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La passione proibita del milionario: Harmony Collezione
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La passione proibita del milionario: Harmony Collezione
E-book175 pagine3 ore

La passione proibita del milionario: Harmony Collezione

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Info su questo ebook

Dalla Grecia agli Stati Uniti, dall'Italia all'Inghilterra, innamorarsi di un milionario non è poi così difficile. Ma riuscire a rapirne il cuore non è un'impresa da tutti.



Dominic Montoya è alto, moro, bellissimo. E dai Caraibi porta con sè una notizia sconvolgente: Cleo Novak è la figlia illegittima di Robert, il padre adottivo del giovane. Questo è davvero troppo per Cleo. È ancora scossa dalla morte dei Novak che l'hanno cresciuta, ed è evidentemente turbata dal fascino ispanico di Dominic, già promesso sposo di un'altra. L'attrazione tra lei e l'intrigante messaggero, però, è troppo difficile da domare e troppo intensa da nascondere. Non resta che capire se la storia delle loro famiglie si ripeterà in modo altrettanto intricato con nuovi protagonisti.
LinguaItaliano
Data di uscita10 ott 2017
ISBN9788858973165
La passione proibita del milionario: Harmony Collezione

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    Anteprima del libro

    La passione proibita del milionario - Anne Mather

    1

    Eppure aveva già visto quella donna...

    Cleo non sapeva dove o quando, o se l’idea fosse solo frutto della sua immaginazione, ma guardandola provava una sensazione familiare.

    Forse stava esagerando, ma in realtà la donna la fissava dal momento in cui Cleo si era messa in coda alla cassa. Forse per quello le sembrava di averla già vista. O forse la sconosciuta l’aveva scambiata per un’altra persona.

    Essere fissata le dava fastidio, ma ciò non significava che la donna fosse pericolosa. Cleo pagò il latte, decisa a ignorare quegli occhi insistenti, ma sussultò spaventata quando si sentì chiamare per nome.

    «La signorina Novak, vero?» le chiese la donna, bloccando il passaggio. «Piacere di conoscerla, finalmente! La sua amica ha detto che l’avrei trovata qui.»

    Norah aveva dato informazioni a un’estranea che si era presentata al loro appartamento?, si chiese Cleo, perplessa. Era impazzita? Non aveva un po’ di cervello, considerando quello che si leggeva sui giornali?

    «Mi scusi, ma ci conosciamo?» replicò controvoglia.

    La donna sorrise e Cleo si accorse che era più anziana di quanto sembrava a distanza. Aveva almeno cinquant’anni, nonostante i capelli ramati pettinati a caschetto e la figura sottile.

    Non era molto alta e doveva inclinare la testa per guardare in faccia Cleo. Era ben truccata, elegante... insomma, dotata di quella che si definisce presenza.

    «Mi scuso io» disse, con un vago accento europeo. Continuando a parlare, fece uscire Cleo dal negozio e rabbrividì nell’aria fresca della sera. «Avrei dovuto presentarmi prima» aggiunse, fermandosi nell’area antistante al supermercato. «Non ci conosciamo, cara, ma sono Serena Montoya, la sorella di suo padre.»

    Era l’ultima cosa che Cleo pensava di sentire e per un attimo guardò allibita la sua interlocutrice.

    Poi si riprese. «Mio padre non aveva sorelle, signora Montoya» obiettò, con un misto di divertimento e sollievo. «Mi spiace, deve avere sbagliato persona.»

    «Non credo proprio.» Serena Montoya, sempre che si chiamasse davvero così, le posò sulla manica della giacca di lana una mano dalla manicure perfetta, ma la ritrasse notando la reazione di Cleo. «La prego, mi ascolti un attimo. Suo padre si chiamava Robert Montoya.»

    «No.»

    «Era nato sull’isola di San Clemente, nei Caraibi, nel millenovecentocinquantasei.»

    «Non è vero.» Cleo era sempre più seccata. «Sì, mio padre era nato a San Clemente» ammise rassegnata. «Non conosco la data esatta, e comunque si chiamava Henry Novak.»

    «Temo di no.» Serena afferrò Cleo per il polso con una forza inaspettata, e proseguì decisa: «Non le sto mentendo, signorina Novak. So che lei è convinta che Lucille e Henry Novak fossero i suoi genitori, ma non lo erano».

    Cleo non credeva alle sue orecchie. «Che cosa vuole da me?» chiese, alzando la voce. «Perché si ostina a ripetere che suo fratello Robert è mio padre?»

    «Perché lo era» sospirò Serena. «È morto qualche anno fa.»

    «Ma è ridicolo!» Cleo soffocò un singhiozzo.

    «Invece è la verità» ribatté Serena, implacabile. «Mi creda, signorina Novak, quando mio padre, cioè suo nonno, mi raccontò questa storia, non volevo crederci neanch’io.»

    «Lo immagino, visto che non è vero» commentò Cleo, ostinata. «Suo padre avrà avuto le allucinazioni. Purtroppo i miei genitori sono morti in un incidente ferroviario sei mesi fa, e non possono confermare le mie parole.»

    «Sappiamo dell’incidente.» Serena era piena di sorprese. «È stato allora che mio padre ha saputo che lei vive qui. E non soffre di allucinazioni. Ti prego, Cleo, vieni a bere qualcosa con me e lascia che ti spieghi.»

    Cleo fece un passo indietro e questa volta Serena la lasciò andare. «Come fa a sapere il mio nome?»

    «Secondo te?» domandò Serena, seccata. «Ti chiami Cleopatra, vero?» Vedendo l’involontaria conferma sul viso di Cleo, proseguì: «Come tua nonna materna, Cleopatra Dubois. Sua figlia, Celeste, era tua madre, una delle donne più belle dell’isola». Squadrò Cleo da capo a piedi. «Oserei dire che le assomigli molto.»

    Cleo strinse le labbra. «Era nera?»

    «Ha importanza?» replicò Serena.

    Cleo scosse la testa. «Soltanto un bianco farebbe una domanda simile. Certo che ha importanza.»

    «Okay» ammise Serena. «Sì, diciamo che era... color caffè. Non proprio nera, ma nemmeno bianca.»

    Cleo ne aveva abbastanza. Se la descrizione della sua presunta madre voleva disorientarla, aveva fallito clamorosamente. Da una vita era abituata all’adulazione da parte degli uomini.

    «Senta, io devo andare» tagliò corto, ripetendosi che, se quella donna avesse detto la verità, le sarebbe arrivato qualcosa all’orecchio. I suoi genitori non le avevano mai mentito, e lei li amava troppo per sospettare che l’avessero ingannata.

    Inoltre era la loro erede universale, e nei loro documenti non aveva trovato niente di strano. A parte la foto, ricordò improvvisamente. Non le aveva dato importanza, ma, a pensarci bene, la donna ritratta con sua madre le assomigliava parecchio. Sul retro della foto, però, non c’era scritto niente, e in ogni caso al mondo dovevano esserci centinaia di persone a cui lei assomigliava.

    Come Serena Montoya.

    Scacciò il pensiero mentre Serena riprese a parlare. «Mi rendo conto che sia stato uno shock per te. Lo è stato anche per me!»

    Puoi dirlo forte, pensò Cleo. Si guardò bene dal parlare, ma sapeva che la storia non finiva lì.

    «Devi assimilare la notizia» continuò Serena, disinvolta, infilandosi i guanti di velluto. «Ma non metterci troppo, cara. Tuo nonno sta morendo. Vuoi negargli la possibilità di conoscere la sua unica nipote?»

    Mezz’ora dopo, Cleo arrivò nell’appartamento che divideva con Norah Jacobs.

    Per andare dal supermarket a Minster Court ci metteva cinque minuti, ma era passata dal parco per riflettere.

    In altre circostanze non lo avrebbe mai fatto: era sola, ed era già buio, ma era molto confusa. Aveva appena saputo che sua madre e suo padre, le persone delle quali aveva sempre pensato di potersi fidare, le avevano mentito sulla sua identità. E che non era sola al mondo, come pensava, ma aveva una zia, un nonno e chissà quanti altri parenti, che erano... insomma, bianchi.

    Non voleva crederci. Le cose dovevano tornare alla normalità, come prima che Cleo decidesse di avere un assoluto bisogno di latte e fiocchi d’avena per la colazione del mattino dopo.

    Se non fosse andata a fare la spesa...

    Che stupidaggine! Prima o poi, quella Montoya l’avrebbe trovata, e le cose non sarebbero cambiate, a meno che Serena Montoya non stesse orchestrando il più grande bluff della storia.

    Ma perché lo avrebbe fatto? Che cos’aveva da guadagnarci? Non le sembrava il tipo da scomodarsi per una perfetta sconosciuta, a meno che suo padre non stesse davvero morendo, e avesse un piano che Serena non le aveva ancora rivelato.

    Norah l’aspettava in soggiorno. L’appartamento era davvero troppo piccolo per due persone, ma gli affitti in quel quartiere di Londra erano proibitivi, e Cleo aveva accettato con gioia l’idea di dividere le spese con l’amica.

    Norah era bionda, carina e grassottella, l’esatto contrario di Cleo, ma le due ragazze erano inseparabili fin dai tempi della scuola e, nonostante lo spazio limitato, andavano molto d’accordo.

    «Meno male!» esclamò Norah, sollevata, quando Cleo aprì la porta. «Ero preoccupata da morire. Dove sei stata?» Poi la guardò perplessa. «Ehi, che cos’è successo? Hai una faccia!»

    Cleo scosse la testa in silenzio e andò a mettere il latte in frigorifero, oltrepassando il bancone che separava il cucinotto dal soggiorno.

    «Perché diavolo hai detto a una sconosciuta dov’ero andata?» chiese, irritata.

    Norah arrossì. «Allora ti ha trovato.»

    «Serena Montoya? Sì, mi ha trovato.»

    «Si chiama così?» Norah cercò invano di alleggerire l’atmosfera. «Mi ha detto che era tua zia» aggiunse incerta. «Che cosa dovevo fare? Non mi sembrava una truffatrice!»

    «Come no, il tuo famoso intuito!» la rimbeccò Cleo, seccata. I tentativi di Norah di trovarsi un uomo decente erano leggendari. Tornò in soggiorno e sprofondò sul divano, guardando l’amica accigliata. «Pensavo che avessi un minimo di buonsenso.»

    «Non è tua zia?»

    «No, non è mia zia» dichiarò Cleo, con più forza che convinzione. «Ma non l’hai guardata? Insomma, Norah, ti sembro la nipote di Serena Montoya?»

    «Be’, potresti esserlo.» Norah non sapeva come difendersi. «Anche se sei più alta di lei, un po’ vi assomigliate. Montoya è un cognome spagnolo, no?»

    «Non lo so. Credo che Serena viva ai Caraibi, quindi potrebbe essere un cognome spagnolo. Ma i miei genitori erano neri, non spagnoli!» esclamò Cleo, esasperata. «Lo sai, no?»

    In passato, qualche volta si era interrogata sulla propria identità. Non assomigliava molto ai genitori, e si era chiesta se uno dei due o entrambi avessero sangue latino.

    Ma quelle domande avevano risvegliato una tale animosità che da allora Cleo aveva preferito tenere per sé i suoi dubbi. E amava troppo i genitori per credere che le avessero mentito.

    «Sì, però...» replicò Norah in tono filosofico. «Che altro ti ha detto? Non sarà venuta fin qui se tra voi non c’è nessun legame.»

    «Non c’è nessun legame!» ripeté Cleo, esasperata. Poi, notando lo stupore dell’amica, continuò: «Okay, ha detto che mamma e papà non erano i miei veri genitori. Che il mio padre biologico era Robert Montoya, cioè suo fratello».

    «Oddio!»

    «Appunto» mormorò Cleo, temendo che la storia fosse vera. «Per quello sono un po’ fuori: non capita tutti i giorni che ti dicano che non sei chi pensavi di essere.»

    Norah si morse il labbro. «Ma, secondo te, mente?»

    «Certo che mente!» Cleo era molto scossa. «Come puoi chiedermi una cosa del genere? Conoscevi i miei: ti sembravano capaci di tenere un simile segreto?»

    «No» sospirò Norah. «Però mi è capitato di pensare che non assomigliassi molto ai tuoi. Insomma, la tua pelle è più scura della mia, ma non sei bionda, no? E i tuoi bellissimi capelli neri e lisci?»

    «Norah, lascia perdere.»

    Cleo si alzò di scatto e andò nella piccola camera da letto che Norah aveva preparato per lei quando si era trasferita.

    Non voleva nemmeno pensare che ci fosse un briciolo di verità nelle parole di Serena Montoya, perché, in quel caso, tutta la sua vita sarebbe andata in pezzi.

    Avrebbe dovuto farle altre domande, esigere prove che dimostrassero la sua tesi, invece di negare a oltranza. Se Serena Montoya era venuta fin lì, un motivo doveva pur esserci.

    Dominic Montoya stava guardando fuori dalla finestra quando Serena entrò nella suite al quattordicesimo piano. Londra si stendeva ai suoi piedi, illuminata, rumorosa, caotica e tanto diversa dalla tenuta di famiglia, a casa.

    La porta era automatica, così Serena non poté sbatterla, ma la sua imprecazione fece voltare il nipote, che la guardò con gli occhi verdi colmi di ironia.

    «Vedo che è andata bene» osservò, mentre Serena si preparava una vodka con ghiaccio e ne beveva un sorso. «Immagino che tu l’abbia trovata.»

    Serena strinse le labbra. «Sì, l’ho trovata» rispose, con gli occhi azzurri freddi come un iceberg. «Ma la prossima volta, se vuoi, vai tu a parlare con lei.»

    Dominic s’infilò le mani in tasca e dondolò sui tacchi degli stivali di cuoio. «Quindi ci sarà una prossima volta» arguì disinvolto. «Vi siete date appuntamento?»

    «No, ma uno di noi dovrà sacrificarsi.» Serena scosse la testa. «Altrimenti tuo nonno darà di matto.»

    Dominic la guardò con aria interrogativa.

    Era davvero bellissimo e, con un moto di risentimento, Serena pensò che, qualunque cosa succedesse, suo padre non lo avrebbe mai accusato di niente.

    Da quando suo fratello Robert aveva trovato il piccolo Dominic, di tre anni, che vagava per le strade di Miami, era sempre andata così. Dominic aveva vinto la lotteria, assurgendo al ruolo

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