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Fino in fondo al cuore
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Fino in fondo al cuore
E-book295 pagine3 ore

Fino in fondo al cuore

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Info su questo ebook

Con la morte del marito, Amelia ha perso tutto. Le rimane una sola cosa da fare: rispettare il vecchio patto stretto con un estraneo in una notte disperata. Ma quel patto disonorevole potrà forse trasformarsi nell'amore che ha sempre sognato.
"Ombre Rosa" è una collana e insieme un viaggio alla riscoperta di un'intera generazione di scrittrici italiane che, tra gli anni Settanta e gli anni Duemila, hanno posto le basi del romanzo rosa italiano contemporaneo. In un'era in cui finalmente si colgono i primi segnali di un processo di legittimazione di un genere letterario svalutato in passato da forti pregiudizi di genere, lo scopo della collana è quello di volgere indietro lo sguardo all'opera di quelle protagoniste nell'ombra che, sole, hanno reso possibile arrivare fino a questo punto, ridando vita alle loro più belle storie d'amore.
LinguaItaliano
Data di uscita13 mag 2024
ISBN9788727061122
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    Anteprima del libro

    Fino in fondo al cuore - Roberta Ciuffi

    Roberta Ciuffi

    Fino in fondo al cuore

    SAGA Egmont

    Fino in fondo al cuore

    Cover image: MidJourney

    Copyright ©2004, 2024 Roberta Ciuffi and SAGA Egmont

    All rights reserved

    ISBN: 9788727061122 

    1st ebook edition

    Format: EPUB 3.0

    No part of this publication may be reproduced, stored in a retrieval system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.

    www.sagaegmont.com

    Saga is a subsidiary of Egmont. Egmont is Denmark’s largest media company and fully owned by the Egmont Foundation, which donates almost 13,4 million euros annually to children in difficult circumstances.

    Sommario

    10 

    11 

    12 

    13 

    14 

    15 

    16 

    17 

    18 

    19 

    20 

    21 

    22 

    23 

    24 

    25 

    26 

    27 

    28 

    29 

    30 

    31 

    32 

    33 

    34 

    35 

    36 

    Epilogo

    Ringrazio le care amiche Giusy Valenti, Teresa Siciliano e Miriam Formenti per aver letto il testo, scovato vari 'rospi' e avermi dato dei buoni suggerimenti.

    Un bacione!

    Roma, 1886 

    Il medico saliva le scale con lentezza. Era la terza volta in pochi giorni che veniva convocato a quell'indirizzo dal richiamo d'un ragazzino trafelato e temeva di sapere cosa vi avrebbe trovato. Quasi a conferma dei suoi timori, a ogni pianerottolo delle donne si affacciavano sulle porte spiando il suo passaggio, prima di ritirarsi frettolosamente sussurrando parole incomprensibili.

    I Corti abitavano all'ultimo piano e per salire ci volle del tempo. Arrivò un po’ ansante. Prima di bussare, si tolse il cilindro e sistemò i capelli scompigliati che rivelavano la lucida, parziale nudità del cranio.

    «Oggi il signor Giuseppe guarirà» disse una voce infantile alle sue spalle.

    «Sta' zitto, stupido.» Il tonfo della porta richiusa punteggiò l'uscita di scena di madre e figlio.

    Con il sincronismo di certi orologi a cucù, la porta di fronte si aprì di scatto, facendolo sobbalzare.

    «Dottore, finalmente!» Una mano l'afferrò per il braccio, attirandolo all'interno. «Credevo che non sarebbe più venuto.»

    «C'era un parto in corso, un caso difficile» borbottò, inciampando quasi, costretto a adeguarsi al passo affrettato della giovane donna.

    Lei parve non aver udito. Il suo volto era teso, come concentrato su un suono troppo flebile per essere percepito dalle normali facoltà umane. La stretta sul braccio era quasi una morsa. Non avrebbe supposto che potesse essere così forte.

    La casa era in perfetto ordine, miserabile ma pulita. Un tempo dovevano esservi stati dei mobili addossati alle pareti ma il dottore non ricordava di averne mai visti. La cucina, gelida e spoglia, evitava la desolazione solo per le ceste colme di panni che rivelavano il mestiere della donna, confermato dai fili tesi nella stanza successiva.

    Nel varcare la soglia della camera da letto, respirò con affanno, colto da un senso d'oppressione. Una stufa dall'aspetto malconcio, ma evidentemente efficiente, riscaldava l'aria senza riuscire a eliminare l'umidità che filtrava dai muri. Il medico ebbe l'impressione di entrare in una serra, infestata da un pungente, fetido odore di morte. In un altro luogo non si sarebbe fatto scrupolo di portarsi un fazzoletto al naso, ma l'espressione della donna glielo impedì.

    I suoi occhi sgranati, dolci e marroni, fissavano la figura stesa sul letto. Le dimensioni della suppellettile fornivano un'indicazione sulla corporatura dell'uomo che l'occupava: almeno, di quella che doveva essere stata qualche tempo addietro.

    Troppo addietro perché il medico, che lo conosceva da soli due mesi, potesse farsene un'idea realistica.

    «Non le sembra che stia meglio?» chiese la moglie, coraggiosamente. Con un gesto che tradiva il bisogno di rassicurazione, si strinse le braccia al petto.

    Giuseppe Corti non sembrava in condizioni né migliori né peggiori del solito, ma il suo volto appariva più liscio, come se le profonde incisioni provocate dalla malattia e dalla sofferenza si fossero d'improvviso, miracolosamente, spianate.

    Il medico provò una punta di tristezza, mista a sollievo. Ormai non mancava molto. Presto quell'uomo sarebbe stato in pace.

    «Però stamattina non si sveglia.» Ora la voce della moglie rivelava l'ansia che la rodeva. «L'ho chiamato, l'ho scosso, ho cercato di farlo bere, ma niente. Che può essere, dottore?»

    Lo lasci in pace, avrebbe voluto dire. Smetta di tormentarlo. Consapevole che la carità era solo in parte responsabile del suo moto d'irritazione, lottò per non farsene sopraffare. Senza rispondere, si accostò al letto. L'odore lì era più penetrante.

    Come al solito, fu colpito dalla malinconica consapevolezza di quanto poco occorresse per schiantare anche l'albero più robusto. I capelli del malato erano neri come la pece, nonostante la malattia e l'età, che non era proprio verde. I lineamenti rivelavano tratti ancora forti e volitivi, ma smussati fino a scoprire la fragile struttura del bambino che doveva essere stato.

    «Dottore, la prego…» La giovane donna gli era venuta alle spalle, camminando piano. Era da non credere come potessero essere silenziose, talvolta, quelle chiassose e sguaiate donne del popolo. A parte che lei non sembrava niente di tutto questo. «Mi dica che cosa devo fare» lo implorò. «Non ho soldi adesso, ma lei lo sa che la pagherò. Quello che serve, non mi tiro indietro, io…»

    L'uomo arrossì, per il pensiero che gli aveva attraversato la mente. Si risollevò di scatto, stendendo sopra al corpo del malato la coperta troppo pesante.

    «Allora? Sta meglio?»

    Diede un lieve, ma secco colpo con la testa. No. Non stava meglio.

    «Come no?» insorse lei avanzando fino a porsi davanti al marito, come per proteggerlo dalla sentenza del dottore. «Non vede che ha l'aria più tranquilla? Non si lamenta più. È segno che non soffre, no?»

    «Signora…» iniziò, ma la voce nervosa di lei lo interruppe.

    «No, non me lo dica, non ci credo!»

    La donna – si chiamava Amelia, ricordò – si volse di scatto, ponendosi le mani sulle orecchie e il dottor Fante non riuscì a evitare di sfiorarla, piano, sulla schiena. Poi si ritrasse rapidamente. «Mi dispiace.»

    «Io voglio che viva. Deve vivere. Non può lasciarmi sola. Non ho nessun altro, io» disse lei, tutto d'un fiato, ansante. «È perché non ho abbastanza soldi, non è vero? Ma li troverò. Le giuro che lo farò e lei lo porterà all'ospedale e lì gli faranno un'operazione… Mi avevano detto che avrebbero potuto fargliela, se…»

    «Signora…» Inquieto, tornò a toccarla sulle spalle. «Non faccia così, la prego. Non è questione di soldi.»

    «Sì, invece!» La donna si spostò, liberandosi con irritazione del suo misero tentativo di conforto. «I ricchi non muoiono di questi mali, lo sappiamo noi. Ma io troverò quello che serve e Giuseppe si salverà.»

    Il dottore spostò lo sguardo sull'uomo steso nel letto. Era questione veramente di poco. Una caritatevole assenza di reazioni era scesa sulla sua mente. La morte non sarebbe stata dolorosa. Le parole della moglie non erano dettate da un'autentica speranza, solo dall'angoscia. Di quei mali morivano tutti, a parte qualcuno che poteva pretendere di aver ricevuto un miracolo, ma lui non ne aveva mai conosciuti.

    La signora Amelia respirava in maniera affrettata. Continuava a tenere le mani sulle orecchie, come una bambina dispettosa che non voglia udire ragioni.

    «Dirò alla signora Enza di passare da voi» disse il medico, disperando di ricondurla alla ragione. In fondo, non avrebbe potuto continuare a illudersi per molto.

    Afferrò il cappello e uscì dalla camera. In quella casa trovare la porta non era certo un problema, pensò, percorrendo a ritroso le stanze semivuote. Una donna del genere non avrebbe dovuto vivere così. Era un crimine.

    «Non morirai» sussurrò Amelia, lasciando ricadere le braccia lungo i fianchi. Il volto di Giuseppe aveva assunto una strana colorazione, come fosse fatto di cera. La sua bocca era una ferita da parte a parte, quasi priva di labbra.

    Gli occhi le si riempirono di lacrime. Aveva bisogno che lui tornasse a sorriderle, a dirle che tutto sarebbe andato bene.

    «Peppino…» Il richiamo suonò come un gemito. Allungò una mano a sfiorargli la guancia ma dovette ritrarla, per non scoppiare a piangere. Era così magro, così sottile. E dire che la cosa che più apprezzava in lui era quella straordinaria forza, fisica e morale, che non cedeva mai, non si lasciava abbattere da nulla.

    «Signora Amelia.»

    Si girò, asciugandosi in fretta gli occhi. Tentò un sorriso alla vicina, che la guardava con compassione. «Signora Enza, sono contenta che siate venuta» disse. «Devo uscire, devo fare una commissione. Potete restare voi, con Giuseppe?»

    L'altra sollevò un sopracciglio, dubbiosa.

    «Non vi sarà di nessun incomodo» aggiunse, precipitosamente. «Lui non si lamenta mai, non chiede mai nulla.»

    «Non è questo» l'interruppe la signora Enza. Avrebbe voluto dire che il povero Giuseppe stava più di là che di qua e se lei usciva era probabile che non lo ritrovasse vivo, ma non ne ebbe la forza. «Va bene» capitolò, sotto lo sguardo disperato dell'altra. «Ma fate presto. È meglio che non stiate lontana tanto a lungo.»

    «No, no certo. Tornerò subito. Devo… comprargli una medicina.»

    Torcendo le labbra in un simulacro di sorriso e tentando di asciugarsi le lacrime di nascosto, andò all'unico mobile rimasto nella stanza, oltre al letto: una cassapanca vecchia e malandata che non valeva neppure la fatica del trasporto. Motivo per cui si trovava ancora in quella casa. Dal suo interno estrasse uno scialle chiaro, un po’ troppo allegro per l'occasione, e se lo avvolse attorno al corpo. Molti mesi addietro aveva ancora un cappotto lungo e caldo. Non si soffermò a pensare alla fine che poteva aver fatto. Dal banco del rigattiere a… chissà dove?

    «Faccio presto, ve lo prometto» ripeté, portandosi le mani alla testa per controllare che la pettinatura fosse in ordine.

    La signora Enza la seguì con lo sguardo, finché non superò la soglia. La sentì attraversare la stanza stenditoio e poi la cucina, e quindi udì il rumore della porta che si chiudeva. Scosse la testa e cercò un posto dove sedere che non fosse il letto in cui quel poveraccio stava tirando gli ultimi respiri. Non c'era che la cassapanca e vi si diresse senza esitazioni. Preferiva stare scomoda, che comoda accanto a un moribondo.

    Pover'uomo, pensò, togliendosi dalle spalle lo scialletto di lana che usava per casa. La stanza era troppo calda. E dire che anni addietro ci aveva fatto pure un pensierino sul signor Giuseppe, prima che lui si ammogliasse con quella ragazza del convento.

    Ma che medicina poteva essere andata a comprare, quella là? Il dottore glielo aveva detto chiaro e tondo che stava per morire. Aveva una cosa maligna, che se lo mangiava da dentro. Non c'era proprio niente da fare. Sospirò di nuovo, estraendo da una tasca del grembiule una coroncina di rosario. Tanto valeva che n'approfittasse per dire le sue orazioni della sera. Avrebbero fatto bene pure al signor Giuseppe, che non era mai stato un cristiano molto devoto.

    «Ci vuole ancora molto?» chiese Marziale, piegandosi per guardare fuori del finestrino. Era già annoiato e aveva un opprimente mal di testa, conseguenza della bevuta della notte precedente. Un pessimo modo di iniziare un'altra serata di bagordi.

    «No, siamo quasi arrivati.»

    «Spero che ne valga la pena» borbottò, tornando a poggiarsi contro il sedile.

    «È meglio che tu non ti metta comodo, mio caro Dell'Acqua. È giusto dietro l'angolo.»

    Gli altri occupanti della carrozza ripresero a parlare tra loro con voci animate e si dimenticarono di lui. O forse si limitarono a ignorarlo. Non poteva fargliene una colpa. Sapeva che non era facile sopportare i suoi sbalzi d'umore.

    Strinse le mani sul pomo del bastone, per impedirsi di colpire il tettuccio della vettura e ordinare al cocchiere di fermarsi, farlo scendere o riportarlo indietro. La verità era che non aveva energia per fare nulla. E allora, tanto valeva seguire gli altri come un animale aggregato al branco. Soffocò uno sbadiglio. Sarebbe stata la terza notte di fila che passava nel letto di una sconosciuta. Forse avrebbe davvero fatto meglio a tornarsene a casa.

    «Ecco, ci siamo» esclamò Edmondo, scattando in avanti, come incapace di resistere ancora alle delizie che aveva decantato per tutto il tragitto. «La casa è quella.»

    Un fischio prolungato sottolineò l'informazione. «Però, si trattano bene, le signore!»

    «Se lo possono permettere. Con quello che guadagnano.»

    «Che guadagna la padrona, vorrai dire.»

    «Lo stesso. È un'indegnità che le donne si arricchiscano con gli stessi mezzi che invece mandano noi in rovina.»

    «Oh, oh! Agostino si è messo a filosofare!»

    «Filosofo! Filosofo!»

    «Filosofo un corno! Questa è pura taccagneria.»

    Tra risa e fischi, la carrozza riversò il suo contenuto sulla strada: cinque giovani uomini vestiti da sera, eleganti per quanto permettevano le loro tasche o quelle dei genitori, facce glabre o adorne di baffi, occhi allegri e voci già un po’ alterate dalle libagioni. Uno di loro, molto alto, penzolò all'indietro e con un paio di passi affrettati andò a poggiare la schiena contro lo sportello.

    «Oh, Gennaro, che fai? Cominci bene la serata…»

    Sporgendo la testa oltre l'angolo del palazzo, Amelia li fissò, le palpebre sbarrate per resistere alla tentazione di chiuderle addirittura e lasciarsi cadere a terra, a piangere e uggiolare come un animale spaventato. Davvero qualcuno poteva essere così allegro, a questo mondo? Mosse le labbra per provare un sorriso che stentava a prender forma sulla sua bocca. Doveva farsi avanti, adesso, era il momento, ma quella che fino a poco prima era stata ostinata determinazione stava sfumando in un senso di incertezza, quasi di confusione. Cosa ci faceva là? Non era il suo posto, non era quello il momento… Se smetteva un istante di pensare che doveva – doveva! – fare qualcosa, la testa iniziava a ruotare e un vortice prendeva il posto dei suoi pensieri. Le gambe tremavano, il corpo si faceva debole e nella mente qualcosa premeva come un animale ostinato, per mostrarsi e urlare che tutto quello era inutile, che stava commettendo un'enorme sciocchezza che non sarebbe servita a niente, che non c'entrava niente con lei e con… con Giuseppe.

    Giuseppe. Era quel nome a sferzarla e richiamarla alla realtà, a inchiodarla a quell'angolo, a fissare gli allegri sconosciuti con una brama tinta d'odio.

    Gli uomini mostravano la chiassosa sicurezza di chi sa per certo che nessuno verrà a battere loro sulla schiena e ordinare di tacere o andarsene a casa. Gente ricca. Giuseppe le aveva sempre intimato di stare alla larga da tipi simili.

    Strinse i pugni e trasse un profondo respiro. Adesso. Fuori. Via. Con un passo superò l'angolo, sentendosi all'istante denudata, indifesa. Uno dei giovanotti stava discutendo il prezzo della corsa con il cocchiere, un tipo atticciato e brusco che non sembrava intenzionato a mollare. I suoi amici assistevano alla scena, intervenendo con battute sciocche o risate esagerate.

    Uno si teneva un po’ in disparte, la spalla poggiata contro il muro del palazzo, il mento sollevato. Non c'era niente da guardare nella via, solo negozi chiusi e la fioca luce mandata dai lampioni a gas. Il giovane uomo era d'altezza un po' superiore alla media e aveva spalle larghe su una corporatura slanciata. Mentre Amelia si avvicinava, il cappello gli scivolò dalla testa, rivelando i capelli lunghi, ricci e spettinati. Teneva gli occhi chiusi e non sorrideva.

    Per qualche motivo che non stette a spiegarsi, questo la ferì in quella piccola parte del suo cuore che non era del tutto concentrata sul proprio dolore. Sul proprio terrore.

    Marziale si chinò a raccogliere il cappello. Era finito proprio in una pozzanghera lasciata dalla pioggia del giorno precedente. Che iella.

    «Signore…» Girò la testa e per un istante gli parve che la notte fosse divenuta ancora più buia. Poi si accorse che c'era una donna davanti a lui e che la sua figura infagottata gli copriva la luce dei lampioni. Si risollevò, con il cappello in mano.

    «Sì?»

    Era più alto di quanto le fosse parso e la sensazione di forza che ispirava non era rassicurante come quella di Giuseppe. Era qualcosa di diverso. Amelia ebbe paura.

    «Posso esserle utile in qualcosa?»

    Quel modo formale di interpellarla l'intimidì ancora di più. Era un signore e lei non era abituata a trattare con i signori. Giuseppe li odiava e le aveva insegnato a diffidarne. Ma era appunto per lui che si trovava là, quella notte, sola nella strada in compagnia di sconosciuti. Soldi. Le occorrevano soldi.

    «Forse…» Si fermò, perché le parole le si erano incollate alla gola e non volevano saperne di uscire. Inghiottì con forza e poi proseguì, sorridendo: «Forse… se le piaccio… posso venire con lei».

    Il sorriso su quella faccia smunta e disperata era la cosa più triste che Marziale avesse mai visto. Stava per dirle di andarsene, quando la bocca della donna si torse in maniera sgraziata. Stava per mettersi a piangere.

    «Spiacente» proferì, freddo, spostando lo sguardo sul cilindro infangato. «Ho già disposto altrimenti per la mia serata.»

    Era un rifiuto. Si era offerta e quell'uomo l'aveva rifiutata. Non le era mai venuto in mente che potesse farlo.

    «Ascolti!» esclamò, scattando con il braccio per afferrare quello di lui. «Io ho veramente bisogno di denaro e sono sicura che potrei… potrei…» Non riusciva quasi a dirlo. «…farla divertire.»

    Lui abbassò lo sguardo sulla mano che gli stringeva il braccio. Amelia allargò le dita e lo lasciò libero.

    «Grazie, ma ne dubito.»

    «Per piacere…» sussurrò, sgranando gli occhi. Quei begli occhi cui, secondo suo marito, nessun uomo sarebbe mai riuscito a resistere.

    «Signora, ascolti: se non se ne va…»

    «Hai fatto la prima conquista della serata?»

    Una testa sbucò da dietro le spalle dell'uomo. Lo sconosciuto doveva essere arrivato di soppiatto e loro, concentrati nella schermaglia verbale, non se n'erano accorti.

    «Conquista, conquista!» gridò una voce acuta.

    «Dell'Acqua, così non vale! Non puoi avere gratis quello che noi siamo costretti a pagare!»

    Erano circondati. Amelia girò la testa da destra a sinistra, esaminando spaventata quelle figure in abiti eleganti che le si facevano addosso con un'audacia che nessuno aveva mai osato mostrare, con lei, quando aveva un marito accanto a difenderla.

    La sua insistenza aveva irritato l'uomo ma l'improvvisa intrusione degli amici parve addirittura infuriarlo. «Levatevi dai piedi, adesso» disse in tono asciutto. «La faccenda non vi riguarda.»

    «Come non ci riguarda? Abbiamo trovato una bella signorina con cui spassarcela… senza spendere un soldo.»

    Un braccio saettò in avanti, afferrando Amelia alla vita. Lei gridò e tentò di arretrare, ma li aveva tutti attorno.

    «Lasciatemi stare! Che volete da me?» Agitò furiosamente le mani, picchiando a caso, e questo, o le parole che aveva detto, li fece scoppiare a ridere. «Devo tornare a casa, avete capito? Ho un marito io…»

    «Sì, il tuo ruffiano…»

    La replica la lasciò senza fiato per l'indignazione. Aprì la bocca, ma non riuscì a ribattere niente. La confusione e la cieca determinazione che l'avevano accompagnata fin lì l'abbandonarono di colpo. Giuseppe! Che cosa aveva fatto? L'aveva lasciato solo per andare in cerca di quel gruppo di depravati perdigiorno che le avrebbero fatto del male e l'avrebbero usata, ignorando che lei non era una prostituta da strada ma la moglie di Giuseppe Corti, l'uomo più buono del mondo, che adesso stava morendo da solo…

    Qualcuno l'afferrò per la spalla, spingendola di lato. Sollevò lo sguardo e vide il gentiluomo a cui si era rivolta sovrastarla e guardarsi attorno con espressione irritata.

    «Adesso basta, lo scherzo è finito.»

    «Quale scherzo? Se abbiamo appena cominciato…»

    «La signora se ne va a casa» proseguì lui, costringendo a forza Amelia a uscire dal circolo degli assalitori. «Come vi ha detto, ha un marito che l'aspetta.»

    «Ah, no, non te la porterai via.»

    Uno dei giovanotti gli si piazzò davanti, bloccandolo. «Chi ti credi di essere, di'?»

    «Gennaro, levati dai piedi.»

    La noncurante replica dell'uomo parve infastidire l'amico. «Da quando mi dai ordini, tu?»

    Amelia vide il suo salvatore piazzare sul petto dell'altro la palma di una mano che,

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