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La scommessa del visconte
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E-book268 pagine2 ore

La scommessa del visconte

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Info su questo ebook

Brides for Bachelors 1

Inghilterra, 1814
Quando Lady Harriet Inskip causa involontariamente la caduta da cavallo di un misterioso gentiluomo e si appresta a soccorrerlo, non immagina che quell'intrigante cavaliere sarà anche colui che le darà il suo primo, vero bacio. Costretta ad allontanarsi in fretta, Harriet nei giorni successivi all'incidente non può fare a meno di chiedersi se e quando rivedrà l'uomo che ormai le ha rubato il cuore. L'occasione non tarda ad arrivare quando, durante il suo debutto in società, le viene presentato Lord Jack Hesketh Becconsall, maggiore dell'esercito di sua Maestà e da poco erede al titolo di visconte, Jack è un ottimo partito e, come lei, decisamente insofferente alle regole della rigida etichetta inglese. Potrebbe essere vero amore se Harriet non venisse a conoscenza di una scommessa che la riguarda e che coinvolge proprio Jack.
LinguaItaliano
Data di uscita20 mar 2018
ISBN9788858978665
La scommessa del visconte
Autore

Annie Burrows

Sposata, con due figli, ha messo a frutto la sua laurea in letteratura inglese e la sua incredibile fantasia nel creare avvincenti storie d'amore ambientate nei più diversi periodi storici.

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    Anteprima del libro

    La scommessa del visconte - Annie Burrows

    successivo.

    1

    Lady Harriet Inskip lasciò cadere la testa all'indietro e inspirò profondamente. Sentiva ancora odore di fuliggine, ma quantomeno a quell'ora del mattino non copriva del tutto gli aromi più piacevoli di erba bagnata di rugiada, cuoio e cavallo. Non importava che la luce bastasse a malapena per vedere alberi e fiori, o la curva del Serpentine, dopotutto non si era recata lì per ammirare il panorama. Si chinò in avanti e accarezzò il collo della sua cavalla. «Coraggio, Shadow, che ne diresti di farci una bella cavalcata? Finché non c'è nessuno che ci dice che non possiamo.»

    Shadow sbuffò e batté gli zoccoli sul sentiero di ghiaia per indicare che era ansiosa di sgranchirsi quanto la sua padrona. Bastò che il tallone di Harriet le sfiorasse il fianco, perché ambedue partissero al galoppo.

    Volarono sul prato a chiazze per alcuni minuti, durante i quali Harriet si sentì libera, libera come qualunque creatura vivesse seguendo soltanto l'istinto. Libera dai legami con cui la società vincolava i movimenti delle giovani.

    Poi la sua comunione pacifica con la natura fu mandata in frantumi da un suono che le fece rizzare i capelli sulla nuca mentre Shadow esitava. Il nitrito di un altro cavallo, proveniente da dietro un gruppetto di castagni. Un nitrito tanto stridulo da sembrare un grido.

    Harriet fece rallentare Shadow al piccolo galoppo. «Stai tranquilla, piccola» le mormorò, mentre l'animale ruotava le orecchie e roteava gli occhi. Shadow continuò ad agitarsi, nervosa. Harriet non poté biasimarla quando si impennò, nel momento preciso in cui uno stallone nero emerse da dietro gli alberi come una palla scagliata da un cannone.

    Da principio pensò che il cavallo fosse sfuggito al suo cavaliere, quando si avvicinò, tuttavia, scorse una sagoma nera raggomitolata sul suo dorso e un paio di gambe che gli ciondolavano sui fianchi.

    «Che idiota!» mormorò tra sé. L'uomo aggrappato allo stallone non lo aveva sellato. Forse non aveva fatto in tempo, forse stava cercando di rubare quell'animale magnifico e senza dubbio molto costoso. Di certo il cavallo sembrava intenzionato a disarcionare l'umano impertinente che aveva avuto l'ardire di cavalcarlo senza attenersi alle convenzioni. Lo stallone era appena uscito dalla macchia di alberi, come se avesse tentato di rimuovere l'estraneo dalla sua schiena, a giudicare da come cominciò a scalciare non appena si ritrovò all'aperto.

    «Che idiota!» ripeté Harriet, in quel caso a voce più alta, quando si accorse che lo stallone stava andando verso il Cumberland Gate. A quell'ora del mattino non c'era molto traffico, ma se quel cavallo, e l'idiota che lo montava, fossero usciti sulle strade, che genere di danni avrebbero potuto infliggere ai passanti innocenti?

    «Andiamo, Shadow.» Toccò con il frustino il fianco della giumenta. «Dobbiamo fermare quei due, prima che si mettano in guai seri.» Shadow non ebbe bisogno di altro incoraggiamento, adorava correre. A ogni modo, invece di tentare di affiancare lo stallone furioso, Harriet guidò Shadow in modo che la sua traiettoria incrociasse quella dell'altra cavalcatura. Anche se fossero riuscite ad affiancarla, il tentativo di afferrare le redini per fermarla avrebbe potuto avere conseguenze disastrose. Harriet era orgogliosa della sua abilità sulla sella, ma dubitava che sarebbe stata capace di sporgersi a sufficienza per afferrare le redini senza finire disarcionata. Non mentre montava ad amazzone, solo un'acrobata allenata sarebbe riuscita a compiere un gesto del genere.

    D'altra parte, sapeva che nessun cavallo ne avrebbe investito un altro, a meno che fosse impazzito per il terrore. Lo stallone nero, per quanto furioso, non sembrava in quello stato.

    Come si augurava, dopo poche iarde lo stallone notò il loro avvicinamento e virò a sinistra.

    Sfortunatamente per il suo cavaliere, lo fece in modo brusco, e l'uomo, che fino a quel momento aveva resistito ai tentativi dell'animale di disarcionarlo, scivolò di lato e cadde sull'erba con un tonfo preoccupante.

    Per un momento Harriet si chiese se porgere aiuto al cavaliere, ma l'uomo giaceva accartocciato come un fagotto, pertanto era improbabile che potesse fare molto, per lui. D'altra parte, avrebbe potuto evitare che il magnifico stallone facesse del male a se stesso o ad altri, se fosse riuscita a impedirgli di raggiungere Cumberland Gate. Ripeté la manovra, virando bruscamente a sinistra come per incrociare la traiettoria dello stallone. Ancora una volta il cavallo effettuò una manovra evasiva. Per di più, dal momento che dopo aver disarcionato il suo cavaliere era meno furioso di prima, parve non avere più bisogno di galoppare. Continuando a spronarlo a girare a sinistra, Harriet lo indusse a disegnare una circonferenza sempre più piccola, tenendosi all'esterno dell'animale. Quando tornarono nel punto in cui l'uomo giaceva immobile, lo stallone ormai aveva rallentato fino a un trotto vigoroso. Oltrepassò il corpo, dando l'impressione di essere impegnato in una danza vittoriosa, venne percorso da un fremito, come se uno sciame di mosche lo avesse attaccato, poi si fermò, sbuffando nubi di vapore.

    Harriet smontò, gettò le redini sul cespuglio più vicino e si avvicinò lentamente allo stallone sudato e fremente, mormorando il genere di sciocchezze cui i cavalli di tutta la nazione reagivano in modo positivo, quando erano pronunciate in tono sicuro ma al tempo stesso rassicurante. L'animale scosse la testa, in un ultimo gesto di sfida, prima di permetterle di prendere le sue redini.

    «Ecco qui» mormorò lei avvolgendole intorno al medesimo cespuglio che aveva usato per Shadow. «Adesso sei al sicuro.» Dopo aver scosso la testa e sbuffato ancora una volta per buona misura, lo stallone sembrò disposto a concederle il beneficio del dubbio.

    Solo quando fu certa che non sarebbe corso via, Harriet si voltò verso l'uomo.

    Giaceva ancora prono sull'erba.

    Il cuore di Harriet sussultò in modo diverso da come le era successo quando era corsa dietro al cavallo. Con i cavalli sapeva cavarsela, trascorreva nelle stalle più tempo di chiunque altro. Le persone, invece, in particolar modo quelle ferite, erano tutt'altra faccenda.

    A ogni modo, non poteva lasciarlo lì in quelle condizioni, quindi raddrizzò le spalle, si sistemò lo strascico della gonna sull'avambraccio e gli si avvicinò.

    Era completamente immobile.

    Cosa si poteva fare per un uomo che era stato disarcionato? Un uomo che forse si era rotto il collo?

    Le vennero in mente due risposte, pronunciate da due voci assai diverse. La prima era quella di sua zia, Lady Tarbrook.

    Va' a cercare aiuto, le ordinò in tono lamentoso, avvicinando i sali al naso. Le gentildonne non si inginocchiano sull'erba bagnata e non toccano persone cui non sono state presentate.

    Harriet sospirò. Secondo Lady Tarbrook, non si sarebbe dovuta trovare lì. Da quando si era recata a Londra, aveva imparato che c'erano centinaia, no, migliaia di cose che non avrebbe mai dovuto fare. Se fosse dipeso da Lady Tarbrook, Harriet non avrebbe fatto altro che restarsene seduta sul divano a ricamare o a leggere riviste di moda.

    La seconda voce, che udì subito dopo, sembrava quella di sua madre. Osservalo da più vicino, la spronò, alzando a malapena lo sguardo dall'ultimo numero della sua rivista scientifica. E scopri quali siano le sue ferite.

    Era la cosa più sensata da fare. Dopo sarebbe potuta andare a cercare aiuto, se l'uomo ne avesse avuto bisogno. Inoltre, sarebbe stata in grado di dire qualcosa di sensato riguardo al ferito, invece di dar voce a vaghe congetture.

    Lo osservò rapidamente mentre si inginocchiava accanto a lui. Nessuno degli arti sembrava rotto, e non c'era sangue. Se non lo avesse visto cadere, avrebbe pensato che l'uomo avesse deciso di schiacciare un pisolino là, tanto il suo corpo era rilassato. Il volto, quantomeno la parte che non era premuta sull'erba, sembrava quello di un uomo addormentato, più che privo di sensi. C'era perfino un vago sorriso sulle sue labbra.

    Si schiarì la voce e poi, quando lui non si mosse, protese la mano inguantata e gli scosse una spalla con gentilezza, ottenendo una protesta farfugliata.

    Incoraggiata, lo scosse di nuovo, con più forza. Gli occhi dell'uomo si spalancarono, occhi di un blu straordinariamente profondo. Rughe marcate partivano dagli angoli esterni, come se ridesse spesso. O forse strizzasse gli occhi per proteggerli dal sole perché, osservandolo meglio, notò che la pelle del suo volto era molto abbronzata, a differenza della maggior parte degli uomini cui era stata presentata di recente. E non era nemmeno affascinante nel modo garbato dei giovani perbene di città. La sua faccia era un po' troppo squadrata e il mento troppo marcato per somigliare a un profilo patrizio. Eppure era un volto molto attraente.

    In quel momento lui le sorrise, come se la riconoscesse e fosse felice di vederla. Harriet rimase perplessa, anche dalla scossa che le trafisse lo stomaco, facendole sussultare il cuore.

    «Sono morto e sono arrivato in paradiso...» dichiarò lo sconosciuto avvolgendola negli effluvi dolciastri provenienti, con tutta probabilità, da una bottiglia di brandy.

    Harriet si ritrasse, ma non abbastanza in fretta. Bontà divina, benché sembrasse in preda ai fumi dell'alcol, quell'uomo riuscì a cingerla con le braccia e a tirarla sopra di sé. Lei ebbe appena il tempo di boccheggiare, poi lo sconosciuto le premette una mano sulla nuca e le spinse il viso verso il suo. Dopodiché la baciò.

    Con abilità notevole.

    Sebbene Harriet non fosse mai stata baciata prima – infatti la sorprese che quell'ubriaco fosse il primo a volerlo fare – sospettò che avesse molta esperienza in materia, perché, invece di sentirsi disgustata, le sensazioni che pervasero tutto il suo corpo furono alquanto intriganti. Fu certa che non sarebbe dovuto accadere.

    «Apri la bocca, tesoro» la esortò l'uomo, rompendo l'incantesimo che aveva intessuto intorno a lei.

    Naturalmente Harriet serrò le labbra e scosse la testa, ricordando all'improvviso che avrebbe dovuto opporre resistenza.

    Lui ridacchiò e cominciò a ruotare su se stesso, come per invertire la loro posizione, il che cambiò ogni cosa. Consentire che la curiosità la tenesse ferma mentre un uomo attraente le permetteva di assaporare le sue labbra era una cosa, lasciare che la inchiodasse a terra rendendola impotente era ben altra.

    Reagì come avrebbe dovuto fare fin dall'inizio. Liberò il braccio destro meglio che poté e lo colpì con il frustino. Lui la teneva così stretta che il colpo rimbalzò innocuo sui folti riccioli castano chiaro che proteggevano la parte posteriore della sua testa. Se non altro, riuscì a stupirlo.

    «Lasciatemi andare, animale!» gli intimò nel tono più oltraggiato che poté, mentre cercava di divincolarsi.

    Con suo grande disappunto, benché la sua richiesta lo avesse sorpreso, la lasciò andare subito. Ciononostante non fu facile per Harriet scivolare via da lui, ostacolata dallo strascico del suo abito da cavallerizza, che le si era aggrovigliato intorno alle gambe.

    «Ooh!» L'uomo sospirò. «Molto piacevole.» Socchiuse gli occhi e si mosse sotto di lei, lasciandole intuire che tutti i suoi sforzi per alzarsi avevano un solo effetto sul suo corpo.

    «Voi... animale!» Harriet lo colpì di nuovo con il frustino.

    Lui trasalì e si strofinò il braccio nel punto in cui era riuscita ad assestargli un colpo decente, prima di perdere l'equilibrio e crollargli di nuovo sul petto.

    «Non mi piace questo genere di giochi» protestò lui. «Preferirei che ci baciassimo ancora un po' e poi...»

    Harriet premette le mani sul petto, utilizzando il corpo duro come una roccia come leva per mettersi carponi. «Poi niente» ribatté spostandosi un po' indietro prima che il suo abito si annodasse a tal punto da costringerla a sedervisi sopra. «È chiaro che non vi siete ferito cadendo da cavallo, anche se ve lo meritereste» aggiunse scalciando e strattonandosi le gonne finché non riuscì a liberare le gambe. «Di rompervi il collo.»

    «State esagerando» obiettò lui appoggiandosi a un gomito per osservare assonnato i suoi sforzi.

    «Niente affatto. Siete ubriaco e avete cercato di montare il genere di cavallo che metterebbe in difficoltà chiunque, anche da sobrio. Cosa vi è passato per la testa? Avreste potuto ferirlo!»

    «Non è vero. Sono capace di montare qualunque cavallo, ubriaco o sobrio...»

    «Mi sembra evidente che non è così, o non vi avrebbe disarcionato e non vi ritrovereste qui.»

    «Lucifer non mi avrebbe disarcionato, se voi non foste sfrecciata di fronte a noi, spaventandolo.»

    «No, certo. Vi avrebbe portato su una strada pubblica e avrebbe investito qualche povero lattaio. E se vi avesse disarcionato sul selciato vi sareste senza dubbio rotto il collo.»

    «Avrei dovuto immaginare» si lamentò lui con un sospiro, «che eravate troppo bella per essere vera. Potete anche sembrare un angelo, baciare come una sirena e avere un gran bel paio di gambe, ma avete il carattere di un'arpia.»

    Harriet boccheggiò, non tanto per l'insulto, ma perché si accorse che le stava fissando le gambe con espressione ammirata. Si rese conto di averne scoperta una porzione troppo generosa. «Siete uno zotico, e ubriaco, per giunta!» Riuscì a liberare le gambe e a rialzarsi nel momento in cui apparvero altri tre uomini.

    «Buon Dio, guardate un po'!» esclamò il primo dei tre che li raggiunse, un uomo snello ed elegante con gli occhi grigi e freddi, e la bocca crudele. «Perfino quando finisce a pancia in su nel bel mezzo del nulla, Ulisse riesce a trovare il modo di sollazzarsi.»

    L'uomo con la bocca crudele la guardò come se Harriet stesse per diventare il suo sollazzo, e lei si sentì gelare il sangue.

    «Non ho la benché minima intenzione di sollazzare nessuno» protestò mentre si avvicinava a Shadow, pur non sapendo come sarebbe riuscita a montare in sella e andarsene. «Mi sono avvicinata solo per capire se ci fosse bisogno di aiuto.»

    «Po... potete aiutarci a ri... risolvere la no... nostra scommessa» pronunciò il secondo giovane che li raggiunse, scostandosi dagli occhi la frangia lunga e alquanto unta. «Ha ra... raggiunto il Cu... Cumberland Gate prima che Lucifer lo di... disarcionasse?»

    «Era una scommessa?» Harriet si rivolse a quello che avevano chiamato Ulisse, che se ne stava ancora sull'erba appoggiato a un gomito, un sorriso sghembo sulla faccia. «Avete rischiato di ferire quell'animale magnifico per una scommessa?»

    «L'unico rischio era per il suo stupido collo» intervenne l'uomo con gli occhi freddi. «Lucifer sa badare a se stesso» aggiunse mentre si avvicinava allo stallone per accarezzargli il collo con orgoglio evidente. Da come il cavallo chinò il capo e glielo premette contro il petto Harriet comprese che era il proprietario di Lucifer.

    Si chinò per avvolgersi la gonna intorno all'avambraccio, il cuore in gola. Non aveva provato alcun timore nei confronti dell'uomo che avevano chiamato Ulisse, nemmeno quando aveva cercato di rovesciarla sulla schiena. Nel suo volto gioviale e squadrato c'era qualcosa che la metteva a suo agio. O forse era lo scintillio dei suoi occhi.

    Il modo in cui l'uomo con la bocca crudele la guardava, invece, era qualcosa di completamente diverso. C'era qualcosa di... oscuro in lui, di predatorio. Anche se era affezionato al suo cavallo e l'animale lo adorava, non sembrava un uomo perbene.

    Lui confermò tutti i suoi sospetti voltandosi verso di lei con un sorriso di scherno. «Non è giusto che ricompensiate Ulisse con un bacio» dichiarò avvicinandosi di un passo, «quando sono io che ho vinto la scommessa.»

    Lei sferrò un colpo con il frustino, e lo avrebbe colpito in pieno volto, se l'uomo non si fosse ritratto con una destrezza allarmante e sorprendente al tempo stesso. Anche da ubriaco poteva rappresentare una minaccia molto seria per una donna sola.

    Tenendo lo sguardo fisso su di lui, Harriet si spostò di lato verso Shadow e urtò quello che le sembrò un muro di mattoni.

    «Oh!» esclamò il muro, il terzo dei compagni di Ulisse, un uomo davvero gigantesco.

    «Te la sei cavata con poco» osservò l'uomo con gli occhi gelidi rivolgendosi al gigante, intento a massaggiarsi l'addome. «Ha cercato deliberatamente di colpirmi!» esclamò.

    «Probabilmente perché la stai spaventando» borbottò il gigante. «È chiaro che non è una donna di facili costumi.»

    «E allora perché si aggira nel parco a quest'ora e bacia il primo sconosciuto che incontra?» L'altro la guardò con un'espressione di tale scherno che Harriet si sentì percorrere da un brivido di vergogna.

    «Non è riuscita a resistermi» intervenne Ulisse sorridendole.

    «No... non sembra che tu le pi... piaccia, Zeus» commentò il giovane con la frangia lunga.

    «Archie, tu mi ferisci» ribatté Zeus mentre Harriet chiudeva finalmente le dita intorno alle redini di Shadow. Purtroppo non aveva la minima idea di come montare in sella, non c'erano gradini, né uno stalliere che l'aiutasse con la staffa.

    Si era rassegnata a tornare a casa conducendo la cavalla per le redini, quando sentì un paio di mani che si stringevano intorno alla sua vita. Reagì di riflesso, colpendo il presunto assalitore sulla testa.

    «Ahi!» gemette il gigante ubriaco, mentre la issava in sella. «Non ce n'era bisogno.» Arretrò strofinandosi la testa con aria perplessa.

    No, era stato un gesto gratuito, ma come avrebbe potuto immaginare che il gigante intendesse solo aiutarla?

    «In tal caso vi chiedo scusa» sibilò a denti stretti, mentre infilava il piede nella staffa. «Quanto a voi altri» aggiunse mentre sistemava il ginocchio sul pomello e si metteva a posto la gonna, «tutti voi... dovreste vergognarvi.»

    Cercò di alzare la testa con sdegno, come se il cuore non le martellasse all'impazzata nel petto, come un uccellino dietro le sbarre di una gabbia. Voleva andarsene cavalcando con dignità, non affondare i talloni nei fianchi di Shadow, spronandola al galoppo.

    Non avrebbe dato loro quella soddisfazione.

    2

    Harriet spronò Shadow al galoppo non appena fu fuori della visuale del gruppetto. L'avevano scambiata per una donna di facili costumi, ecco perché Ulisse l'aveva baciata e quello con gli occhi freddi, Zeus, l'aveva guardata come se non valesse niente.

    Ecco spiegato anche perché il gigante l'aveva issata in sella senza chiedere il suo permesso. Pur non avendo cattive intenzioni, non l'aveva trattata con il rispetto dovuto a una gentildonna.

    Perché Harriet aveva oltrepassato i limiti del comportamento imposto a una gentildonna.

    Accidenti, sua zia aveva ragione! Si asciugò una lacrima dalla guancia. Una lacrima di umiliazione. Non era spaventata, solo arrabbiata. Furente. Per colpa di quegli uomini che l'avevano trattata in modo tanto... superficiale. L'avevano maltrattata, derisa e avevano insinuato che fosse...

    Oh, quanto avrebbe voluto colpirli tutti con il frustino! Uomini che se ne andavano a zonzo per il parco ubriacandosi e spaventavano le donne perbene.

    Solo che non avevano pensato che lei fosse una donna perbene, avevano creduto si trovasse là in cerca di clienti.

    Rabbrividì.

    Non c'era da stupirsi, si era sciolta nel bacio di Ulisse come burro sul pane tostato ancora caldo. E poi era rimasta talmente scombussolata da dimenticare di coprirsi le gambe quando le aveva liberate dalle gonne, mostrandogliele almeno fino alle ginocchia.

    Oh, quanto avrebbe voluto poter colpire qualcosa, in quel momento! Ma in realtà era la più biasimevole di tutti e non poteva colpire se stessa. Perché a volte, soltanto a volte, zia Susan aveva ragione. Le nobildonne non potevano andarsene a spasso per conto loro, a Londra. Perché, se lo facevano, qualche idiota ubriaco poteva convincersi che fossero un bersaglio facile.

    Ma perché zia Susan non le aveva spiegato che alcune delle regole erano per il suo bene? Se avesse avvertito Harriet che gli uomini si sarebbero potuti comportare

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