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Un segno nelle tenebre: La saga dei Lykaon, 2
Un segno nelle tenebre: La saga dei Lykaon, 2
Un segno nelle tenebre: La saga dei Lykaon, 2
E-book528 pagine6 ore

Un segno nelle tenebre: La saga dei Lykaon, 2

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Info su questo ebook

Parigi, fine Ottocento. Nella Ville Lumière i licantropi sembrano essersi mimetizzati perfettamente nella società. Ma sotto un'apparenza di normalità, continua da anni una cruenta faida tra dinastie di mutaforma.
Maura Coulter, sorella di re Lars e nipote di Stanis Coulter, il Vecchio Lupo, è appena giunta all'Hôtel de Clercy, dove incontrerà colui che non solo è il suo peggior nemico, ma anche uno dei pochi che minaccia di conquistare il suo cuore. Si tratta del principe Maksìm Andreievic Balanov, rampollo di una famiglia di licantropi che da secoli combatte quella di Maura.
"Ombre Rosa" è una collana e insieme un viaggio alla riscoperta di un'intera generazione di scrittrici italiane che, tra gli anni Settanta e gli anni Duemila, hanno posto le basi del romanzo rosa italiano contemporaneo. In un'era in cui finalmente si colgono i primi segnali di un processo di legittimazione di un genere letterario svalutato in passato da forti pregiudizi di genere, lo scopo della collana è quello di volgere indietro lo sguardo all'opera di quelle protagoniste nell'ombra che, sole, hanno reso possibile arrivare fino a questo punto, ridando vita alle loro più belle storie d'amore.
LinguaItaliano
Data di uscita20 mag 2024
ISBN9788727061214
Un segno nelle tenebre: La saga dei Lykaon, 2

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    Anteprima del libro

    Un segno nelle tenebre - Roberta Ciuffi

    Un segno nelle tenebre

    Copyright ©2012, 2024 Roberta Ciuffi and SAGA Egmont

    All rights reserved

    ISBN: 9788727061214 

    1st ebook edition

    Format: EPUB 3.0

    No part of this publication may be reproduced, stored in a retrieval system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.

    www.sagaegmont.com

    Saga is a subsidiary of Egmont. Egmont is Denmark’s largest media company and fully owned by the Egmont Foundation, which donates almost 13,4 million euros annually to children in difficult circumstances.

    Un segno nelle tenebre

    Madame Blonce era proprio una strega, pensò Fanette, superando con un saltello una pozzanghera lasciata dal recente acquazzone. E ne aveva anche l’aspetto. Poteva imbellettarsi le guance e usare quell’accento da signora di classe rubato alle sue clienti, ma non sarebbe mai stata altro che questo: una brutta strega dal pessimo carattere, che cercava di mascherare le proprie origini sotto un’apparenza sofisticata.

    Anche quella sera l’aveva costretta a trattenersi per sistemare il laboratorio: operazione che andava ad aggiungere più di un’ora alla sua normale giornata di lavoro. Per quale motivo una sola persona doveva rimediare al disordine di quattro? Non le sembrava affatto giusto. Se mai fosse riuscita ad avere un negozio suo, non avrebbe mai più impugnato una scopa in tutta la vita, né strizzato uno straccio bagnato. Che fossero gli altri a farlo per lei!

    Il pensiero di questa futura vendetta le provocò un leggero senso di conforto, che svanì non appena tornò a girare lo sguardo sulle porte chiuse delle botteghe. Si spostò in modo da procedere nella parte più illuminata della via, mentre l’irritazione di poco prima lasciava il posto all’inquietudine. Aveva contato che il padre passasse a prenderla, e solo quando la porta del negozio si era chiusa alle sue spalle si era resa conto che la carrozza non era in attesa come al solito, con l’uomo leggermente assopito a cassetta e il cavallo che ciondolava il capo stanco. Suo padre doveva aver trovato un’ultima corsa che non aveva potuto rifiutare.

    Fanette era stanca di camminare. Le strade servite dall’illuminazione pubblica stavano lasciando il posto alle viuzze strette, prive di marciapiede, in cui ristagnava costante il puzzo di urina e degli avanzi gettati dalle finestre. Chi pensava che Parigi fosse un paradiso doveva farsi una gita da quelle parti, pensò. Sollevò un po’ la gonna per non rischiare di insudiciare l’orlo con qualche schifezza, e s’immise coraggiosamente nello stretto passaggio che le avrebbe consentito di risparmiare un po' di strada.

    Era cresciuta in vie come quella e le aveva percorse infinite volte a tutte le ore del giorno e della notte. Il suo cuore sembrava però ignorare questa nozione, mentre lei con gli occhi indagava ogni ombra, ogni portone in cui potesse nascondersi qualcuno. Quel tratto era la parte peggiore; dopodiché avrebbe svoltato per una via più larga e più abitata.

    Era quasi arrivata al termine del passaggio, quando due mani emersero dal nulla e l’afferrarono, scagliandola di lato. Fanette gridò, pensando che sarebbe finita contro il muro. Invece davanti a lei si aprì il vuoto. Mulinò con le gambe e le braccia alla ricerca di un appiglio, ma riuscì solo a perdere del tutto l’equilibrio. Piombò a faccia in giù su una scala di pietra, scivolando ancora per qualche gradino. Restò stordita solo alcuni istanti. Un istinto profondamente radicato in lei da anni di ammonimenti la fece rigirare di scatto, con le braccia protese per difendersi da un altro attacco. Dal buio scaturì una risata aspra, di qualcuno che aveva avuto il tempo di abituare gli occhi alla mancanza di luce. Qualcuno che era rimasto in attesa che una sciocca ragazzina passasse correndo, sperando di scampare a un destino già segnato.

    Udendo il rumore dei passi che scendevano i gradini, Fanette lanciò un urlo. Fu l’ultimo, prima che una mano pesante e ruvida si abbattesse sulla sua guancia.

    Il lupo correva come una freccia scagliata nella notte, tenendosi nella parte meno illuminata della strada. L'odore della città, oleoso e ferrigno, aggrediva il suo olfatto, provocandogli un'insofferenza che ne acuiva il nervosismo. L'animale era ansioso di ritrovarsi nel suo rifugio, che aveva abbandonato per uno sconsiderato impulso; ancora più ansioso perché la corsa selvaggia sui prati esalanti l'odore stordente di terra l'aveva confuso, facendogli prendere una direzione sbagliata. Adesso il rifugio era lontano e lui doveva muoversi allo scoperto, senza alcuna protezione. In quella zona e a quell’ora gli uomini erano di sicuro all’interno delle loro case, ma qualche sguardo curioso poteva sempre cogliere la snella forma nera in corsa sul marciapiede. Così erano le città, e per questo motivo il lupo le odiava. Avevano tutte un odore immondo e brulicavano di un’umanità curiosa e rumorosa.

    Quando la voce raggiunse il suo udito, si girò di scatto. L’abbrivo della corsa gli fece eseguire una sorta di volteggio, che lo sbilanciò. Ringhiando, riprese rabbiosamente il controllo e si fermò a scrutare nel buio. Oscillò col capo, fiutando il vento leggero, cercando di identificare la provenienza del rumore che aveva interrotto il suo slancio.

    La donna gridò di nuovo. Il terrore crepitò nella voce, simile all’aura di un fulmine, stimolando un senso d'urgenza nel sangue del lupo. Senza esitare, si lanciò nello stretto passaggio poco distante, in parte consapevole del pericolo che stava correndo, e tuttavia con il cuore martellante per l’emozione gioiosa e feroce della caccia.

    Il passaggio era buio, ma non per i suoi occhi. Qualcuno aveva soffocato la voce della preda, ma non alle sue orecchie.

    Udì un calpestio, un movimento confuso, una risata roca e insinuante. Vide il riquadro basso, chiuso da una piccola porta, che conduceva probabilmente a una carbonaia. Senza esitare, vi si lanciò contro. I cardini arrugginiti cedettero all’istante sotto la spinta del suo corpo potente e la porticina si rovesciò sotto le sue zampe. L’odore di sporcizia gli colpì le narici, subito sostituito da quello più penetrante della paura. Era arrivato nel posto giusto. Il lupo sollevò il muso e lanciò un ululato di trionfo.

    Fanette aveva smesso quasi subito di lottare. La mano premuta sul volto aveva zittito le sue grida, costringendola a respirare a tratti. Simile a un insetto prigioniero, la sua mente vorticava disperata, alla ricerca di una via di fuga. L’uomo quasi steso su di lei emanava un puzzo di taverna e latrina. Le sue dita le stavano artigliando la carne, nel tentativo sgraziato di aprirle le gambe usando una sola mano. Salutò il successo con un grugnito soddisfatto e s’insinuò tra le sue cosce spalancate.

    Fanette sentì una cosa spingersi quasi dentro di lei.

    Un rumore di legno fracassato fece trasalire l’assalitore, che si girò a metà per controllare cosa stesse succedendo. Un verso animalesco rintronò nel bugigattolo, un suono quale nessuno dei due aveva mai udito nella vita: l’ululato di un lupo, a non più di qualche metro di distanza. Entrambi cessarono per un istante di respirare, il corpo raggelato da un terrore primordiale. Poi, Fanette sentì una sorta di corrente d’aria; l’uomo sopra di lei fu travolto da un’ombra dal sentore selvaggio e trascinato a terra. L’assalitore urlò di spavento, e poi urlò più forte, quando le zanne della belva trovarono il punto scoperto dietro la sua nuca.

    Fanette esitò solo un attimo, prima di iniziare a scivolare contro la parete. La paura di poc'anzi non era nulla a confronto di quella che provava adesso. Arrivò a sfiorare dei gradini e, carponi, impacciata dalla gonna, battendo le ginocchia e le mani contro i bordi scabrosi, tornando talvolta a slittare all’indietro, si spinse su per la scala. Le sue narici fremettero al nuovo odore che stava invadendo la carbonaia: sangue! Era odore di sangue. Ogni nervo e tendine del corpo pulsante di terrore, sbucò all’esterno, nella notte che adesso non le sembrava più così oscura. Si tirò in piedi a fatica, aggrappandosi ai montanti della porticina ridotta in frantumi. Senza guardarsi indietro, spinta solo dalla disperata necessità di fuggire, corse urlando per la strada deserta.

    Le urla aprirono un varco nella mente della belva, offuscata dalla furia. Liberò il corpo da quello del disgraziato, che gemeva piano, risucchiando a fatica il fiato tra i denti. Il lupo era deluso: si era rivelato un nemico miserabile. Con un balzo superò le scale ed emerse sulla strada. La ragazza si stava allontanando, ma altre grida cominciavano a echeggiare le sue, e il selciato risuonava di passi affrettati. Si stava radunando della gente. Persone, che non appena scoperto cos’era gli avrebbero dato la caccia per ucciderlo. Erano ancora molto distanti, ma presto sarebbero arrivate. Girò il capo guardando attorno a sé, da ambo i lati. Aveva avuto fortuna. La ragazza era fuggita nella direzione opposta a quella in cui si trovava il suo rifugio, ancora molto lontano.

    Trattenendo un brontolio d’esultanza, si lanciò verso la salvezza.

    «E ancora non arriva» gemette Sophie, interrompendo il suo andirivieni per poggiare l’orecchio contro la porta. «Non sento nessun rumore.»

    «Per favore, smettetela di agitarvi e venite a sedervi» replicò Clara, dalla panca addossata alla parete, più bruscamente di quanto avrebbe consentito la sua condizione subordinata.

    «Si sta facendo tardi, qualcuno finirà per venire a cercarci, e cosa accadrà allora?» La giovane donna si torse le mani, il volto sottile pallido d’angoscia. Era molto graziosa, in un certo modo fragile che irritava la cameriera.

    Crescere in una famiglia di titani modificava il modo in cui si guardava al resto del mondo, pensò, incapace di dominare una punta di disprezzo.

    Non che lei non fosse in agitazione. Aveva lo stomaco in subbuglio e ogni volta che la marchesina Sophie estraeva quel suo grazioso orologio per controllare l’avanzare delle lancette si sentiva trapassare da una dolorosa fitta d’ansia. Stava per ribadire la sua esortazione alla calma, quando un rumore di metallo che sbatteva violentemente la zittì.

    Entrambe le ragazze s’irrigidirono per un istante, prima di rilassarsi, un sorriso rincuorato sulle labbra. «È tornata!»

    «Dio ti ringrazio!»

    Sophie corse istintivamente con la mano alla maniglia, ma la ritrasse di scatto, chiudendola a pugno. Era impulsiva nelle azioni e spesso anche nelle parole, in contrasto con un carattere timoroso, come schiacciato dalla personalità dominante del padre e dei fratelli. Cosa che non aveva impedito alla cugina Maura di diventare quel che era, considerava talvolta, provando una punta d’invidia nei suoi confronti. Sentimento che, mescolato in misura infinitamente minore all’affetto, l’ammirazione e l’incondizionata devozione, l’aveva trascinata quella sera nei sotterranei dell'Hôtel de Clercy, ad attendere con ansia che quella porta si aprisse.

    «Clara…»

    La voce un po’ affaticata, dall’altra parte, fece scattare in piedi la cameriera. Scansando senza tante cerimonie la marchesina de Clercy, girò la maniglia ed entrò nella stanza che erano rimaste a sorvegliare per più di un’ora.

    In contrasto con le eleganti sale dei piani superiori, qui le mura erano semplicemente verniciate a calce. Un lungo sportello basculante si apriva a circa due metri d'altezza, e un secondo sulla parete di sinistra, a livello del pavimento ricoperto di lastroni di pietra. I due armadi in stile italiano dalle linee bombate, che si fronteggiavano appoggiati alle pareti, le cassapanche, la grande vasca dalle zampe di leone e la chaise-longue all’angolo rivelavano tuttavia che non si trattava di una semplice cantina, come avrebbe fatto supporre la sua ubicazione.

    Adagiata sulla chaise-longue, con il volto spossato e il corpo tremante avvolto in una coperta, c'era la persona che aveva causato loro tante preoccupazioni.

    «Maura!» esclamò Sophie, accorrendo verso di lei. «Mio Dio, sei in uno stato… Non riesco neppure a dire quello che…»

    «Bè, ti ringrazio» replicò l’altra, con voce un po’ aspra. «È esattamente come mi sento.»

    Senza dire una parola, Clara andò alla vasca da bagno laccata di bianco. «S’è freddata» annunciò, con un tono ancora più gelido dell’acqua che era andata a controllare. «Peggio per voi. Avevate detto che sareste rimasta fuori solo quindici minuti, e invece è passata più di un’ora.»

    «Siamo terribilmente in ritardo e qualcuno tra poco ci verrà a cercare. Devi davvero affrettarti» aggiunse Sophie, agitando le mani come per spingerla ad alzarsi dalla chaise-longue e iniziare a fare qualcosa con un po’ di senso comune. Visto che Maura si limitava a rovesciare la testa all’indietro respirando affannosamente, batté un piede a terra, esasperata. «Come puoi comportarti così?» esclamò, una nota stridula nella voce. «Non hai nessuna considerazione del tuo buon nome, e del rischio cui esponi te stessa e noi tutti?»

    «Ho salvato una ragazza» replicò l'altra, risentita. «Era stata aggredita da un sudicio degenerato che l’aveva trascinata in una carbonaia.» Sospirò, poi si passò una mano tra i capelli nerissimi che sfioravano il pavimento in lunghe onde lucide. Con sforzo, girò le gambe di lato e si mise a sedere.

    La riprovazione di Sophie si dissolse in un moto di curiosità. «E di lui che ne hai fatto?» chiese con un fremito.

    Maura spalancò gli occhi, neri e orlati di lunghe ciglia scurissime. Prima che lei potesse rispondere, Clara intervenne, freddamente. «Ha del sangue addosso e nessuna ferita. Cosa pensate che ne abbia fatto?»

    La cugina emise un grido inorridito. Senza badarle, Maura si alzò in piedi. La coperta cadde a terra, lasciandola completamente nuda. Attraversò in fretta la stanza per raggiungere la vasca, ne scavalcò il bordo e scivolò all’interno. Al contatto con l’acqua fredda, lanciò un grido stridulo, perdendo parte del controllo che aveva mantenuto fino allora.

    «Per la miseria, è gelata come il sedere di un pinguino!» sbottò. «Clara!»

    «Ve lo avevo detto» replicò la cameriera, con un ghigno vendicativo. «Ben vi sta.»

    Con il respiro ancora affannoso per la rapidità con cui era stata costretta a prepararsi, Maura si fermò davanti a un’alta specchiera, indecisa se sollevare le false maniche dell’abito da sera e coprirsi un po' le spalle.

    Addosso a lei, l’abito color crema aveva qualcosa d’indecente. Fasciante sul busto, sulla vita e sui fianchi, più in giù si allargava a calice, in una successione di pieghe di seta che terminavano in un accenno di strascico. La scollatura molto bassa esibiva una buona porzione di seno scoperto. Potendo contare sul ventaglio di pizzo che le pendeva dal polso come unico strumento a difesa della modestia, la ragazza si chiese se non sarebbe toccato a lei, tra poco, darsi da fare per salvarsi dalle grinfie di un molestatore.

    «Siete uno splendore» disse brusca Clara, poggiandole il mantello sulle spalle. «Lasciate quelle maniche dove stanno.»

    «È vero» sospirò Sophie, in un vestito che la faceva somigliare a una nuvola rosa pallido. «Farai furore, stasera.»

    «Faremo furore, vorrai dire» replicò l’altra, prendendola sotto braccio. Si girò a lanciare un’occhiata al retro del proprio abito. «Non ti sembra che questi sellini ci facciano sembrare tutte delle giumente pronte a essere cavalcate?»

    Rise dell’espressione scandalizzata di Sophie, soddisfatta di aver distratto la sua attenzione. Sapeva di avere un bell’aspetto e che quel vestito le stava anche troppo bene, però si sentiva stanca, stremata dalla Muta e con l’animo svuotato dal recente attacco di furia. Se l’altra fosse stata più attenta, avrebbe notato i segni scuri sotto i suoi occhi, che neppure il velo di cipria riusciva a mimetizzare. E forse si sarebbe offerta di rinunciare alla festa. Maura non se lo sarebbe mai perdonato. Quel particolare ricevimento, che si svolgeva una volta l’anno, era una grande occasione per le ragazze come loro, e lei aveva rischiato di rovinarla.

    Si fermò all'inizio della maestosa scalinata che conduceva all’atrio, da cui proveniva il suono di voci maschili. Chiuse gli occhi per un istante e attese che ogni traccia di agitazione si placasse dentro di lei. Là sotto c'era qualcuno molto sensibile, di cui non intendeva attirare l'attenzione.

    «Su, andiamo» disse, infine. «Stasera dovremo affascinare tutti i migliori partiti… sulla piazza.»

    Una lieve esitazione marcò l’assenza della parola che non aveva pronunciato, ma che era nella mente delle tre giovani donne.

    L'atrio ai piedi della scalinata era affollato da un nutrito gruppo di gentiluomini in abito da sera. «Diamine» disse ammirato Sigismond, quasi un ragazzo, con i capelli rossi e il volto ricoperto di efelidi. «Siete una visione di radiosa bellezza.»

    I fratelli maggiori, Victor e Louka, assentirono altrettanto ammirati. Volgendosi alla cameriera, quest'ultimo aggiunse con equanimità: «Tutte e tre.»

    Un signore molto anziano, dall’aspetto imponente, con barba e capelli candidi, posò su di loro uno sguardo niente affatto indulgente. «Direi piuttosto che siete in grande ritardo. Vi stiamo aspettando almeno da mezz’ora.»

    La sua irritazione non impressionò i compagni, che vi erano abituati. E neppure la nipote, che, lasciando il braccio della cugina, andò ad abbracciarlo ridendo. «Oh, e non vogliamo che il grande professor Coulter corra il rischio di attendere, vero?»

    «Non ho detto che…» iniziò il vecchio, prima di fermarsi e sbuffare, con una risata tra i denti. «Bene, mia cara, se questo era un rimprovero alla mia superbia è stato fatto in maniera molto lusinghiera. Non tutti possono venir paragonati al re Sole.»

    Ormai ricomposto, l’elegante gruppo di uomini e donne si diresse all’uscita. Le porte furono prontamente aperte per loro da due giovanotti in livrea, ed essi poterono procedere senza interruzioni fino alle carrozze in attesa. Maura e il nonno sedettero una di fronte all’altro, con Clara sullo strapuntino.

    Il professor Coulter esaminò con sospetto la nipote, nella penombra dell’abitacolo. Aveva l’aria stanca, distratta. «Va tutto bene?» le chiese, come se la stesse accusando, più che informarsi sulla sua salute.

    «Va tutto splendidamente» replicò lei, fissandolo senza esitazioni con i suoi grandi occhi scuri. Il che, come il nonno sapeva bene, non era una garanzia che stesse dicendo la verità.

    L'uomo nella semplice redingote blu osservò le carrozze che accostavano di fronte all'Hôtel de Virville, si fermavano il tempo necessario per consentire agli eleganti passeggeri di smontare, e poi ripartivano dirette alle rimesse.

    Un vagabondo, appoggiato con le spalle contro il muro del palazzo sul lato opposto della strada, fissava l'andirivieni di vetture con l'atteggiamento di qualcuno che voglia solo perdere del tempo. La sua tenuta cenciosa, la barba lunga e il sentore di alcool che lo avvolgeva avevano attirato l'attenzione di alcuni agenti di polizia, che in occasione di uno dei maggior eventi della stagione erano stati sollecitati a stazionare nella via. Alcuni si erano avvicinati al malmesso personaggio, allontanandosene poi senza prendere alcun provvedimento.

    Ferme ai lati del portone del palazzo, le guardie d'onore l'avevano già individuato e lo tenevano d'occhio. Il ballo di maggio dei duchi Guerry de Virville era un avvenimento che richiamava molti curiosi, ben vestiti o meno, anche solo per guardare le signore eleganti che salivano la scalinata al braccio dei loro accompagnatori.

    Confuso nella piccola folla che si attardava sul lato destro del palazzo, un terzo uomo fissava l'anziano gentiluomo che stava smontando dalla carrozza, subito raggiunto da una bella ragazza –non giovanissima, ma abbastanza da suscitare delle esclamazioni ammirate. Nessuna tra le persone che lo circondavano sapeva chi fossero. Lui sì e ogni sillaba del loro nome rinnovava nel suo cuore un vecchio dolore. Erano i Coulter.

    Attese che fossero entrati, poi si girò a lanciare un'occhiata all'uomo alto, sull'altro lato del palazzo, intento ora a parlare con aria pigra con un paio di signore di mezz'età. Si chiese se fossero delle sue agenti. A distanza di un anno dal loro primo incontro, il dottor Redon non sapeva ancora che pensare di quell'individuo.

    Ormai aveva visto quello che gli interessava, così si girò e scivolò via, tra la folla di curiosi.

    Yann Kerleroux sorrise alle chiacchiere delle due sciocche donne, affascinate da tutto il lusso che sfilava sulla scalinata dell'Hôtel de Virville.

    Una carrozza si fermò, riversò il suo carico sulla strada e poi ripartì. Kerleroux riconobbe madame e monsieur d'Angerville, di un'importante famiglia di banchieri.

    Grazie ai poteri straordinari attribuiti alla polizia in seguito alla rivoluzione del ’70 e agli attentati degli anni successivi, l'agente aveva potuto entrare in possesso della lista degli invitati. La questura aveva bisogno dei loro nomi per garantire la sicurezza di quegli illustri personaggi, provenienti non solo dalla Francia ma anche da altre nazioni europee. Lui li aveva memorizzati ma non a tutti riusciva ad assegnare anche un volto.

    Seguì con lo sguardo il gruppo che stava salendo le scale. Il marchese Aurelien de Clercy e i suoi figli. Li esaminò con attenzione, benché ormai li conoscesse bene: li stava studiando da più di un anno. Avevano un'aria di pacata soddisfazione, come se fossero compiaciuti della loro fortuna ma in fondo non la ritenessero nulla di speciale. Come se non fosse il frutto di una cospirazione che incombeva da secoli sull'Europa intera.

    La carrozza seguente sostò più a lungo delle altre. Il primo a smontare fu un uomo sulla trentina, robusto e di altezza media, che aiutò a scendere una signora dal contegno arrogante e dalla straordinaria chioma candida. Con un atteggiamento di palese tensione, i due attesero che un secondo uomo smontasse dalla vettura e li raggiungesse sul marciapiede. Kerleroux non aveva idea di chi fossero.

    Accomiatandosi dalle due donne, si allontanò e si dirigesse verso il lato opposto della strada. Il vagabondo si era acceso un mozzicone di sigaro contorto, che sembrava recuperato da terra. Kerleroux gli rivolse l'occhiata sdegnosa che un borghese perbene riserverebbe a un rifiuto della società. Solo lui e i più curiosi tra i gendarmi che controllavano la via sapevano che sotto quella giacca lisa si nascondeva il viceispettore Balanger. «Sapete chi sono?» mormorò.

    «Aristocratici russi» biascicò l'altro, senza degnarsi di togliere la cicca dalla bocca. «Il principe Balanov e sua madre. Il terzo è un pittore, russo pure lui.»

    Kerleroux annuì, ricordando di aver visto i nomi sulla lista.

    «Mi meraviglia che siano venuti» proseguì il vagabondo. «C’è una vecchia ruggine con il resto dell’organizzazione, ma non siamo riusciti a scoprirne il motivo.»

    «Qualcos’altro d’interessante?»

    «Il vecchio principe e i figli di primo letto sono stati sterminati in una rivolta contadina, trent’anni fa. Una strana storia.»

    Kerleroux proseguì per la sua strada, meditando sull’informazione. Era la prima volta che sentiva fare il nome dei Balanov, ma la sorte di quella famiglia non costituiva una rarità, nel gruppo di cui da un anno stava seguendo le tracce. Al contrario, le morti violente sembravano piuttosto frequenti. Doveva approfondire la questione.

    Estrasse l'orologio da tasca e controllò l'ora. Simon doveva ormai aver eseguito il lavoro. Era tempo d'andare.

    Quando il gruppo proveniente dall'Hôtel De Clercy entrò nella sala, questa era già gremita e la festa in pieno svolgimento.

    Al suo ingresso con la nipote sottobraccio, l’alta figura canuta fu accolta da un brusio quasi reverenziale.

    «Non mi spiego il motivo di tanta deferenza» considerò una signora rivolgendosi alla sua vicina. «Quell’italiano non possiede alcun titolo nobiliare.»

    La baronessa Korda accettò il bicchiere di champagne offertole da un cameriere. «Il professor Coulter è un eminente studioso. È un onore per Armand, averlo come ospite.»

    «Appunto, è solo un borghese» replicò l'altra, sprezzante.

    Che disgrazia dover vivere in un'epoca così civilizzata, pensò l'anziana baronessa, portandosi il bicchiere alle labbra. Un tempo, quei sangue morto non sarebbero stati invitati ai loro ricevimenti. Smise di ascoltare e seguì con lo sguardo il duca de Virville che avanzava per accogliere Stanis Coulter nella sua casa. Il Vecchio Lupo sembrava ancora in gamba. Il duca, invece, sotto la patina di cortesia celava un fondo d'agitazione. Chissà perché.

    Il duca de Virville si guardò attorno con le sopracciglia aggrondate. Una cosa che, si rese conto la duchessa Marie, aveva continuato a fare per tutta la serata. «Che succede?» bisbigliò, rivolgendo un sorriso irrigidito a un’ospite che si allontanava all’interno della sala. «C'è qualche problema?»

    «È il tuo Favennec, il problema.»

    Al nome del segretario privato del marito, la duchessa sollevò lo sguardo al cielo. «Che altro ha combinato, quella giovane canaglia?»

    Lontano parente della duchessa, Paul Favennec aveva un suo entusiastico modo di affrontare la vita che mal si accordava con la serietà delle proprie mansioni.

    «Non si fa vedere da stamattina. Proprio quando avevo più bisogno di lui.»

    Lei si strinse nelle spalle. «Sarà corso dietro a una gonnella. Non sarebbe la prima volta.»

    «Già» borbottò il duca di malumore. «Ma sta' sicura che sarà l'ultima.»

    Camminando al fianco del nonno, Maura cercò di temperare con una punta d’ironia la consueta sensazione di essere una principessa al braccio di un sovrano. Uno che aveva rinunciato al trono, in questo caso, ma sembrava che per gli ospiti non facesse alcuna differenza. Chissà che ne avrebbe pensato Lars, che aveva ricevuto dal nonno il peso e l’onore del potere.

    A suo fratello avrebbe giovato partecipare all’annuale festa dei de Virville, pensò, esaminando le ragazze da marito allo stesso modo in cui altre donne più anziane stavano esaminando lei. Era tempo che dimenticasse Margot, mettesse da parte i suoi sensi di colpa e si risposasse.

    Dietro di loro, al braccio di suo padre, anche Sophie osservava le reazioni degli invitati. Le chiacchiere, le risate, il tintinnio dei cristalli, l’ondeggiare delle candele negli antichi lampadari, tutto concorreva a creare quell’eccitazione così peculiare dei ricevimenti… e che tuttavia non era sufficiente a spiegarla. Non del tutto. Era come se una corrente selvaggia sovrastasse le sale affollate di persone eleganti; un’emozione primitiva che s’impadroniva dei presenti, rendendo inutili gli artifici con cui di solito cercavano di stimolare i propri sensi. Non meravigliava che l’invito al ballo fosse tanto ambito: non se ne svolgeva uno simile in tutta la Francia, anche se pochi ne comprendevano il motivo.

    «Spero che quest’anno ci sia qualcuno d’interessante per Maura» disse coraggiosamente, mentre fendevano senza problemi la folla.

    Aurelien de Clercy chinò la testa, sfiorando con la fronte i voluminosi riccioli con cui sua figlia cercava di aumentare di qualche centimetro la propria statura. «Io spero che ci sia qualcuno d’interessante per te , mia cara» mormorò. E con un ammicco degli occhi chiari indicò di lato, verso un gruppo di giovanotti impegnato a fingere di ignorare che era appena arrivato il re della festa.

    Sophie seguì il suo sguardo, poi lo distolse, attirata da un gruppo vicino. Dirk Heller, una sorta di snella pantera dal manto lucido, le guance segnate da due cicatrici verticali e gli occhi guizzanti alla ricerca di una preda compiacente, le rivolse un cenno del capo. La ragazza si strinse al braccio del padre, cercando di trattenere un brivido di eccitazione. Con un soprassalto del coraggio che spesso invidiava alla cugina, decise che quella sera gli avrebbe concesso un ballo.

    «Quanto ci dobbiamo trattenere?» chiese Maura, chinando il capo in direzione di una signora anziana che si stava esibendo in un inchino cerimoniale, sotto gli occhi stupiti di alcuni ospiti. Le tremavano le gambe per la debolezza, e aveva ancora lo stomaco sconvolto per quanto era successo solo un paio d'ore prima. Questo sembrava influenzare la sua capacità di continuare a sorridere.

    «Per tutto il tempo necessario.»

    L’asciutta risposta del nonno le tolse ogni speranza.

    Lo stesso Stanis Coulter non gradiva quelle serate, che esigevano molto alle sue forze declinanti. «Invece di sospirare, perché non ti guardi intorno alla ricerca di un marito?» chiese seccamente.

    «Io non ho sospirato!» protestò Maura.

    «Sì che l’hai fatto. In qualche modo» sorrise lui, consapevole della contrarietà della nipote. Era il genere d’ingerenza che lei detestava, e cui il vecchio non riusciva a rinunciare del tutto. Non finché le sue facoltà glielo consentivano.

    Era stato duro lasciare il bastone del comando, fosse pure nelle mani dell’uomo che riteneva più adatto, dopo averlo tenuto per tanto tempo. Mentre la rapidità di pensiero, la fine capacità di percezione, l'abilità quasi sovrannaturale di collegare vari elementi in un tutto unico erano rimaste pressoché immutate, altre facoltà avevano iniziato lentamente a declinare, per poi abbandonarlo del tutto. Ora era il tempo dei giovani di governare, dirimere le contese e punire. Era il tempo di Lars. Di Roman, forse. Un giorno.

    Anche Maura avrebbe dovuto rassegnarsi, e accettare il posto che la sua condizione e la tradizione le destinavano. Mentre lui, come una divinità benevola, avrebbe continuato a vegliare su di loro… ancora per un numero infinito di anni.

    Una secca risata femminile lo risvegliò dai suoi sogni a occhi aperti. Si girò di scatto verso la nipote. Era lei che stava ridendo, con il ventaglio aperto davanti al volto e lo sguardo rivolto altrove.

    «Non osare» sibilò.

    La giovane donna sollevò un sopracciglio. Senza replicare, sfilò il braccio dal suo e, con un inchino di congedo, si allontanò in direzione di alcune ragazze che avevano costituito un piccolo circolo di chiacchiere e risatine.

    Impudente, pensò il vecchio, mentre un sorriso gli stirava appena un angolo della bocca.

    «Non è meraviglioso?» stava dicendo una brunetta dal volto rotondo pieno di fossette. «Quest’anno sembra che ci sia tutto il mondo!»

    Le amiche attorno a lei erano tutte del sangue, così nessuna finse di equivocare.

    «Sì, il duca è riuscito a scovare fratelli di ogni razza e nazione» replicò un’altra. Poi, torcendo il nasino all’insù: «Ma confesso che non mi piacerebbe sposare qualcuno che non condividesse le mie stesse convinzioni religiose.»

    «Non mi sembra che sia mai stato un ostacolo.» L’arrivo di Maura Coulter ruppe la continuità del circolo, che si allargò per includerla al suo interno.

    Le ragazze erano tutte più giovani di lei, e alcune partecipavano al ballo per la prima volta. Maura cercò di respingere la sensazione che quello non fosse il suo posto.

    «No» replicò la brunetta, avvampando all’emozione di avere una Coulter tra loro. «Però non crede che sia preferibile che tra i coniugi esista una certa compatibilità? L’alternativa può essere…» Si fermò, esitando.

    «Devastante» terminò per lei Maura. «È vero.»

    Per un istante i pensieri di tutte si soffermarono sul tragico matrimonio di Lars Coulter, per poi distogliersene, distratti di nuovo dalla quantità di uomini interessanti che riempiva la sala.

    «Peccato che i suoi fratelli non partecipino al ballo» sospirò Leonie Montjan, la brunetta.

    «Lars aveva un impegno di lavoro, e Roman è ancora in Africa» rispose Maura. «Però ci sono molti altri gentiluomini provenienti da tutta Europa.»

    «E anche da più lontano.»

    «Ci sono anche molti sangue a metà» mormorò una delle ragazze più grandi, corrugando le sopracciglia. «Non capisco perché il duca continui a invitarli. Come se qualcuna di noi possa essere interessata ad allacciare rapporti con uno di quelli

    «Sono anche loro della Famiglia» disse Maura, girandosi istintivamente a cercare Sophie con lo sguardo.

    All’ingresso della sala si stava creando del movimento, che, come una marea, respingeva indietro le persone che ancora si attardavano in chiacchiere e presentazioni. Una piccola zona si liberò davanti ai nuovi arrivati e Maura vide una signora dai capelli bianchi, in uno sfarzoso abito nero la cui scollatura rivaleggiava con la sua. Era accompagnata da due uomini, uno molto alto e l’altro di media statura. Quanto questi aveva un aspetto amabile e bendisposto, tanto l’altro sembrava procedere su una nube di superbia. Camminava con la testa eretta e lo sguardo fisso avanti, senza prendere atto della curiosità che la sua comparsa stava suscitando. Il volto asciutto dagli zigomi alti e gli occhi dal taglio allungato suggerivano un’origine orientale, smentita dai capelli d’un biondo molto chiaro. Uno slavo, dunque, pensò Maura, prima che una ragazza accanto a lei, boccheggiando quasi dall’emozione, confermasse la sua intuizione.

    «Oh mio Dio» balbettò, rivolgendosi poi con voce trillante alle sue compagne: «Il duca ha invitato i Balanov!»

    Maura strinse le labbra e, con apparente indifferenza, si girò, dando le spalle ai nuovi arrivati.

    Maksìm Balanov si fermò appena oltre la soglia della sala di ricevimento. La fitta cortina di emozioni intessuta dalle centinaia d’invitati si presentava simile a una sostanza indifferenziata, vischiosa, che opponeva resistenza. Vincendo il ribrezzo, si costrinse ad avanzare.

    Con i denti stretti per combattere la tentazione di abbandonare all’istante la sala, si sforzò di concentrarsi su un ridotto bouquet di emozioni e di isolarsi da tutto il resto. Percepì qualcosa simile allo scintillio di piccoli fuochi artificiali, sensazioni superficiali che correvano rapide, mutando altrettanto rapidamente. Sulle labbra gli guizzò un sorriso divertito. Ragazze. Ragazze eccitate che si agitavano al suo passaggio. Poi, qualcosa di scuro e forte, una barriera rocciosa dai fianchi scoscesi che non consentivano appigli. Sollevò le sopracciglia, sconcertato. Prima che potesse fare domande, fu raggiunto da un'educata voce maschile, il cui rispetto era però venato da un forte elemento di cautela.

    «Principe Balanov, principessa… Monsieur Volikov. È un grandissimo onore avervi alla nostra riunione.»

    «Quando avete accettato l’invito ero così emozionata da non riuscire quasi a crederci.» Da come l’aria vibrava attorno alla duchessa de Virville, doveva proprio essere vero. «Però temevo che non riusciste a raggiungerci in tempo.»

    Maksìm chinò il capo in un saluto. «Mia madre m'incoraggiava da anni a partecipare al ballo, ma i miei impegni me l’hanno sempre impedito. Visto che ne sono stato sollevato, il vostro invito è giunto molto gradito.»

    La duchessa rise, per superare l’imbarazzo. «Posso presentarle…»

    Lui la interruppe prima che proseguisse. Non aveva voglia di essere trascinato per le sale come una specie di trofeo difettoso. «La ringrazio della gentilezza, ma preferisco fare un giro e guardarmi attorno da solo» replicò, senza ironia.

    «Oh, bene…» disse la donna, dopo una pausa infinitesimale. «Come preferisce, naturalmente. Il ballo inizierà tra pochi minuti. Se invece la principessa volesse accompagnarsi a me, sarei molto lieta di farle da interprete. Le mie ospiti sono tutte ansiose di conoscerla.»

    La sua voce rimase sospesa, come in attesa di qualcosa. Quando la madre rispose, Maksìm avvertì l'ondata di furiosa indignazione celata dalle parole, e il successivo sussulto della loro ospite. «La sua gentilezza è davvero squisita.»

    Lui le strinse leggermente il braccio, intimandole la prudenza, poi la lasciò andare. Per molti europei, e in special modo per quelli che riempivano l'Hôtel de Virville, i russi erano considerati ancora poco più che dei barbari. Sua madre non aveva certo bisogno di un'interprete, per parlare il francese che aveva imparato ancora prima della sua lingua.

    «Non posso fare a meno di notare che nessuno si è offerto di presentare in giro me » intervenne Sergej in tono di scherzosa contrarietà, dopo che la principessa e i loro anfitrioni si furono allontanati. «Mi chiedo per quale motivo.»

    «Forse si sono resi conto di che noioso personaggio tu sia.»

    «E non hanno ancora sentito il mio francese!» rise l’altro. «Bene, possiamo dedicare il nostro tempo a quel famoso giro, adesso.»

    «Già. E direi di cominciare da quel gruppetto di graziose ochette che dovrebbe stare proprio qui di fronte.»

    Era la prima volta che Maura incontrava un Balanov, ma naturalmente li conosceva di nome e di fama. Quella famiglia era stata una spina nel fianco dei Coulter per almeno un paio di secoli.

    Per molto tempo la capacità d’espansione della loro stirpe era stata limitata dalle stesse condizioni che rendevano precaria l’esistenza degli altri. Carestie, difficoltà di spostamenti, epidemie. Adesso, con i collegamenti veloci, il mondo era diventato più piccolo e gruppi di fratelli erano emigrati in ogni angolo del pianeta, senza possibilità di impedirlo. Il tentativo di tenere la stirpe raggruppata in un’unica zona, per facilitarne il controllo, era stato superato da un progresso il cui rapido incalzare non era prevedibile, e che allentava i legami con il nucleo originario.

    I Balanov avevano in qualche modo precorso i tempi. Quando nel XVI secolo un primo gruppo di fratelli, guidato dal suo comandante, aveva abbandonato l’Europa per inoltrarsi nelle steppe dell’Asia, si era creata una frattura mai completamente ricomposta. Per molto tempo i rapporti tra l’uno e l’altro gruppo erano rimasti tesi, fino a sfociare in un aperto contrasto che aveva causato molte vittime. I Balanov intendevano la loro superiorità sull’umanità in maniera letterale, e tale da non essere più a lungo tollerabile.

    Maura non conosceva la storia in maniera approfondita: i resoconti che i suoi parenti maschi facevano delle loro operazioni davanti alla parte femminile della famiglia non erano mai dettagliati. Sapeva però che circa trent’anni prima suo padre e suo nonno erano partiti per la Russia, e che in seguito il nome dei Balanov aveva cessato di essere menzionato.

    E ora, ecco che due di loro comparivano alla riunione annuale all'Hôtel de Virville.

    Cosa aveva avuto in mente, il duca, nell’invitarli? Ed era davvero stata sua, l’idea? Di gran parte di ciò che accadeva nel loro mondo, era responsabile Stanis Coulter… con buona pace di Lars, che si era caricato di un fardello sfuggente e difficilmente controllabile. Si girò sospettosa a cercare il nonno, ma non riuscì a vederlo. Doveva essersi infilato in qualche saletta con i suoi vecchi amici, a fumare il sigaro e rivangare antichi ricordi. Inadatti alle orecchie delle dame, probabilmente.

    L’orchestra, nella sala adiacente, iniziò a suonare un brano tratto da un’opera lirica. Era l’avvertimento, per chi desiderava parteciparvi, che stavano per iniziare le danze. Maura vide la principessa Balanova allontanarsi assieme alla ciarliera duchessa Marie, che sembrava insolitamente a disagio. Girò lo sguardo verso i due gentiluomini abbandonati, e, così facendo, incrociò lo sguardo ammirativo dell’amico del principe.

    «Sei sicuro di volerti tuffare in quel lago?» chiese Sergej, lanciando uno sguardo scoraggiato al circolo di ragazze -graziose, ma tutte molto giovani. A un passo appena di distanza dalle gonne corte e le trecce, avrebbe detto, senza troppa esagerazione. «È pieno di pesciolini guizzanti a pelo d’acqua e, da quel che posso giudicare, temo che l’oggetto di tanta eccitazione

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