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Il colore della felicità
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E-book321 pagine3 ore

Il colore della felicità

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Info su questo ebook

Roma, 1852. Una ragazza appena uscita dal collegio va incontro al matrimonio dei suoi sogni, sposando un ricco sfaccendato dal fascino irresistibile. Ma non è tutto oro quel che luccica…
"Ombre Rosa" è una collana e insieme un viaggio alla riscoperta di un'intera generazione di scrittrici italiane che, tra gli anni Settanta e gli anni Duemila, hanno posto le basi del romanzo rosa italiano contemporaneo. In un'era in cui finalmente si colgono i primi segnali di un processo di legittimazione di un genere letterario svalutato in passato da forti pregiudizi di genere, lo scopo della collana è quello di volgere indietro lo sguardo all'opera di quelle protagoniste nell'ombra che, sole, hanno reso possibile arrivare fino a questo punto, ridando vita alle loro più belle storie d'amore.
LinguaItaliano
Data di uscita13 mag 2024
ISBN9788727061108
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    Anteprima del libro

    Il colore della felicità - Roberta Ciuffi

    Il colore della felicità

    Cover image: MidJourney

    Copyright ©2001, 2024 Roberta Ciuffi and SAGA Egmont

    All rights reserved

    ISBN: 9788727061108 

    1st ebook edition

    Format: EPUB 3.0

    No part of this publication may be reproduced, stored in a retrieval system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.

    www.sagaegmont.com

    Saga is a subsidiary of Egmont. Egmont is Denmark’s largest media company and fully owned by the Egmont Foundation, which donates almost 13,4 million euros annually to children in difficult circumstances.

    Sommario

    10 

    11 

    12 

    13 

    14 

    15 

    16 

    17 

    18 

    19 

    20 

    21 

    22 

    23 

    24 

    25 

    26 

    27 

    28 

    29 

    30 

    31 

    32 

    33 

    34 

    35 

    36 

    37 

    38 

    39 

    40 

    Roma, 1852 

    «Mamma! Sono qui, sono arrivata!»

    Sconcertata, Luigia batté le palpebre. Un grido gioioso era penetrato nel lieve stato di torpore che da qualche tempo - per la verità più di quanto le piacesse rammentare – la coglieva spesso, dopo pranzo. Si guardò attorno, senza scoprire nulla di allarmante. Nel caminetto scoppiettava un bel fuoco vivo. I cani, Dodo e Ombretta, dormivano ai suoi piedi, sul tappeto consunto da anni di riposini. La lampada accesa sul tavolo diffondeva una luce morbida, rassicurante e senz'altro meno invasiva di quella a gas, di cui alcuni dicevano un gran bene. Alcuni, ma di certo nessuno degli abitanti di Palazzo Fox.

    «Cosa sarà stato?» si chiese, sollevandosi nella robusta poltrona a ruote su cui trascorreva gran parte della giornata.

    Accortosi dell'agitazione della padrona, uno dei setter grigi dimenò la coda e sbadigliò con energia per segnalarle che era sveglio e sull'attenti.

    «Buono, Dodo» l'ammonì. «Sarà stato un sogno.»

    «Mammina!»

    Il suo sogno, nella veste di una ragazza ridente e piuttosto scarmigliata, esplose nella stanza in un turbinio di gonne grigie e nastri blu. Alle sue spalle, una domestica di mezza età si appoggiò esausta allo stipite della porta, ansando per riprendere fiato.

    «Questa diavola… questa diavola…»

    «Lolotte!» Luigia sussultò, portandosi una mano guantata al petto. «Lolotte, ma cosa…»

    La ragazza la raggiunse di volata. Ignorando i baldanzosi tentativi dei setter di saltarle addosso per farle le feste, si lasciò cadere sulle ginocchia, accanto alla poltrona, e con impeto la circondò alla vita.

    «Mammina cara, quanto mi siete mancata!» esclamò, cercando nel contempo di allungarsi per baciarla sulle guance pallide e sulla porzione di fronte lasciata libera dalla cuffietta bianca. «Avete visto? Sono qua, sono tornata a casa da voi… Ma avete messo su qualche chilo, non è vero? Cattivaccia…»

    Liberando una mano, agitò scherzosamente l'indice di fronte al viso ancora esterrefatto della madre.

    «Ma Lolotte, ma… ma cosa… Santa!» gridò Luigia, rivolgendosi alla donna sulla porta. «Non era oggi che doveva tornare Lolotte… o invece sì? Cosa sta succedendo?»

    «Certo che non era oggi» rispose l'altra, raddrizzandosi e cercando di ritrovare la consueta compostezza. «Questa diavola è scappata.»

    La ragazza balzò in piedi ridendo e in un paio di salti raggiunse Santa, sottoponendola a una robusta stretta affettuosa. «No che non sono scappata» esclamò poi, lasciando andare la governante, di nuovo sossopra, ed esibendosi in un accenno di danza. «Sono qui con l'autorizzazione della madre superiora. Sissignore» rincarò, notando lo scetticismo delle due donne. «Al convento c'era una terribile epidemia d'influenza e sono riuscita a convincere la buona madre che essendo io una creatura così delicata e mancando solo poco più di un mese alla data del mio ritorno a casa, poteva ben lasciarmi andare con un po’ d'anticipo.»

    «Delicata» borbottò sarcastica la governante.

    «Sissignora, delicata» ripeté l'altra, portandosi una mano alla gola e strabuzzando gli occhi. «Nonché l'ultima prole rimasta della mia cara…»

    «Lolotte!»

    L'aspro richiamo fece sussultare la ragazza. Consapevole di quello che era stata per dire, volse uno sguardo allarmato a Luigia, che sedeva impettita e pallida sulla poltrona, lo sguardo fisso su di lei.

    «Oh mammina» mormorò in tono desolato, tornando a inginocchiarsi al suo fianco. «Mi dispiace così tanto… Sono stata cattiva, non è vero?»

    La madre tentò un sorriso tirato. Poi, l'espressione sinceramente addolorata negli occhi della figlia sciolse l'attimo di tensione. Allungando una mano, la carezzò con dolcezza sulla guancia arrossata. «No amore mio, no. Tu non sei mai cattiva.» Sventata, impulsiva, un po’ troppo fiduciosa senz'altro, ma mai consapevolmente cattiva. «E hai viaggiato da sola?» riprese, tornando all'argomento che le premeva. «Hai fatto tutte quelle miglia senza un accompagnatore?»

    Lolotte non sorrise nel sentirla accennare in tono così intimorito a tutte quelle miglia, in realtà non più di una quarantina. Per una persona che da quasi quindici anni non lasciava la sua casa, qualunque distanza maggiore di quella che intercorreva dal suo letto alla poltrona doveva apparire enorme.

    «Ma no mammina, certo che no» rispose seria. «Mi hanno accompagnata la suora zia e una consorella.»

    «Enrichetta? C'è anche Enrichetta? E dov'è?»

    «È di sotto. Si è voluta sedere un momento, prima di salire.»

    «Poverina» commentò l'altra, con compatimento. «Un viaggio così lungo…»

    «Sì, il viaggio…» Gli occhi scuri di Santa dardeggiarono su Lolotte, che, ridacchiando, affondò il capo nel grembo della madre.

    «Carlotta, mio Dio» sospirò questa. «Che cosa hai fatto a quella povera donna?» Ma la lieve carezza sulla testa china smentiva il tono severo delle parole.

    «Le ho raccontato qualche storia di briganti» rispose lei, lo sguardo scintillante. «In particolare di assalti alle carrozze postali…»

    «Ma cara… come ti è saltato in mente?»

    Lolotte si alzò in piedi, scrollando le spalle. «La zia è un po’ paurosa, non è vero?» chiese con indifferenza. Poi, ruotando in giro uno sguardo interessato, controllò che tutti gli oggetti di quella stanza che amava tanto fossero ancora al loro posto. «Dov'è il ritratto di mio padre?» chiese, aggrottando le sopracciglia.

    Ci fu un attimo di imbarazzo, prima che Santa andasse a estrarre la cornice dalla libreria bassa in cui si trovava infilato un po' sbadatamente.

    «Ma guardate un po’!» esclamò la ragazza prendendolo dalle sue mani e sistemandolo sulla mensola del camino in modo che potesse beneficiare del riflesso del piccolo lume che si spandeva sull'altro ritratto, quello della sua sorella maggiore, morta anche lei molti anni prima. «Dovrò rimproverare Concettina. Come si può essere così negligenti?»

    Uno sguardo di cui non si accorse volò tra le due donne, alle sue spalle. «Colpa mia» disse Santa in tono brusco. «Stamattina ho spolverato e devo aver dimenticato di rimetterlo a posto.»

    «Dovresti stare più attenta» borbottò Lolotte. «Non credo che al mio caro papà piacerebbe trascorrere l'eternità all'interno di un cassetto.»

    Un suono fischiante dietro di lei la fece girare a incontrare lo sguardo sdegnato di Santa. «Scusate» disse, pronta. «Non volevo essere impertinente.»

    «Non importa.»

    Luigia si produsse in un sorriso coraggioso che le fece stringere il cuore dal rimorso. Non avrebbe davvero dovuto essere così impertinente. Ma la madre non sapeva quanto tempo, durante le lunghe giornate al convento, lei passasse a sognare il ritorno a casa, a esaminare con la mente le stanze e gli oggetti e le persone che amava tanto… comprese quelle che non c'erano più e di cui non rammentava nulla. La sua bella sorella che ora la fissava da quel ritratto, ad esempio. Con un dito sfiorò la foto delicatamente ritoccata nei colori che le erano appartenuti: biondo oro dei capelli, nero giaietto degli occhi, pallido incarnato delle guance appena ravvivate da toni rosati.

    Lolotte non ne aveva alcun ricordo. Maria Luigia era morta diciannovenne – quasi l'età che lei aveva ora – quindici anni prima. Che si chiamasse come la madre e che le somigliasse tanto aveva fatto sì che le due immagini si fondessero nella sua mente. Erano state entrambe molto belle, due bionde bellezze rigogliose nate per far innamorare gli uomini. A differenza di lei, pensò, con una punta di rammarico.

    Neppure di suo padre si rammentava. L'uomo nella foto era alto, baffuto e dotato di una notevole capigliatura bruna. Aveva un piglio deciso, occhi infossati e bocca un po’ dura. Una personalità senza dubbio intensa.

    Con un sospiro, girò le spalle al camino. «Gli zii riposano?» chiese, sentendosi stranamente malinconica.

    «No. Sono andati alla Ginestreta, a sistemare un… problema con l'intendente.»

    Le labbra della madre si strinsero come per segnalare che per nessun motivo al mondo avrebbe aggiunto una parola su quella faccenda. Lolotte finse di non accorgersene. Avrebbe finito per sapere ogni cosa. Sciolse del tutto il fiocco, già allentato, che le stringeva il cappello sotto la gola e quindi se lo tolse. I suoi capelli color miele scuro si rivelarono, spettinati e opachi. Al convento l'uso dell'acqua per la pulizia personale non era molto in voga.

    «Mammina, pensate che potrei fare il bagno oggi?» chiese, afferrando un lembo del corpetto e tirandolo per mostrare come fosse zuppo di sudore. Si esibì in una smorfia disgustata. «Temo di non mandare un buon odore…»

    «Ma naturale! Santa, ci pensi tu? E, forse, anche Enrichetta si vorrà rinfrescare.»

    «Sì, certo» intervenne la ragazza, arricciando il naso. «Il viso e le mani se le laverà… ma non un centimetro più in basso, potete starne certe.»

    Poi, ridendo delle espressioni scandalizzate delle due donne, roteò per la stanza con le braccia spalancate, la testa rovesciata all'indietro. «A casa! Sono a casa, finalmente!»

    Continuando a volteggiare, agganciò Santa per le braccia, facendole compiere una piroetta. «Carlotta!» gridò la donna.

    «Santa, Santina bella, perché fai sempre quella brutta faccia?» Si protese in avanti per schioccarle un bacio sulla guancia rotonda. L'altra non riuscì a girare la testa abbastanza in fretta da evitarlo, cosa che fece ridere la ragazza ancora più forte.

    «Lolotte, smettila subito!» La madre tentò di evocare il tono severo che riteneva necessario, ma anche lei tratteneva a fatica il riso. «Stai spaventando la povera Santa.»

    «No, è lei che spaventa me: mi fa certi occhiacci!» Tuttavia lasciò andare la domestica, che dovette compiere qualche passetto veloce per mantenere l'equilibrio. «Dov'è Dionisia?» chiese, illuminandosi in viso. «Perché non è venuta a salutarmi?»

    Santa sbuffò, tastandosi la cuffia alla ricerca di capelli sfuggiti alla crocchia. Non ne trovò, ma la cosa non migliorò il suo umore. «Lasciate stare Dionisia» replicò, brusca. «Sta facendo il suo lavoro.»

    Lolotte scrollò le spalle con indifferenza. «Il suo lavoro è occuparsi di me.» Si curvò sulla madre per darle un bacio sulla fronte, quindi si raddrizzò in fretta, la mente già lontana. «Vado a cercarla!» E rapida come un refolo di vento attraversò la stanza, superò la porta e scomparve nel corridoio.

    Santa rivolse uno sguardo oltraggiato alla sua padrona. «Signora Luigia, se non ci mettete riparo…»

    L'altra interruppe quelle recriminazioni sollevando le mani coperte dai guanti di pizzo color avorio. «Shh… shh… Non c'è niente cui mettere riparo. È solo Lolotte.»

    «Già.» Santa girò un'occhiata rancorosa in direzione della porta. «Come se non fosse abbastanza.»

    Con gran sollievo di Luigia, una voce un poco tremante sopraggiunse ad avvertirle che qualcuno stava salendo con fatica le scale. «Luigia? Luigina, sei in casa?»

    Entrambe le donne rotearono gli occhi. Suor Crocifissa, al secolo Enrichetta Fox, doveva continuare a sperare in un miracolo se dopo quasi quindici anni ancora ripeteva quella domanda alla sua sorella minore.

    Luigia scosse il capo, portandosi un dito alle labbra. Poi, sorridendo, rispose: «Sì, cara. Sono quassù, nel mio salotto».

    «Questo roastbeef è troppo cotto» osservò con disappunto Castaldo Fox, rigirando sospettoso una fetta di carne. «Ignazia, bisogna che tu parli con la cuoca. È la seconda volta, questa settimana.»

    «È difatti la seconda volta che mangi arrosto in una settimana» lo rimbeccò la moglie, sezionando la propria porzione con grande accuratezza. «Non vedo di cosa ti debba lamentare.»

    «Che razza di discorsi…»

    «Voi che ne dite, don Zaccaria?» chiese la zia Virgilia, curvandosi a chiedere l'opinione dell'anziano prete che viveva in casa Fox da vent'anni.

    L'uomo scrollò le spalle. «Per una persona della mia posizione, sapete, il cibo non riveste una grande importanza.»

    Dei risolini accolsero questa dichiarazione, cui la piccola ma evidente pancetta che sporgeva dalla veste talare costituiva una smentita sufficiente.

    Lolotte lanciò un'occhiata soddisfatta al lungo tavolo che vedeva riunita per la cena gran parte della sua famiglia. Era probabile che poche ragazze della sua età avrebbero compreso il caldo sentimento di piacere che provava nello spostare lo sguardo dall'una all'altra delle anziane persone che ne facevano parte, ma il ricordo di ognuna di loro, del loro affetto, l'aveva accompagnata per anni nella fredda desolazione dell'educandato in cui era cresciuta.

    Nel trovarsi addosso i suoi occhi sorridenti, la zia Virgilia sorrise a sua volta. Era la sorella più anziana della mamma, una vedova senza figli tornata in famiglia alla morte del marito. «Ti piace il roastbeef, cara?»

    «Di certo è migliore del vitto del convento» commentò, meritandosi uno sguardo di riprovazione da parte della suora zia.

    «Beh, ma adesso hai finito con il convento» intervenne Castaldo, rinunciando a tormentare le sue fette di arrosto. «Ora sei tornata a casa tua e ci resterai!»

    Lolotte balzò in piedi facendo traballare la pesante sedia, che rischiò di rovesciarsi a terra. «Sì!» gridò, superando i due posti che la dividevano dal capotavola. «Non è vero, zietto? Ora sono a casa e ci resterò!»

    Sottopose lo zio a uno dei suoi entusiastici abbracci, che l'altro accettò arrossendo e sorridendo un po’ scioccamente.

    «Lolotte! Andiamo, Lolotte…» la rimproverò bonaria la zia Ignazia. «Sei una ragazza grande, ormai…»

    L'ammonizione parve avere effetto. Lolotte lasciò libero l'uomo, che ne approfittò per ricomporre la giacca, e si rivolse alla zia, ammiccando.

    «Già, proprio così: sono una ragazza grande. Badate, ora dovrete trovarmi un marito!»

    Il brusio attorno alla tavola tacque di colpo, sostituito da un silenzio imbarazzato. Senza farci caso, Lolotte tornò al suo posto, continuando a chiacchierare in tono entusiasta. «Anna Lorenzi è uscita dal convento l'anno passato per sposarsi e aveva solo sedici anni.»

    «Anna Lorenzi è una testa vuota» intervenne Suor Crocifissa. «Una donna del genere non può vivere senza un uomo a disciplinarla.»

    La consorella seduta accanto a lei annuì, convenendone.

    Lolotte si eresse sulla sedia. «Io non credo di aver bisogno di essere disciplinata, ma ormai ho diciassette anni. Gloriana si è sposata a diciotto.»

    «Ecco… tua cugina è un caso particolare…» Lo zio Castaldo si toccò la gola, come faceva sempre quando era in difficoltà. «Ma naturalmente» aggiunse in fretta, notando lo sguardo implorante della nipote, «naturalmente si provvederà anche per te. Certo. Sarebbe bella il contrario» affermò con forza, deciso a ignorare gli ammonimenti muti della moglie.

    «Bene!» Un gran sorriso guizzò sulle labbra della ragazza. «Ma mi raccomando, zio, che si tratti di un uomo che vive a Roma. Non ho intenzione di stare lontana da voi tutti, capito? Non so come faccia Gloriana a resistere.»

    Nel sentir menzionare la figlia, esule da un paio d'anni, il volto della zia Ignazia si rabbuiò.

    «La lontananza è dura» ammise Castaldo. «Ma almeno lei si trova in patria e questo allevia la sua solitudine.» Il volto un po’ aquilino si fece quasi arcigno, mentre con la mano allontanava da sé il cibo mangiato per metà. «Talvolta mi chiedo se non dovremmo anche noi fare i bagagli e tornarcene a casa. Con questi francesi in città, la situazione degenera di giorno in giorno.»

    Dei risolini, dapprima appena accennati e poi più scoperti, corsero per la tavola. Quel favoleggiato ritorno era un motivo ricorrente di divertimento, in famiglia. Discendenti da un lontano John, sarto e cappellaio nativo del sud dell'Inghilterra, i Fox erano ormai sudditi romani da quattro generazioni, cosa che rendeva il concetto di patria piuttosto nebuloso. L'unica ad aver mai posto piede sul suolo inglese era stata appunto Gloriana, che, assieme al marito, era stata costretta alla fuga dopo la fallita rivoluzione del '49.

    Lolotte profittò del clima divertito per saettare di nuovo alle spalle dello zio e sottoporlo a un altro vigoroso abbraccio.

    «No, zietto, non lasciateci!» esclamò, mentre nelle sue guance si producevano due profonde fossette maliziose. «Vorrà dire che in patria ci andrò io, in viaggio di nozze. Che ne dite?»

    Castaldo tossicchiò, lanciando un'occhiata preoccupata alla sorella Luigia che, pallida in viso, fissava nel piatto senza mangiare. Poi, sollevando una mano, picchiettò affettuosamente su quella della nipote. «Sicuro» affermò. «Il sud dell'Inghilterra è il posto ideale per un viaggio di nozze. Ti piacerà.»

    «Come hai potuto illudere così quella bambina?» esclamò Ignazia, fissando il marito con occhi accesi di riprovazione. «Non troveremo mai un uomo di condizione adeguata disposto a sposarla, e lo sai.»

    «No, io questo non lo so» replicò l'altro, tirando una boccata dalla sua pipa con espressione testarda.

    Non per la prima volta, si trovò a rimpiangere la civile consuetudine in uso in patria di separare uomini e donne al termine della cena, in modo che i primi fossero in grado di digerire in santa pace, senza dover subire le recriminazioni e le chiacchiere delle seconde. Ma a questa tradizione sua moglie si era opposta con decisione fin dall'inizio del matrimonio e le sue sorelle le avevano dato man forte.

    «Tu sei più infantile di tua nipote» lo rimbeccò spietata Ignazia.

    «Andiamo, io credo che esageri.» Virgilia si agitò, a disagio. Aveva notato la fissità nello sguardo di Luigia. Erano stati necessari molti anni perché la sorella si riprendesse dall'enormità del suo lutto e talvolta dava l'impressione che qualcosa, dentro di lei, non fosse del tutto sanato. «Lo scandalo, in fondo, è stato limitato e ormai sono passati talmente tanti anni…»

    «Se ne parla ancora» intervenne Suor Crocifissa. «Perfino in convento. Non è forse vero, suor Maria del Rosario?»

    La consorella annuì, mormorando qualcosa che andò perduta nel vocio risentito che immediatamente si levò nel piccolo salotto.

    «In convento? Ma Enrichetta, non avevi detto che…»

    «…non avrei mai consentito…»

    «Noi credevamo che la bambina fosse al riparo…»

    La suora scrollò le spalle. «A che sarebbe servito, dirvelo? Spostarla altrove sarebbe stato inutile. Lì, almeno, c'ero io a tenere un occhio su di lei.»

    «Noi tutte tenevamo un occhio su di lei» rincarò suor Maria del Rosario.

    Il suo tono insospettì i Fox, che si ritrovarono a chiedersi cosa intendesse dire. Castaldo lanciò un'occhiata interrogativa alla sorella, la quale si limitò a negare sollevando un sopracciglio. Deponendo la pipa, si schiarì la gola.

    «Ebbene, ritengo che sia una vera infamia che una povera ragazza debba subire una punizione per una colpa non sua. È il segno di una profonda inciviltà e io dico che…»

    Prima che il marito ricominciasse a minacciare un ritorno in patria, Ignazia prese la guida della conversazione. «Infamia o no, la realtà è questa. Maria Luigia, che Dio l'abbia in gloria, è stata abbandonata a due giorni dalle nozze e si è suicidata. Nessuno lo dimenticherà e nessuno farà a gara per sposarne la sorella minore.»

    «Con Gloriana non abbiamo avuto problemi…»

    La donna sbuffò. «Bella forza. S'è trovata per marito una testa calda come lei e siciliano per di più. Tutto merito tuo.»

    Castaldo sorrise, imbarazzato. Quello era stato il frutto imprevisto di uno dei loro rari viaggi. Un innamoramento improvviso, seguito dalla decisione irrevocabile di sposare Michele o nessun altro e, naturalmente, dal matrimonio sei mesi dopo. Il giovanotto aveva qualche mezzo ma, come diceva Ignazia, era una testa calda, un sovversivo e, come risultato, ora la coppia doveva vivere all'estero, almeno fintanto che la situazione non fosse tornata sicura.

    «Non esiste solo Roma. In qualche parte d'Italia ci sarà un uomo dotato di apertura mentale e in grado di capire quale gioiello si metterebbe in casa, con la nostra Carlotta.»

    «Ma lei vuole restare a Roma!»

    Un colpo alla porta interruppe il battibecco, che minacciava di diventare di tipo coniugale. Un domestico mise la testa dentro, giusto il tempo di annunciare: «C'è don Mariano» con una familiarità che in qualche altra casa sarebbe parsa offensiva.

    Un uomo prossimo alla cinquantina, d'altezza media, magro, con capelli e barba scuri illuminati da molti fili d'argento, entrò nel salotto.

    Un coro d'apprezzamento accolse il suo ingresso. Sorridendo, il nuovo arrivato fece un giro di saluti iniziando da donna Ignazia, ma solo per il suo ruolo di padrona di casa. Il tenero sentimento che don Mariano Sinarca nutriva nei confronti della povera signora Luigia era un fatto noto, in quella casa come nell'intera città.

    Quando fu il turno della donna di essere salutata, gli occhi chiari dell'uomo guizzarono su quelli di lei uno sguardo attento, inquisitore, e le sue labbra si soffermarono sulla mano guantata qualche attimo più del necessario. Nel sollevarsi, notò i due ritratti sulla mensola e inarcò un sopracciglio ma non disse nulla. Proseguì nei convenevoli e alla fine andò a sedersi presso il camino che, in favore di Luigia, era ancora acceso nonostante fosse già maggio. «Speravo di incontrare

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