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Il dottore dei miei sogni: Harmony Bianca
Il dottore dei miei sogni: Harmony Bianca
Il dottore dei miei sogni: Harmony Bianca
E-book159 pagine2 ore

Il dottore dei miei sogni: Harmony Bianca

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Info su questo ebook

Quando un uomo ti fa vivere come in una favola, è sempre meglio stare in guardia.
Il principe azzurro potrebbe trasformarsi in lupo nel giro di una notte.


L'infermiera Callie Duncan sta cercando di rimettere insieme i cocci della propria esistenza quando il sexy, affascinante Sebastian Walker varca la soglia del suo ospedale! Sebastian è uno psicologo e il suo lavoro è aiutare gli altri a mettere ordine nella propria vita. Ma in quella di Callie ha decisamente portato scompiglio. Adesso deve fare in modo che le notti passate tra le braccia di Sebastian siano solo un piacevole diversivo e non mettano in pericolo il suo cuore. Perché, Callie lo sa, per lei non è previsto il lieto fine.
LinguaItaliano
Data di uscita10 lug 2018
ISBN9788858984413
Il dottore dei miei sogni: Harmony Bianca
Autore

Amy Andrews

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Il dottore dei miei sogni - Amy Andrews

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Rescued By The Dreamy Doc

    Harlequin Mills & Boon Medical Romance

    © 2011 Amy Andrews

    Traduzione di Anna Sibilia

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2012 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5898-441-3

    1

    Ci sono giorni in cui non si ha voglia di alzarsi dal letto. Per Sebastian Walker quello era uno di quei giorni, il primo come negoziatore della polizia in una città nuova, in un nuovo stato, e già doveva entrare in azione. Avrebbe dovuto passare la giornata sistemando l’appartamento, ma il cercapersone non aveva collaborato.

    Grazie a Dio non era un impegno a tempo pieno.

    Si mosse nella moltitudine di cartoni semiaperti che ricoprivano il pavimento e sembravano moltiplicarsi in ogni stanza. Dopo un anno trascorso in un paese straniero, aveva un bisogno disperato della familiarità delle sue cose, ma ovviamente avrebbe dovuto rimandare.

    Buttò giù l’ultimo boccone di pane tostato mentre stringeva il nodo della cravatta grigio ferro. Il cercapersone trillò di nuovo nell’attimo in cui chiuse la porta sul caos del trasloco.

    Arrivo. Arrivo.

    «Cosa abbiamo?» chiese Sebastian un quarto d’ora più tardi, mentre raggiungeva il centro operativo e mostrava le credenziali all’ufficiale in carica.

    «Saltatrice. Con una pistola. Il nome è Noelene. Non ha voluto dire altro. Si rifiuta di parlare con noi. Dice che parlerà solo con Callie Duncan.»

    Sebastian infilò il giubbotto antiproiettile che gli avevano dato. «Chi è Callie Duncan?»

    «Infermiera psichiatrica di un consultorio per la salute mentale. Una spina nel fianco.»

    Sebastian annuì. «D’accordo. Portatela qua mentre faccio due chiacchiere con Noelene.»

    «Callie, chiamata per te sulla uno.»

    Geraldine Russel, capo assistente sociale e direttrice del Jambalyn Community Centre, allungò la mano e piazzò il ricevitore tra la spalle e il collo di Callie, che aveva le mani occupate da una pila di carte e dal cercapersone.

    «Sì?» disse Callie, premendo il ricevitore contro l’orecchio.

    Gerri la vide annuire un paio di volte e poi la sentì dire: «Sarò lì tra una quindicina di minuti».

    Callie rilassò la spalla e Gerri riappese. «Tra una quindicina di minuti dove?» chiese, inarcando un sopracciglio.

    «Grey St Bridge. Noelene Sykes minaccia di buttarsi giù. Chiede di me» rispose lei in tono casuale, depositando il pacco di incartamenti sulla scrivania ingombra.

    «Oh, no.» L’impressionante chignon di Gerri si mosse mentre scuoteva la testa con vigore.

    Callie sorrise. Gerri era una corpulenta aborigena che con la sua statuaria presenza trasmetteva un’innegabile aria di autorità. Non erano molti quelli che osavano contrastarla e solo gli stupidi non vedevano la persona saggia e piena di esperienza che si celava sotto gli sgargianti caffetani a disegni tribali che lei adorava indossare.

    «Stiamo parlando di Noelene, Gerri. Noelene. Che minaccia di buttarsi da un ponte. È evidente che c’è stata una falla nella comunicazione. E ora chiede di me.»

    «No. Non quel ponte. Non oggi.»

    Callie sorrise alla donna che da dieci anni era una cara amica oltre che una collega. Sapeva bene che Gerri stava solo cercando di proteggerla. «Sì, invece.»

    «Ci vado io.»

    Callie scosse il capo. «Vuole me.»

    «No» insistette Gerri.

    «Andrà tutto bene» cercò di tranquillizzarla lei, mentre prendeva le chiavi della macchina.

    «Callie Duncan, varca quella soglia e ti licenzio.»

    Callie le indirizzò un largo sorriso da oltre le spalle. «Ah! Promesse. Promesse.»

    Erano sempre a corto di personale e non erano certo nella posizione di poter lasciare a casa qualcuno.

    In più Callie Duncan era brava nel suo lavoro. Molto brava.

    Callie sbuffò e si mise le mani sui fianchi mentre fissava l’uomo insistente il cui nome, nella fretta di andare da Noelene, aveva già dimenticato. Non le importava se era un poliziotto, o del fatto che fosse così dannatamente sexy che avrebbe potuto fare l’attore.

    Le stava intralciando la strada, soltanto questo contava.

    Sebastian sostenne lo sguardo fiero dei suoi occhi ambra con una luce pacata nelle pupille verdi.

    «Non può andarci se non si mette questo.»

    Callie lo guardò torva. Era decisamente virile. E molto alto. Lo era anche lei e non le capitava spesso di dover piegare indietro la testa per guardare un uomo.

    Il sole del mattino incendiava i capelli rosso scuro dell’uomo di striature dorate. Erano corti, ma con un ciuffetto più lungo che gli ricadeva sulla fronte. L’ombra scura di una barba non rasata da giorni ricopriva la mascella squadrata. Le lentiggini sulla curva del naso dritto parlavano di giornate passate al sole, di spiagge e di surf. Gli zigomi erano alti e ben disegnati e c’erano delle interessanti fossette agli angoli della bocca.

    E quelle labbra? Sembravano fatte apposta per baciare.

    In tutta onestà, quell’uomo era un vero schianto.

    Averlo ammesso la irritò ancora di più. Santo cielo, era lì per lavorare!

    «Non è necessario» insistette, cercando di ritrovare la necessaria lucidità. «La conosco da dieci anni. Non è pericolosa.»

    Lui le mise davanti il corpetto. «Può darsi. Ma è solo con questo che potrà andare su quel ponte.»

    La voce era profonda, molto misurata. Calma. Ma c’era un qualcosa nel tono che scoraggiava dal fare storie.

    Dannato poliziotto!

    Alle spalle di lui si era raggruppata una piccola folla, richiamata dal loro diverbio. Callie conosceva la maggior parte di quegli uomini. Non si può lavorare per tanti anni in quel settore senza avere rapporti, a volte d’amore, a volte di odio con la polizia. E lei aveva lavorato sodo per guadagnarsi il loro rispetto.

    Certo, sapeva che la consideravano una colossale spina nel fianco. Ma sapeva anche che tenevano in gran conto la sua professionalità – era la prima che chiamavano quando avevano per le mani una situazione critica o quando avevano bisogno di consigli – quindi non avrebbe ceduto tanto facilmente.

    Era imperativo che non la vedessero gettar le armi al primo segno di autorità. Voleva sapessero che non aveva paura di loro e che le necessità dei suoi pazienti sarebbero sempre venute prima di qualunque altra cosa.

    «Va bene» disse tra i denti, afferrando il bordo della maglietta nera e sfilandosela dalla testa. Fissò l’uomo dritto negli occhi e, ignorando gli sguardi avidi dei ragazzi e i fischi di ammirazione, allungò il braccio. «Mi dia quel dannato giubbetto.»

    Be’, doveva rendergli merito, pensò. Mentre i più giovani la guardavano a bocca aperta, lui non aveva battuto ciglio. Non abbassò lo sguardo sul reggiseno di pizzo, per una rapida occhiata, come avevano fatto tutti quelli che erano nelle vicinanze. Le porse il giubbetto antiproiettile e aspettò che lo indossasse, le braccia incrociate sul Kevlar che anche lui portava.

    «Avrebbe potuto metterlo sopra la maglia» commentò, dopo che si fu rivestita.

    «Neanche per sogno!» scattò lei. «Crede che un giubbetto antiproiettile ispiri fiducia? Santiddio, non si deve vedere! Posso andare ora?»

    Con un ampio gesto della mano le segnalò di precederlo. Le maniche arrotolate della camicia scivolarono più in su e Callie notò la fitta peluria biondo rossiccia che ricopriva gli avambracci muscolosi e abbronzati.

    «Sono subito dietro di lei.»

    «Chissà perché non mi sorprende» commentò Callie da oltre le spalle.

    Sebastian la guardò incamminarsi impettita e sorridendo la seguì. Callie Duncan era davvero una peperina! Non gli capitava spesso sul lavoro di incontrare gente che non lo conosceva o a cui non importava chi fosse, e questa cosa gli piacque. Era come un soffio di aria fresca.

    Lei era come una boccata di aria fresca.

    Mantenne lo sguardo sulla sua schiena, distratto dalla massa dei capelli biondo rame che le ondeggiavano sulle spalle a ogni passo. Il sole li illuminava di striature dorate e per un attimo gli parve di trovarsi sul set di uno spot per uno shampoo.

    La schiena era dritta come un asse di legno – il Kevlar faceva questo effetto. E la camminata decisa enfatizzava dei glutei decisamente... interessanti.

    In effetti, Callie Duncan era tutta interessante.

    E anche questo gli piaceva.

    In più, nonostante avesse un’aria truce, Sebastian era sicuro che fosse incline al sorriso. Gli angoli della bocca erano piegati all’insù, come gli occhi che piccole rughe di espressione rendevano ancora più affascinanti.

    Doveva essere sulla trentina. Era un sollievo che non fosse una neolaureata piena del sacro fuoco dell’entusiasmo e convinta di poter cambiare il mondo.

    D’altro canto non aveva nemmeno l’aria cinica e disillusa di molti della sua età che lavoravano nel suo settore, un settore dove i successi si contavano sulle dita e i ringraziamenti quasi non esistevano. Mentre avanzava verso la sua meta, appariva forte e senza paura. Sicura di sé. Fiduciosa.

    Il suo corpo da amazzone puntava dritto all’obiettivo.

    Quanto a quello che c’era sotto il reggiseno di pizzo nero... Sebastian allontanò con decisione il pensiero.

    «Oh, grazie al cielo, Callie, sei tu.»

    «Cosa succede, Noelene?» chiese lei, mentre oltrepassava la barricata che la polizia aveva approntato per recintare l’area. Senza dubbio l’uomo di cui non ricordava il nome non avrebbe approvato quell’approccio diretto, ma lei conosceva abbastanza bene la ragazza per sapere di poterselo permettere.

    Questo non significava che non si sentisse addosso gli occhi di un certo negoziatore dall’aspetto sexy e di un mare di poliziotti.

    «Sono uscita per fare una passeggiata... per pensare» rispose Noelene. Madre di quattro figli, aveva le guance incavate e un viso prematuramente segnato dalle rughe. I capelli biondi, opachi, le sbattevano in faccia, sferzati dal vento.

    Noelene si avvicinò alla ringhiera e Callie seguì con lo sguardo il movimento, consapevole del salto che stava oltre. Riportò poi lo sguardo sulla donna e lo mantenne fisso sui suoi occhi pieni di angoscia, ignorando il battito furioso del proprio cuore.

    Non avrebbe guardato giù, si disse.

    Lei aveva il terrore delle grandi altezze. Ma di sicuro non avrebbe lasciato vedere a nessuno la ragazzina urlante che c’era dentro di lei.

    Odiava quel dannato ponte. Qualunque ponte, a dire il vero, ma quello in particolare.

    «Con una pistola?»

    Noelene guardò l’arma che impugnava come se la vedesse per la prima volta. «Cosa? Questa?» disse, agitandola nell’aria.

    Callie sentì il clic di una sicura e percepì il movimento dei poliziotti alle sue spalle mentre si avvicinavano tesi, pronti a entrare in azione.

    «Noelene» disse, alzando le mani a fermare la donna. «Stai innervosendo i poliziotti. È carica?»

    Noelene si accigliò. «Certo che no.»

    Proprio come Callie sospettava. «Vuoi darmela?» chiese, allungando il braccio.

    Noelene guardò di nuovo la pistola. «Era di papà.»

    Avendo dato una rapida occhiata alla scheda della paziente, Callie sapeva che quel giorno era un anno esatto che il padre di Noelene era morto. «Lo so» ribatté dunque, annuendo.

    Noelene le passò l’arma e Callie sentì gli uomini alle sue spalle metter via le pistole. Passò quella di Noelene all’uomo sexy di cui non rammentava il nome. «Scarica» gli disse, un

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