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L'altro uomo
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E-book182 pagine2 ore

L'altro uomo

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Info su questo ebook

Londra, 1839. La duchessa Jennifer di Rutherford non è disposta a rinunciare a una passione travolgente, anche se questo comporta tradire il marito. Ma quando il suo amante - stremato dal peso dei segreti e dei sotterfugi - decide di uscire allo scoperto, Jennifer dovrà scegliere una volta per tutte cosa la rende davvero felice.
"Ombre Rosa" è una collana e insieme un viaggio alla riscoperta di un'intera generazione di scrittrici italiane che, tra gli anni Settanta e gli anni Duemila, hanno posto le basi del romanzo rosa italiano contemporaneo. In un'era in cui finalmente si colgono i primi segnali di un processo di legittimazione di un genere letterario svalutato in passato da forti pregiudizi di genere, lo scopo della collana è quello di volgere indietro lo sguardo all'opera di quelle protagoniste nell'ombra che, sole, hanno reso possibile arrivare fino a questo punto, ridando vita alle loro più belle storie d'amore.
LinguaItaliano
Data di uscita27 mag 2024
ISBN9788727148359
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    Anteprima del libro

    L'altro uomo - Theresa Melville

    L'altro uomo

    Copyright ©2022, 2024 Theresa Melville and SAGA Egmont

    All rights reserved

    ISBN: 9788727148359 

    1st ebook edition

    Format: EPUB 3.0

    No part of this publication may be reproduced, stored in a retrieval system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.

    www.sagaegmont.com

    Saga is a subsidiary of Egmont. Egmont is Denmark’s largest media company and fully owned by the Egmont Foundation, which donates almost 13,4 million euros annually to children in difficult circumstances.

    Capitolo 1 - la Duchessa di Rutherford

    Pur nella confusione di un ricevimento che contava cinquecento invitati, Vittoria osservava ogni cosa con attenzione; non le sfuggiva un ghigno malizioso, un volto corrucciato, un silente ammiccamento.

    Pacata nei modi e dotata di una intelligenza acuta e vivace, rivolgeva morbidi sorrisi ai sudditi dal trono dorato rivestito di damasco rosso. Nel portamento, nel volere a volte capriccioso conseguenza della giovane età, nel sussiego di gesti e di sguardi ora benevoli, ora sfuggenti, era sovrana. Ma il cuore apparteneva ad una giovinetta di vent’anni, la cui passione doveva essere sacrificata al sommo incarico.

    Erano passati due anni dal giorno in cui Vittoria era stata incoronata regina d’Inghilterra nell’abbazia di Westminster, e c’era voluta una lunga quanto impegnativa opera di convincimento per persuaderla della necessità di prendere marito. Si pensava che avesse tentennato perché aveva lui nel cuore: il Primo Ministro, il consigliere, l’amico, Lord William Lamb visconte di Melbourne. Ma così non era.

    La giovane regina, pur non essendo indifferente al fascino di Melbourne, era consapevole di dover sposare un uomo rappresentativo e consono al proprio rango, un uomo irreprensibile, il degno padre dei futuri eredi al trono d’Inghilterra. La sua scelta era caduta sul principe Alberto di Sassonia-Coburgo, rigoroso, forte di temperamento, che avrebbe ben sopportato l’impegno di sposare una regnante, pronto a sacrificare le proprie esigenze per quelle di lei. Si sarebbero sposati nel febbraio dell’anno successivo nella cappella del palazzo di Saint James.

    Alla cerimonia mancavano nove mesi, e quel fastoso ricevimento era l’occasione di presentare il principe Albergo ai nobili del regno. Era il quindici maggio del 1839.

    — Povero Alberto — commentò sottovoce Lady Lorely all’orecchio dell’amica Myrna, l’anziana contessa di Houston. — Mi sembra di vederlo, tutto mogio da una parte mentre lei gli fa una sfuriata.

    — Stai parlando di un’Altezza Reale, Geraldine — ridacchiò l’altra fingendosi scandalizzata. — Abbi rispetto!

    — Tutto il mio rispetto e la mia devozione, ma sappiamo entrambe chi vorrebbe al proprio fianco la nostra Vittoria.

    — Quale donna non lo vorrebbe! Il Primo Ministro Melbourne è personalità autorevole di grande fascino… A proposito di uomini autorevoli — soggiunse la contessa di Houston osservando un gruppetto di invitati che chiacchieravano poco distanti. — Ma quello non è il duca di Rutherford con la consorte?

    — Sicuro! — replicò Lady Lorely sollevando il monocolo. — Non venivano a corte da molto tempo.

    — Che coppia strana, non è vero?

    — Perché? A me sembrano perfetti insieme: sono belli, ricchissimi, hanno un figlio delizioso. Possiedono tutto ciò che potrebbero desiderare.

    — A parte, forse, la serenità. Non l’hai notato? Lei sorride in modo artificioso, sembra che lo faccia a bella posta.

    — Però è così bella! — La nobildonna sospirò agitando il ventaglio merlettato. — Immagino che il duca le perdoni un po’ di malinconia, pur di averla con sé.

    In quel momento, lo sguardo di Jennifer Dudley duchessa di Rutherford si posò sulle due donne. Sorrise alle persone che la stavano intrattenendo e, mormorando qualcosa all’orecchio dell’uomo cui dava il braccio, si incamminò verso di loro.

    — Sta venendo a salutarci — mormorò Geraldine. — Avevi ragione, Myrna: è davvero bellissima. E che portamento!

    La duchessa di Rutherford camminava facendo ondeggiare l’ampia veste di seta grigio perla; i capelli neri erano intrecciati sul capo a fili di perle, con qualche lunga ciocca arricciolata che scendeva sul collo. L’abito lasciava scoperte le spalle, sulle quali si annodavano due grandi fiocchi ricascanti che sfioravano le braccia nude. Il colore del vestito, un grigio chiaro che pareva d’argento, ben si accompagnava al candore della pelle, ai capelli scurissimi e agli occhi di un blu profondo.

    Piuttosto alta di statura, con un fisico slanciato dalle forme ben delineate, Jennifer incarnava a venticinque anni un ideale di bellezza pura e raffinata. Molti provavano soggezione al cospetto di tanta avvenenza e la giudicavano superba, ma, chi la conosceva, sapeva quanta dolcezza si celasse sotto l’apparente alterigia.

    — Carissime! — esordì Jennifer chinandosi per baciare sulle guance le due anziane contesse sedute su un divanetto ai margini della sala. — Sono così contenta di rivedervi!

    — Vostra Grazia, siete uno splendore. Come state? Stavamo appunto dicendo che era un po’ che non vi si vedeva a palazzo.

    — Io sto bene, Lady Lorely, vi ringrazio. Purtroppo, il mio Sean ha preso una brutta infreddatura; quand’è malato, non mi sento di lasciarlo.

    Il figlio di Jennifer e Adam Rutherford, Sean, aveva cinque anni. Era un bambino allegro e intelligente, ma cagionevole di salute; si ammalava di frequente e rappresentava una fonte di continue ansie per i genitori.

    — Povero piccino! — esclamò la contessa di Houston. — Ora sta meglio?

    — Da due notti dorme tranquillo, anche se è ancora debole; la tosse è diminuita grazie ai cataplasmi, ma non potete sapere che pena mettergli sul torace quegli impiastri fumanti.

    — Con il tempo il suo fisico si rafforzerà, bisogna aver pazienza — la incoraggiò la contessa, per poi sorridere all’indirizzo dell’uomo che avanzava verso di lei. — Oh, ecco il duca di Rutherford!

    — Lady Houston, Lady Lorely — esordì l’uomo inchinandosi con eleganza per salutare le due nobildonne. — Lieto di vedervi.

    Il suo tono di voce era paragonabile al suo modo di sorridere: morbido, persuasivo, accattivante senza essere sfacciato. Era un uomo dalla classe innata, una dote di famiglia. Aveva quarant’anni, quindici più della moglie, ma severità e riservatezza lo facevano sembrare più vecchio. Adam era posato e riflessivo, Jennifer intraprendente e affamata di vita. Il loro era stato un matrimonio d’amore, ma qualcosa, negli ultimi tempi, sembrava offuscarlo.

    — Vi ho forse interrotte, mia cara? — chiese gentilmente alla moglie.

    — Parlavamo di Sean. Stavo appunto dicendo che è in via di guarigione.

    — La stagione calda gli sarà di giovamento, vedrete — dichiarò la contessa di Houston. — Ditemi, Vostra Grazia, come sta la duchessa vostra madre?

    — Bene, anche se ormai lascia malvolentieri la tenuta di Metterville. Sono andato a trovarla proprio la scorsa settimana e mi ha raccomandato di portarvi i suoi saluti nel caso vi avessi incontrato.

    — Ricambiate, vi prego. Anzi, ditele che le scriverò una lunga lettera e le racconterò per filo e per segno le novità di corte.

    — Ne sarà felice. Ogni volta che vado a farle visita mi fa domande in proposito, ma io non le do soddisfazione. Come sapete, non sono un gran frequentatore dei salotti.

    — Questo è un vero peccato, lasciatemelo dire! — lo rimproverò bonariamente la contessa. — Sentiamo la vostra mancanza.

    — Vi ringrazio, Milady. Ora, perdonatemi, ma Lord Melbourne intende presentarci il principe Alberto. — Così dicendo, Adam porse il braccio alla moglie. — Non vorrei farlo attendere. Volete scusarci?

    — Ma certo, andate pure. Ci vediamo più tardi a cena.

    Mentre i Rutherford si allontanavano, le due donne si scambiarono un’occhiata sospettosa.

    — Pensi anche tu quello che penso io?

    Le rispose Myrna in un sussurro: — Un altro matrimonio in bilico… Questo però resterà in piedi. I Rutherford non affronterebbero mai lo scandalo di un divorzio.

    — Tuttavia, si vede che lei non è felice — insistette Geraldine. — Quando è arrivato Adam, ha cambiato atteggiamento, l’hai notato?

    — L’ho notato eccome. Mi è sembrata irrigidirsi. D’altra parte, credo che per Jennifer tutto passi in secondo piano rispetto al bene del piccolo Sean, incluse le beghe col marito.

    — Il bambino è ad oggi l’unico erede del casato dei Rutherford, dico bene, Myrna? I fratelli di Adam, i gemelli, non sono sposati.

    — No, con grande cruccio della duchessa madre Alexandra. Diversamente dal fratello maggiore, non sembrano tagliati per la vita matrimoniale.

    — A proposito di matrimoni mancati, guarda come si pavoneggia Lady Thompson!

    — Non essere dura con lei, Geraldine. Che mai dovrebbe fare quella poveretta?

    Il caso della baronessa Thompson, abbandonata sull’altare dal promesso sposo, si pose all’attenzione delle vecchie nobildonne a scapito delle congetture sui Rutherford.

    Proprio in quel momento, il duca di Rutherford discorreva con il principe Alberto, il conte di Dorigan e il duca di Ashley.

    Jennifer presenziava in silenzio al fianco del marito, la testa appena inclinata da una parte, sul viso un’espressione amabile. Sorrideva, doveva sorridere, ma il suo pensiero era altrove.

    La coppia lasciò il palazzo reale intorno alla mezzanotte.

    Durante il tragitto in carrozza, Adam non fece che tessere lodi del principe Alberto.

    Jennifer lo ascoltava taciturna, concordando più per cortesia che per convinzione; con la sua voce nelle orecchie, guardava dal finestrino le strade illuminate dai lampioni.

    — Ti sei divertita? — le chiese d’un tratto il marito.

    — Certo, mio caro.

    — Quanto entusiasmo… — commentò l’uomo ironico. — Ti faccio presente che l’unico motivo per cui accetto questi inviti sei tu, Jennifer. Mi sottopongo a simili frivolezze unicamente per amor tuo. Sai bene che ne farei volentieri a meno.

    — E me lo devi rinfacciare ogni volta? Tanto varrebbe che andassi con un’amica.

    — È fuori discussione. Posso solo immaginare quali sarebbero i commenti di persone come le tue amiche contesse.

    — Ti ricordo che sono amiche di tua madre, Adam. La mia condiscendenza nei loro riguardi è frutto del rispetto che nutro per lei.

    — Non hai alcun obbligo verso le amiche di mia madre.

    La giovane donna sospirò senza ribattere.

    Di obblighi ne aveva in abbondanza. L’obbligo di sorbirsi tre pomeriggi a settimana la compagnia dell’anziana suocera, una donna petulante e bigotta che non faceva altro che raccomandarle di tenere alto il nome dei Rutherford. L’obbligo di rifiutare ogni invito le amiche rivolgessero a lei sola, perché Adam non gradiva che frequentasse i salotti senza di lui. L’obbligo di abitare in un palazzo principesco arredato come un museo, con mobili, quadri, tappeti e argenterie che da secoli ornavano le residenze dei Rutherford: una casa che le metteva tristezza ogni qualvolta ne varcava la soglia.

    Jennifer aveva bisogno di colori, di luce, di quella intimità che la schiera di servitori che vivevano a palazzo le negavano. Era stato così fin dall’inizio del matrimonio; dopo una lunga luna di miele in giro per il mondo, era cominciata la monotonia di giornate tutte uguali. Fingere di essere felice diventava ogni giorno più difficile.

    E suo marito non era uno stupido. — Sembri contrariata.

    — No, Adam, cosa vai a pensare? — si schermì la donna. — Sono solo stanca e preoccupata per Sean.

    — Vivien ci avrebbe mandato a chiamare, se il bambino avesse avuto anche il minimo disturbo.

    — Lo so, ma spesso quella donna prende l’iniziativa e decide di agire senza interpellarmi. Questo atteggiamento non mi piace affatto. — Le tremava la voce. Trasse un gran sospiro prima di aggiungere: — Per essere franca, Adam, lo detesto.

    — Mi stupisce che la pensi così. La signorina Beaumont è una donna giudiziosa e affidabile. Dovresti essere contenta che ti liberi di qualche responsabilità.

    — Non ho molti impegni. Potrei cavarmela benissimo anche senza di lei.

    — Così vizieresti il bambino e ne faresti uno smidollato. Un’istitutrice è necessaria, e se si tratta di una persona come Vivien Beaumont, tanto di guadagnato. Ricordi quanto l’abbiamo cercata? La volevamo francese, in modo che il bambino crescesse parlando due lingue; la volevamo colta, di bella presenza, con un passato irreprensibile…

    — Nulla da eccepire su questo — lo interruppe infastidita. — Non occorre che mi illustri le doti della signorina Beaumont, le conosco a menadito. Il fatto è che la madre di Sean sono io, e vorrei essere più presente nella sua vita. Non mi sembra di chiedere troppo.

    — Devi essere davvero molto stanca — osservò Adam senza dar peso alle parole accorate della moglie. — Hai bisogno di riposo.

    Quel tono Jennifer lo conosceva bene: significava che la conversazione era conclusa. D’altronde, lei stessa non aveva alcuna voglia di discutere. Fu tentata di suggerire al marito di passare più tempo con la signorina Beaumont, magari anche le notti, dato che ne aveva una

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