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Il caldo sole dell'amore: Harmony Collezione
Il caldo sole dell'amore: Harmony Collezione
Il caldo sole dell'amore: Harmony Collezione
E-book178 pagine2 ore

Il caldo sole dell'amore: Harmony Collezione

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Info su questo ebook

Il richiamo del passato è troppo forte per resistere e Gina Redman vuole scoprire chi è il suo vero padre. Ha solo un nome e una vecchia foto: Giovanni Caradente... Il destino la aiuterà: arrivata in Italia, una serie di coincidenze la portano a incontrare il conte Lucius Caradente, uomo forte e affascinante, con un alto senso dell'onore. Che Gina sia sulla strada giusta per conoscere la verità? L'attrazione è irresistibile e la passione divampa. Lucius scopre di essere il primo uomo per Gina. Per salvare onore e reputazione l'unica soluzione è il matrimonio. Ma come è possibile sposarsi senza amore?

LinguaItaliano
Data di uscita10 feb 2014
ISBN9788858919217
Il caldo sole dell'amore: Harmony Collezione
Autore

Kay Thorpe

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Il caldo sole dell'amore - Kay Thorpe

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    The Italian Match

    Harlequin Mills & Boon Modern Romance

    © 2001 Kay Thorpe

    Traduzione di Silvana Mancuso

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2011 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5891-921-7

    www.eHarmony.it

    Questo ebook contiene materiale protetto da copyright e non può essere copiato, riprodotto, trasferito, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro modo ad eccezione di quanto è stato specificamente autorizzato dall’editore, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esplicitamente previsto dalla legge applicabile. Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata di questo testo così come l’alterazione delle informazioni elettroniche sul regime dei diritti costituisce una violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla Legge 633/1941 e successive modifiche.

    Questo ebook non potrà in alcun modo essere oggetto di scambio, commercio, prestito, rivendita, acquisto rateale o altrimenti diffuso senza il preventivo consenso scritto dell’editore. In caso di consenso, tale ebook non potrà avere alcuna forma diversa da quella in cui l’opera è stata pubblicata e le condizioni incluse alla presente dovranno essere imposte anche al fruitore successivo.

    1

    Strano pensare che il rigoglioso paesaggio toscano davanti a lei sarebbe potuto essere la sua patria, rifletté Gina, mentre la macchina affrontava la salita. Pur essendo bello non sentiva alcuna attrazione.

    Si fermò e diede un’occhiata alla mappa aperta sul sedile accanto. Se i suoi calcoli erano corretti, i tetti rossi e la torre campanaria a un paio di chilometri erano quelli di Vernici. Più piccolo di quanto avesse immaginato, ma grande abbastanza da trovarvi un alloggio per il breve periodo che avrebbe trascorso nei dintorni. Eppure, aveva ancora forti dubbi sul buonsenso di ciò che intendeva fare. Venticinque anni erano tanti. Era possibile che i Carandente non abitassero più lì.

    In quel caso, avrebbe dimenticato tutto quanto una volta per tutte. Se non altro, avrebbe visto una parte dell’Europa che non aveva ancora visitato.

    Circondata da uliveti, la cittadina aveva un aspetto medievale, con stradine che si dipartivano dalla piazza centrale. La macchina che uscì a rotta di collo da una delle stradine l’avrebbe presa in pieno se lei non avesse subito sterzato nell’unica direzione possibile: dritta contro una barriera messa a protezione di lavori, e con la ruota direttamente nel fosso.

    Grazie alla cintura Gina fu solo un po’ sballottata, ma lo shock bastò a farla rimanere seduta come una povera stupida per gli attimi che la gente impiegò ad arrivare, attirata dallo stridore della frenata.

    I loro commenti non ebbero né capo né coda, d’altra parte lei conosceva pochissime parole in italiano. Poté solo fare dei gesti impotenti. Alla fine un uomo aprì la portiera e la aiutò a scendere dal veicolo cercando di farsi capire.

    L’unica parola che capì fu garage.

    «Sì, grazie, signore!» rispose grata, fiduciosa che l’uomo avrebbe chiamato qualcuno. Senza dubbio la macchina non avrebbe potuto circolare una volta tirata fuori dal fosso. Sperò solo che si potesse riparare senza problemi.

    L’uomo scomparve in una stradina laterale, lasciandola appoggiata debolmente al più vicino sostegno, in attesa di soccorso. Erano le due, faceva un po’ meno caldo rispetto a mezzogiorno, ma la camicetta le si attaccava comunque alla schiena. Un’anziana signora le rivolse la parola. Presumendo che le chiedesse se stava bene, Gina abbozzò un sorriso.

    «Sì, grazie. Inglese» aggiunse prima che le facesse altre domande.

    Sarebbe stata una buona idea imparare un po’ d’ita-liano prima di partire per quella ricerca, pensò cupa, ma ormai era troppo tardi per i se. Era a Vernici, e con tutta probabilità vi sarebbe rimasta per tutto il tempo necessario a riparare la macchina.

    Raddrizzandosi, fece il giro dell’auto per dare un’occhiata ai danni, per niente rassicurata da ciò che vide: la ruota era rientrata, il parafango e un angolo del cofano erano malamente accartocciati. Il fatto che la macchina fosse italiana era una magra consolazione. Di certo, però, sarebbe servito a qualcosa in caso di necessità di ricambi.

    Ostacolata più che favorita da mani fin troppo pronte ad aiutare e da consigli solerti, per liberare la macchina i due uomini, giunti infine con un rimorchio malandato, ci misero mezz’ora. Con un tuffo al cuore si accorse che era ancora peggio del previsto. La ruota era informe, il parafango un rottame, il cofano forse era salvabile, tuttavia era improbabile che tornasse nuovo senza il lavoro di un carrozziere esperto.

    Le maniere spensierate dei due meccanici davano poca fiducia. Uno di loro, che parlava un po’ d’inglese, indicò che bisognava richiedere a Siena, o forse addirittura a Firenze, una ruota e un parafango nuovi.

    Quando gli chiese quanto tempo ci sarebbe voluto, lui aprì le mani in un gesto fin troppo riconoscibile. Forse una settimana, o forse più. Chi poteva dirlo? E poi ci sarebbe stato il lavoro. Forse un’altra settimana. E il costo? L’uomo aprì ancora le mani: sarebbe stato quel che sarebbe stato, capì Gina, che a quel punto non era più nello stato di insistere ulteriormente.

    Rifiutando l’invito a stringersi con loro nel rimorchio, lei li seguì a piedi verso un piccolo garage, per vedere il suo unico mezzo di trasporto messo in un angolo ad attendere. I pezzi di ricambio sarebbero stati ordinati subito, le assicurò il più giovane. Nel frattempo poteva fornirle un buon posto in cui alloggiare.

    Di fronte all’aperto apprezzamento del proprio corpo, Gina diede alla proposta una ben misera considerazione. Per la prima volta pensò alla macchina che aveva causato l’incidente. Al volante c’era una donna, non un uomo, ed era giovane, la macchina grande e blu.

    Senza tante speranze le descrisse al meccanico che le rispose con un sorrisetto furbo. «Cotone» sentenziò. «Andare a San Cotone. Tre chilometri» aggiunse poi tirò fuori una mappa. «Molto ricchi. Fatti pagare!»

    Gina aveva tutte le intenzioni di provarci. Era assicurata, ma notoriamente era difficile ottenere un risarcimento per incidenti all’estero. Più ci pensava più s’infuriava, e l’obiettivo del viaggio per il momento passò in secondo piano. Era bloccata nel più remoto angolo del mondo solo perché una ragazza viziata non aveva nulla di meglio da fare che andarsene in giro senza rispetto per la vita altrui. Definirla incosciente era il minimo!

    Come arrivarci, però? «Taxi?» chiese. «Autobus?»

    L’uomo scosse la testa. «Prendi macchina.»

    «E come...?» borbottò lei poi s’interruppe di colpo guardando dove indicava l’uomo. Ridotta a un ammasso di ruggine, la gloria della piccola utilitaria era passata da un pezzo. Gli sfortunati, però, non potevano permettersi di scegliere. Se era l’unico veicolo disponibile allora lo avrebbe preso.

    «Quanto?» chiese.

    L’alzata di spalle fu eloquente, il sorriso ancora di più. «Paghi dopo.»

    In contanti, non in natura, pensò secca, capendo fin troppo bene le intenzioni. Le valigie erano nel suo bagagliaio. Dopo una breve esitazione decise di lasciarle lì. Doveva risolvere la questione intanto che bruciava ancora di rabbia. L’alloggio poteva aspettare.

    Nonostante l’aspetto l’utilitaria si accese senza troppi problemi. Gina prese la strada da cui era arrivata, per svoltare lì dove le aveva indicato l’uomo.

    Agli uliveti si alternarono vigneti immensi curati da quello che doveva essere un esercito regolare di braccianti. Solo allora Gina collegò l’etichetta di Chianti che aveva visto a casa. Una famiglia davvero ricca, pensò, di certo avrebbe potuto pagare il danno alla sua macchina.

    Una cancellata in ferro battuto dava accesso a un viale che curvando tra gli alberi arrivava a una villa di pietra dall’architettura e dalle dimensioni sorprendenti. Gina si fermò sulla rotonda di ghiaia rifiutandosi di permettere allo splendore del posto di distrarla dallo scopo. Un membro di quella famiglia l’aveva mandata fuori strada, ora avevano l’obbligo di rimborsarla.

    Inserito nel muro di pietra, accanto a imponenti porte doppie, il campanello era del vecchio tipo a tirante. Emise un suono profondo e ripetuto. L’anziano signore che rispose indossava pantaloni e gilet scuri e una camicia candida. Di certo un membro del personale e non della famiglia. Le diede un’occhiata rapida, osservando la camicetta e la gonna semplici. Lo sdegno aumentò quando posò lo sguardo sul veicolo malandato nel cortile di ghiaia.

    «Sono qui per vedere il proprietario» annunciò prima che lui potesse parlare, desiderando a quel punto di essersi fatta dare il nome dal meccanico. «Padrone» aggiunse, rivangando nello scarso vocabolario.

    L’uomo scosse la testa con enfasi, disse una sola frase secca e prese a chiudere la porta. Gina lo fermò puntando le mani contro il legno e spingendo.

    «Padrone!» insistette.

    A giudicare dall’espressione dell’uomo era tutto inutile. Le rimaneva solo un’opzione. Si intrufolò dentro prima che lui potesse muoversi, dirigendosi verso una delle porte dell’ampio corridoio di marmo, senza alcuna idea chiara in mente se non bloccare qualsiasi tentativo immediato di allontanarla da lì.

    C’era una chiave nella porta in fondo. Gina sbatté la pesante porta di legno e la chiuse a chiave, posando la fronte contro un pannello per riprendere non solo il fiato ma anche se stessa. Era stata davvero una mossa folle, ammise. E difficilmente avrebbe fatto una bella impressione sul proprietario, chiunque fosse.

    A un colpo alla porta seguì ciò che parve una domanda. Gina rimase immobile dov’era mentre rispondeva un’altra voce maschile, stavolta dietro di lei. Si voltò di scatto, avendo l’impressione indistinta di un’ampia camera piena di libri, mentre lo sguardo si posava su un uomo seduto a una grande scrivania.

    Dalla finestra dietro di lui, il sole coglieva dei riflessi nella folta capigliatura nera. Occhi scuri la guardavano perplessi, la mancanza di rabbia o fastidio nei lineamenti scolpiti fu per certi versi rassicurante.

    «Buon pomeriggio» disse l’uomo.

    «Parla inglese?» chiese lei speranzosa.

    «Certo» rispose lui in perfetto inglese. «Mi scuso per non essermene reso conto. Sono stato depistato dai capelli scuri nel credere per un attimo che lei avesse il mio stesso sangue, ma non ho mai visto degli occhi così azzurri e una pelle così meravigliosamente candida in nessuna donna italiana!»

    Candore che in quel momento era più una sventura, avrebbe potuto ribattere, afflitta dal calore che avvertiva sulle guance per l’osservazione bizzarra. Non era abituata a un linguaggio così fiorito da parte di un uomo. Ma in fondo quanti latini aveva conosciuto prima di lui?

    «Dovrei essere io a scusarmi per aver fatto irruzione in questo modo» mormorò lei, mantenendosi calma, «ma era l’unico modo per superare la guardia alla porta.»

    Un sorriso balenò sui contorni decisi delle labbra. «Dato che Guido parla poco l’inglese, e lei parla ancor meno l’italiano, sicuramente vi sarete fraintesi. Forse può spiegarmi per quale motivo si trova qui?»

    Sentendosi come un cervo braccato con la schiena contro la porta, Gina si staccò, consapevole di un brivido repentino non appena l’uomo si alzò. Doveva essere sulla trentina, il corpo snello e atletico sotto la camicia chiara e i pantaloni scuri. Le maniche arrotolate rivelavano braccia muscolose, mentre il colletto sbottonato lasciava scoperta la gola.

    «Devo vedere il padrone di casa» disse lei, allontanando la reazione involontaria.

    L’uomo piegò la testa. «Sono Lucio Carandente.»

    Lo shock le rubò la parola e la lucidità mentale per qualche secondo. Lo guardò con gli occhi spalancati. Doveva esserci più di una famiglia Carandente, si disse confusa. Non potevano essere loro!

    E perché no?, chiese un’altra parte della sua testa. Di quella famiglia sapeva solo il nome. Perché supporre che fossero dei proletari anziché persone ricche?

    Le sopracciglia scure s’inarcarono di nuovo, lo sguardo interrogativo era divertito. «Sembra stupita.»

    Gina si riebbe. «Mi aspettavo qualcuno più anziano» tergiversò, per nulla pronta a sondare ulteriormente. «Magari il padre di una ragazza con una berlina blu.»

    La comprensione spazzò via la perplessità, ogni traccia di divertimento svanì. «Donata» disse. «Mia sorella. Cosa ha fatto?»

    «Mi ha fatto sbattere con la macchina circa un’ora fa. Giù a Vernici. Andrà riparata. Al garage mi

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