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Il segreto del chirurgo: Harmony Bianca
Il segreto del chirurgo: Harmony Bianca
Il segreto del chirurgo: Harmony Bianca
E-book152 pagine2 ore

Il segreto del chirurgo: Harmony Bianca

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Info su questo ebook

Nell'ambiente glamour di una clinica di lusso si intrecciano le vite, le passioni e gli amori del più eccitante team di chirurghi di Londra.
Tornare a lavorare alla Clinica Hunter ha dato all'ex soldato e chirurgo plastico Ethan Hunter una nuova ragione di vita. Concentrarsi sulle ferite degli altri lo ha aiutato a curare le proprie, a lenire il suo dolore, quello del corpo e quello dell'anima. C'è qualcosa però che proprio non riesce a cancellare e quel qualcosa è la delusione che ha attraversato lo sguardo di Olivia Fairchild quando, anni prima, le ha spezzato il cuore. Lo stesso sguardo che ora, una volta tornato, sembra pretendere da lui delle risposte. Ethan non sa se quello che dirà a Olivia sarà sufficiente a riconquistare la sua fiducia, quello che sa, però, è che adesso lui non si tirerà più indietro.
LinguaItaliano
Data di uscita10 lug 2020
ISBN9788830517462
Il segreto del chirurgo: Harmony Bianca
Autore

Amy Andrews

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Il segreto del chirurgo - Amy Andrews

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    200 Harley Street: The Tortured Hero

    Harlequin Mills & Boon Medical Romance

    © 2014 Harlequin Books S.A.

    Traduzione di Giacomo Boraschi

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2015 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3051-746-2

    1

    Ethan Hunter aveva bisogno di un drink.

    Un bisogno disperato.

    Dopo cinque ore di una complessa operazione gli dolevano insopportabilmente le gambe. Per alleviare il dolore poteva soltanto vuotare la bottiglia.

    O l’alcol o i sedativi. Ed Ethan non voleva dipendere dai farmaci.

    «Andiamo da Drake’s» lo informò una voce dal marcato accento scozzese. «Vieni con noi?»

    Un improvviso silenzio scese nello spogliatoio mentre Ethan si volgeva verso Jock, l’anestesista dell’operazione. Guardò gli altri quattro, che fino a quel momento avevano chiacchierato allegramente. Era chiaro che nessuno di loro voleva la sua compagnia.

    Nemmeno Jock.

    Poteva capirli. Più durava un’operazione, più gli dolevano le gambe e più diventava scorbutico. Come se non bastasse, aveva lasciato cadere uno strumento chirurgico e lo aveva puerilmente colpito con un calcio, mandandolo a sbattere contro la parete. Bell’esempio di professionalità.

    Un chirurgo avrebbe dovuto essere un modello di calma, ma in quel momento era affiorata tutta la sua frustrazione. In ogni caso non voleva che i colleghi lo invitassero per dovere, anche se moriva dalla voglia di bere un goccio. Ethan poteva benissimo bere da solo.

    Anzi, lo preferiva.

    «No, grazie» rispose. «Devo tornare alla clinica.»

    Era vero, doveva studiare un caso importante. E ovviamente avrebbe accompagnato lo studio con una buona bottiglia di whisky.

    Guardò i suoi colleghi. «Grazie a tutti per il vostro aiuto. Abbiamo fatto un ottimo lavoro.»

    Tutti gli augurarono la buonanotte e finalmente Ethan rimase solo. Si accasciò con sollievo sulla panca più vicina, allungò le gambe e chiuse gli occhi mentre il dolore diminuiva. Dio, come stava bene senza quei seccatori!

    Ma non poteva restare lì per sempre. Il dovere lo chiamava. Si costrinse ad aprire gli occhi, si alzò e cominciò a cambiarsi.

    Il taxi si fermò davanti all’imponente edificio vittoriano di Harley Street. La Clinica Hunter era esclusiva come implicava il suo indirizzo in una delle vie più eleganti di Londra.

    Il padre di Ethan, il famoso chirurgo plastico James Hunter, l’aveva fondata oltre trent’anni prima. Era rinomata non soltanto per l’eccellente qualità delle sue prestazioni, ma anche per l’attività umanitaria in favore dei feriti civili e militari.

    In gran parte grazie a suo fratello Leo.

    Certamente non grazie al loro padre e allo scandalo che non solo si era tradotto nella sua morte prematura per infarto, ma per poco non aveva provocato anche la chiusura della clinica, dieci anni prima.

    Era stato Leo a salvarla. Con il suo impegno e la sua devozione aveva salvato l’onore della famiglia.

    Ma in quel momento Ethan se ne infischiava. Il pensiero del loro padre e del burrascoso rapporto con suo fratello gli dava regolarmente il voltastomaco e ora aveva già il problema di stare in piedi.

    Pagò il tassista e si costrinse a scendere dal veicolo. Soltanto una cosa lo spingeva a mettere un piede davanti all’altro: il pensiero del whisky di Leo.

    Fece una smorfia mentre zoppicava nel corridoi dirigendosi verso l’ufficio di suo fratello. Si pentì di non avere dedicato più tempo alla fisioterapia e di non avere ascoltato Lizzie, la moglie di Leo, che lo aveva sempre esortato a usare un bastone. Odiava quel maledetto bastone e non aveva tempo per la fisioterapia... ma in quel momento avrebbe voluto entrambi.

    Non era mai stato così felice di entrare nell’ufficio di Leo. Un tempo apparteneva al loro padre. Spesso il grand’uomo in persona lo aveva chiamato in quella stanza per fargli una scenata sotto l’effetto dell’alcol.

    Per fortuna quei giorni erano finiti, ma lo consolava sapere che nell’ufficio si trovava ancora dell’eccellente whisky.

    Gli ultimi dieci passi fino alla libreria dietro la scrivania di Leo furono i più dolorosi, ma ne valse la pena quando prese la caraffa. Versò un’abbondante dose di liquore nel vicino bicchiere e la trangugiò in un sorso.

    Il calore gli scese nella gola e si dilatò nello stomaco. Si versò un’altra dose e la bevve d’un fiato, sentendo il dolore dissolversi nel calore che ora si diramava per tutto il corpo.

    Si versò una terza dose, ma prima di berla si attirò vicino la grossa poltrona a rotelle e si accasciò sul morbido cuoio nero, stendendo le gambe con un gemito di sollievo.

    Chiuse gli occhi e trasse un lungo sospiro mentre si rilassava appoggiando la testa allo schienale. Non seppe mai per quanto tempo rimase così, godendosi il calore e il sollievo.

    L’oblio. L’estasi. Il paradiso.

    Ma era là per un motivo, a parte il buon whisky. Aprì gli occhi, sapendo di non poter più rimandare. Sulla scrivania di Leo c’era un fascicolo, la cartella clinica di una bambina sfigurata che lui avrebbe potuto aiutare.

    Avrebbe cambiato la vita della piccola Ama.

    Ma il caso era particolarmente complesso e avrebbe richiesto numerose operazioni.

    Non era un problema. Ethan amava i casi complessi.

    Il problema erano le circostanze collaterali. Circostanze che comprendevano una persona del suo passato e l’incredibile disastro che lui aveva combinato con l’egoistico desiderio giovanile di far soffrire suo fratello.

    Olivia Fairchild.

    L’organizzazione umanitaria di Olivia, Pari Opportunità, sponsorizzava Ama. Finanziava tanto il viaggio a Londra della bimba con sua madre che le prestazioni di un’interprete per l’operazione e la riabilitazione.

    E lei sarebbe arrivata il giorno seguente.

    Olivia, che lo aveva amato. Olivia, che lui aveva usato per offendere Leo. L’aveva esibita davanti a suo fratello, sapendo che Leo si era innamorato di lei. Lo aveva provocato con la donna che non poteva avere.

    Quando lo aveva scoperto, Olivia aveva sofferto immensamente. Ethan fu percorso da un brivido mentre ricordava il suo sguardo in quella terribile giornata. Ricordò la lite con Leo, nel corso della quale entrambi avevano ignorato che Olivia sentiva ogni parola. Ethan aveva dichiarato d’interessarsi alla bella australiana soltanto perché Leo la voleva per sé.

    Non era vero... non del tutto. Forse all’inizio, ma non a quel punto. Aveva apprezzato la compagnia di Olivia, lo aveva aiutato a scordare ogni cosa... la sua adolescenza infelice, il dolore per la morte prematura di sua madre, il burrascoso rapporto con suo padre.

    Ma il danno era fatto e Olivia non gli avrebbe mai perdonato il tradimento. Tossica... così aveva definito la loro relazione prima di tornare in Australia. E aveva ragione, era stata tossica. In gran parte per colpa di sua.

    Si era comportato da canaglia. Aveva preso quello che voleva senza curarsi dei sentimenti di Olivia. L’aveva semplicemente sedotta, sapendo che Leo sarebbe bruciato di gelosia ogni volta che li avesse visti insieme.

    A quell’epoca si era creduto immune dall’amore. Com’era stato idiota! Una donna fiera e appassionata, incontrata in un lontano paese devastato dalla guerra, gli aveva insegnato che si sbagliava. Che fosse la sua punizione per Olivia?

    Scoprire l’amore ed esserne bruscamente privato.

    Bevve un lungo sorso di whisky mentre pensava ad Aaliyah. Non gli occorreva quel rimorso oltre a quello per Olivia.

    Olivia...

    Lo aveva perdonato? E lui meritava il suo perdono?

    Lo sperava.

    O almeno potevano lasciarsi il passato alle spalle. Perché dal giorno seguente non soltanto l’avrebbe vista, ma avrebbe lavorato con lei. Poiché era specializzata in chirurgia ricostruttiva pediatrica, Leo l’aveva autorizzata, oltre che ad assistere nelle operazioni di Ama, a occuparsi di ogni altro caso della Clinica Hunter durante il suo soggiorno a Londra.

    La branca umanitaria della clinica, una creatura di Ethan, collaborava con organizzazioni del mondo intero, e quella di Olivia era una delle tante. Così avevano una lunga lista di operazioni, in gran parte su bambini. Olivia avrebbe avuto molte occasioni di aggiornare la propria tecnica.

    Ed Ethan avrebbe avuto un aiuto prezioso.

    Dovevano formare un team.

    Non poteva cambiare il passato, tuttavia poteva trattare Olivia con il rispetto che meritava.

    Bevve un altro sorso di whisky mentre le domande s’inseguivano nella sua mente. Domande senza risposta. Domande che lo facevano impazzire.

    Che lo spingevano a vuotare la caraffa di Leo.

    Stava assomigliando troppo a suo padre, si rifugiava nell’evasione. No, non intendeva percorrere quella strada.

    Trasse un sospiro e afferrò l’orlo della massiccia scrivania di noce, accostando la poltrona senza quasi usare le gambe. Era là, al centro della scrivania... il fascicolo di Ama.

    Depose la caraffa e il bicchiere, poi smise di pensare a Olivia mentre apriva il fascicolo e cominciava a leggere.

    Olivia Fairchild era in ritardo. Mentre pagava il tassista, controllò l’orologio per l’ennesima volta. L’aria pungente d’ottobre, così diversa da quella afosa dell’Africa, l’avvolse mentre il taxi ripartiva e lei si volgeva verso il familiare edificio di Harley Street.

    Nonostante il ritardo, si concesse un momento per riprendersi dalle emozioni che l’avevano assalita nel taxi. Sbatté le palpebre per scacciare quelle stupide lacrime. La sistemazione di Ama e di sua madre nella stanza del Lighthouse Hospital si era rivelata più complessa del previsto. Si sentiva inquieta e scombussolata, piuttosto che professionale. E per affrontare il passato le sarebbe occorsa tutta la sua professionalità.

    Ma quella sera Ama le aveva toccato il cuore... come glielo toccava dal primo giorno. Era parsa angosciata in quel mondo estraneo e sconvolta quando sua madre aveva lasciato la stanza con l’interprete per compilare il modulo di ammissione.

    Da nove anni la bimba conosceva soltanto il suo villaggio nell’Africa subsahariana, dov’era stata praticamente segregata in casa a causa del suo viso sfigurato.

    Londra doveva terrorizzarla.

    Olivia, che aveva passato gran parte delle ultime settimane a scrivere un rapporto su di lei, aveva cercato di confortarla, ma a volte soltanto l’amore materno poteva rassicurare una bimba. Ama aveva pianto fino al ritorno di sua madre.

    Le aveva ricordato il giorno in cui aveva trovato la bimba e sua madre, entrambe in lacrime nella via,

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