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Cedere all'amore
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E-book170 pagine1 ora

Cedere all'amore

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Info su questo ebook

Anne Lanier è una giovane e intraprendente fotografa, venuta in Camargue per immortalare degli splendidi cavalli allo stato brado. Una sera, mentre è appostata in attesa del loro passaggio, viene aggredita brutalmente da un uomo misterioso che, non appena capisce di avere a che fare con una donna, interrompe l'assalto, si scusa impacciatamente e fugge via. Ben presto però, l'irritazione di Anne per l'incidente si trasforma in ossessione.
Maria Masella (1948) è una scrittrice italiana. Conosciuta soprattutto come giallista bestseller, è inoltre autrice romance di grande successo, conosciuta anche con gli pseudonimi Mary M. Riddle e Ella Mari. Il lato rosa della sua produzione si inserisce all'interno dell'opera della generazione di autrici romance italiane formatasi intorno alla collana Mondadori "I Romanzi", composta da Mariangela Camocardi, Roberta Ciuffi, Paola Picasso, Maria Teresa Casella, Miriam Formenti e Ornella Albanese, che ha contribuito a fare da ponte tra il romanzo rosa italiano tradizionale e quello contemporaneo.
LinguaItaliano
Data di uscita13 mag 2024
ISBN9788727035635

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    Anteprima del libro

    Cedere all'amore - Maria Masella

    Cedere all'amore

    Immagine di copertina: Midjourney

    Copyright © 2024 Maria Masella and SAGA Egmont

    All rights reserved

    ISBN: 9788727035635 

    1st ebook edition

    Format: EPUB 3.0

    No part of this publication may be reproduced, stored in a retrieval system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.

    www.sagaegmont.com

    Saga is a subsidiary of Egmont. Egmont is Denmark’s largest media company and fully owned by the Egmont Foundation, which donates almost 13,4 million euros annually to children in difficult circumstances.

    Capitolo Primo

    Anne era in attesa. Il sole basso all’orizzonte era un disco arancione ancora perfetto che colorava d’oro gli stagni d’acqua salmastra e i cespugli d’erbe selvatiche, ma entro pochi minuti si sarebbe appoggiato alla terra e quella perfezione sarebbe scomparsa.

    Sembrava che tutto il mondo fosse in attesa, anche gli uccelli selvatici si erano posati e tacevano. Neppure un suono incrinava il silenzio, come in un teatro l’attimo prima di una rappresentazione importante.

    La giovane donna era arrivata per tempo nel luogo prescelto e, fermato il fuoristrada, aveva percorso a piedi gli ultimi chilometri seguendo sentieri appena accennati. Aperta la sacca di tela con l’attrezzatura, si era tolta il giaccone di crosta per esser più libera nei movimenti e si era sdraiata bocconi, incurante della sabbia e delle erbe lacustri.

    Sapeva perfettamente cosa aspettare: un primo nitrito, poi un secondo in risposta. La medesima scena si ripeteva da tre giorni: al tramonto i due cavalli, un maschio e una femmina, arrivavano insieme da direzioni opposte e si dirigevano uno contro l’altro al galoppo, per poi deviare proprio all’ultimo istante.

    Controllò ancora una volta di avere a portata di mano tutto il necessario: se voleva fare quello per cui era venuta fin lì, non aveva un secondo da sprecare. Non era la prima volta che lavorava in condizioni simili, ma era ugualmente nervosa. Cercò di rilassarsi e di non pensare a nulla, perché i suoi occhi e le sue mani sapevano cosa fare; tutto il resto non aveva importanza.

    Con gesto noncurante, ma senza distogliere gli occhi da quella striscia di terreno scoperto fra gli stagni, controllò che il fermacapelli di cuoio trattenesse la treccia bionda alla nuca, accostò il colletto della camicia di denim per difendersi dall’umidità e passò la mano sui calzoni di tela per togliere ogni residuo di terriccio dal palmo.

    Il colpo fu così improvviso e violento da toglierle il fiato. Un corpo più pesante del suo la premeva contro il terreno immobilizzandola, mentre una mano le afferrava il polso facendole lasciare la macchina fotografica.

    Anne avrebbe voluto gridare ma non aveva il fiato per farlo. Aveva avuto brutti incidenti, prevedibili con il suo lavoro, ma mai si era sentita così impotente. Cercò di voltarsi, per vedere il nemico in faccia, ma la mano che le stringeva il polso era così forte da bloccarla.

    Si impose di restare calma e di ragionare, mettendo a frutto quanto aveva imparato al corso di autodifesa. Scalciò per sbilanciare l’assalitore. Che improvvisamente la lasciò.

    Tutto era durato solo due o tre minuti al massimo, ma già i cavalli nitrivano e si allontanavano spaventati senza dedicarsi al loro gioco preferito.

    Anne si sollevò in piedi e si volse verso il suo assalitore: per la prima volta in vita sua provava istinti omicidi.

    Lui era alto, lei con il suo uno e settanta gli arrivava appena alle spalle; certo che sotto il suo peso si era sentita soffocare! Il viso, controluce, non aveva lineamenti ed era solo una maschera scura d’ombra.

    Stava immobile, con le braccia abbassate: come se ogni intenzione aggressiva si fosse dileguata di colpo, senza una spiegazione logica, come era cominciata.

    Mentre Anne fissava lo sconosciuto il sole concluse la sua corsa e il viso dell’uomo cominciò a delinearsi. Aveva i lineamenti forti e decisi, ma non sembrava uno zingaro né un vagabondo; sembrava terribilmente a disagio.

    — Mi scusi.

    — Ma è impazzito! — La giovane donna alzò gli occhi a incontrare quello sguardo che poco alla volta si rivelava.

    — Non volevo farle male.

    Anne non sapeva cosa dire, era in collera ma avrebbe anche voluto fare qualcosa per cancellare la strana espressione dagli occhi di lui. Così si chinò e recuperò la macchina fotografica: no, non sembrava che avesse subito danni. Mi sono presa una bella botta, si disse, ma la macchina è salva!. La macchina era salva ma il servizio era andato in fumo per colpa di quel matto.

    — Ma è impazzito! Sono giorni che studio per fotografare quei due cavalli. E lei…

    Non riuscì a continuare, perché la collera le toglieva il fiato.

    Lui avanzò di un passo e subito arretrò.

    — Ho frainteso le sue intenzioni, — esitò. — Non volevo ostacolare il suo lavoro. Non mi ero reso conto che lei era una donna. Appena ho visto quella, — dicendolo indicò la treccia ricadente sulla schiena. — Ho capito e ho smesso. E per la macchina stia tranquilla, ho intenzione di provvedere per pagare eventuali danni.

    — La macchina, la macchina. Va bene è importante. Ma voglio sapere perché l’ha fatto. Penso di avere il diritto di saperlo! — rendendosi conto lei stessa di aver quasi urlato l’ultima frase, si interruppe.

    L’uomo la guardò come se fra loro ci fosse una barriera, come se appartenessero a due mondi diversi.

    — Perché? Che cosa le è capitato? — ripeté Anne e senza pensarci allungò una mano verso di lui.

    — No.

    Lui aveva pronunciato quell’unica parola in tono definitivo e lei lo fissò smarrita.

    — No? Cosa vuol dire no?

    Ormai la collera di Anne era scivolata via ed era subentrato qualcos’altro. L’espressione di quel viso, il modo in cui quell’uomo le stava davanti le dava i brividi: paura come davanti a un precipizio o al mare in burrasca. Ed eccitazione, sentiva il sangue scorrerle veloce nelle vene e da tanto non le accadeva. Aveva sempre avuto abbastanza autocontrollo da troncare sul nascere situazioni pericolose, ma questa volta era stata colta di sorpresa.

    — No, non ha alcun diritto di sapere perché l’ho aggredita. Me ne scuso: è stato un errore. Ma il motivo per cui l’ho fatto non la riguarda.

    — Mi riguarda.

    Lui non rispose e si girò di scatto.

    Anne gli lanciò dietro la sua protesta:

    — E i miei lividi? Anche quelli non mi riguardano?

    Fu un’impressione di Anne o lui alzò le spalle come per dire che era una cosa senza importanza?

    Lo guardò allontanarsi, nonostante il buio e il terreno sconnesso e scivoloso: il suo passo era sicuro e sciolto, come se lui conoscesse quei luoghi a palmo a palmo. Lo seguì con lo sguardo fino a quando lui fu solo un’ombra più scura e faticò a distogliere gli occhi dalla radura che l’aveva accolto nella sua ombra.

    Devo ritornare alla realtà, si disse Anne e si diresse verso il fuoristrada.

    Doveva fare presto, era ormai quasi completamente buio ed era freddo: appena arrivata in albergo avrebbe fatto un bel bagno caldo, si sentiva stanca e sporca.

    Finalmente rientrò nel sentiero principale e si fermò a riprendere fiato.

    Nonostante la brutta avventura di poco prima non poté impedirsi di cogliere l’incanto del luogo e dell’ora. Era una notte fuori del tempo: il cielo senza stelle era uno specchio di ossidiana, il vento portava il sapore salso del mare e faceva frusciare le erbe selvatiche, tamerici e salicornie.

    La presenza degli uccelli, il battito delle ali e i richiami e il nitrito dei cavalli bradi sottolineavano il silenzio.

    I sensi della giovane donna erano all’erta e nella breve sosta sentì qualcosa e cercò di concentrarsi: un cavallo, un cavallo ferrato, il suono dei rami spezzati.

    Si mosse e i suoni la seguirono, si fermò e i suoni si fermarono: come se qualcuno la seguisse rimanendo a distanza. Per fortuna il fuoristrada non era lontano.

    Più andava avanti e più diventava forte la sensazione di essere seguita: finalmente arrivò all’auto e mentre la avviava sentì un nitrito più vicino degli altri.

    Si girò appena in tempo per vedere il suo aggressore passarle accanto al galoppo. Di certo quel tipo sapeva stare in sella!

    Arles non era lontana, Anne sapeva che anche guidando con calma in un’ora sarebbe arrivata, non era il caso di avere sciocchi timori, ma la curiosità diventava sempre più forte: perché quell’uomo l’aveva seguita?

    Alzò le spalle, dicendosi che aveva altro a cui pensare: aveva spaventato i due cavalli, anzi lui li ha spaventati e ora chissà quanti giorni ci sarebbero voluti prima che ricominciassero a giocare!

    E la macchina fotografica, chissà se davvero non aveva subito danni. Con quello che le era costata. E poi ormai la conosceva, era quasi una parte di lei.

    Entrando in albergo la giovane donna notò le occhiate del personale e degli altri clienti; avevano ragione: era tutta sporca di terra. Ma non è colpa mia, si disse, se sono servita da bersaglio a un pazzo che ha deciso di provare su di me una presa da rugby.

    Alzò le spalle e continuò per la sua strada, rispondendo con un cenno al saluto di Blanche Rasin, la proprietaria, che come al solito dal suo salottino non perdeva di vista il via vai dei clienti e del personale.

    Arrivata in camera il suo primo pensiero fu per la macchina: la posò sul letto e cominciò a esaminarla pezzo per pezzo, sentendosi sempre più sollevata.

    Quando vide la sottile incrinatura avrebbe urlato per la collera, invece si ritrovò gli occhi pieni di lacrime.

    Si passò le mani sul viso e si ordinò di smetterla e di non fare la sciocca, perché era capitato altre volte che la macchina subisse dei danni ed era sempre riuscita a rimediare.

    Aprì l’acqua della vasca, versando una dose generosa di sali e si spogliò, sperando di sentirsi meglio dopo un bel bagno. Anche se sapeva che non sarebbe stato vero del tutto: la macchina era parte di lei.

    Per completare l’opera aveva perso il fermaglio di cuoio che usava per trattenere la treccia, doveva esserle caduto durante l’aggressione.

    Mentre stava rilassata nell’acqua calda e profumata del bagno si chiese ancora una volta che significato poteva avere quell’incidente.

    Lo sconosciuto l’aveva inchiodata a terra e subito l’aveva lasciata libera, si era scusato ma si era rifiutato di fornire spiegazioni. Poi l’aveva seguita a cavallo fino al fuoristrada, ma restando sempre a una discreta distanza e mostrandosi solo all’ultimo momento.

    Tutto l’incidente era pieno di contraddizioni. Ma anche l’uomo era misterioso.

    Dalla voce e da come parlava era di certo una persona abbastanza istruita, ma si era comportato come un selvaggio. L’aveva colpita senza riguardi e l’aveva tenuta contro il terreno. Era agile anche se muscoloso: un uomo in perfetta forma, ne aveva sentito i muscoli lunghi e forti e le mani grandi. Ma il suo viso era quello di chi sa nascondere le proprie emozioni e i propri pensieri.

    Durante la notte Anne continuò a svegliarsi e a controllare l’ora, mentre i brevi intervalli di sonno furono occupati da incubi.

    Forse erano più sogni strani che incubi: un uomo senza volto la stava guardando e le parlava ma lei non capiva le parole. Così cercava di fotografarlo per scoprire il mistero ma non trovava la macchina. Si chinava a cercarla e per poco non veniva travolta da un cavallo.

    Ogni volta si svegliava risentendo nel corpo l’impronta di quello dell’uomo che l’aveva aggredita.

    Alle sei, esasperata, si alzò. Alla luce scoprì il mistero del sogno: due bei lividi, uno nel braccio, poco sopra il gomito, l’altro a un fianco.

    Aprì lo scomparto della sacca da viaggio in cui teneva il suo pronto soccorso e si passò un po’ di unguento sui lividi. Glielo aveva consigliato tanti anni prima un fantino, non era facile trovarlo e non aveva un buon odore, ma faceva guarire in fretta.

    Si coricò di nuovo e si riaddormentò all’istante; si svegliò

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