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I peccati del passato: Harmony Collezione
I peccati del passato: Harmony Collezione
I peccati del passato: Harmony Collezione
E-book172 pagine3 ore

I peccati del passato: Harmony Collezione

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Info su questo ebook

Un inganno li ha divisi, un segreto li riunisce...
Cinque anni prima Riva Singleman ha concesso il proprio cuore all'irresistibile Damiano D'Amico. Non è stata del tutto sincera con lui, ma questo è nulla in confronto all'inganno tessuto da Damiano e così, una volta scoperta la verità, Riva decide di sparire dalla sua vita senza voltarsi indietro, portando con sé il proprio segreto. Ma ora che Damiano è tornato, e l'attrazione fra loro ancora bollente, Riva non può tenerlo lontano da sé, né lasciarlo ancora all'oscuro.
LinguaItaliano
Data di uscita10 ago 2018
ISBN9788858985502
I peccati del passato: Harmony Collezione
Autore

Elizabeth Power

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    Anteprima del libro

    I peccati del passato - Elizabeth Power

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Sins of the Past

    Harlequin Mills & Boon Modern Romance

    © 2011 Elizabeth Power

    Traduzione di Sonia Indinimeo

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2012 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5898-550-2

    Prologo

    Santo cielo! È lei!

    Mentre stava rispondendo alle domande della donna dietro al bancone, colse dall’altra parte del vetro l’immagine di una ragazza che era sbucata da un ufficio e si era incamminata lungo il corridoio.

    I capelli rossi, che non erano lunghi come li ricordava, avevano un moderno taglio spettinato. Con quella bocca atteggiata al sorriso e i lineamenti un po’ spigolosi, sembrava un perfido folletto. E lo era, perfida. I ricordi gli passarono nella mente come una scossa di corrente elettrica. Perfida, opportunista e avida.

    «Signor D’Amico?»

    L’abito scuro, molto formale, non riusciva a nascondere la forza impressionante e il carattere indomabile di quell’uomo, nel pieno del suo vigore. Soprattutto ora, con le mascelle serrate, mentre tentava di tornare al presente.

    Come aveva potuto permettere che la fugace visione di una testa rossa gli facesse perdere la concentrazione? Aveva degli affari da concludere. Una catena di centri per il tempo libero da costruire e mettere in moto. Comunque, quando si era rivolto allo studio di design che si occupava di tutti i suoi progetti in Inghilterra, non aveva pensato di trovarsi davanti a un fantasma del suo passato.

    «Quella ragazza...» Colse un altro flash delle ciocche rosse, prima che lei sparisse in un ufficio in fondo al corridoio, continuando a dargli le spalle.

    «Vuol dire la signorina Singleman?» Gli occhi della donna avevano seguito la direzione dei suoi. Con i capelli corvini e le labbra di un rosso acceso, incarnava alla perfezione la manager di successo, arrivata in piena forma ai cinquanta. «Chi? Riva?»

    «Riva...» La parola gli rotolò sulla lingua come un sussurro sensuale. Quindi non si era sposata... «Sì» rispose, sforzandosi di mostrarsi calmo. Il suo sguardo chiedeva di più e la donna lo colse.

    «È una delle nostre nuove collaboratrici. È specializzata in design d’interni, case per l’esattezza. A volte è un po’ brusca nei modi, ma ha un gran talento.»

    Ed è anche del tutto inaffidabile, intrigante e bugiarda, aggiunse lui.

    Per un istante pensò di voltarsi e andarsene, piuttosto che sprecare i suoi soldi con uno studio che, benché molto rinomato, aveva assunto una come Riva Singleman. Poi ci ripensò. In fondo era curioso di sapere come avesse fatto ad arrivare tanto in alto. Non era mai stato un codardo, quindi perché rinunciare allo studio migliore del settore e all’opportunità che il destino gli metteva davanti?

    Ascoltò annuendo la matriarca della Redwood Interiors mentre gli assicurava che il progetto sarebbe stato portato a termine in tempo e nel migliore dei modi, e che sarebbe rimasto molto soddisfatto.

    Ah, di questo sono sicuro!, pensò, rivolgendo alla donna il più caldo e affascinante dei suoi sorrisi, un sorriso rodato per tutti i trentadue anni della sua vita, deciso a mettere in atto il suo piano.

    1

    Riva si fermò davanti alle colonne di pietra mezze diroccate, che reggevano a stento il cancello di quella che una volta doveva essere stata una splendida magione di campagna. In fondo al lungo viale poteva scorgere la casa principale di pietra, con le assi inchiodate sulle finestre, disabitata. Un cartello con la scritta In vendita era stato appeso sul cancello arrugginito.

    Ma fu la costruzione di fronte a lei che colpì la sua attenzione quando scese dalla macchina, nel cortile ghiaioso. La Old Coach House.

    La casa, ricavata dalle antiche scuderie della tenuta, appariva abbandonata. C’erano altre due auto parcheggiate fuori, tra cui una luccicante Porsche nera.

    Chiuse la sua utilitaria sentendosi di ottimo umore. Il sole primaverile filtrava dagli alberi, gli uccellini cinguettavano e lei stava per affrontare il suo primo vero incarico per cui avrebbe avuto carta bianca! Doveva arredare una stanza, all’interno di quella splendida casa. Una bella opportunità.

    Suonò il campanello tremando per l’eccitazione. Qualcuno doveva aver apprezzato molto i suoi lavori precedenti, per aver chiesto proprio di lei. Se fosse riuscita a soddisfare il cliente, sarebbe stato il fiore all’occhiello della sua carriera. Non avrebbe più avuto difficoltà a tenersi un tetto sulla testa e forse un giorno sarebbe riuscita ad aprirsi uno studio tutto suo, lasciandosi alle spalle il dolore dei cinque anni passati.

    «La signora Duval?»

    La bionda, molto elegante in tailleur grigio, che le aprì la porta prese atto dell’abbigliamento poco formale di Riva con un sorriso enigmatico.

    «No. La signora non c’è, ma lei era attesa. La signorina Singleman, suppongo?»

    Riva annuì e seguì la scia del suo profumo esotico, su per le scale. Dal basso del suo metro e sessanta, si sentiva sovrastata dall’altezza della donna e si chiese se, pur odiando i formalismi, avrebbe dovuto indossare una giacca. Fino a quando non le aveva aperto la porta, si era sentita a suo agio con la maglietta a righe nere e grigie, la corta gonna nera e le scarpe da ginnastica.

    «Se vuole aspettare qui un attimo...»

    Riva rimase sola e si guardò intorno nell’ampio salotto soleggiato che si affacciava sul cortile. Chiunque avesse arredato quella stanza doveva avere buongusto e stile, decise, a giudicare dalla perfetta fusione di mobili, tessuti e quadri alle pareti.

    «Bene, bene... La signorina Riva Singleman.»

    La voce dal pesante accento, pericolosamente familiare, le fece tendere tutti i nervi.

    Si voltò così in fretta che la borsa andò a sbattere sullo spigolo di un tavolino georgiano, facendo traballare un delicato e sicuramente costosissimo vaso che stava al centro.

    «Spero che questo non voglia dire che sei incline agli incidenti...»

    Alto, bruno, con lineamenti troppo marcati per rispondere a canoni di bellezza classici, l’uomo apparso sulla soglia era come se lo ricordava. Vestito in modo impeccabile, con i capelli corvini pettinati all’indietro. I tratti spigolosi del suo viso erano di un’eccitante complessità, la fronte alta, gli zigomi scolpiti, il naso arrogante e la bocca grande che ora era piegata in un sorriso, davanti alla sua sorpresa.

    «Damiano!»

    Lui non si mostrò per niente meravigliato di vederla. Ogni centimetro del suo corpo atletico e imponente trasudava sicurezza e autorità quando entrò nella stanza, studiandola con quegli occhi penetranti e arguti che un tempo l’avevano ingannata, tanto da farle credere di potersi fidare di lui. Un errore pagato a carissimo prezzo, rifletté Riva con amarezza.

    «Pensavo...» Si interruppe subito. Che ci faceva lui lì? Stando a quello che aveva letto di recente, la sua casa era un magnifico appartamento da scapolo nella zona più esclusiva di Londra, non quella tranquilla dimora di campagna.

    «Cosa pensavi?» le chiese, seguendo con gli occhi la direzione del suo sguardo. «È la mia segretaria» le spiegò, rispondendo alla sua muta domanda. «Si è occupata di fissare l’appuntamento.»

    E di molto altro, magari, pensò Riva stizzita, facendo una carrellata mentale delle tante donne, belle da abbagliare, che erano apparse con lui sui giornali in quegli anni. Di recente si era parlato della rottura del suo fidanzamento con Margot Boweringham, erede di un impero commerciale. La donna, per niente felice di essere stata scaricata, aveva rilasciato un’intervista fiume, senza esclusione di colpi.

    Per quanto lei gli riconoscesse doti eccezionali da un punto di vista professionale, Damiano D’Amico sembrava avere una soglia della noia molto bassa, quando si trattava del gentil sesso, e una volta annoiato, si dimostrava senza scrupoli.

    Riva cercò di ignorare il riaffiorare dei sentimenti che aveva provato leggendo l’articolo.

    «La signora Duval...» Scosse la testa cercando di dare un senso alla situazione e i capelli rossi fiammeggiarono alla luce del sole che filtrava dalle finestre.

    «È mia nonna» disse Damiano, con un tono lieve che alimentò la sua confusione. «Ovviamente non ti hanno detto che oggi non era qui.»

    «No.» Arrossì quando si accorse che lui stava osservando la sua mano che tormentava nervosamente l’orlo della maglietta. Sua nonna era francese? Era sicura che non glielo avesse mai detto. «Lo sapevi?» gli chiese. «Sapevi che la Redwood avrebbe mandato me?» Il suo nome avrebbe come minimo dovuto incuriosirlo.

    Le spalle possenti si sollevarono appena, nella giacca. «Mi chiedo come una ragazza, che fino a pochi anni fa non era che una segretaria, abbia raggiunto la posizione che ha adesso» commentò, senza rispondere alla sua domanda.

    «La ragazza ha lavorato sodo!» Il colorito del viso si avvicinò molto a quello dei capelli fiammeggianti. «Ha lavorato bene, Damiano, tutto qui!»

    Gli passò accanto inferocita, con il sospetto che non fosse stata trascinata lì solo per il suo talento. Quando gli sfiorò il braccio passando, rabbrividì.

    «Dirò alla signora Redwood che c’è stato un errore.» La sua voce tradiva la tensione. «Ora, se non ti dispiace, io me ne vado.» La delusione si mescolava ad altre emozioni più complesse, mentre usciva dalla porta. Solo la voce cupa alle sue spalle la trattenne dal precipitarsi di corsa lungo il corridoio.

    «Non credo proprio che dovresti farlo, Riva.» La dolcezza del tono non mascherò la minaccia.

    «Cosa vuoi dire?» Si voltò e lo vide dominare il vano della porta. Nonostante i suoi ventiquattro anni, tornò a sentirsi la ragazzina sopraffatta da quella voce e dal suo irresistibile fascino continentale.

    «Sei stata mandata qui per fare un lavoro preciso e mi auguro che manterrai fede all’impegno. Altrimenti mi vedrò costretto a dire alla tua granitica datrice di lavoro che mi rivolgerò a un’altra azienda. Potrei renderti la vita molto difficile.»

    Il motore di una macchina che veniva accesa nel cortile proprio sotto la finestra ruppe quell’imbarazzante momento di silenzio.

    La segretaria se n’era andata, lasciandola sola con lui, pensò Riva, con un brivido improvviso.

    Il sangue nelle vene iniziò a galoppare. Ma certo. Per la Redwood aveva molto più valore Damiano di quanto non ne avesse lei. Se avesse riferito del suo rifiuto a collaborare, sarebbe stata incolpata della perdita di un cliente prestigioso e le sue possibilità di uscirne indenne sarebbero state pari a zero.

    Sfidò con gli occhi verdi quelli neri di lui. «Vuoi dire... che mi faresti licenziare?» La sua voce era distorta dalla rabbia e dall’incredulità.

    Lui alzò le spalle con un gesto incurante. «Dipende da te, Riva, essere licenziata o meno.»

    Se avesse rifiutato di fare esattamente quello che voleva, l’avrebbe distrutta. Così come aveva distrutto la sua adorata, fragile madre. Sì, perché senza il suo crudele zampino, Chelsea Singleman non sarebbe morta.

    «Torniamo in salotto» le ordinò brusco, cominciando subito a esercitare il suo potere.

    Riva ricordò a se stessa la fatica che aveva fatto per ottenere quel lavoro e quanto avrebbe perso se lei se ne fosse andata. Gli passò accanto, rigida come un manico di scopa, e lui non fece niente per facilitarle il passaggio. Così, ancora una volta, gli sfiorò con il braccio la manica della giacca.

    «Se lo fai ancora, dovrò considerarlo un invito. E sappiamo tutti e due cos’è successo l’ultima volta.»

    Lui l’aveva usata senza alcuna pietà, utilizzando come esca quel misto di fascino e magnetismo. Lei era stata troppo ingenua e inesperta per rendersi conto del suo gioco crudele. Lo aveva capito troppo tardi, quando ormai il suo orgoglio e la sua dignità erano a pezzi.

    «Io non ti ho mai invitato, Damiano. Sei stato tu a forzarmi.»

    «Probabilmente ti sei convinta che sia stato io a costringerti... quando è stato... quasi cinque anni fa?»

    Era sorprendente come le immagini evocate da quelle parole, il ricordo delle sue mani calde ed esperte sul proprio corpo, la facessero ancora ribollire e arrossire di vergogna.

    Era stata una facile preda. Si era offerta alle sue carezze più intime, confondendo la seduzione con qualcosa di molto diverso.

    «No. È stata solo la mia stupidità» mormorò.

    Damiano fece un breve cenno con la testa e un sorriso senza allegria. «Non puoi biasimarmi se voglio arrivare alla verità.»

    «La verità? Tu non riconosceresti la verità nemmeno se ti si presentasse di persona e ti afferrasse per la gola.»

    Damiano sorrise alla metafora.

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