distanza.

    Novembre. Un mese schifoso. A Genova, negli altri mesi capitavano giornate luminose, anche d’inverno. Di color oro e porpora.

    Ma novembre! Fiorivano solo crisantemi e manifesti di viaggi in paesi esotici.

    Se c’era un mese che nessuno ma proprio nessuno sceglieva per le ferie, se poteva andare in un altro periodo, era novembre.

    E, se andava, andava AL SOLE. AL MARE. AI CARAIBI. AI TROPICI. ALMENO IN TUNISIA.

    A Parigi Parigi che, se non altro, c’erano teatri, cinema, musei, vetrine… Non a trenta chilometri da Parigi in una cittadina sepolta nel verde, che a novembre era spoglio e fangoso, in un hotel di charme… Dove la sola cosa per passare il tempo era fare sesso.

    Ma allora perché non farlo in un posticino più allegro? Dove potersi svagare un po’ quando non lo si faceva. Perché lui non era poi così impegnato, con il sesso.

    Diceva che farlo troppo non era salutare. E non sarebbe stato romantico.

    In profumeria c’era coda: due ragazze, anzi ragazzette quindicenni, stavano facendo tirar giù dagli scaffali ombretti, rossetti e smalti. Ma la commessa sembrava gradire, si davano del tu come vecchie amiche.

    Soppesavano e scartavano dopo approfondite consultazioni. Uno era troppo rosso, l’altro troppo serio, l’altro troppo caro.

    Uno smalto da favola: pacchiano ma kiss, da bacio! Rosso fiamma, con polvere dorata incorporata. Non il massimo sulle sue unghie ragionevoli…

    Lo afferrò al volo. «Questo lo prendo io.»

    Sentì l’occhiata delle due; l’avevano pesata e ritenuta indegna di una simile bellezza. Poteva dire che era per un’altra… Invece: «Hai anche il rossetto uguale?»

    «Sì. E comprati insieme facciamo lo sconto.»

    «Li prendo.»

    Pagò e uscì in fretta con il sacchetto. Da quanto non faceva

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