Giochi del destino
Di Anne Mather
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Giochi del destino - Anne Mather
successivo.
1
Il telefono squillò ed Emma alzò il ricevitore.
«Avery Antichità. Prego...»
Una voce maschile decisa l'interruppe subito: «Emma, come stai?».
Il suo cuore si mise a battere all'impazzata, mentre un impeto di collera s'impradroniva di lei. Perché quella emozione ridicola? Ormai avrebbe dovuto parlare con Jordan senza il minimo turbamento.
«Ciao, Jordan» rispose, in tono calmo e distaccato. «Posso fare qualcosa per te?»
«Come sei formale» osservò lui ironico. «Ti ho chiesto come stai.»
«Bene grazie» disse contraendo le dita sul ricevitore.
La risposta dovette farlo sorridere.
«Ne sono contento!» esclamò in tono canzonatorio.
Dopo un penoso silenzio proseguì: «E tu non vuoi sapere niente di me?».
Non ci tengo particolarmente, ecco quello che avrebbe dovuto rispondergli, invece si limitò a dire: «Sono molto impegnata, adesso, Jordan. Se posso fare qualcosa...».
«Va bene» l'interruppe lui, «ceniamo insieme stasera, ti va?»
«Non pensarci neppure!» le scappò detto, poi cercò di correggersi: «Cioè... non questa sera, non è possibile».
«Perché?» chiese lui.
Jordan non era il tipo d'uomo disposto a dichiararsi vinto al primo rifiuto.
«Perché... sono impegnata» mentì, facendo tacere la coscienza.
Del resto non aveva forse deciso di pulire il solaio? Nonostante il freddo, avrebbe cominciato quella sera stessa.
«Capisco» mormorò Jordan, seccato. «E domani?»
«Anche domani.»
«Un altro giorno?» domandò ironico.
«No.» Passò il ricevitore nell'altra mano. «Be', se vuoi sapere la verità, io... io non ho intenzione di cenare con te, Jordan.»
«Perché? Temi la reazione di David? A quel che si dice, non hai da preoccupartene molto...»
«Sei ignobile!»
«Stammi a sentire!» Era furibondo adesso. «Non intendo continuare a discutere, Emma. Desidero parlarti, punto e basta.»
«No.»
Avrebbe dovuto riattaccare, ma una forza oscura glielo impediva. D'altra parte non poteva permettere che Jordan Kyle disponesse di lei a suo piacimento, come era accaduto in passato.
«Emma?»
Lei fremette sentendo pronunciare il proprio nome. Ci fu una breve pausa, in cui lui parve cercare le parole.
«Devo assolutamente parlarti: è una questione di vita o di morte» disse lui infine.
«Di quale morte?» s'informò, con la bocca arida. «La tua?»
«Accidenti, no! Accetti di vedermi, sì o no?» riprese dopo una pausa.
«Perché non vieni a cena a casa mia con... con David?»
Sapeva bene che David non avrebbe mai ammesso Jordan Kyle alla propria tavola.
«Ma no, Emma» sospirò irritato, «non è possibile. Non fare l'ingenua!»
«Mi dispiace...»
«Pazienza! Scusa se ti ho disturbato.»
«No, aspetta...»
Sapeva che lui avrebbe riattaccato e non poteva rassegnarvisi.
«Perché vuoi parlarmi?» gli domandò con voce incerta.
«Che importanza ha, ormai!» rispose senza scomporsi. E riagganciò.
Emma restò perplessa per alcuni secondi, con il ricevitore fra le mani, poi lo riappese di colpo, quasi bruciasse.
Solo allora diede libero sfogo alla sua indignazione. Aveva avuto un bel coraggio a telefonarle dopo tanto tempo! E che sfacciataggine, invitarla a cena improvvisamente, dopo otto anni, durante i quali non si era mai fatto vivo!
Per fortuna, aveva rifiutato quell'invito! Così lui avrebbe capito che non era a sua disposizione. Come si sarebbe disprezzata, se avesse ceduto! E David! Si sarebbe infuriato, venendolo a sapere.
Tremava come una foglia quando riprese il vaso di porcellana che stava spolverando prima della telefonata. Senza dubbio, Jordan Kyle aveva una bella faccia tosta! Ma nonostante tutto, la curiosità aveva preso il sopravvento.
Perché l'aveva chiamata così all'improvviso? Sicuramente non per una questione d'affari: la madre di lei aveva ceduto la sua quota di partecipazione alla società e non sussisteva più alcun rapporto tra la famiglia Kyle e la sua. Allora?
Al ritorno di Gilda, Emma aveva ancora il piumino in mano, mentre il suo pensiero vagava altrove. Il campanello della porta d'ingresso del negozio risuonò dolcemente e l'antiquaria entrò. Quando richiuse la porta Emma sussultò, urtando una delicata coppa di porcellana. Gilda afferrò al volo il prezioso vaso, evitando l'irreparabile.
«Sono... sono mortificata» balbettò Emma. «Ero distratta.»
«Me ne sono accorta» commentò Gilda con una certa freddezza. «Non ha neppure sentito il campanello della porta. Che cosa succede?»
«Non l'aspettavo così presto» mormorò Emma arrossendo. «Ha ottenuto quanto desiderava?»
Gilda Avery si tolse la giacca di montone che indossava su un completo di jersey e l'appoggiò sulla sedia della sua scrivania. Poi stese il braccio perché Emma si rendesse conto dell'ora.
«Ma sa almeno che ore sono, cara? Il mio orologio fa l'una meno un quarto. Non pranza, oggi?»
«Così tardi!» esclamò Emma sorpresa.
A che ora l'aveva chiamata Jordan? Alle dieci e mezza o forse alle undici? Aveva fantasticato così a lungo?
«Temo di essermi addormentata» affermò scherzando. «Spero di non aver perso troppi clienti.»
«No, non credo» rispose Gilda più gentilmente, sprofondandosi in una poltrona.
Si stiracchiò pigramente.
«Sono contenta di aver concluso l'affare: trattare con un privato mi ha stancato più di una vendita all'asta.»
«E l'ha spuntata?» s'interessò Emma, ricordandosi di colpo dello scrittoio stile Luigi XV che Gilda voleva accaparrarsi a ogni costo.
«Sì» ammise l'antiquaria, accendendosi una delle sue gauloises, «anche se l'ho pagato un po' caro, ovviamente...»
«Non ci credo, Gilda! Dal suo aspetto si direbbe piuttosto soddisfatta.»
«Infatti!» esclamò Gilda, senza più cercare di dissimulare il suo entusiasmo. «Emma, che pezzo stupendo! Vedrà. Un vero gioiello: puro Luigi XV, con intarsi raffinati, divinamente realizzati. Non potrò mai separarmene.»
«Sa benissimo che non è così» le disse Emma, girando lentamente intorno al banco. «Mettiamo il caso che un giorno entri nel negozio un americano e che le offra una cifra favolosa: lei non saprà resistergli...»
Aveva parlato in tono indifferente, senza alcun interesse per quello che diceva.
Gilda le gettò un'occhiata penetrante e le domandò a bruciapelo: «Che succede, Emma? È venuto qualcuno qui? Perché ha quell'aria assente? L'ha chiamata David?».
«No» rispose, gettando indietro i folti capelli con gesto deciso. «Ho passato la mattinata fra le nuvole e ora eccomi ricondotta brutalmente sulla terra. Mi occorre soltanto un attimo per riprendermi.»
«A che cosa pensava, cara?»
Emma si strinse nelle spalle.
«Non so... a tutto e a niente. Lei... ha pranzato?»
«No, mi basterà un panino un po' più tardi» rispose Gilda aggrottando le sopracciglia. «Non intendo essere indiscreta, ma se ha qualche problema, sa bene che me ne può parlare. Ci conosciamo da tanto tempo...»
«No, non si preoccupi per me» tagliò corto Emma, infilandosi la giacca. Poi, senza lasciarle il tempo di rispondere, aggiunse: «Le porterò io il panino. Al prosciutto o al formaggio?».
«Prosciutto, per favore» rispose la donna alzandosi. «Emma, c'è stato di nuovo qualcosa con David? Voglio dire, è più scorbutico del solito?»
«No» ribatté con un nodo alla gola. Poi, di colpo, prendendo il coraggio a due mani, confessò: «Si tratta di Jordan, mi ha telefonato».
«Jordan Kyle!» esclamò Gilda sbigottita.
«Sì.»
«Che cosa voleva?» mormorò l'antiquaria in un soffio.
«Mi ha invitata a cena.»
«Ha accettato?»
«Chiaramente no» si affrettò a rispondere Emma, contenta di poter dire la verità. «Gli ho detto chiaro e tondo che non volevo vederlo. Del resto, David non lo permetterebbe.»
«Oh, lui diventa furibondo quando si toccano le sue abitudini» esclamò Gilda in tono acido.
«Gilda» sospirò Emma, «David non le è molto simpatico, lo so e non ne discuto, ma non sono d'accordo con lei.»
«Può darsi, ma torniamo a Jordan: perché desiderava cenare con lei?»
«Non me l'ha detto.»
«Sempre misterioso. È ancora innamorato di lei?»
«Non sia sciocca!» esclamò Emma, dirigendosi decisa verso la porta. «Di me Jordan Kyle ha amato soltanto la mia quota di partecipazione alla società Tryle. Non è un segreto per nessuno!»
«Davvero?» mormorò Gilda. «Ho sentito altre versioni.»
«Che cosa intende dire?» domandò Emma suo malgrado.
«Niente di particolare. Vada a mangiare adesso! È già molto in ritardo. E, soprattutto, non si dimentichi di portarmi il panino. Tra un po' avrò senz'altro una fame da lupo.»
Con la mano sulla maniglia della porta, Emma lanciò un'occhiata all'antiquaria, poi chiese con risolutezza: «Gilda, che cosa sa di Jordan? Ha una relazione con qualche donna?».
«Ormai la faccenda non la riguarda più, cara» ribatté Gilda con voce nuovamente calma. «Jordan è stato un amore di gioventù, non è così?»
«Sì, certo» ammise Emma, alzando la testa fieramente. «Ma lo conosco da sempre, e tutto quello che lo riguarda non può lasciarmi indifferente.»
«Certo» replicò Gilda, mordicchiando distrattamente una matita. «Insomma, stando a certe voci, lo si vede spesso in compagnia di Stacey Albert, la figlia del direttore della...»
«Della società A.C.C., quella dei computer» l'interruppe nervosamente Emma. «Non lo sapevo... Si sposeranno?»
«Forse, ma a dir la verità, il suo amico Jordan non ha molta fretta di compiere il gran passo. Che età ha di preciso? Trentasei o trentasette anni?»
Emma arrossì.
«Jordan ha sempre anteposto la carriera ai sentimenti, gliel'ho già detto.»
«Può anche essere cambiato» osservò Gilda freddamente.
Emma restò in silenzio: la sola idea che Jordan fosse innamorato di un'altra donna la sconvolgeva.
Il negozio di antichità era situato nella strada principale di Abingford. La piccola cittadina, la cui storia risaliva al Medio Evo, godeva d'una certa fama sia in Europa che negli Stati Uniti.
Nella bella stagione numerosi turisti venivano ad ammirarne le antiche case di legno, allineate sulle rive dell'Avon, e a visitarne la superba cattedrale, celebre nel mondo intero.
Abingford sorgeva vicino a Stratford, la città natale di Shakespeare, ma era abbastanza lontana da Londra per sfuggire a quei movimenti migratori d'impiegati che di giorno lavorano nella capitale e la sera fanno ritorno in campagna.
Emma aveva sempre vissuto lì, tranne un periodo di due anni trascorso a Londra. La sua famiglia risiedeva in paese da generazioni.
Quel giorno, Emma risalì la strada principale e imboccò Hunter' Mews, indifferente a tutto quello che la circondava. Camminava così assorta nei suoi pensieri, che si dimenticò di fermarsi dal macellaio.
Quando era ormai oltre, si ricordò che non aveva più niente per pranzo per cui ritornò indietro. Comprò alcune grosse bistecche, come piacevano a David, e quindi si diresse in fretta verso Mellor Terrace.
Lei e David abitavano in una simpatica casetta di stile georgiano, dono di nozze della madre di lui. Nelle settimane precedenti il matrimonio, i due fidanzati avevano progettato di restaurarla, ma dopo la disgrazia, David se n'era completamente disinteressato, rifiutandosi di modificare anche il più piccolo particolare.
L'arredamento era vecchiotto, la tappezzeria fuori moda, ma il marito sembrava compiacersi di quello scenario triste e familiare. Come pensare a contrariarlo?
Talvolta Emma sospettava che la suocera incoraggiasse indirettamente la passività del figlio, sfruttandone a