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Sogni di vetro
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E-book322 pagine3 ore

Sogni di vetro

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Info su questo ebook

Quando la giovane Virginia si presenta al cospetto del barone Vito Giordani, annunciandogli di essere incinta di suo figlio, il barone la crede una cacciatrice di dote e la respinge duramente. Ma ben presto, pentitosi del proprio comportamento, Vito decide di andare alla sua ricerca...
"Ombre Rosa" è una collana e insieme un viaggio alla riscoperta di un'intera generazione di scrittrici italiane che, tra gli anni Settanta e gli anni Duemila, hanno posto le basi del romanzo rosa italiano contemporaneo. In un'era in cui finalmente si colgono i primi segnali di un processo di legittimazione di un genere letterario svalutato in passato da forti pregiudizi di genere, lo scopo della collana è quello di volgere indietro lo sguardo all'opera di quelle protagoniste nell'ombra che, sole, hanno reso possibile arrivare fino a questo punto, ridando vita alle loro più belle storie d'amore.
LinguaItaliano
Data di uscita6 mag 2024
ISBN9788727146218

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    Anteprima del libro

    Sogni di vetro - Mariangela Camocardi

    Mariangela Camocardi

    Sogni di vetro

    SAGA Egmont

    Sogni di vetro

    Cover image: Freepik

    Copyright ©2011, 2024 Mariangela Camocardi and SAGA Egmont

    All rights reserved

    ISBN: 9788727146218 

    1st ebook edition

    Format: EPUB 3.0

    No part of this publication may be reproduced, stored in a retrieval system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.

    www.sagaegmont.com

    Saga is a subsidiary of Egmont. Egmont is Denmark’s largest media company and fully owned by the Egmont Foundation, which donates almost 13,4 million euros annually to children in difficult circumstances.

    A Rosa e Angelo, i miei genitori: in ogni battito del mio cuore c’è il vostro bene per me.

    Quello che provo per voi è ancora più grande.

    Campagna lombarda

    Ottobre 1885 

    Gli occhi blu della giovane donna si velarono di preoccupazione quando si posarono sull’imponente dimora dei Giordani. Si ergeva solida oltre il viale, e benché si fosse aspettata qualcosa di simile, nulla l’aveva in realtà preparata all’impatto che le stava suscitando. Timore, speranza e disagio si alternarono sul suo viso espressivo in un mutevole gioco di emozioni contrastanti, tradendo l’ansia che le annodava lo stomaco.

    Già vista dall’esterno la casa era un’armonia di linee che lasciava immaginare saloni luminosi, divani soffici e caminetti che tenevano l’inverno e il suo gelo fuori dalle finestre esposte al sole e schermate da tendaggi che difendevano l’intimità di chi vi abitava. Quelle mura parlavano di ricchezza, di agi e di lusso, il che rendeva Virginia, ancora ferma sul cancello socchiuso, penosamente consapevole del suo abituccio di stoffa scadente, dei suoi logori stivaletti, delle sue mani sciupate. La sua povertà strideva davanti a quella costruzione che si stagliava splendida sullo sfondo del cielo sereno. Una leggera brezza mitigava la calura quasi estiva di quella giornata autunnale, scompigliando i rami di alcuni salici che abbellivano l’ampio giardino.

    Quella specie di rocca, e l’impressionante estensione di campi che, al di là del muro di cinta, si perdeva a vista d’occhio fino a fondersi con l’orizzonte, apparteneva al barone Giordani, l’uomo che era venuta a cercare. Pensando al motivo che l’aveva condotta lì, Virginia sentì dilagare lo sgomento e provò l’impulso di girare sui tacchi, fuggendo il più lontano possibile. Ma scappare non era una soluzione, purtroppo. C’erano in gioco altre esistenze ed era sopravvissuta a prove ben più dure nei suoi diciassette anni di vita: avrebbe affrontato a testa alta anche questa.

    Vincendo la propria riluttanza, chiamò a raccolta tutto il suo coraggio e s’incamminò verso la scalinata d’ingresso, stupendosi di non scorgere in giro alcun segno di presenza umana. Il luogo sembra disabitato, pensò, giungendo indisturbata fino alla massiccia porta a due battenti, sulla quale riluceva un battaglio d’ottone intarsiato.

    Stava per bussare quando una voce autoritaria l’apostrofò seccamente: «Cercate qualcuno?»

    Trasalendo, Virginia si voltò di scatto a guardare la donna che era silenziosamente comparsa alle sue spalle, cogliendola di sorpresa.

    «Questa è l’entrata riservata ai padroni» continuò la sconosciuta scrutandola con diffidenza. «Per i fornitori e la servitù c’è un accesso posteriore.»

    «Ma io…» Virginia tacque, conscia che per il suo aspetto chiunque l’avrebbe scambiata per una domestica, quindi non poteva biasimarla per essere caduta nell’equivoco. Le lanciò un’occhiata intimidita, cercando di capire chi fosse quella signora alta e sottile, con folti capelli grigi raccolti in un sobrio chignon. Non c’era nessuna concessione alla frivolezza femminile nell’abito di foggia austera che indossava, e che rendeva ancora più scarna e severa la sua figura.

    Abbozzò un sorriso di circostanza, che non venne ricambiato. C’era, nell’atteggiamento della donna, qualcosa che la induceva a non avanzare oltre: si frapponeva adesso tra lei e il portone, come una sentinella che vigilava su un territorio inviolabile i cui confini, senza esplicito invito, non potevano essere varcati. Non era brutta, si disse la giovane osservandola, ma l’espressione arcigna, che doveva esserle congeniale, scavando profonde rughe attorno alla bocca, conferiva al suo volto qualcosa di scostante, di altezzoso, accentuato dai gelidi occhi scuri e dal mento proteso, volitivo come quello di un uomo.

    «Chi cercate, dunque?»

    Sconcertata dal suo tono ostile, Virginia balbettò: «Il… il barone Vito Giordani.»

    L’altra le rivolse uno sguardo inquisitorio. «E che cosa volete da mio figlio? Se cercate lavoro, vi informo che il nostro personale è al completo.»

    Lei trattenne una risposta pungente, sforzandosi di non reagire a quei modi villani e ingiustificati. «Desidero parlare con lui, signora» si limitò a precisare con calma.

    «E non potete dire a me?»

    «Temo proprio di no. Ciò che devo comunicargli è strettamente privato.» Virginia fece una pausa, tenendo a bada il panico e fronteggiando con fermezza quella sorta di virago che le sbarrava il passo con la cieca ostinazione di un mastino da guardia. «È indispensabile che io conferisca con Vito» insisté. «Immediatamente. Volete farmi la cortesia di avvertirlo del mio arrivo?»

    Elda Giordani parve farsi più circospetta nel sentire nominare il figlio così confidenzialmente, senza la deferenza che gli era dovuta. «È nelle scuderie» disse scorbutica. «Una delle giumente sta per figliare e dubito che si allontani dalla cavalla finché il travaglio non sarà finito.»

    «Allora attenderò qui il suo rientro» ribadì Virginia, altrettanto risoluta.

    La donna s’irrigidì, mentre esaminava con aperta disapprovazione la visitatrice, a partire dalle scarpette spelacchiate fino ai lunghi capelli neri, semplicemente legati con un nastrino sulla nuca. Era evidente che ciò che vedeva non era di suo gusto, e non si curò di nascondere il disprezzo per quell’insolente che osava darle degli ordini, come se stesse rivolgendosi a una serva. Tuttavia riconosceva la determinazione altrui, quando l’aveva davanti, e comprese che quella che animava la sconosciuta era pari alla sua. Non se ne sarebbe andata, la smorfiosa, era ovvio. Tanto valeva chiamare Vito e liquidare in fretta quella seccatura.

    «Se è così urgente,» cedette di malavoglia «lo pregherò di concedervi qualche minuto. Non muovetevi di lì! » le intimò prima di andarsene, come se la credesse capace di intrufolarsi in casa di soppiatto.

    Lei annuì mortificata a quella schiena ossuta che si allontanava e, per ingannare l’attesa, prese a bighellonare nel giardino. La quieta, riposante bellezza del luogo attenuò l’avvilimento suscitato dalla scortesia con cui era stata ricevuta, distraendola dall’oppressione dell’imminente incontro con l’uomo che…

    «Volevate parlare con me?»

    La gonna frusciò nel brusco movimento che Virginia fece girandosi verso di lui, e una sorta di singulto le salì in gola nel rivederlo dopo tutte quelle settimane. Il sole strappava riflessi dorati ai suoi capelli color grano maturo, e il sorriso gli addolciva i lineamenti maschi e incisivi, belli da togliere il fiato. Gli occhi ambrati, simili a topazi, la sbirciavano incuriositi attraverso le spesse ciglia nere.

    Le mani ficcate nelle tasche dei calzoni da equitazione, la pelle che spiccava abbronzata contro la camicia candida, Vito era di nuovo davanti a lei, ancora più attraente di come lo ricordava. La madre gli stava accanto, covandoselo con occhi adoranti e palesemente intenzionata a non perdersi neanche una virgola di quanto sarebbe stato detto.

    Virginia la fissò esasperata e il barone, intercettando quell’occhiata, congedò Elda con un gesto sbrigativo e imperioso. Sebbene restia, la baronessa se ne andò senza discutere, inalberando un’aria indispettita che strappò un sogghigno al figlio, prima che riportasse l’attenzione sulla giovane.

    «Ditemi» la sollecitò. «Siamo soli, ora.»

    Più che dal suo tono impersonale, Virginia rimase interdetta dall’inspiegabile comportamento di lui. La trattava come un’estranea, il che era veramente assurdo.

    «Siamo rimasti in rapporti così formali, Vito?» farfugliò disorientata.

    La perplessità che affiorò sul suo volto era indiscutibilmente genuina. La studiò per un lungo momento, poi allargò le braccia in una mossa di aperta resa. «Ci conosciamo?» indagò confuso.

    «Sicuro che ci conosciamo!» sbottò lei, stupefatta. «E se questo è uno scherzo, sappi che non lo trovo divertente!»

    L’uomo si strinse nelle spalle mentre la osservava nuovamente. Mai vista prima, si disse. Gli balenò però il sospetto che fosse un furbo espediente per spillargli quattrini. La miseria spingeva molte persone alla sua porta, e quella ragazzina non se la passava affatto bene, a giudicare dagli straccetti che portava. Chi mai poteva essere? Una servetta incontrata durante una serata allegra con gli amici e che, insoddisfatta della ricompensa avuta per le proprie prestazioni sessuali, ora tentava di estorcergli altro denaro? Un fugace sorriso gli scoprì i denti bianchissimi. Era incredibile, la sfacciataggine di certe donnine! Decise tuttavia di stare al suo gioco, quale che fosse, per appurare fino a che punto si sarebbe avventurata quell’intraprendente mocciosa. L’inventiva femminile non smetteva mai di sorprenderlo, e quella di lei lo stuzzicava parecchio.

    «Sicché» riprese, percorrendo a occhi socchiusi le snelle curve della giovane «ci conosciamo…»

    «Ci puoi giurare» garantì lei bellicosa, squadrandolo sdegnata.

    Lui incrociò pigramente le braccia sul petto. «Se è così, non è strano che mi sfugga il tuo nome?» osservò con aria sorniona, spiando la sua reazione. Non fu quella che si era atteso, perché la vide impallidire e stringere convulsamente i pugni.

    «Buon dio, Vito!» proruppe stridula. «Sono incinta di tuo figlio e hai addirittura dimenticato come mi chiamo?»

    Seguì un ammutolito silenzio, poi l’uomo si scosse a fatica dallo shock e, artigliandole il polso, l’attirò brutalmente a sé. Ogni traccia di umorismo era sparita dal suo volto, sostituita da una rabbia che gli scuriva pericolosamente gli occhi. «Forse ho frainteso» sibilò.

    «Hai capito benissimo, invece!»

    «Davvero?» Dominando l’indignazione, le scoccò un’occhiata di ammonimento. «Be’, la commedia è durata anche troppo, per quel che mi riguarda. Chi accidenti sei, si può sapere?»

    «Continui a fingere, pretendendo che ti informi sulla mia identità?» insorse lei con piglio battagliero. «Come puoi chiedermelo dopo quello che c’è stato tra noi?»

    «Dopo… dopo quello che c’è stato tra noi?» ripeté il barone sbigottito. Benché tentasse disperatamente di farlo, stentava a raccapezzarsi. «E che diamine c’è stato tra noi?»

    Lei lo guardò inviperita e schiuse le labbra per ribattere, ma venne assalita da un violento fiotto di nausea che la fece ripiegare su sé stessa e, portandosi una mano allo stomaco, bisbigliò umiliata: «Credo… credo di stare per sentirmi male…»

    Giordani masticò una sonora imprecazione e si affrettò a sostenerla. Mentre lei, respirando profondamente, cercava di riaversi dal malore, l’uomo rimuginava incollerito sulle parole prive di senso che quella sconosciuta aveva pronunciato. A suo parere si era imbattuto in una squilibrata che lo aveva preso di mira a chissà quale scopo. Forse voleva ricattarlo… Reprimendo l’impazienza di chiarire quell’inquietante mistero, la guardò accigliato. «Passa?» domandò in tono asciutto.

    Virginia si raddrizzò e annuì.

    «Bene, allora vogliamo accomodarci dentro? Noi due dobbiamo scambiare due chiacchiere a tu per tu, ragazzina. Subito!»

    Lei approvò con un debole cenno del capo, seguendolo senza fiatare su per la scalinata.

    Non appena si chiusero la porta dello studio alle spalle, il barone le fece segno di sedersi e versò del brandy in due bicchieri, porgendone poi uno alla ragazza, che lo bevve d’un fiato, soffocando quasi per il fuoco che le divampò lungo l’esofago. Sulle guance le tornò comunque un po’ di colore e sembrò rilassarsi leggermente.

    «Va meglio?»

    «Sì…» Virginia fissava il lucido parquet di quercia desiderando che le si spalancasse sotto ai piedi, inghiottendola.

    «Bene.» Lui sorseggiò il liquore con apparente calma. «Ti sembrerei precipitoso se, adesso, ti chiedessi una spiegazione esauriente?»

    Lei gli lanciò una rapida occhiata prima di riportare l’attenzione sul pavimento. «Se non ricordi neppure chi sono,» mormorò infine «a che servono le spiegazioni?» Deglutì, lottando per non scoppiare in lacrime. Salviamo almeno la dignità, si disse sconsolata.

    «Come ti chiami?» le domandò Vito in tono secco.

    «Virginia… Virginia Visconti» si presentò, fissandolo contrariata.

    «Imparentata con la famosa famiglia dei duchi di Milano?» chiese lui con una sfumatura d’ironia.

    «Se lo fossi» replicò lei caustica «ci sarebbe qualcun altro a parlare in mia vece. E indosserei ben altre vesti.»

    «Già» borbottò lui. Appoggiandosi allo schienale, aggiunse: «Così, saresti incinta…»

    «Sono incinta!» replicò lei arrossendo. La tensione che percepiva nell’uomo la innervosiva terribilmente. Aveva il viso e le orecchie in fiamme, ma il suo corpo era coperto da un velo di freddo sudore.

    «E chi è il padre?» domandò lui a bruciapelo.

    Virginia sollevò le ciglia, sostenendo lo sguardo penetrante di lui. «Ma tu, naturalmente» ribadì pacata, nascondendo le mani tra le pieghe della sottana. Tremavano talmente da provarne imbarazzo, e non voleva che lo giudicasse un sintomo di falsità.

    Il fatto che lei seguitasse ad attribuirgli quella paternità scatenò la furia di Vito. «E come, quando e dove tu e io avremmo concepito il pargoletto?» la interrogò con voce controllata, pur ribollendo di risentimento per quell’accusa.

    «È… è successo in agosto, a un ricevimento a cui entrambi eravamo invitati.»

    Vito aggrottò la fronte. «E l’abbiamo consumato lì, l’amplesso?» obiettò con pesante sarcasmo. «Tra una danza e l’altra?»

    «Oh, no! Ce ne siamo andati a metà serata. Nel parco c’era un gazebo, appartato e deserto, e… e ci siamo rifugiati al suo interno. Nessuno ha badato a noi, con la confusione che c’era, se è questo che temi.»

    Lui scosse il capo. «Che ci abbiano visti o meno non ha importanza, ma ci avrei scommesso che non c’erano testimoni!» La sua collera aumentava di attimo in attimo. Il colmo è, rifletté, che a sentirla pare la sincerità fatta persona. Gli si rivolgeva come fossero realmente intimi. Solo che, per quanto lo riguardava, non aveva mai incontrato prima quell’intrigante. Gli sfuggiva a quale scopo proferisse quelle sporche menzogne, ma la sicurezza con cui parlava lo rendeva furibondo.

    Mentiva, indubbiamente. Per cominciare non apparteneva al genere di donne che lui prediligeva. Gli piacevano più mature e più in carne, e quella ragazza esile e malvestita doveva essere appena uscita dalla pubertà. Quanti anni poteva avere? Quindici? Sedici? Se non addirittura meno! Ma a prescindere dall’età, non era tipo da scatenare in lui sfrenate fantasie erotiche. Aveva un musetto grazioso e stupendi occhi di un insolito blu pervinca, che i capelli corvini valorizzavano. Non era molto alta, ma tenuto conto della propria statura, raramente trovava una dama adeguata. No, neppure per sbaglio poteva essere incappato in una come lei, ne era certo.

    «Senti, forse mi confondi con qualcun altro» argomentò. «Talvolta uno scambio di persona è plausibile, e puoi aver avuto a che fare con qualcuno che mi somiglia.»

    «Assolutamente no» ribatté Virginia. «Lo prova il fatto stesso che io sia qui. Come avrei potuto rintracciarti, altrimenti?»

    «Be’, raccogliere informazioni sul barone Giordani non comporta eccessive difficoltà, suppongo. I tuoi guai possono averti spinta a porvi rimedio pescando un imbecille a caso, meglio se con un bel patrimonio, incolpandolo della paternità di un bambino che un altro ha generato. Dovendo scegliere un padre, perché accontentarsi di un poveraccio qualsiasi?»

    «Stai dicendo che mento?»

    «Sì, lo sto proprio dicendo, e mi piacerebbe scoprire… se non è pretendere troppo, s’intende… cosa ti proponevi di estorcermi propinandomi una simile panzana.» Vito fissò meditabondo il brandy che ancora restava nel bicchiere di cristallo. «Insomma, considerato che sono in grado di smentirti, come pensavi di mettermi con le spalle al muro?»

    Virginia fissò dritto negli occhi l’uomo con il quale aveva condiviso una delirante notte di abbandono e di estasi, così sgradevolmente diverso dall’appassionato amante che ricordava.

    La sua semplice vicinanza bastava a metterle in subbuglio i sensi. La travolgente attrazione che fin dal primo momento l’aveva fatta soccombere a Vito era così intensa che non aveva esitato a distruggere onore e reputazione, né l’aveva trattenuta il pensiero delle conseguenze che questo comportava. Vito incarnava tutto ciò che aveva vagheggiato nei suoi romantici sogni di fanciulla: vederlo e arrendersi a lui era stato immediato. Come avrebbe potuto resistergli, del resto? Con quell’aspetto doveva avere ai suoi piedi legioni di donne, perché era quel genere d’uomo che seduce con un’occhiata, con un sorriso, senza sprecarsi in sdolcinate galanterie. Non ne aveva bisogno: emanavano da lui forza e personalità, nonché un magnetismo quasi palpabile, capaci di stregare qualunque donna. Era stata immediatamente consapevole che quella non era un’infatuazione passeggera, ma qualcosa che avrebbe mutato irreversibilmente la sua vita. Un presentimento, se si poteva classificare così quel tipo di sensazione. Ma ora lui negava tutto, si disse Virginia, tornando al presente. D’accordo, la notizia che gli aveva dato poteva averlo scombussolato, ma fingere di non conoscerla era indegno di un galantuomo!

    «Metterti con le spalle al muro?» riprese stancamente, guardandolo con occhi lucidi. «Il sospetto di non essere creduta non mi ha neanche sfiorato. Pensavo invece che tutto quello che avrei dovuto affrontare e discutere con te riguardasse il bambino e ciò che è giusto fare per lui. E ritenevo doveroso dirtelo. Un uomo ha il diritto di sapere che sta per diventare padre.»

    «In effetti sì, se ha partecipato al concepimento!»

    «Avrei dovuto immaginare che tu potessi tirarti indietro» sospirò Virginia. «Malgrado le tue promesse fossero convincenti, sapevo che non mi avresti cercata.» C’era una nota di rimprovero nella sua voce. «Ma non mi sono mai illusa, Vito, mai, dopo aver appreso chi eri, di rappresentare per te qualcosa di più di un’avventura senza domani.» Fece una pausa, imponendosi di placare il tumulto interiore. Angoscia e paura la facevano respirare con affanno. «Se non si fosse annunciata la gravidanza, mi sarei ben guardata dall’importunarti. Ho abbastanza orgoglio per evitare di opprimere qualcuno che, per condizione sociale e ricchezza, non mi avrebbe mai sposata. Ma fingere di non conoscermi…»

    «Io non sto affatto fingendo, ragazzina!» scattò lui. «Semmai sei tu quella che lo fa. E non mi reputo nemmeno responsabile dei pasticci in cui ti sei cacciata, dato che per me, che tu lo creda o no, sei una perfetta sconosciuta.»

    Lei non mascherò il proprio disappunto. «Oh, Vito… Se stai dicendo la verità, come hai potuto dimenticare?»

    Quella vocina incrinata dal pianto, un pianto coraggiosamente represso, ebbe il potere di addolcirlo, anche se le lacrime erano una subdola arma che le donne usavano con diabolica abilità, irritandolo come nient’altro al mondo. E poi quella mocciosa dagli intensi occhi blu gli faceva un po’ pena, al di là della rabbia che ancora gli covava dentro per quello spregiudicato tentativo di coinvolgerlo in una losca faccenda alla quale era estraneo.

    «In effetti ho una pessima memoria» ammise. «Ma non così labile da cancellare totalmente un tale episodio, sempre che sia davvero avvenuto tra noi.» Inarcò un sopracciglio, sforzandosi di richiamare alla mente un qualsiasi brandello di ricordo circa la notte in questione. Sapeva di aver gozzovigliato con gli amici, probabilmente di aver bevuto più del normale. Tuttavia, che eccedesse o no con le bevande, non scordava mai le compagne di letto. Quindi, se aveva fatto l’amore con lei, era bizzarro che la cosa fosse poi scivolata nell’oblio.

    «Può darsi che ci siamo incontrati a quel ricevimento.» Adesso aveva accantonato il tono polemico per adottarne uno più amichevole. «Ma tra noi non può essere accaduto nulla di speciale se me ne sono potuto dimenticare.»

    «È… è impossibile» si disperò lei.

    «Non dal mio punto di vista. Perciò, se ti sei precipitata qui per mettermi di fronte alle mie ipotetiche responsabilità, temo che dovrai scovare un altro capro espiatorio.»

    «Il bambino è tuo!»

    Il sorriso di lui si sgretolò di colpo, mettendo a nudo l’ira che si celava dietro. «Non so tu, ma io mi sono stancato di ascoltare questo pittoresco racconto in cui mi ritrovo, mio malgrado, protagonista. Purtroppo per te, mi stai confondendo con chissà chi.»

    «Non è mia abitudine sbagliare di persona, né tantomeno raggirare la gente» protestò Virginia.

    «Non ti conosco abbastanza per saperlo.»

    «Ma che ragione avrei di attribuirti il figlio di un altro? Andrei dal diretto interessato, no?»

    «Dovresti, infatti. Però è me che stai tirando in ballo, e su questo avrei già di che recriminare, perché se speravi di darmi a bere le tue fandonie hai fatto male i tuoi conti. E se vuoi la mia opinione, sappi che ti ritengo un’infame bugiarda. Non so come tu abbia potuto architettare un tale imbroglio ai miei danni, anche se una mezza idea in proposito ce l’avrei…»

    «E sarebbe?»

    «Be’, puoi esserti accorta che ero ubriaco, e contando sulla mia confusione, aver approfittato di tali fortunate circostanze per affibbiarmi la paternità di tuo figlio, risolvendo in maniera eccellente il problema che ti assilla. Ma ti è andata male: per quanto scaltra tu sia, la nostra reciproca conoscenza inizia e termina qui.»

    Virginia illividì. «Non… non puoi dire sul serio, Vito. Che ne sarà di me… e del bambino?»

    «Dannazione» ruggì lui. «Voi ragazze moderne vi dimostrate più sprovvedute delle vostre nonne, in certi frangenti! Non ti ha avvertito nessuno che quando ci si intrattiene intimamente con un uomo si corrono rischi del genere?»

    «Fino a quella sera» scandì rigidamente Virginia «non ho avuto alcuna necessità di preoccuparmi dei rischi che potevo correre insieme a un uomo. Avrei colmato la lacuna se e quando mi fossi sposata. Ma come potevo prevedere quello che sarebbe successo con te? Non sono un’indovina, e non sono uscita di casa con l’intenzione di… intrattenermi intimamente con il primo che mi fosse capitato a tiro. È successo, ma senza premeditazione da parte mia. E dato che mi rimproveri di essere inesperta in questo tipo di… incontri, com’è che non hai fatto tesoro della tua, di esperienza? Un conquistatore come te saprà come destreggiarsi per evitare simili inconvenienti a una donna. Le conseguenze di quella notte stanno sconvolgendo anche il mio futuro, oltre al tuo, no?»

    «Conseguenze che non mi riguardano» precisò lui con pignoleria. «Ma ipotizzando che io sia tanto ingenuo da prendere per vere le tue asserzioni, cosa ti aspetti che faccia?»

    Virginia lo guardò deglutendo. «Io… Mi serve un posto qualunque dove nascondermi.»

    «Nasconderti?» Vito non credeva alle sue stesse orecchie. «Qui, magari, eh?» La squadrò con ostilità. «Perdona la banalità della domanda, ma come mai tua madre non si è premurata di porti al riparo da incidenti come questo? Di solito è compito loro insegnare alle figlie in che modo tutelarsi dalla… lussuria maschile.»

    «Mia madre è morta molti anni fa e mio padre…» Virginia si strinse nelle spalle. «Be’, è soprattutto a causa sua che sono ricorsa a te. Qualcuno deve aiutarmi.»

    «Ovviamente» convenne lui. «Occorrerà però stabilire a chi toccherà farlo. Mi pare di intuire, per esempio, che tuo padre sia da scartare. Sbaglio?»

    Lei scosse il capo. «No, non sbagli. Siamo da sempre in conflitto, io e lui, e questa gravidanza ha inasprito più che mai i nostri già precari rapporti. Mi ha fatto una scenata spaventosa, intuendo da cosa avessero origine i miei disturbi mattutini. Voleva trascinarmi da una di quelle praticone che sbarazzano una donna da… da quel tipo di fastidi.»

    «E…» la incoraggiò Vito, rabbrividendo al pensiero.

    «Mi sono rifiutata, naturalmente, e dato che sa di non

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